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venerdì 14 gennaio 2011
domenica 6 dicembre 2009
Periodi
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E' questo un periodo, di caos interiore. Le parole non sgorgano ordinate perché non vi è ordine alcuno. Non esistono isole stabili, punti fermi o ciambelle di salvataggio. L'anima vortica in un caos vagamente lisergico e le parole la seguono. Un periodo in cui il mio senso di estraneamento al mondo che mi circonda è sempre più forte. Vivendo sola, poi, non ho modo la sera, quando il ritmo si quieta e il fiume della giornata scorre placido, di vivere un momento di confronto che, potrebbe, ricondurmi negli argini del "normale". La sera torno a casa, dopo una giornata intensa, mi guardo intorno e c'è solo il rumore del tram. Anche la sera, come la giornata, diventa autoreferenziale. Detta altrimenti: te la canti e te la suoni tutta per conto tuo.
E' questo il pericolo maggiore della solitudine. Quel cantare e suonare dentro una sola testa, senza mai uscire fuori nel mondo reale, senza quel confronto quotidiano con qualcuno che ti riporta nei limiti. Ascolti solo una campana, una sola versione di ogni storia: la tua.
Va be' dirà qualcuno, ma durante il giorno passi un sacco di tempo in mezzo alla gente, a parlare, interagire, fare. Questo è quel che succede sul lavoro. Ma là non è mai un interagire rilassato. Non esiste un ambiente di lavoro in cui puoi serenamente dire quello che pensi, in cui puoi liberamente essere te stessa. Se così fosse avrei forse messo la mia foto e il mio nome su questo blog. No sul lavoro indossi l'abito da lavoro e fai le tue cazzate in versione specifica ed adatta al luogo. Ci passi spesso ben più di otto ore in quel luogo del fare. Quel che resta del giorno è pieno dei piccoli doveri della sopravvivenza: fare la spesa, pagare conti, sistemare cose. Restano una manciata di ore che sono tue, che dovrebbero servirti a riconquistare la sanità mentale. E allora te le inventi tutte, dal comprarti la moto nuova, all'andare in palestra, al porgere la spalla a chi è nei guai.... In cambio hai spesso grandi dichiarazioni di amore, di stima e affetto. Eppure quell'assenza di condivisione quotidiana resta. Ogni giorno ti alzi e dici: passerà, è solo un periodo un po' di merda. Riparti e continui inventando schemi nuovi, ristrutturando o elminando i vecchi. Ti senti come se camminassi sulla gomma piuma, con un vago ma persistente senso di irrealtà. A pensarci bene, questo è un periodo in cui mi sembra di essere ad una di quelle serate mondane, anche piuttosto trendy e fighette, in cui vaghi con un bicchiere in mano scambiando poche parole qua e là, in cui ti si fanno e fai complimenti, in cui hai l'aria di avere uno scopo, di star magari cercando qualcuno o che qualcuno ti cerchi per dirti qualcosa di rilevante, in cui, però, dentro di te, passi il tempo a chiederti: ma che sto facendo io qui?
Nuvole... Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole... Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
(Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine")
(Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine")
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mercoledì 29 luglio 2009
Aspettare
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Ci sono attese che, nonostante tutto l'apparato di consapevolezza, esercizi di meditazione e centratura su di sé che una ha accumulato, logorano. A volte anche aspettare una metropolitana o un autobus diventa logorante. Ho fretta e questo mi frega. Non so più stare lì con animo sereno a lasciar scorrere i minuti, le ore, che mi separano dal qualcosa che sto desiderando. Un tremore interno parte, la testa si riempie di pensieri rumorosi, di ipotesi catastrofiche, di panico in sostanza. Tanto più è importante ciò che aspetto e tanto meno sono sicura del risultato, tanto più la testa parte in un turbine. In fondo basterebbe poco. Basterebbe fidarsi di sé stessi, basterebbe non consegnare la propria anima ad altri, basterebbe mantenerne il possesso sorridendo.
Vive sepolto chi si consegna ad altri.
E chi all'altro che sepolto ha in sé.
Non potrò, Signore, da me qualche volta
sciogliere le mie mani?
(Fernando Pessoa)
E chi all'altro che sepolto ha in sé.
Non potrò, Signore, da me qualche volta
sciogliere le mie mani?
(Fernando Pessoa)
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giovedì 23 luglio 2009
Inutile
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In realtà hai prodotto molto, hai realizzato un'enormità. Ti sei creato uno spazio di benessere che ti da forza, hai ricaricato le batterie, dato energia alla tua anima. Ora puoi di nuovo affrontare le richieste di chi ti sta intorno, le contraddizioni con cui devi fare i conti ogni giorno, l'esercizio del controllo che ti rende sociale e la moto che si rompe e i mille piccoli guai delle giornate nel frullatore. Non esistono cose inutili nella nostra vita. Ogni incontro, ogni momento ha una profonda "utilità", è sempre un'occasione per imparare. Dal dolore che a volte proviamo, dai piccoli e grandi scontri che ci accadono, impariamo. Be' se lo vogliamo, se siamo cioè capaci di cambiare la nostra funzione di utilità con grande frequenza, se sappiamo adattarla ai momenti, ai luoghi, alle persone. In altre parole, se sappiamo sperare che le cose intorno a noi vadano in un certo modo anziché aspettarci che vadano in quel dato modo. La delusione, la frustrazione, spesso ci bloccano, ci impediscono quella flessibilità che serve per imparare, per scambiare calore e informazioni con altri esseri umani (in fondo null'altro conta davvero).
