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14 febbraio 2008

Recensione


Questo è quel che viene chiamato un guest post - un lettore di questo blog, letto il mio post in memoria di sir Edmund Hillary, mi ha mandato la sua recensione di un bellissimo libro che è capitato anche a me di leggere, Aria Sottile, di John Krakauer, ed. Corbaccio (Into Thin Air per chi volesse leggerlo in originale). Non dico che mi ha cambiato la vita, no, ma mi ha fatto vedere un mucchio di cose sotto una luce diversa.


Aria Sottile

Una colossale piramide a tre lati. Da una parte i tibetani la chiamano Chomologma, che vuol dire dea di non ricordo cosa. Dall'altra parte i nepalesi la chiamano Sagarmatha, che vuol dire dea dell'aria. Nell'occidente è comunemente nota come monte Everest, la cima più alta del pianeta, 8848 metri sul livello del mare.

Arrivare in cima dalla via più semplice, lato nepalese, è relativamente facile. Il problema maggiore non sono le difficoltà alpinistiche ma la quota. Sopra gli 8000 metri di quota c'è un terzo dell'aria che c'è al livello del mare, e quindi un terzo dell'ossigeno. Tutto diventa faticosissimo, tutto diventa ansimare, i tempi si dilatano, le reazioni umane sono distorte. Il mondo della scienza riteneva addirittura che con un terzo di ossigeno a disposizione il cervello subisse danni irreparabili. L'unico che non ci credeva ed ha fatto di testa sua era Messner. Ha rotto il tabù, dimostrando che un fisico fuori dal comune e ben allenato può comunque andare là in cima senza subire danni e tornare sano e salvo. Poi molti altri, poi.

Jon Krakauer è un alpinista americano che scrive per Outside, rivista "naturalistica". Il direttore gli propone di partecipare ad una spedizione sull'Everest e farne una relazione. Accetta. Il libro, "Aria sottile" è il titolo che allude all'aria rarefatta di quelle quote, è il racconto di quell'esperienza.

Dal punto di vista letterario non mi entusiasma affatto, non mi è proprio piaciuto. L'unica cosa che mi pare abbia centrato è il lasciare sempre il lettore col desiderio di leggere anche la prossima pagina. Anche perchè la vicenda sembra veramente irreale, quasi un romanzo invece della realtà. La differenza sta nei valori in cui crede l'uomo contemporaneo, talmente assurdi e distorti dalla realtà da apparire insensatezza, incoscienza, a volte pazzia.

Andiamo per gradi e proviamo a ripercorrere la vicenda. Il Nepal è paese poverissimo, talmente povero che il turismo è di gran lunga la voce di entrate più consistente. L'alpinismo viene considerato una forma di turismo, ed infatti per salire una montagna bisogna avere il permesso. Che costa. Nel 1991 il permesso per salire sull'Everest costava circa 2500 dollari. Ma due fattori spinsero il governo nepalese ad alzare il costo a livelli stratosferici:
- limitare l'eccessivo numero di richieste e quindi un pericoloso sovraffollamento sulla montagna
- limitare le tonnellate di rifiuti che le spedizioni lasciavano sia al campo base sia sulla montagna

La conseguenza fu che per salire sull'Everest bisogna avere uno sponsor robusto oppure essere benestanti. Ed il fatto che i benestanti esistano ha fatto nascere le spedizioni commerciali. In pratica piccole società formate da guide alpine d'alta quota che, come fosse un pacchetto vacanza da agenzia di viaggio, ti offrono la salita sull'Everest tutto compreso, da quando scendi dall'aereo in Nepal a quando riparti. Krakauer, o meglio la rivista per cui scriveva, pagò nel 1996 la cifra di 65000 dollari, che comprendeva appunto permesso di salità, alberghi, trasferimenti, vitto ed alloggio, assistenza di guide e portatori, assistenza medica e logistica (possibilità di chiamare casa con telefono satellitare ad es) al campo base, corde e tende in parete già predisposte, dotazione radio, ecc.

Partecipare ad una di quelle spedizioni è quindi un qualcosa di vagamente militare. Tutto è già organizzato, voi decidete ben poco dopo l'affiliazione. In parete poi tutto è rigidamente militare, cioè la guida ha tutto il potere decisionale e il partecipante deve obbedire.

E' un concetto che fa totalmente a pugni con la sicurezza. Basterebbe la piccola obiezione "e se cade un sasso in testa alla guida io che faccio da solo ad 8000 metri?".

Scorriamo veloci: eccoci comunque al campo base, 5300 metri di altezza. Più di 200 tende ed una marea di persone. Spedizioni americane 3, una di taiwan, una sudafricana, una indonesiana, ecc. E' impossibile salire sull'Everest d'inverno, per le temperature polari ma soprattutto per un vento continuo che lo flagella a velocità spesso superiori ai 100 km/ora. E' molto difficile salire l'Everest d'estate per la presenza del monsone. Rimane quindi come utile una finestra temporale tra quando finisce l'inverno e quando arriva il monsone. Due o tre settimane, o qualcosa in più, a seconda dell'anno. Quindi riunione al campo base tra i capi spedizione per stabilire un calendario che assegni ad ogni spedizione alcuni giorni disponibili, dato che gli ingorghi (in alcuni tratti si passa uno alla volta) in parete è meglio evitarli. Calendari che qualcuno non rispetta, ovviamente. Sembra già fantascienza ma è realtà. Così come il predisporre le corde sull'itinerario viene diviso in tratti assegnati a spedizioni diverse, ed al solito qualcuno puntualmente disobbedisce.

