Visualizzazione post con etichetta niqab. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta niqab. Mostra tutti i post

19 ottobre 2006

Ancora sul velo


Un bell'articolo di Polly Tonybee sul blog del Guardian, Comment is Free, che si rifà ad un'intervista ad Harriet Harman comparsa nei giorni scorsi sul New Statesman.

Vale la pena leggere l'intero articolo, ma in particolare questo:

Jack Straw questioned the veil when he found it was not fading out, but increasing in his constituency. No one would ban it in the street: where would fashion dictatorship end? But between teachers and pupils, or public officials and their clients, the state should not allow the hiding of women. No citizen's face can be indecent because of gender.
Prescott, Hewitt, Kelly, Hain and others failed the test, saying it was women's "choice": can they really believe that's the whole story? Here is an uneasy blend of nervousness about racism and fear of already angry Muslims. It was left to Harriet Harman to make the unequivocal case for women's rights: "If you want equality, you have to be in society, not hidden away from it," she said. "The veil is an obstacle to women's participation on equal terms in society." No nonsense about choice. It took feminist leaders like her to fight for women's rights, often against a majority of oppressed women who at first "chose" to think them outlandish and unfeminine.
(traduzione mia)
Jack Straw ha messo in discussione il velo quando si è reso conto che invece di scomparire si stava diffondendo nel suo distretto elettorale. Nessuno vuole vietarlo per strada: dove andrebbe a finire questa specie di dittatura della moda? Ma fra insegnanti e alunni, fra pubblici ufficiali e chi si rivolge loro, lo stato non dovrebbe permettere che le donne debbano nascondersi. Non si può accettare che il viso anche di un solo cittadino o una sola cittadina arrivi ad essere considerato indecente per via del suo genere.
Prescott, Hewitt, Kelly, Hain, non hanno superato la prova, affermando che era una "scelta" delle donne: credono veramente che la questione stia tutta lì? Tutto quello che hanno mostrato è una poco rassicurante mescolanza di paura di mostrarsi razzisti e timore di alimentare ancora la rabbia di alcuni musulmani. C'è voluta Harriet Harman per difendere senza equivoci i diritti delle donne: "Se si vuole uguaglianza, si deve diventare parte della società, non nascondersi separandosene" dice "Il velo è un ostacolo alla partecipazione paritaria delle donne alla vita sociale". Nel suo discorso, nessuna delle solite assurdità sulla libertà di scelta: leader femministe come lei hanno già fatto l'esperienza di lottare per i diritti delle donne, e spesso contro una maggioranza di donne oppresse che "sceglievano" di bollarle come matte e dimentiche della propria femminilità.
La conclusione è nel titolo stesso dell'articolo: solo uno Stato completamente laico può garantire appieno i diritti delle donne.

17 ottobre 2006

Senza veli


Il velo ed il niqab ormai sono diventati come la nazionale inglese: tutti hanno diritto a dire la loro, e soprattutto, tutti sanno esattamente quale sia il problema e come risolverlo.

Ha cominciato Jack Straw dicendo, tutto sommato innocentemente, che il niqab si pone come una barriera fisica, che la maggior parte dei primati vivono il non poter vedere la faccia di chi gli sta davanti come una minaccia; in risposta alle prime critiche, comprese quelle di John Prescott, gli attestati di solidarietà si sono sprecati, compresi quelli di persone che non si possono certo accusare di islamofobia, come "Red" Ken Livingstone, sindaco di Londra e amico ed ammiratore di Yussuf al Qaradawi e Ahmed Yassin.

La polemica non è, contrariamente a quel che potrebbe sembrare dall'Italia, un fulmine a ciel sereno, ma il culmine di una sorta di guerra (culturale) a bassa intensità in corso da tempo, e l'esplosione di questi giorni è dovuta semplicemente ad errori di valutazione da parte di una delle parti in causa.

Non intendo stare a tornare indietro negli anni al momento in cui qualcuno ha avuto l'infelice idea di tagliar fuori dal processo democratico la comunità musulmana, decidendo che questa veniva rappresentata da quel momento in poi da associazioni islamiste come l'MCB invece che da parlamentari democraticamente eletti; quel che è fatto è fatto, e questo Paese (come il resto d'Europa) pagherà a lungo, in termini di tensioni sociali, il prezzo di questi errori. Se andiamo però a guardare più vicino, troviamo che diversi gruppi di pressione hanno cercato ripetutamente, negli ultimi due-tre anni, di tirare la corda per vedere fin dove potevano arrivare: il caso di Shabina Begum, il caso Dilpazier Aslam, la proposta di legge sull'incitamento all'odio religioso e così via; la campagna è stata condotta con competenza ed ha riportato un notevole successo, al punto che oggi l'idea che criticare un dettato religioso sia una violazione dei diritti umani di chi lo segue sta entrando a far parte del pensiero mainstream.

Poco tempo fa, però, la corda è stata tirata troppo e si è spezzata. Prima Muhammad Abdul Bari, vicepresidente del Muslim Council of Britain, reso troppo baldanzoso dai successi del passato, commentando l'arresto di gruppi di fondamentalisti che compravano, con soldi di provenienza ignota, proprietà principesche in Sussex per impiantarci "scuole religiose" con 9 studenti e li addestravano a fabbricare esplosivi e a smontare e rimontare Kalashnikov, ha affermato che continuare ad arrestare integralisti religiosi equivaleva a demonizzare un'intera comunità e che questo avrebbe portato la Gran Bretagna ad avere due milioni di terroristi in casa, 700.000 dei quali a Londra - cosa che per qualche motivo non ha rassicurato il pubblico inglese. Quasi contemporaneamente un'altra esponente dell'MCB, Yvonne Ridley, con la foga che caratterizza tutti i convertiti, ha invitato i musulmani britannici a considerare la polizia ed il governo inglesi come entità ostili e ad iniziare una politica di assoluta non-collaborazione e boicottaggio. Subito dopo, all'indomani degli arresti seguiti alla scoperta del complotto per far esplodere diversi voli transatlantici, in un summit con esponenti del governo Syed Aziz Pasha, segretario della Union of Muslim Organisations of the UK and Ireland, ha proposto al governo di concedere l'introduzione della sharia (link a pagamento, ma si può leggere l'incipit dell'articolo) come alternativa alla legge inglese per la comunità musulmana, sostenendo che questo, assieme a scuole segregate, avrebbe in qualche modo pacificato le comunità e favorito l'integrazione (?).

Il pubblico inglese, per la prima volta, ha reagito con estrema insofferenza a queste affermazioni, e, di nuovo per la prima volta, questo ha reso possibile un dibattito su temi caldi come il niqab, l'autosegregazione di parti della comunità musulmana, l'influenza del fondamentalismo, che non venisse immediatamente degradato a lite da strada dalle solite accuse strillate di razzismo e islamofobia, di islamofascicomunismo o di complotto per/contro l'Occidente.

E a questo dibattito delle voci inattese hanno portato contributi sorprendenti.