Io poi, in fondo all'anima, sono una giocatrice. Non una giocatrice di carte o roulette, il mio giocare è nel vivere. Ambisco a premi altissimi, quindi, non ho paura di buttare sul tappeto verde (come un prato) quanto ho di più prezioso: me stessa. Cerco di non farlo in modo cretino, anche se a volte sembra così. Ma la mia farloccaggine fa sì che io ambisca ai premi più cospicui e quindi corra, apparentemente ignara, rischi enormi. In realtà è solo che la funzione di utilità che sto usando in quel momento è molto diversa da quella di chi mi circonda e mi da della fuori di testa. Mi è stato detto spesso "ma guarda che così finisce che ti fai male", "ma guarda che poi soffri". Certo che a volte soffri, che poi stai male, ma in quella specifica situazione ci volevi entrare, ci dovevi entrare se volevi imparare quel certo numero di cose. Volevi sapere delle cose che solo là potevi incontrare. E poi per me la vita non è un gioco a somma zero, non c'è chi vince e chi perde, di solito si vince insieme o si perde insieme... ma questa è un'altra storia e ne parlerò un'altra volta.
Sono stato educato dall'Immaginazione
ho sempre viaggiato dandole la mano,
ho amato, ho odiato, ho parlato, ho pensato sempre per questo,
e tutti i giorni hanno questa finestra davanti,
e tutte le ore sembrano mie in questa maniera.
(Fernando Pessoa)
ho sempre viaggiato dandole la mano,
ho amato, ho odiato, ho parlato, ho pensato sempre per questo,
e tutti i giorni hanno questa finestra davanti,
e tutte le ore sembrano mie in questa maniera.
(Fernando Pessoa)
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sabato 20 giugno 2009
Vacanza
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Questo blog vola via per un po'.
Si avvicina il compleanno della Farlocca e quindi lei si regala una bella fuga. Fantasia e internet permettendo non si esclude la possibilità di continuare ad ammannirvi le scemenze farlocchesche. Ecco ora vado perché anche se Pessoa ha ragione io è meglio che mi sposti da qui.
Viaggiare? Per viaggiare basta esistere.
(Fernando Pessoa)
(Fernando Pessoa)
mercoledì 17 giugno 2009
Traiettorie
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I percorsi della storia personale di ognuno di noi, nella mia testa di pseudo-matematico, sono rappresentabili come delle realizzazioni di un processo aleatorio. Mi spiego. Un processo aleatorio è una cosa che descrive, tra le altre, delle sequenze di eventi che si verificano nel tempo. Potenzialmente ne può descrivere infinite, ognuna viene chiamata traiettoria, quella che osservo la chiamo realizzazione. La vita di un essere vivente all'inizio è il primo passo di una di queste traiettorie, è il primo passo che possiamo osservare, il primo istante della realizzazione costituita da un numero finito di eventi; una traiettoria, tra le infinite possibili, che finisce (forse) il giorno in cui l'essere vivente muore. Ora prendiamo un essere umano, la qualità della sua vita dipende da un numero elevatissimo di fattori, la sua traiettoria può finire ovunque o quasi a seconda di ciò in cui incappa nel corso del suo vivere. Può finire in quasi ogni parte dello spazio delle traiettorie, non proprio ovunque. Esistono regioni in cui è quasi impossibile che si vada perché hanno probabilità bassissima o pari zero. Io potevo finire tossicodipendente e crepare sotto a un ponte molto presto, non era una zona a probabilità nulla. Oppure potevo diventare professore ordinario a 30 anni o commessa di negozio per tutta la vita con quattro figli a carico e marito ubriacone. Non potevo diventare una contadina columbiana però, sono nata a Roma e non sono india. In effetti ognuno di noi ha infinite storie alternative possibili*.
L'idea di storia alternativa, a me è sempre servita per sentirmi fortunata. Eh sì, perché là dove il diventare professore ordinario a 30 anni è, nel mio spazio delle traiettorie, un elemento possibile ma a bassissima probabilità, quella in cui finivo tossica e morta giovane non lo è. Così come pure quella in cui facevo un lavoro di merda con 4 figli sul groppone e marito manesco. Invece sono qui, scrivo, leggo poesie, mi innamoro di pezzi di matematica, faccio un lavoro che adoro e ogni tanto mi innamoro pure di uomini più o meno decenti (ehm per ora più meno che più). Vivo chiedendomi spesso come sia fatto questo processo aleatorio che mi è caratteristico. Per ora l'unica cosa che ho capito è che è un processo a memoria lunga, molto, molto lunga, di certo non è un processo markoviano (di cui parlavo qui). Ogni gesto, ogni pensiero del giorno è condizionato da tutta la storia precedente... ai voglia a dargli di psicanalisi e meditazione e cura dell'anima (deli mortacci....), questo disgraziato del mio personale processo non scorda mai niente (a parte le chiavi di casa in ufficio o quelle del motorino chissà dove, ma se mi fidanzassi con un fabbro avrei risolto). Si porta dietro tutto, se non nella memoria cosciente, in quella profonda, quella parte del ricordare che si manifesta poi nel corpo, nelle sue tensioni automatiche davanti alle circostanze. E allora non mi resta che guardare alle storie alternative, cercare di immaginarle crogiolandomi felicemente nella realizzazione attuale. Una parte di me, cerca di percepire ciò che segue, ascolta il rumore del passo successivo senza mai afferrarlo finché quello non diventa oggi.
*In realtà per definire questa idea di storia personale parto da un bel libro che, tra le tante cose, parla anche di questo (Giocati dal Caso di Nassim Nicholas Taleb), è scritto bene, è semplice da capire ed è matematicamente molto poetico.