Segue l'acclimatamento all'alta quota, un fare l'abitudine all'aria sottile, con poco ossigeno. Le guide portano i clienti al campo 1, poi li riportano al campo base. Poi li fanno salire al campo 2 a 6500 metri di quota e li fanno dormire li una notte, e ridiscendere. E via dicendo. Fino al giorno dell'assalto finale, dal campo 4 ad 8000 metri di quota fino alla vetta.

Manca un dettaglio sulle due maggiori spedizioni commerciali americane. Una delle due non era riuscita a portare nessun cliente in vetta l'anno precedente. Maltempo, certo, ma un secondo insuccesso consecutivo non è un bel biglietto da visita per il futuro. La seconda aveva come cliente una multimiliardaria americana dell'alta società. Fossero riusciti a portarla in cima...

Ora, asserire che ben precisi interessi economici abbiano influito pesantemente su certe decisioni è ovviamente ridicolo. Di sicuro però c'erano a livello inconscio. Ed in un attimo di indecisione potrebbero essere stati quel quasi nulla in più che però serve per far spostare il piatto della bilancia da una parte, quella sbagliata.

Assalto finale, dal colle sud ad 8000 metri, campo 4, alla vetta. Un comandamento solo: le 13, massimo le 14. Poi basta. Se per quell'ora non si è in vetta girarsi e scendere, tornare giù. Perchè la in cima ogni tre passi devi fermarti a riposare, per fare 100 metri ci metti un ora. E non riuscire a tornare al campo 4 vuol dire fare una notte all'aperto, senza sacco a pelo, senza cibo e stanchissimo. Solo Messner, Bonatti o gente simile è sopravvissuta. Ma qualli son tizi che se si scontrano con un bisonte muore il bisonte.

Eccoci al finimondo, il 10 maggio. Assalto alla vetta, tratti di parete che avrebbero dovuto avere la corda e non l'avevano, guide che dopo aver predicato bene permettono incapibilmente di sforare con l'orario (qualcuno è stato atteso in vetta addirittura alle 16), qualcuno che doveva avere la radio ma invece non la aveva, ed il maltempo, una tempesta che arriva.

Un qualcosa che notavi appena arrivare da fondovalle, una via di mezzo tra nuvole apparentemente insignificanti ed una nebbiolina. Così apparivano, vista da 8000 metri, viste da sopra. Invece era maltempo, tempesta, nemmeno troppo forte per essere l'Everest.

Pagine e pagine di tutto quello che successe, minuto per minuto, vissuto e ricostruito. 9 morti. Spaventoso. La visibilità che cala a zero, la temperatura crolla, comincia la furia del vento e della neve. E comincia anche il caos: i clienti benestanti si rivelano per quello che sono: clienti benestanti totalmente incapaci di prendere decisioni in un ambiente che non è il loro, sotto stress e sfiniti. Tra i morti ci sono tre guide. Tutte hanno messo a repentaglio la loro vita per salvare il salvabile, e tre l'hanno persa, la vita.

Scrivevo poco sopra "La differenza sta nei valori in cui crede l'uomo contemporaneo, talmente assurdi e distorti dalla realtà da apparire insensatezza, incoscienza, a volte pazzia." E l'uomo comtemporaneo crede che con i soldi si possa comprare tutto. Anche una guida forse, che dovrebbe sopperire alla mancata conoscenza dell'ambiente. Manca l'umiltà, manca il rispetto.

Qualcuno scrisse : "Andare sulle montagne è un po' come fare un rodeo. A volte il toro ti butta a terra, a volte riesci a stargli in groppa. Solo che la montagna è talmente potente che non ha bisogno di scrollarsi per buttarti a terra."

Ci aggiungerei "Avete mai visto qualcuno che monta in groppa ad un toro accompagnato da una guida?"

Tra tutti i libri di alpinismo che ho letto, seppur avvincente come thriller assurdo, questo mi è sembrato fantascienza.

Otto

04 febbraio 2008

La memoria è importante


Mi ci hanno tirato dentro in due, a questa catena, l'anziano papà del mio amico Mmatteo e lo scettico scientista cicappino Alekhine, diffamatore di poveri maghi taroccari ed evocatori di angeli su Usenet. Mi impongono di nominare un libro che dovrebbe andare in un'ipotetica biblioteca della memoria sulla Shoa. Non è un compito facile, prima di tutto perchè, confesso, sulla Shoa non ho letto quanto probabilmente avrei dovuto, e poi perchè come la maggior parte dei goyim che non ci sono stati coinvolti nemmeno di striscio, quel che ho letto è relativamente scontato e probabilmente è stato nominato al primo anello della catena - La banalità del male, I volenterosi carnefici di Hitler, il Diario di Anna Frank - e quest'ultimo, confesso, l'ho pure odiato in quanto impostomi a scuola: ho sempre pensato che, come nello sketch dei Monty Python, se a scuola si facesse l'ora di sesso acrobatico, il sistema d'istruzione riuscirebbe a renderla talmente noiosa che i ragazzi si porterebbero in classe le opere di Tacito e Orazio per leggerle di nascosto sotto il banco mentre gli insegnanti dimostrano la posizione numero 318, o del dragone ansimante.

