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31 agosto 2007

E spegni 'sta candela...


In questo Paese c'è un anniversario al cui avvicinarsi guardo con la stessa commistione di noia e fastidio suscitata in me, quando ero in Italia, dall'arrivo del Festival di Sanremo: un evento che per quanto mi sprema le meningi non riesco a capire come accidenti possa interessare a qualcuno, e che nonostante la completa idiozia che ne colora ogni aspetto, riesce a paralizzare il Paese.

Muore un soldato al giorno in Iraq? Il medico del pronto soccorso non parla inglese? I nostri insegnanti sono pagati meno (e qualificati meno) dei nostri spazzini? Londra sarà sott'acqua fra trent'anni se non schiodiamo il culo dai SUV? Ma chissenefrega, ci sono cose ben più importanti a cui pensare:

And it seems to me you lived your life
Like a candle in the wind
Never fading with the sunset
When the rain set in
And your footsteps will always fall here
Along England's greenest hills
Your candle's burned out long before
Your legend ever will

Eh sì ragazzi: dieci anni fa moriva Lady Diana Spencer, Principessa di Galles. Mica cazzi.

Ogni volta che arriva quest'anniversario provo lo stesso imbarazzo che si prova quando un amico che abbiamo sempre stimato e considerato ammirevolmente intelligente e razionale comincia a rendersi ridicolo in pubblico, per esempio diventando un avido fan dei film dei Vanzina o frequentando corsi di reiki e naturopatia.

Guardo le pubbliche espressioni di dolore e rimpianto che non stonerebbero in un funerale calabrese vecchio stile, mi faccio strada attraverso il metro abbondante di melassa al caramello dolcificato che ricopre, e ricoprirà fino a lunedì, le pagine dei quotidiani, mi dedico alla pratica, normalmente odiata, dello zapping per schivare i documentari sulla vita di Diana, sugli amori di Diana, sulla tragedia di Diana, sul filo interdentale di Diana, non vado al pub dove probabilmente per questo weekend si serviranno half-pint, normal-pint e Diana-pint (allungata con lacrime), e mi meraviglio.

Il fatto che una donna non particolarmente intelligente, non particolarmente bella, con uno spirito ed un carattere non particolarmente forti sia diventata un'icona da far concorrenza alla madonna di Lourdes è un eterno, sfavillante tributo al potere dei professionisti del marketing. Questa ragazza, rampolla di una famiglia il cui ultimo membro che ha dovuto lavorare per vivere è morto intorno al XVI secolo, verrà ricordata come "the People's Princess": io non so se nel marketing si danno onorificenze, ma questo fatto, per i consulenti di immagine che le sono sopravvissuti, vale la Victoria Cross.

Diana Spencer veniva dalla vecchia nobiltà inglese, quella che si è arricchita con le colonie e il traffico di schiavi e in tempi più recenti con i commerci con Rhodesia e Sudafrica (dove suo fratello vive tuttora) in spregio delle sanzioni ONU; per la maggior parte della sua vita, i suoi interessi hanno consistito nel mettere a frutto, in maniera relativamente inoffensiva, i privilegi derivanti dalla sua nascita e dal suo matrimonio, incontrando di persona i cantanti pop che le piacevano di più e gli stilisti che avevano firmato i suoi abiti preferiti. Poi un giorno un consulente di marketing assunto per darle qualche vantaggio in una causa di divorzio che sembrava persa in partenza le ha suggerito di farsi fotografare con in braccio un bambino mutilato e BAM, altro che Amnesty, i diritti umani non esisterebbero se non ci fosse stata Diana, la campagna contro le mine antiuomo l'ha inventata lei, e dalla tomba ha personalmente ridotto la povertà infantile in questo Paese del 20%.

(per inciso: quanto ho scritto potrebbe essere interpretato come una difesa di Carlo. Niente di più falso. Il mio unico rimpianto per quella fatidica notte è che l'auto di Carlo non stesse arrivando dalla direzione opposta)

Il potere del marketing a volte mi spaventa. Pensate cosa succederebbe se ad un certo punto si mettessero a cercare di vendere un Paese mediorientale messo in ginocchio da 10 anni di sanzioni come la maggior minaccia alla pace mondiale.

Whoops.

War is peace; freedom is slavery; ignorance is strength; Diana is the People's Princess.

27 novembre 2006

Schiavitù


L'anno prossimo si celebra il duecentesimo anniversario dell'abolizione della schiavitù in Gran Bretagna e nelle colonie. Il governo inglese conta di celebrare l'evento anche con la presentazione di scuse ufficiali (e dunque con un'ammissione nazionale di colpa, molto in ritardo) a tutti i discendenti degli schiavi deportati.