L'idea di storia alternativa, a me è sempre servita per sentirmi fortunata. Eh sì, perché là dove il diventare professore ordinario a 30 anni è, nel mio spazio delle traiettorie, un elemento possibile ma a bassissima probabilità, quella in cui finivo tossica e morta giovane non lo è. Così come pure quella in cui facevo un lavoro di merda con 4 figli sul groppone e marito manesco. Invece sono qui, scrivo, leggo poesie, mi innamoro di pezzi di matematica, faccio un lavoro che adoro e ogni tanto mi innamoro pure di uomini più o meno decenti (ehm per ora più meno che più). Vivo chiedendomi spesso come sia fatto questo processo aleatorio che mi è caratteristico. Per ora l'unica cosa che ho capito è che è un processo a memoria lunga, molto, molto lunga, di certo non è un processo markoviano (di cui parlavo qui). Ogni gesto, ogni pensiero del giorno è condizionato da tutta la storia precedente... ai voglia a dargli di psicanalisi e meditazione e cura dell'anima (deli mortacci....), questo disgraziato del mio personale processo non scorda mai niente (a parte le chiavi di casa in ufficio o quelle del motorino chissà dove, ma se mi fidanzassi con un fabbro avrei risolto). Si porta dietro tutto, se non nella memoria cosciente, in quella profonda, quella parte del ricordare che si manifesta poi nel corpo, nelle sue tensioni automatiche davanti alle circostanze. E allora non mi resta che guardare alle storie alternative, cercare di immaginarle crogiolandomi felicemente nella realizzazione attuale. Una parte di me, cerca di percepire ciò che segue, ascolta il rumore del passo successivo senza mai afferrarlo finché quello non diventa oggi.
Quale voce viene sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
proprio per esserci messi ad ascoltare.
E solo se, mezzo addormentati,
udiamo senza sapere che udiamo,
essa ci parla della speranza
verso la quale, come un bambino
che dorme, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno luogo,
dove il Re vive aspettando.
Ma, se vi andiamo destando,
tace la voce, e solo c'è il mare.
(Fernando Pessoa - Isole fortunate)
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venerdì 12 giugno 2009
Sospensione
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Oggi sono perplesso,
come chi ha pensato
e creduto
e dimenticato.
(Fernando Pessoa)
come chi ha pensato
e creduto
e dimenticato.
(Fernando Pessoa)
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sabato 30 maggio 2009
lentamente
In analisi numerica esistono degli algoritmi per la soluzione approssimata di equazioni, sistemi di equazioni e calcolo di integrali che sono efficaci, eleganti e lenti come lumache. In che senso lenti? Be' nel senso che ci mettono molto, molto tempo per arrivare alla soluzione o a trovare "l'ottimo" (in senso matematico) che si sta cercando. Non tutti sono lenti, ma certi lo sono, se il problema è molto complicato è meglio non usarli, ma ciò non toglie nulla al loro fascino. Ebbene sì, questi aggeggi di calcolo mi hanno sempre affascinato (lo ammetto io sono di quelli che trovano poetica la matematica ed annessi e connessi). Non sempre afferro al volo il loro funzionamento, spesso ci devo pensare un bel po' prima di capire che fanno, immancabilmente però, quando capisco, è una specie di epifania e sono felice. Spesso sono idee semplici, che le guardi e pensi "ma certo è ovvio!", altre volte no, sono complicatissimi e chi li ha messi insieme doveva avere un terribile mal di pancia quel giorno, per cui si incartò in qualcosa di terribilment complesso pur di non pensare alla nausea.
Al di là dell'aspetto tecnico, dell'utilità di questo genere di cose, lo studio, la lettura a tema matematico ha sempre provocato in me dei voli della mente, il generarsi di associazioni improbabili, il crearsi di immagini. Ad esempio, in un'epoca di overdose di calcolo infinitesimale, chiudevo gli occhi e vedevo danze di integrali e derivate di vario ordine e genere crearsi davanti ai miei occhi, coreografie complesse e colonne sonore variegate che fluttuavano dal minuetto all'hard rock, a seconda della stanchezza e dell'ora del giorno o della notte.
E' dunque inevitabile che anche gli algoritmi di approssimazione numerica evochino immagini e pensieri vari. Infatti esistono persone nella mia vita con le quali sono arrivata all'ottimo usando algoritmi come quelli citati, piano piano, un giorno un passo avanti, un altro giorno un salto lontano, poi una sosta intrappolati da un "ottimo locale" (una di quelle fosse in cui cadono questi algoritmi e ci mettono del tempo ad uscirne), nel quale abbiamo diguazzato per un po'. Senza essere però soddisfatti. Allora via un altro salto lontano. La macchinetta di calcolo continua a girare. Ci si scruta, ci si annusa, ci si sfiora, si parla pure poco. Poi, ad un certo punto, finalmente, l'algoritmo converge. E allora si sta lì e ci si ama e basta. Con a. è stato così, con pochi altri anche. Ci siamo girati intorno per intere epoche senza mai fermarci da qualche parte. Poi una qualche circostanza, il nostro vagare inquieto per la vita, ci hanno condotto, proprio come un algoritmo alla Newton-Raphson, alla soluzione più stabile, ottimale. Nulla garantisce che poi non si riparta per altre vie, certo, siamo umani non sistemi di equazioni, ma certo è che quel che si è trovato è davvero molto molto prezioso. A. chiama questi legami covalenti, perché le piace la chimica, sono quei legami tra atomi che ci mettono molto tempo per crearsi (io sono una zappa in chimica quindi si prenda da qui solo il senso poetico please) però per romperli occorre una fortissima immissione di energia dell'esterno. Ci sei arrivato lì, è l'ottimo per te e l'altra persona, ormai ognuno "sa" l'altro senza bisogno di raccontare la storia intera, basta stare insieme, anche in silenzio.