Comunque.

Scartati i libri che trattano della rivolta del Ghetto di Varsavia da un punto di vista storico-militare, c'è un libro che secondo me nella biblioteca della memoria non dovrebbe mancare, sebbene non tratti propriamente dell'Olocausto ma, semmai, della memoria: ed è Denying the Holocaust, di Deborah Lipstadt - non so se ce ne sia una traduzione italiana.

Aggiungo allo scaffale questo libro perchè credo che difendere la memoria sia importante per difendere il presente: perchè chi cerca di sminuire i crimini del passato ha tutta l'intenzione, o almeno la speranza, di ripeterli. Guardate un po' chi dice, oggi, che i neri sudafricani stavano meglio quando c'era l'apartheid perchè tutti avevano un lavoro (tutti i bianchi ce l'avevano: e i neri in quanto neri erano sotto il radar, non esistevano): sono le persone che se potessero ricreerebbero un sistema di apartheid in casa nostra, oggi. Guardate chi dice che Ruanda e Congo stavano meglio sotto i belgi, ora che c'è la guerra civile - sono quelli che sotto sotto avrebbero approvato gli stermini operati da re Leopoldo, quelli che se si ripetessero oggi li approverebbero con altrettanto malcelato entusiasmo. Difendere la memoria dei crimini, dopo che le vittime e i testimoni sono scomparsi, è importante, non per la memoria in sè, ma per gli anticorpi che questa consapevolezza produce.

Fra trent'anni, se possibile, voglio che si ricordi il mattatoio a cielo aperto che è Gaza oggi, voglio che chi ha commesso crimini paghi non tanto con la galera ma col disprezzo, col ricordo di quei crimini. Non voglio, fra trent'anni, dover prendere a schiaffi mio figlio (anche perchè avrò una certa età) per avermi detto, davanti ad una crisi di governo, ad una sommossa di piazza o ad una crisi economica in Palestina, che tutto sommato i palestinesi "stavano meglio sotto gli israeliani, che gli hanno fatto solo favori", o che sotto sotto se la sono cercata. E se succederà, sarà perchè avremo permesso che la memoria dei crimini, di tutti i crimini, diventi flessibile ed adattabile a momentanee necessità di tattica politica.

A questo punto dovrei aggiungere 5 blogger a cui passare la palla, che è la parte difficile di questo gioco.

Il primo blog è ovviamente quello di Mrs. Inminoranza, che tratta di cose che non c'entrano nulla. Vado sul sicuro perchè so che non partecipa alle catene.
Il secondo è quello di Dacia, che so che ha già un libro pronto, così si fa in fretta - e no, non è di Faurisson.
Il terzo è quello di Ipazia: il presente vale come sollecito.
Il quarto è quello di Palmiro, così facciamo vedere a tutti che i lettori di fantascienza pulp ogni tanto leggono anche roba seria.
Il quinto è quello di Ladytux - così magari la spingo a scrivere di più, visto che aggiorna il suo blog molto meno di frequente di quel che mi piacerebbe

30 novembre 2007

Discworld


Col weekend arrivano i test. Devo dire che son contento del risultato, il Patrizio di Ankh-Morpork è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. E poi è alto, magro e veste sempre di nero.

You scored as Lord Havelock Vetinari

You are Lord Vetinari! Supreme ruler of Ankh-Morpork! Cool, calculated, and always in control. You graduated from the assassins guild, but failed a course on stealth and camouflage, because the professor never saw you there (even though you attended every class). You always seem to know what everyone is thinking, and after a conversation with you, people feel that they have just escaped certain death.





Which Discworld Character are you like (with pics)
created with QuizFarm.com

Lord Havelock Vetinari



69%

Carrot Ironfounderson



63%

Death



63%

Commander Samuel Vimes



63%

Esmerelda (Granny) Weatherwax



50%

Gytha (Nanny) Ogg



50%

The Librarian



44%

Cohen The Barbarian



31%

Greebo



31%

Rincewind



25%


Hat tip: Annarella

06 novembre 2007

Per i fan di R.A.Heinlein







Which Heinlein Book Should You Have Been A Character In?




You belong in Time Enough For Love. You are older than you look. Your wit and wisdom are prized by others. People throw themselves on you, begging to be with you.
Take this quiz!








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(Hat tip: Annarella)

16 marzo 2007

Letture


Leggere un libro è solo metà del piacere: l'altra metà è scassare l'anima al prossimo parlandogliene per far vedere quanto sei colto; motivo per cui su questo blog si discutono in generale libri di un certo spessore e si passa sotto silenzio tutto il contenuto dello scaffale in alto a sinistra, quello con titoli come "Il frustino e la voluttà" o "I segreti del collegio femminile".

Ahem.

Dicevamo.

Il mio ultimo shopping spree in Charing Cross Road mi ha lasciato in possesso, fra gli altri, di tre libri di cui è il caso di parlare qui.


