Bersagli leciti
"Io fra i musulmani non ci andrei mai a vivere. Appartengono ad una cultura che glorifica l'ignoranza, non hanno il minimo rispetto per gli stranieri e gli appartenenti a culture diverse, sono intolleranti, arroganti, fanno della prevaricazione un valore, le donne fra di loro hanno quasi sempre una posizione subordinata e in ultima analisi sono dei fascisti"
Chi potrebbe mai dire una cosa del genere? Un razzista. Una persona di quelle che se ti ci ritrovi seduto vicino in aereo, chiedi alla hostess se c'è un altro posto disponibile, uno qualsiasi, anche appeso all'ala. E ci fai mettere lui, eh, sia chiaro.
Adesso i miei tre lettori provino a sostituire alla parola "musulmani" la parola "americani" e a rileggere la frase. Alzi la mano chi non ha sentito fare questo discorso, o uno simile, da persone dalla specchiata fede antirazzista e progressista. Io le ho sentite, a strafottere (fra le altre cose, non sono molto lontane dal descrivere l'opinione di Mrs. Inminoranza).
Da quando vivo qui ho scoperto che il razzismo non è una questione di idee, ma di bersagli. Il mio collega simpatizzante del BNP, per esempio, è felice come una pasqua da quando una serie di Paesi dell'Est europeo sono entrati a far parte dell'UE: adesso può dire degli immigrati di quei Paesi le stesse cose atroci che dice di italiani, spagnoli, francesi e tedeschi senza che nessuno gli dica niente. Sono europei, non è razzismo. Il suo sogno, credo, è che il Pakistan e la Giamaica entrino pure loro a far parte dell'UE, per poter tornare a chiamarli fucking Pakis e niggers come faceva negli anni '70.
Ognuno ha dei bersagli leciti - il mio, per ragioni storico-culturali, sono gli abitanti di Altamura, ma non per colpa mia: è un fatto che gli altamurani non riescono a pensare senza muovere le labbra, mica è razzismo dirlo.
Dice, ma al razzismo siamo sensibili quando colpisce una categoria già debole: che uno consideri gli americani razza/cultura/nazionalità inferiore sono, tutto sommato, cavoli suoi, il problema è discriminare chi non è in grado di difendersi ed è già di suo, per altri motivi, in una posizione svantaggiata - immigrati e loro discendenti, in massima parte. Dire che gli inglesi non si lavano e puzzano, per esempio, lascia il tempo che trova; dire che i neri non si lavano e puzzano viene usato come scusa per non affittare l'appartamento ad immigrati.
Verissimo, anche se dovremmo sempre tener presente che una certa mentalità è comunque pericolosa sebbene in questo momento non vada a colpire alcun soggetto debole - in altre parole, preferirei che fosse la forma mentis del razzismo ad essere socialmente (non penalmente, attenzione, la distinzione è importante) inaccettabile, piuttosto che un'inopportuna scelta di bersagli; questo non per una nebulosa questione di principio, ma perchè limitarsi a selezionare fra bersagli leciti o meno porta per esempio a sentirsi fare da persone sicuramente di sinistra discorsi che non avrebbero sfigurato ai raduni di Norimberga, resi accettabili dalla semplice sostituzione di "sionisti" ad "ebrei".
E porta ad altre stranezze. Prendete gli albanesi, per esempio. Non so, sarò strano io, ma colgo un senso di fastidio, a sinistra, quando si parla dell'Albania. A noi italiani, diciamolo subito, gli albanesi non piacciono. Non ci possono piacere, è una questione storica, culturale, fate un po' voi, ma non ci potranno mai piacere: ci ricordano troppo come eravamo noi un secolo fa - un miscuglio di gran lavoratori e criminali, gente disposta a tutto pur di arrivare ad Ellis Island e oggi a Brindisi, ignorati da tutti se non quando uno di loro commette un reato e fa scattare il linciaggio - per fortuna oggi solo mediatico. Gli albanesi, e in particolare i kosovari, non hanno amici in Italia, si portano dietro troppi peccati originali. Anche a sinistra li si guarda con un certo fastidio, non gli si può perdonare di aver dato alla NATO la scusa per una guerra, non gli si perdona di avere dei soldati occidentali in casa e di non diventare resistenti, non gli si perdona di non farsi saltare in aria per la Causa, quale che sia, non gli si perdona di aver dato un calcio in culo ai missionari wahabiti che predicavano la guerra santa. Sono dei collaborazionisti, insomma: in altre parole, un bersaglio lecito.
Tanto sono leciti che uno come John Kleeves può scrivere articoli come questo qui (leggetelo tutto, ne vale la pena) e ciononostante essere citato con ammirazione, in virtù del suo antiamericanimso in salsa veteronazista, da un esponente della IADL come Sherif al Sebaye, qui, dove fra l'altro dice "Come mai uno storico, sicuramente non il primo sprovveduto di passaggio per strada, ha deciso di celarsi dietro un falso nome per scrivere ciò che afferma? Preoccupazione e paura per la sua reputazione, per il suo ruolo universitario magari ? Ha paura di essere tacciato di "fascismo" solo perché critica, su basi documentate, la politica di sempre degli Stati Uniti e perché nei suoi scritti magari, si riconosce qualche fascista ? Non saprei... Ma una cosa è certa: il clima in cui viviamo è un clima di caccia alla streghe" - e solo un clima da caccia alle streghe potrebbe far accusare di razzismo uno che, dopotutto, ha solo scritto che albanesi e kosovari sono un'etnia socialmente pericolosa.
Se il razzismo è, almeno nelle sue forme più blande, una divisione fra popoli di serie A e popoli di serie B, una distinzione fra razzismi di serie A e razzismi di serie B come si può definire?