Al di là dell'aspetto tecnico, dell'utilità di questo genere di cose, lo studio, la lettura a tema matematico ha sempre provocato in me dei voli della mente, il generarsi di associazioni improbabili, il crearsi di immagini. Ad esempio, in un'epoca di overdose di calcolo infinitesimale, chiudevo gli occhi e vedevo danze di integrali e derivate di vario ordine e genere crearsi davanti ai miei occhi, coreografie complesse e colonne sonore variegate che fluttuavano dal minuetto all'hard rock, a seconda della stanchezza e dell'ora del giorno o della notte.
E' dunque inevitabile che anche gli algoritmi di approssimazione numerica evochino immagini e pensieri vari. Infatti esistono persone nella mia vita con le quali sono arrivata all'ottimo usando algoritmi come quelli citati, piano piano, un giorno un passo avanti, un altro giorno un salto lontano, poi una sosta intrappolati da un "ottimo locale" (una di quelle fosse in cui cadono questi algoritmi e ci mettono del tempo ad uscirne), nel quale abbiamo diguazzato per un po'. Senza essere però soddisfatti. Allora via un altro salto lontano. La macchinetta di calcolo continua a girare. Ci si scruta, ci si annusa, ci si sfiora, si parla pure poco. Poi, ad un certo punto, finalmente, l'algoritmo converge. E allora si sta lì e ci si ama e basta. Con a. è stato così, con pochi altri anche. Ci siamo girati intorno per intere epoche senza mai fermarci da qualche parte. Poi una qualche circostanza, il nostro vagare inquieto per la vita, ci hanno condotto, proprio come un algoritmo alla Newton-Raphson, alla soluzione più stabile, ottimale. Nulla garantisce che poi non si riparta per altre vie, certo, siamo umani non sistemi di equazioni, ma certo è che quel che si è trovato è davvero molto molto prezioso. A. chiama questi legami covalenti, perché le piace la chimica, sono quei legami tra atomi che ci mettono molto tempo per crearsi (io sono una zappa in chimica quindi si prenda da qui solo il senso poetico please) però per romperli occorre una fortissima immissione di energia dell'esterno. Ci sei arrivato lì, è l'ottimo per te e l'altra persona, ormai ognuno "sa" l'altro senza bisogno di raccontare la storia intera, basta stare insieme, anche in silenzio.
Fra la calma e l'albereto,
fra la radura e la solitudine,
il mio vaneggiamento passa timoroso
conducendomi l'anima per mano.
È tardi già, e ancora è presto.
(Fernando Pessoa)
fra la radura e la solitudine,
il mio vaneggiamento passa timoroso
conducendomi l'anima per mano.
È tardi già, e ancora è presto.
(Fernando Pessoa)
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mercoledì 27 maggio 2009
Passaggi
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Oggi sono solo un abbraccio per chi vive quanto di peggio possa accadere, di nuovo ricorro a Pessoa e a parole sue che ho già usato:
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s'è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(Fernando Pessoa)*
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s'è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(Fernando Pessoa)*
*per E. e suo figlio che se n'è andato, per P. e suo padre che ora riposa
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giovedì 7 maggio 2009
Primavera
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Un cielo grigio, compatto, un'acquerugiola fitta, silenziosa che copre ogni centimetro di suolo. E' mattina presto, intorno dormono ancora tutti, solo un cane mi viene incontro scodinzolando, bagnato e di buon umore. Gli odori della campagna riempiono ogni cosa, l'erba bagnata, la terra bagnata, fa freddo ancora. Cammino un po' intorno alle costruzioni dell'agriturismo. Incontro un albero antico, del rosmarino in fiore, l'umidità entra nelle ossa e porta qualche pensiero malinconico. Mi siedo sotto una pergola giocando con il cane, ascolto i suoni sommessi della campagna ovattata dalla pioggia. Pace, silenzio, il turbine della vita romana è lontano. Non so bene quanto resto lì, sono seduta apparentemente tranquilla, eppure il corpo è in tensione. L'inverno, gli affanni del quotidiano non scompaiono con una fuga di un giorno, non basta il respiro dell'aria pulita. Cerco di lasciare andare la tensione, mi concentro sul respiro. Poi alzo gli occhi e mi ricordo che, nonostante tutto, è primavera da un po' e la tensione si scioglie.
Se si vuole che abbia un misticismo, ebbene ce l'ho.
Sono mistico, però solo col corpo.
La mia anima è semplice e non pensa.
Il mio misticismo è non voler sapere.
E' vivere e non pensarci.
Non so cosa sia la Natura: la canto.
Vivo in cima ad un colle
in una casa imbiancata e solitaria,
e questa è la mia definizione.
(Fernando Pessoa)
Se si vuole che abbia un misticismo, ebbene ce l'ho.
Sono mistico, però solo col corpo.
La mia anima è semplice e non pensa.
Il mio misticismo è non voler sapere.
E' vivere e non pensarci.
Non so cosa sia la Natura: la canto.
Vivo in cima ad un colle
in una casa imbiancata e solitaria,
e questa è la mia definizione.
(Fernando Pessoa)
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giovedì 23 aprile 2009
Seduta
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E dopotutto ci sono tante consolazioni!
C'è l'alto cielo azzurro, limpido e sereno,
in cui fluttuano sempre nuvole imperfette.
E la brezza lieve [...]
e, alla fine, arrivano sempre i ricordi,
con le loro nostalgie e la loro speranza,
e un sorriso di magia alla finestra del mondo,
quello che vorremmo,
bussando alla porta di quello che siamo.
(Fernando Pessoa)
C'è l'alto cielo azzurro, limpido e sereno,
in cui fluttuano sempre nuvole imperfette.