Il primo è What's Left? How liberals lost their way di Nick Cohen. Cohen è una figura storica della sinistra inglese, scrittore, politologo ed editorialista del Guardian, critico accanito del governo Blair e dell'esperienza politica blairiana con i suoi tentativi di far passare soluzioni e politiche tipicamente Tory come "New Labour".

Il libro è in pratica la descrizione di diversi Douglas Adams moments capitatigli nel corso degli ultimi 10 anni: i principali risalgono a quando ha visto una certa sinistra inglese opporsi all'intervento in Kosovo in nome "della pace" (io su questo lo batto, visto che m'è capitato di discutere con compagni che mi sono saltati alla gola quando ho osato suggerire che dopotutto in Bosnia era meglio avere la NATO che un'altra Srebrenica) e a quando ha visto militanti antifascisti iracheni portati in palmo di mano dalla sinistra, come Kanan Makiya, trasformati in "fantocci di Bush" per la grave colpa di continuare a dire del regime quello che avevano sempre detto.

Diversi capitoli sono dedicati ad erorri del passato che Cohen considera analoghi almeno moralmente se non nelle conseguenze pratiche, come l'attivismo pacifista del Bloomsbury Group di Virginia Woolf, che sfociò nell'adesione di diversi suoi esponenti a movimenti filonazisti e nella produzione di più di un proclama antisemita, e l'atteggiamento dei socialisti francesi che in nome della "pace" arrivarono ad isolare Leon Blum, a diffondere la spazzatura antisemita dei nazisti (per dar conto dell'imperdonabile atteggiamento "guerrafondaio" di Blum) e infine a partecipare al governo di Vichy mentre Blum e gli altri antinazisti venivano caricati su vagoni piombati e spediti a Dachau.

Cohen confronta gli errori del passato con quelli che considera gli errori attuali - il sostegno per lo meno morale alla "resistenza" irachena delle autobombe e delle stragi di pellegrini, l'antisemitismo mascherato da antisionismo e giustificato con la solidarietà al popolo palestinese, le astruse e assurde ipotesi di complotto che attribuiscono la responsabilità di tutti i mali del mondo ad un'oscura cricca di supercapitalisti, ebrei (pardon, "sionisti") ed agenti della CIA, il sostegno a qualunque causa oscurantista e regressiva che si dichiari in qualche modo antioccidentale. Il quadro che ne esce non è lusinghiero per la sinistra inglese o europea - e ovviamente ha fatto di questo libro il caso letterario dell'anno: noialtri di sinistra abbiamo un sacco di difetti, ma nella disciplina dello sbranarci fra di noi potremmo vincere l'oro olimpico senza neanche sudare - e quelli più stupidi di noi, come il sottoscritto, lo ritengono anche un fatto positivo che denota un minimo di onestà intellettuale, coerenza e fedeltà a dei principi.

Incidentalmente: vale la pena di leggerlo solo per la definizione degli anni del governo Major. Era come, dice Cohen, rimanere intrappolati in un vagone di treno guasto, e circondati da uno stuolo di contabili disonesti: riuscivano ad essere noiosi e corrotti allo stesso tempo.
Murder in Amsterdam è un libro abbastanza più difficile. Ian Buruma è nato in Olanda ma ha passato molta parte della sua vita in altri Paesi, ed è tornato nel suo Paese d'origine poco dopo la morte di Theo Van Gogh, alla ricerca di un motivo, di una spiegazione per quello che era successo e che stava continuando a succedere in Olanda.

Il libro comincia in maniera relativamente noiosa - almeno per me. Buruma si sofferma molto sulle minuzie dell'evoluzione delle convenzioni sociali olandesi, sulla storia sociale e politica nazionale, e per qualche motivo ho avuto difficoltà a superare i primi capitoli. Il libro si fa man mano più interessante quando comincia a parlare di immigrazione, dei "lavoratori temporanei" reclutati in Nordafrica come manodopera a basso costo e isolati in città-ghetto nascoste alla vista dei lindi borghesi olandesi, quando descrive, abbastanza impietosamente, l'origine e le responsabilità delle tensioni che oggi lacerano la società olandese.

Il quadro che descrive Buruma è deprimente, nessuno è esente da colpe, da Theo Van Gogh, con il suo credere che dipingersi come un giullare lo esimesse da qualsiasi responsabilità per quello che diceva, ad Ayan Hirsi Ali, che ha abbracciato l'ateismo con lo stesso, intollerante spirito missionario/militante con cui aveva abbracciato l'Islam politico dei Fratelli Musulmani, dai predicatori islamisti che cercano di rendere più netta e profonda la separazione fra la società civile olandese e gli immigrati, per poter poi proporre sè stessi e la propria personale versione di Islam come unico riferimento e prospettiva di riscatto, ai politici che si riempiono la bocca di parole come multiculturalismo e integrazione ma non muovono un dito per rendere davvero pari le opportunità di successo o almeno di riscatto sociale.

La descrizione perfetta dell'Olanda moderna è nella scena in cui un predicatore islamista si rifiuta di stringere la mano di Rita Verdonk: un integralista religioso che non si fa problemi ad annunciare pubblicamente il proprio disprezzo per le donne, contrapposto ad una donna che esprime nei suoi discorsi e nella pratica politica un'intolleranza ed un razzismo che commuoverebbero un Calderoli. Non ci sono "buoni" o "cattivi" in Olanda, a leggere Buruma - solo modi diversi di sbagliare.