About bloody time, viene da dire. Non è che ce ne siamo accorti mercoledì scorso, che la schiavitù è un crimine contro l'umanità. Credo che ogni nazione farebbe bene a dare un'occhiata alle colpe del proprio passato, ad ammetterle, a discuterle, a chiedersi perchè se ne è macchiata, e cosa ha fatto per impedire che episodi simili si ripetano (se ha fatto qualcosa: e se no, perchè, e se non sarebbe il caso di fare un esame di coscienza), e nel caso a chiedere scusa. Che non sarà un grande aiuto per i morti nelle navi negriere, ma ci sono ferite che durano molto a lungo, ed ogni gesto apparentemente astratto come queste aiuta un po' a cicatrizzarle.

Quello che mi lascia un tantino perplesso, invece, è la campagna lanciata da Rendezvous of Victory, che chiede di aprire un dibattito nazionale sul risarcimento dovuto ai discendenti degli schiavi. Inizialmente l'idea non era male: i discendenti degli schiavi africani fanno causa al governo inglese, e se vincono, invece di ricevere i soldi per sè, li usano per cancellare il debito delle nazioni africane. Questa proposta è passata in secondo piano da quando il govenro inglese ha deciso di cancellare gradualmente il debito africano senza contropartite, e adesso, come diceva Esther Stanford su BBC Radio 4 oggi, si parla di risarcimenti diretti ai discendenti degli schiavi e, per qualche motivo, in particolare a quelli che lavorano per rinforzare l'eredità africana e la diversità culturale della minoranza nera, ossia ad Esther Stanford e agli altri attivisti di Rendezvous of Victory (il podcast si può scaricare dal sito del programma, Today). Le "reparations", secondo Ms. Stanford, dovrebbero essere "totali": culturali, sociali, familiari, economiche. Riunificazioni familiari finanziate interamente dal governo fra rami europei ed africani delle famiglie, alterazione dei programmi scolastici per introdurre elementi di lingue, culture e religioni africane, e così via. E poi, naturalmente, ad ogni singolo discendente degli schiavi, i discendenti degli schiavisti (tramite il loro governo) dovrebbero pagare in solido danni morali e materiali secondo gli standard del XXI secolo.

Mi spiace, a costo di suonare razzista, insensibile ai diritti delle minoranze o quant'altri, devo dire che Esther Stanford non mi ha convinto affatto. L'idea, molto in voga fra un certo tipo di attivisti ma storicamente inesatta, che la tratta degli schiavi fosse un fenomeno esclusivamente bianco non sta in piedi, è strumentale, e viene sostenuta semplicemente liquidando intere nazioni africane, e un'intera economia che arrivava fino alla penisola araba, come "pochi africani costretti dai bianchi a compiere queste azioni terribili contro la loro volontà"; i loro discendenti non sono in alcun caso responsabili della schiavitù: solo gli europei bianchi, tutti, sono responsabili della schiavitù e devono pagare i danni; una domanda apparentemente ragionevole del giornalista, viene allo stesso modo liquidata sommariamente (e con una punta di razzismo all'incontrario): perchè un governo, oggi, dovrebbe essere considerato moralmente, prima ancora che finanziariamente, responsabilie di eventi accaduti due o trecento anni fa? Gli abitanti del Northumberland hanno il diritto di citare in giudizio per danni il governo norvegese per le scorrerie vichinghe del X secolo? La risposta è una magistrale svicolata: non mi aspettavo nulla di più che una domanda simile da uno come lei (i.e. un bianco), è una domanda paternalista e razzista, e noi stiamo parlando dei danni da schiavitù e degli africani, non di qualche vichingo. Ossia, intanto pagate, poi se ce la fate, senza giocare la carta del vittimismo perchè siete bianchi, provate a cavare quattrini dai norvegesi.

Una ammissione di responsabilità morale da parte di una nazione è un atto quantomeno dovuto. Un risarcimento ai figli, ai nipoti di vittime di crimini contro l'umanità è almeno altrettanto giustificato. Un risarcimento duecento anni dopo non ha alcun senso, ed apre la via ad un vespaio. Ho diritto ad un risarcimento dallo Stato italiano perchè un garibaldino ha preso a schiaffi la mia trisnonna? Posso avanzare pretese sulla busta paga di Mrs. Inminoranza perchè lei discende dai normanni che hanno invaso la Puglia, ed io almeno per un pezzetto da qualche pirata berbero/saraceno/turco e per il resto da contadini pugliesi da millanta generazioni, e quindi ad un certo punto è matematico che un suo bis-bis-bis-bis-qualcosa ha sbudellato un mio bis-bis-bis-bis-qualcosa per non aver pagato la tassa sul macinato?

(a questo proposito, com'è la composizione etnica dei miei tre lettori? Sento odore di cause miliardarie...)