E la brezza lieve [...]
e, alla fine, arrivano sempre i ricordi,
con le loro nostalgie e la loro speranza,
e un sorriso di magia alla finestra del mondo,
quello che vorremmo,
bussando alla porta di quello che siamo.
(Fernando Pessoa)
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giovedì 2 aprile 2009
Ma perché?
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Nel mio gironzolare in rete mi capita, sempre più spesso, di imbattermi in blog di giovani donne che si preoccupano dell'essere single. Scrivono bene, molto bene (cfr qui ad esempio), sono dotate di grande umorismo, palesemente intelligenti e argute, sono sicura che sono anche carine da vedere, eppure sembra scorrere una vena d'ansia nel loro trovarsi da sole. Dato che sono parecchio più vecchia di loro (mi sa che potrebbero essere figlie mie) non commento al volo, non faccio la vecchia zia con un "senti a me c'è tempo", taccio e rifletto. Torno indietro con la memoria ai miei 25-26 anni, a tutti i periodi, di solito abbastanza lunghi, in cui sono stata da sola, non in coppia per la precisione, come adesso. L'ansia seria a volte nasceva dalla consapevolezza che l'orologio biologico stava camminando, che il mio desiderio di maternità rischiava (e così è stato) di restare inespresso. Per il resto non me ne fregava proprio niente. Avevo altri problemi su cui concentrare l'attenzione. Che si potesse dire che sono una zitella l'ho sempre visto come un problema di chi lo diceva e non mio. Le persone sono persone, a prescindere dal loro essere in coppia, sole o a terzetti. Se si dice di me che sono una "brutta persona" mi devo preoccupare, non se mi attaccano un aggettivo che non mi appartiene. Perché non stare in coppia preoccupa? E' una condizione come altre, alla quale si può accedere in qualunque momento della vita...
Tanto per la cronaca: ho un'amica ultra-sessantenne che ha un fidanzato nuovo da qualche mese, quasi dieci anni più giovane di lei, un amico di oltre settantanni che sta con una donna di venticinque anni più giovane ormai da due anni. Dopo anni ed anni di vita solitaria, sia l'una che l'altro, ad un certo punto, si sono detti (e lo hanno comunicato ad alta voce) che erano stufi di star soli, si sono, penso, interiormente resi disponibili e voilà... la vita porta quel che serve.
Be' è vero che c'è un punto dolente, sopratutto se sei nel pieno delle forze: il sesso. Organizzarsi non è banale, alcuni ottimi suggerimenti vengono forniti, ma come minimo tocca fare un sacco di sport per mettere quelle energie da qualche parte. Certo a pensarci bene, è un problema secondario; in fondo, l'unico vero problema che vedo nello stare soli è la mancanza di un sentimento, di un contatto particolare: l'amore, con o senza maiuscola. Ecco mi chiedo e chiedo alla giovani signore in rete ma siamo sicuri che solo in coppia questo si possa trovare?
Tanto per la cronaca: ho un'amica ultra-sessantenne che ha un fidanzato nuovo da qualche mese, quasi dieci anni più giovane di lei, un amico di oltre settantanni che sta con una donna di venticinque anni più giovane ormai da due anni. Dopo anni ed anni di vita solitaria, sia l'una che l'altro, ad un certo punto, si sono detti (e lo hanno comunicato ad alta voce) che erano stufi di star soli, si sono, penso, interiormente resi disponibili e voilà... la vita porta quel che serve.
Be' è vero che c'è un punto dolente, sopratutto se sei nel pieno delle forze: il sesso. Organizzarsi non è banale, alcuni ottimi suggerimenti vengono forniti, ma come minimo tocca fare un sacco di sport per mettere quelle energie da qualche parte. Certo a pensarci bene, è un problema secondario; in fondo, l'unico vero problema che vedo nello stare soli è la mancanza di un sentimento, di un contatto particolare: l'amore, con o senza maiuscola. Ecco mi chiedo e chiedo alla giovani signore in rete ma siamo sicuri che solo in coppia questo si possa trovare?
È l'amore che è essenziale.
Il sesso è solo un accidente.
Può essere uguale
o differente.
L'uomo non è un animale
è una carne intelligente,
anche se a volte malata.
(Fernando Pessoa)
Il sesso è solo un accidente.
Può essere uguale
o differente.
L'uomo non è un animale
è una carne intelligente,
anche se a volte malata.
(Fernando Pessoa)
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lunedì 30 marzo 2009
Piccoli passi
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lunedì 23 marzo 2009
La porta
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Roma stazione. Termini, così la si chiama. Il luogo dove termina un viaggio. Si arriva qui, la testa del treno si accosta al binario, l'animale di metallo si appoggia al marciapiede finale, si riposa. Dalle porte rigurgita persone, tante, sempre. Mille idiomi, dialetti, parole, storie, bagagli, reali e metafisici. Abito da queste parti e a volte, la domenica sopratutto, vengo qui dove c'è una bella libreria, tanti negozi sempre aperti e cose e persone da guardare. Non è un luogo particolarmente amichevole, le commesse e i commessi nei negozi non sono quasi mai gentili, tranne che in libreria. C'è forse troppo via vai, sono più occupati a controllare che nessuno rubi piuttosto che a dar retta a chi viene a comprare. In fondo, loro, passano buona parte della giornata sotto terra, non è cosa che renda socievoli. Eppure a me piace venire qui. Dopo la visita in libreria mi fermo alla testa dei binari a guardare il flusso di gente. Immagino destinazioni e storie, qualche volta mi si stringe lo stomaco mentre guardo i senza tetto sempre presenti, altre volte mi perdo nei volti delle persone che passano, ne osservo l'abbigliamento cercando di indovinare qualcosa di loro. La domenica non incontri quasi mai i viaggiatori da prima classe, la stazione è popolata di abiti non particolarmente eleganti, non ci sono che rari set di valige di marca, piuttosto borsoni e trolley da quattro soldi, jeans da bancarella e scarpe di finta pelle, dozzinali zatteroni e false scarpe hi-tech in pura plastica. Forse i ricchi non viaggiano in treno la domenica, o forse, scappano via troppo rapidi perché io possa notarli. L'estate i binari si riempiono di gente con le borse del mare e le ciabatte, se è sera hanno i piedi sporchi di sabbia e il naso bruciato dal sole, se mattina sono pallidi, allegri e portano sacchetti di plastica con il pranzo. In inverno incontro frotte di ragazzi con gli sci, fa freddo, però, quindi non resto mai a lungo. Gli odori si mescolano, dal caffé appena fatto dei chioschi, ai deodoranti, alle puzze umane e meccaniche, tutto si mischia, si confonde, creando un mostro olfattivo che non ha un'identità specifica, un alieno del naso che ogni minuto si rinnova sull'odore di fondo fatto di metallo e freni.