Ho comprato Londonistan per i motivi sbagliati. Ne avevo sentito parlare molto, aveva suscitato molte polemiche, e l'avevo visto citato, soprattutto come fonte di dati più che di opinioni, in un paio di libri che non mi erano dispiaciuti (The suicide factory, per esempio). Il fatto che le citazioni fossero sempre e solo di dati fattuali, e che le polemiche fossero molto a senso unico, avrebbe dovuto mettermi sull'avviso, ma in un Paese in cui Peter Tatchell ed Outrage! vengono accusati di essere al soldo della CIA e dell'estrema destra inglese per aver contestato le condanne a morte di omosessuali in Iran, ho pensato che fosse il caso di concedere a Ms. Phillips il beneficio del dubbio.

Caso mai ci fosse bisogno di ulteriori dimostrazioni del fatto che sono un pollo.

Dieci pagine sono sufficienti a provare che Ms. Phillips è un'Oriana Fallaci con qualche isterismo in meno e un po' di faccia tosta in più. Venti portano a chiedersi come diavolo abbia fatto a vendere tanto. Trenta portano la risposta: è grazie ai fessi come me che la comprano senza aver capito bene.

A leggere il libro si ha l'impressione che i grossi problemi che ha Ms. Phillips non siano col terrorismo, con le varianti totalitarie dell'Islam politico o con la chiusura di certe comunità immigrate al mondo esterno, con tutte le possibilità di abuso che ne conseguono. No, Ms. Phillips spende molto più tempo a condannare quelle che vede come degenerazioni della società moderna, la separazione netta di Stato e Chiesa, la legislazione sui diritti umani, il riconoscimento di diritti a donne e omosessuali (mi dica, Ms. Phillips, crede che in una società come quella da lei vagheggiata sarebbe permesso ad una donna di divorziare a ripetizione, scrivere articoli e libri violentemente critici dello status quo, e condurre una vita indipendente?), e ovviamente l'immigrazione.

Le fallacie logiche del libro sono troppe per poterle contare. Nel primo capitolo lamenta l'omofobia di diversi leader e predicatori islamisti, per poi condannare nel capitolo 3 l'omosessualità diffusa, e (orrore!) il riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali come una delle cause dell'indebolimento della società occidentale.

Nel secondo capitolo si scaglia contro quel grande nemico della società occidentale, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, che il satanico Stato inglese ha addirittura incorporato nelle proprie leggi (Human Rights Act, 1998), e se non fosse irritante sarebbe divertente notare che sceglie un paio di casi abbastanza aberranti, come quello di Shabina Begum, per mostrare quanto questa legge si presti a perversioni dei costumi e delle tradizioni, e poi sia costretta a notare, en passant, che in entrambi i casi gradi di giudizio successivi annullavano le aberrazioni - in altre parole, che tutta la sua argomentazione contro la legislazione sui diritti umani si riduce al fatto che in un paio di casi, quando la legge era nuova, la giurisprudenza era scarsa e le possibilità di abusi elevate, un paio di sentenze intermedie erano aberranti e sono state cancellate in appello, provando che il sistema, tutto sommato, funziona (costa troppo, ma questo è un altro discorso).

Seguono un paio di capitoli sul fatto che Al Qaeda è più forte dell'Occidente perchè loro hanno Allah mentre a Occidente siamo diventati tutti atei o almeno abbiamo laicizzato la società, mentre, mi par di capire, l'unico modo per battere Osama Bin Laden sia avere un amico immaginario più forte del suo; a sentire Ms. Phillips, quasi tutto quello che è venuto fuori dal 1789 in poi è una cattiva idea e ci ha fatto perdere terreno nei confronti della minaccia islamica, e l'unica possibilità per non diventare una teocrazia è, um, diventare una teocrazia: ma almeno, sarà la nostra teocrazia e ai prolet sarà permesso di bere birra nei pub (ma con moderazione: Ms Phillips non tollera che la servitù torni a casa ubriaca dalla propria serata libera).

Il resto del libro è pure peggio. Resuscitate Oriana Fallaci, datele un paio di Tavor, rendetela più religiosa e fatele parlare inglese, ed avrete Melanie Phillips. E poi spiegatemi perchè l'avete fatto, per favore

Due libri su tre val la pena di leggerli. Il terzo è di gran lunga troppo alto per stabilizzare il tavolo della cucina.

09 marzo 2007

Fuori controllo


Strana settimana. Mi sono capitate un paio di cose che non esito a definire stupefacenti.

Per prima, una lettera dei nostri amici delle Risorse Umane. Con l'amichevole premessa che non si tratta di un richiamo ufficiale, io e altri due colleghi veniamo informati che ci sono state proteste per il nostro uso di una terminologia "razzista" e "offensiva", ed invitati a moderare il nostro linguaggio in base ai termini del compliance document che abbiamo firmato all'atto dell'assunzione.

Dice, razzista e offensiva? I miei tre lettori staranno già sghignazzando al pensiero di quello che possiamo aver detto, delle barzellette sul camionista afgano transessuale con una gamba di legno che ci siamo raccontati.

Niente di tutto questo. In ripetute occasioni, parlando di hard disk (in almeno due casi) e di architettura del sistema di monitoraggio (in almeno un caso) abbiamo usato in pubblico i termini master e slave, invece di quelli approvati dalle Risorse Umane, ossia primary e secondary (o subordinate).

Lo ripeto perchè magari uno dei miei tre lettori non faceva attenzione: parlando di computer, o di componenti di computer, abbiamo usato termini in uso nell'informatica praticamente da che esiste l'informatica, e la cosa che veramente mi fa girare gli zebedei non è che quelli delle Risorse Umane si siano messi di mezzo (sono pagati per rompere i coglioni, dopotutto) quanto che qualche collega sia andato/a a protestare. Per cui da ora gli hard disk, per quello che ci riguarda, si dividono in democratically (where applicable and respectful of culture and traditions) elected to leadership e subordinate but in a context of great respect for its diversity and unique skills. E vediamo.

Poi, siccome quando gli dei decidono di farcele girare ci si mettono d'impegno, stamattina avevo sulla scrivania il libro che sto leggendo nelle due ore di metropolitana giornaliere. Il mio manager, passando, ha notato che si trattava dell'elemento che mi mancava della triade di Jac Weller sul duca di Wellington, Wellington in India (gli altri due, consigliati, sono Wellington in the Peninsula e ovviamente Wellington at Waterloo), e mi ha chiesto, amichevolmente ed educatamente, di evitare in futuro di portare libri simili in ufficio. "Simili?" è stato tutto quello che ho potuto rispondere, ricevendo la spiegazione che libri sul passato coloniale della Gran Bretagna potrebbero risultare offensivi per colleghi appartenenti a minoranze provenienti da Paesi ex-colonie.

Spero di tornare sul mio pianeta dopo il weekend.

31 gennaio 2007

Post di servizio


Prima di tutto una dichiarazione pubblica: o questo signore qui abilita i commenti, o prima o poi smetto di leggerlo, che non è che uno può mettersi a fare i post sul proprio blog per consigliargli cosa leggere.

Comunque, riconosco che non è bello prendersela con gli anziani, e in virtù dell'amicizia che mi lega a MMatteo per ora sospendo il boicottaggio.

Chiede cosa leggere, e proprio quando avevo trovato il consiglio perfetto, dice che sta per comprare l'opera omnia di Carofiglio, fregandomi sul tempo. Mi salvo in corner consigliandogli Alicia Gimènez-Bartlett, Messaggeri dell'oscurità, stesso editore (Sellerio), e se legge l'inglese (che le traduzioni sono a dir poco povere, dove pure esistono) Good Omens di Terry Pratchett e Neil Gaiman e, soprattutto se conosce Londra come credo, Neverwhere, di Neil Gaiman (quest'ultimo lo consiglio a chiunque ami Londra, veramente). Sospetto che il resto delle mie letture lo interessi quanto interessa ai miei gatti - se così non fosse, si procuri (meglio in inglese, ma molto è stato tradotto) tutto il ciclo della Culture di Iain M. Banks: Consider Phlebas, Excession, The Player of Games, Use of Weapons, Look to Windward.

28 luglio 2006

What-if


Credo che sia capitato ad ogni amante della fantascienza di imbattersi in un what-if: un romanzo che tratta di storia alternativa, di cosa sarebbe successo se...

Cosa sarebbe successo se Adolf Hitler fosse morto nella culla? Se gli americani fossero stati preavvertiti dell'attacco a Pearl Harbour? Se Longstreet avesse attaccato Meade all'alba come ordinato?

Se la storia non si fa con i se, ci si fa invece dell'ottima narrativa - e fiumi di inchiostro sono stati versati su queste ipotesi. Alcuni scrittori ci si sono specializzati: Harry Turtledove praticamente non fa altro, anche se quasti tutto quello che ho letto di lui (tranne le prime storie della saga dei Berserker) è in un modo o nell'altro deludente, se non all'inizio sicuramente nello sviluppo delle storie - vedi la serie World War/Colonization, soprattutto dove affiorano ripetutamente certi suoi pregiudizi, tipicamente americani, contro l'Europa (in particolare la Gran Bretagna) e contro gli intellettuali e gli scienziati. Invece mi sono capitati per le mani di recente alcuni esempi che mi sono piaciuti un bel po' di più.

Prima per ordine di apparizione è la saga, ancora incompleta, di John Birmingham, Axis of Time, che dopo una partenza un po' ansimante (la trasformazione della Guerra al Terrorismo in Terza Guerra Mondiale ipertecnologica è scarsamente credibile per una lunga serie di ragioni) trasporta una task force navale multinazionale dal 2021 al 1943 e alla battaglia di Midway. I due romanzi usciti finora, Weapons of Choice e Designated Targets, sono ben scritti, scorrevoli ed hanno una serie di caratteristiche che li mettono ben al di sopra della media: per prima cosa, l'autore non è americano ma australiano; questo fa sì che alcuni degli eroi del romanzo non siano americani - un'eroina quasi indiscussa del secondo volume è
addirittura anglo-araba, cosa che avrebbe reso il romanzo impubblicabile negli USA, dove sia nei libri che nei film un accento europeo, soprattutto inglese o francese, iscrive irrimediabilmente un personaggio al gruppo dei cattivi - con l'occasionale eccezione di Hugh Grant.