In realtà, più che il passaggio di umanità varia e variopinta, la cosa che mi attrae davvero verso Termini è l'edificio. Bianco, immenso, l'atrio (il dinosauro) con i suoi giochi di chiaro-scuro, gli archi bianchi dei lati, il contrasto con gli edifici intorno. Lo sporco, il brulicare, il caos, sono contenuti là, in quell'architettura monumentale e gelida che inghiotte ogni cosa, che nella sua grandezza lascia passare senza mai afferrare. Indifferente splendido edificio razionalista, è la porta da cui, più che entrare a Roma, si può fuggire dal momento presente.
In realtà, più che il passaggio di umanità varia e variopinta, la cosa che mi attrae davvero verso Termini è l'edificio. Bianco, immenso, l'atrio (il dinosauro) con i suoi giochi di chiaro-scuro, gli archi bianchi dei lati, il contrasto con gli edifici intorno. Lo sporco, il brulicare, il caos, sono contenuti là, in quell'architettura monumentale e gelida che inghiotte ogni cosa, che nella sua grandezza lascia passare senza mai afferrare. Indifferente splendido edificio razionalista, è la porta da cui, più che entrare a Roma, si può fuggire dal momento presente.
Sogni ardenti di qualcos'altro!
Frenesia di andare via,
(Oh onda che in me ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere -
vita sempre fino ad oggi!
Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un' ala,
un veliero che mi portino lì!
Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.
(Fernando Pessoa)
Frenesia di andare via,
(Oh onda che in me ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere -
vita sempre fino ad oggi!
Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un' ala,
un veliero che mi portino lì!
Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.
(Fernando Pessoa)
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domenica 15 marzo 2009
Affinità
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Non mi è capitato spesso di perdere completamente qualcuno che mi interessava come essere umano, sia uomo che donna. Magari ho perso i contatti per un po', mi sono incartata io o l'altro, ciascuno preso in un gioco un po' perverso con sé stesso, come uno scontro, solo immaginario, a chi non voleva dire o cedere o fare un passo. A volte non ho riconosciuto io il movimento verso di me, altre volte è stato l'altro (o altra) a non riconoscere il mio movimento conciliatore. Ma nella maggior parte dei casi, alla fine, ci si è ritrovati. Con queste persone il grado di affinità era tale che questa non era stata esaurita dal gioco perverso delle rispettive menti, ci si ritrovava e si inventava una relazione nuova, diversa e spesso, molto migliore di quella proposta nella prima fase della frequentazione. Si ricominciava a creare insieme, creare allegria, solidarietà, affetto e quant'altro venisse fuori. Quelle volte in cui questo non è accaduto, poche a dire il vero, me ne rendevo conto dopo, ad un certo punto, era passato tanto tempo, magari un anno, e quella persona era sparita dalla mia vita del tutto. Allora mi prendeva un senso di tristezza, di perdita, ci eravamo, inutilmente, sconfitti a vicenda.
Non ho in mente ex-fidanzati quando dico questo, quelli, quando me li sono persi per strada, me li sono voluti perdere. Sono state relazioni esaurite (la categoria fidanzati è caratterizzata da anni e anni di frequentazione), in cui ci si è spesso fatti molto male. Penso piuttosto ad amicizie, maschili e femminili, ad ex-amanti con i quali ci si è lasciati con tristezza, malinconia, ma senza particolare rabbia. Penso a quelle amiche che hanno avuto una vita diversa dalla mia, ma che ad esempio, una volta un po' cresciuti i figli, sono tornate nella mia vita con la stessa allegria di prima. Penso a quelli che mi hanno corteggiato e se rifiutati, si sono rintanati altrove per un po' e poi sono risbucati fuori o si sono lasciati stanare da me.
Ecco io ho questa idea bislacca che se c'è un'affinità profonda con qualcuno, non ci si perda mai del tutto, che sia sempre possibile, se non ci si è fatti del male seriamente, trovarsi di nuovo, da qualche parte, in qualche modo, senza una ragione specifica e ricominciare a ridere insieme.
E le metafisiche dimenticate negli angoli dei caffè d'ogni dove,
le filosofie solitarie delle soffitte dei falliti,
le idee casuali di tanti casuali, le intuizioni di tanti nessuno,
forse un giorno, in fluido astratto e sostanza implausibile,
si coaguleranno in un Dio e occuperanno il mondo.
(Fernando Pessoa)
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giovedì 12 marzo 2009
Bonsai
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Quando mi sveglierò dall'essere sveglio?