Birmingham ha lavorato per il Ministero della Difesa australiano come ricercatore e analista, è evidentemente competente in materia, e riesce ripetutamente a creare situazioni in cui la superiorità tecnologica dei "moderni" viene messa in scacco dall'inventiva degli "antichi", ed un quadro dei rapporti fra i moderni e gli antichi più credibile (e più conflittuale) di molti. Nel complesso mi sono piaciuti moltissimo entrambi i romanzi - non è certo letteratura, ma è ben scritto da una persona competente e, soprattutto, è raramente prevedibile o scontato, che è più di quel che si può dire di alcuni mostri sacri del settore. L'unica critica che mi sento di fare è ad un particolare piuttosto irritante del primo volume: mentre gli ufficiali tedeschi e giapponesi della task force multinazionale spiegano in maniera intelligente, e in certo modo struggente, il motivo per cui sono disposti a tradire ogni fedeltà ai propri Paesi per combattere il mostro nazista, l'unico ufficiale italiano è un completo cretino che compare soltanto per affermare che è disposto a combattere contro Mussolini con la profondissima motivazione che l'architettura fascista fa schifo.

The Foresight War è un altro what-if affascinante - sempre la Seconda Guerra Mondiale, ma la discontinuità introdotta è più sottile: uno storico inglese dei giorni nostri si sveglia a Londra a metà degli anni '30, con solo i vestiti che ha addosso e un laptop pieno zeppo di informazioni sulla guerra.

Tecnicamente anche questo è un romanzo, anche se la parte romanzesca è scarna, poco più che una scusa per raccontare una storia della guerra profondamente diversa da quella che conosciamo. Anche questo libro ho avuto problemi a metterlo giù, anche perchè un appassionato (assolutamente dilettante) di storia militare non ha difficoltà ad immedesimarsi col protagonista che spiega alle gerarchie militari inglesi tutti gli errori che hanno commesso e cosa avrebbero potuto fare meglio - i Lancaster superveloci, pressurizzati e disarmati sono i miei preferiti.

Ultimo, più propriamente what-if è For Want of a Nail, che non è affatto un romanzo. È scritto come un saggio storico, che racconta gli eventi del Nordamerica, e del mondo, dopo la vittoria del generale Burgoyne a Saratoga contro Horatio Gates, l'uscita della Francia dal conflitto nordamericano e il fallimento della Rivoluzione Americana del 1777. Lo definisco un what-if propriamente detto perchè non ipotizza un intervento fuori dal tempo, ma semplicemente un evento puntuale che avviene o non avviene - in particolare, un migliore tempismo da parte del generale inglese Burgoyne. I fatti sono che se Gates non avesse vinto a Saratoga i francesi, che determinarono la vittoria della rivoluzione, sarebbero rimasti neutrali (fu proprio la vittoria di Saratoga a convincerli che la rivoluzione aveva qualche chance di successo), col risultato che la ribellione sarebbe stata con ogni probabilità domata.

Il libro descrive, con lo stile e l'andamento di un saggio storico, gli eventi nordamericani nei due secoli successivi al 1777, marcati dalla divisione fra la Confederation of North America e gli United States of Mexico, fondati dagli irriducibili di Washington e Jefferson rifugiatisi a sud; ad esempio non racconta, perchè mai avvenuti, il genocidio irochese ordinato da Washington nè la Rivoluzione Francese, e invece descrive il regime di apartheid schiavistico instaurato negli United States of Mexico.

Complessivamente affascinante - col caveat che, trattandosi di libro scritto da un americano, è ovvio che gli sviluppi futuri che descrive portino ad un mondo messo tutto sommato peggio di quello reale: gli americani, atei compresi, hanno regolarmente una fede cieca nel ruolo provvidenziale del loro Paese, e Robert Sobel non fa eccezione.

Tutto considerato, li consiglio vivissimamente tutti e 4.

(sì Palmiro, lo so, 1632: ma ne hai già parlato tu, no?)

13 giugno 2006

Incompetence


Incompetence e' il titolo di un romanzo di fantascienza demenziale scritto da Rob Grant, co-autore di Red Dwarf, la piu' originale ed esilarante produzione inglese di fantascienza degli ultimi anni (forse ispirata, ma mai ufficialmente, da Starship Titanic di Douglas Adams).

L'ambientazione e' l'Europa del futuro prossimo, piu' prossimo di quel che ci piace pensare, un'Europa finalmente unita e regolata dalla sua Costituzione, il cui articolo 13199 recita:

"Nessuno potra' essere escluso o licenziato da qualunque lavoro, in qualunque ruolo ed a qualunque livello, per ragioni di eta', razza, fede religiosa o incompitenza"

Il protagonista deve dare la caccia a quella che sembra l'ultima persona competente d'Europa, un efficientissimo serial killer, muovendosi - con difficolta' e con scarpe in buccia di carota, perche' la Costituzione ha reso il vegetarianesimo obbligatorio - in un panorama di entraineuse maschi ottantenni, buttafuori ciechi, piloti d'aereo con le vertigini, poliziotti con sindrome di deficit d'attenzione.

Come dice la quarta di copertina, alla ricerca di un killer, alla ricerca della verita', alla ricerca di un idraulico decente. Esilarante, anche se allarmante. Non credo sia mai stato tradotto, ma per chi parla inglese vale decisamente la pena leggerlo.

01 giugno 2006

Jennifer Government


Jennifer Government e' il titolo del libro che ho appena finito di leggere: il romanzo che Naomi Klein avrebbe scritto se avesse avuto un po' meno rigore accademico e un po' piu' senso dell'umorismo (e avesse passato piu' tempo ubriaca). E' un romanzo ambientato in un futuro molto diverso ma anche troppo simile al nostro presente: un futuro in cui le corporazioni controllano tutto il pianeta (eccetto qualche stupido posto come la Francia, dove hanno ancora istituzioni antiquate come le tasse e scuole e ospedali pubblici), e tutti sono cosi' felici che prendono il cognome della ditta per cui lavorano, o di quella che gestisce la scuola che frequentano. E cosi' facciamo conoscenza con Hayley McDonald's, che non riesce a capire cosa significhino le strane parole "giustizia sociale" che il suo professore continua a pronunciare. Incontriamo Buy Mitsui, un agente di borsa che ha compiuto una sola buona azione nella sua vita - le cui conseguenze lo spingeranno a desiderare il suicidio. Incontriamo Hack Nike, che ha appena avuto il colpo di fortuna della sua vita: passare dal merchandising a gestire un nuovo e brillante piano di marketing per una nuova linea di scarpe (certo, si tratta di uccidere un po' di adolescenti, ma il marketing non e' roba per signorine). E incontriamo Jennifer Government - Mi Manda RaiTre con licenza di uccidere.

Praticamente, No Logo in acido.

Nota: e' stato tradotto in italiano da Piemme come Logo Land. Non posso giurare sulla qualita' della traduzione.

02 settembre 2005

Weekend librario

Per quello dei miei due lettori che ha l'opportunita' di comprare libri in inglese, consiglio vivissimamente due libri, The Dark Heart of Italy di Tobias Jones, e Midnight in Sicily di Peter Robb.

Jones e' inglese, Robb australiano, entrambi hanno vissuto in Italia per molti anni, uno a Siena e l'altro un po' a Napoli, un po' a Bari e un po' a Palermo. Il libro di Jones e' un tipico libro da espatriato inglese, inizia con un resoconto di abitudini, stranezze e particolarita' degli italiani, getta un occhio divertito sulla lingua e sulla cucina - le due cose che gli inglesi trovano piu' affascinanti - ma man mano che si procede nella lettura, il tono diventa meno divertito e scanzonato, e sempre piu' appassionato - e l'argomento cambia, passando dalla nostra passione per tipi di pasta dai nomi poetici come i capelli d'angelo, alla politica, al terrorismo, alla mafia, a Berlusconi; e man mano che Jones si integra, assume atteggiamenti e modi di pensare italiani, comincia a sentire Siena come casa sua, una passione tipicamente italiana comincia a filtrare nella sua descrizione dell'anomalia politica italiana, fino alla descrizione della vittoria elettorale di Berlusconi, per la quale sembra aver provato piu' rabbia e sconforto di tanti italiani che pure ne hanno subito danni ben peggiori.

Il libro di Robb e' piu' diretto, si apre con una meravigliosa descrizione dei colori e degli odori del mercato della Vucciria a Palermo ma diventa entro poche pagine un libro-inchiesta, una specie di Bignami di storia della mafia, dall'alleanza fra Lucky Luciano e Patton fino a Toto' Riina.
Anche Robb, come tutti gli anglosassoni, non riesce a parlare di Italia senza parlare di cibo, ma mentre Jones accomuna nei suoi racconti il piacere della tavola ad altri piaceri piu' carnali, Robb gioca sul contrasto con la violenza e la morte, i ristoranti che visita sono quelli, a Palermo, dove l'eliminazione dei giudici veniva decisa e pianificata, o a Bari, dove la Sacra Corona Unita organizzava i meeting col clan Parisi e con gli inviati siciliani e calabresi.

E' specialmente affascinante vedere come scrittori stranieri danno per scontati certi fatti che da noi si possono appena sussurrare - Robb non ha problemi a parlare di Corrado Carnevale, Giulio Andreotti, Salvo Lima, con gli stessi toni con cui si parla di Al Capone; e puo' raccontare cose che in Italia sono state passate, di comune accordo, sotto silenzio - come il rifiuto da parte del governo italiano, alla fine degli anni '80, di garantire la sicurezza dell'ambasciatore australiano durante una visita ufficiale in Calabria, dopo che il governo australiano aveva distrutto piantagioni di canapa indiana impiantate dalla 'ndrangheta nel Nuovo Galles del Sud (so che almeno uno dei miei due lettori dovra' rileggere quello che ho scritto per rendersi conto della gravita' del fatto - e della gravita' del fatto che sia stato passato sotto silenzio in Italia)

Entrambi i libri hanno suscitato polemiche in Italia, mi dicono, soprattutto quello di Jones, che riporta orgogliosamente in quarta di copertina il commento di un austero esponente del governo italiano, Francesco Storace, a proposito del fatto che un libro del genere poteva essere scritto solo da un cittadino di un Paese dove i giudici portano la parrucca - geniale battuta di spirito che, temo, potra' essere apprezzata in pieno solo da quelli che condividono le stesse tare genetiche di Storace.