(Fernando Pessoa)
(Fernando Pessoa)
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domenica 22 febbraio 2009
Immobilità
Statue, corpi immobili. Tensione di muscoli colti nell'atto di contrarsi, striature di movimento ricamate sulla pietra. Come un gioco di scatole cinesi, una foto di una statua è rappresentazione immobile di altra immobilità.
La guardo e per contrasto penso alla mia continua necessità di movimento, alla claustrofobia che l'immobilità a volte mi genera. Eppure so stare ferma, fisicamente immobile anche per molto tempo, il mio record è stato 40 minuti. Dopo tutta quella stasi avevo difficoltà a muovermi di nuovo, ma c'ero riuscita, svuotando la mente dai pensieri, sentendo solo il respiro, ero rimasta ferma senza nessun panico, senza nessuna ansia. Una sensazione bellissima.
L'immobilità diventa sofferenza, soffocamento solo se è contrasto al movimento. Al movimento dei pensieri in particolare, la mente si muove e il corpo vuole seguirla. Non c'è separazione tra corpo e mente, se una va l'altro segue e spesso accade anche il viceversa, il corpo conduce la mente in qualche luogo che lei ancora non conosce, che non ha nominato. In questa altalena di chi tira e chi segue, entra poi la paura di quelle pause profonde che a volte non sappiamo fare nemmeno dormendo. Diventare statue, anzi foto di statue, ottenendo quella doppia immobilità, sia del corpo che della mente ci fa sentire troppo vicini alla morte. Eppure esiste una qualità della mente che ci può permettere di essere statue e al tempo stesso capaci di muoverci rapidissimi, estremamente vivi, è una qualità di quiete, di assenza di dialogo interno, l'omino interiore tace, nessuno parla. Quella qualità si realizza quando mi limito, anzi no, sono capace di sentire soltanto.
La guardo e per contrasto penso alla mia continua necessità di movimento, alla claustrofobia che l'immobilità a volte mi genera. Eppure so stare ferma, fisicamente immobile anche per molto tempo, il mio record è stato 40 minuti. Dopo tutta quella stasi avevo difficoltà a muovermi di nuovo, ma c'ero riuscita, svuotando la mente dai pensieri, sentendo solo il respiro, ero rimasta ferma senza nessun panico, senza nessuna ansia. Una sensazione bellissima.
L'immobilità diventa sofferenza, soffocamento solo se è contrasto al movimento. Al movimento dei pensieri in particolare, la mente si muove e il corpo vuole seguirla. Non c'è separazione tra corpo e mente, se una va l'altro segue e spesso accade anche il viceversa, il corpo conduce la mente in qualche luogo che lei ancora non conosce, che non ha nominato. In questa altalena di chi tira e chi segue, entra poi la paura di quelle pause profonde che a volte non sappiamo fare nemmeno dormendo. Diventare statue, anzi foto di statue, ottenendo quella doppia immobilità, sia del corpo che della mente ci fa sentire troppo vicini alla morte. Eppure esiste una qualità della mente che ci può permettere di essere statue e al tempo stesso capaci di muoverci rapidissimi, estremamente vivi, è una qualità di quiete, di assenza di dialogo interno, l'omino interiore tace, nessuno parla. Quella qualità si realizza quando mi limito, anzi no, sono capace di sentire soltanto.
Segui la tua sorte,
annaffia le tue piante,
ama le tue rose.
Il resto è l'ombra
d'alberi stranieri.
La realtà
è sempre di più o di meno
di quello che vogliamo.
Solo noi siamo sempre
uguali a noi stessi.
Dolce è vivere solo.
Grande e nobile è sempre
vivere con semplicità.
Lascia il dolore sulle are
come offerta agli dèi.
Guarda la vita da lontano,
e non interrogarla mai.
Nulla essa può
dirti. La risposta
è al di là degli dèi.
Ma serenamente
imita l'Olimpo
nel segreto del tuo cuore.
Gli dèi sono dèi
perché non si pensano.
(Fernando Pessoa)
annaffia le tue piante,
ama le tue rose.
Il resto è l'ombra
d'alberi stranieri.
La realtà
è sempre di più o di meno
di quello che vogliamo.
Solo noi siamo sempre
uguali a noi stessi.
Dolce è vivere solo.
Grande e nobile è sempre
vivere con semplicità.
Lascia il dolore sulle are
come offerta agli dèi.
Guarda la vita da lontano,
e non interrogarla mai.
Nulla essa può
dirti. La risposta
è al di là degli dèi.
Ma serenamente
imita l'Olimpo
nel segreto del tuo cuore.
Gli dèi sono dèi
perché non si pensano.
(Fernando Pessoa)
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giovedì 19 febbraio 2009
Sassi
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A Roma ci sono pezzi di strada fatti così, come nella foto. Sassi antichi sui quali i piedi di milioni di esseri umani e non, sono passati. Strade romane di oggi, di ieri e dell'altro ieri, le percorro spesso, un piede davanti all'altro, quasi sempre guardando per aria. L'ho già detto che mi piace camminare, mentre vado penso, guardo, ridacchio osservando cose e persone e anche piango, quando luoghi e oggetti mi ricordano qualcuno o qualcosa che ancora duole. I luoghi hanno per ciascuno di noi una memoria, sono come delle ancore di pensieri e vicende, conservano per noi, nella nostra mente, un brandello di un avvenimento, di una persona. Così mi capita spesso di chiedermi a proposito di questi luoghi, di questo posto in cui vive gente da molto più che 2000 anni, cosa abbia di particolare. Cosa ha Roma, per essere punto di attrazione da così tanto tempo? Magari questi sassi, che sono anche strada lo sanno, sono stati ancore per ricordi innumerevoli, hanno ascoltato, visto, vissuto, una quantità di vicende impensabile per noi che siamo più transitori, per noi che li calpestiamo, anche distrattamente. Ho girato tanto in vita mia, vissuto in altri luoghi per periodi più o meno lunghi, solo in India, in alcuni luoghi antichi, ho provato qualcosa di simile a quello che mi comunica Roma. Un senso del luogo in sé, come se ci fosse una ragione, che non so, per star lì, per restare lì.
A volte cammino per queste strade senza percepire nulla di ciò che ho intorno, o almeno così mi sembra, però ho magari scattato qualche foto, ho comunque posato gli occhi da qualche parte e a posteriori scopro che, comunque, qualcosa mi è rimasto addosso, qualche impressione, qualcosa di sottile che non ha nome. Quel qualcosa che sempre e comunque mi riporta qui, a questo luogo per restarci.
A volte cammino per queste strade senza percepire nulla di ciò che ho intorno, o almeno così mi sembra, però ho magari scattato qualche foto, ho comunque posato gli occhi da qualche parte e a posteriori scopro che, comunque, qualcosa mi è rimasto addosso, qualche impressione, qualcosa di sottile che non ha nome. Quel qualcosa che sempre e comunque mi riporta qui, a questo luogo per restarci.
Viaggiare! Perdere paesi!
Essere altro costantemente,
non aver radici, per l'anima,
da vivere soltanto da vedere!
da vivere soltanto da vedere!
Neanche a me appartenere!
Andare avanti, andare dietro
l'assenza di avere un fine,
e d'ansia conseguirlo!
Andare avanti, andare dietro
l'assenza di avere un fine,
e d'ansia conseguirlo!
Viaggiare così è viaggio,
Ma lo faccio e non ho di mio
più del sogno del passaggio.
Il resto è solo terra e cielo.
(Fernando Pessoa)
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giovedì 12 febbraio 2009
Inverno 2
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Se io, ancor che nessuno,
potessi avere sul volto
quel lampo fugace
che quegli alberi hanno,
avrei quella gioia
delle cose al di fuori,
perché la gioia è dell'attimo;
dispare col sole che gela.
Qualunque cosa m'avrebbe meglio
giovato della vita che vivo -
vivere questa vita di estraneo
che da lui, dal sole, mi era venuta!
Viaggiare! Perdere paesi!
Essere altro costantemente,
non avere radici, per l'anima,
da vivere soltanto di vedere!
Neanche a me appartenere!
Andare avanti, andare dietro
l'assenza di avere un fine,
e l'ansia di conseguirlo!
Viaggiare così è viaggio.
Ma lo faccio e non ho di mio
più del sogno del passaggio.
Il resto è solo terra e cielo.
(Fernando Pessoa)
potessi avere sul volto
quel lampo fugace
che quegli alberi hanno,
avrei quella gioia
delle cose al di fuori,
perché la gioia è dell'attimo;
dispare col sole che gela.
Qualunque cosa m'avrebbe meglio
giovato della vita che vivo -
vivere questa vita di estraneo
che da lui, dal sole, mi era venuta!
Viaggiare! Perdere paesi!
Essere altro costantemente,
non avere radici, per l'anima,
da vivere soltanto di vedere!
Neanche a me appartenere!
Andare avanti, andare dietro
l'assenza di avere un fine,
e l'ansia di conseguirlo!
Viaggiare così è viaggio.
Ma lo faccio e non ho di mio
più del sogno del passaggio.
Il resto è solo terra e cielo.
(Fernando Pessoa)
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lunedì 9 febbraio 2009
Requiem
Quando finisce il tempo di qualcosa o qualcuno si dicono tante cose, la foto di Sandro mi evoca in particolare un modo dire che da il senso del definitivo nella nostra cultura a base cattolica: metterci una croce sopra. Seppellire qualcosa, qualcuno, lasciare andare, quando arriva il momento. Non subito, mai subito. Nessuno ci riesce subito. Il Libro tibetano dei morti dice che ci vogliono 40 giorni alle anime dei morti per andarsene davvero. Quanto ci mettiamo noi per lasciare andare qualcosa che è morto? Quante volte ci aggrappiamo anche solo al ricordo pur di non lasciar andare?
Con mia madre ci ho messo anni, una notte l'ho sognata, dopo tanto tempo, erano passati 5 anni dalla sua morte, mi disse "lasciami andare, per favore". Ed io l'ho fatto. Era arrivato il tempo, il mio tempo per far questo.
Altre cose, più immateriali delle persone non riusciamo mai a lasciarle andare. Un torto subito, un dolore vissuto, un'umiliazione. Continuano a restare, ad aleggiare su di noi, dentro di noi, continuando a condizionare ogni gesto, ogni parola, anche se noi non pensiamo sia più così. Accade che ci si convinca di essere "andati oltre" un'esperienza che ci ha segnato, per poi scoprire di averne solo bloccato gli effetti. Il bloccare un'emozione però non è funzionale, se c'è dolore va vissuto, se c'è gioia va vissuta tutta, se c'è paura anche quella va vissuta. Se blocchi si forma come una pietra, inizialmente piccola, poi, come il grano di sabbia nell'ostrica, comincia ad attrarre altri granelli, diventa sempre più pesante, diventa tensione, e quindi diventa dolore fisico, reale malessere, magari un ginocchio che ci molla o un'articolazione che si infiamma, o altro. Un'emozione bloccata è una bomba ad orologeria dentro di noi.
Ecco con questo non voglio dire che se-mi-incazzo-esco-e-meno-qualcuno o sono addolorata, allora prendo il megafono e urlo ai quattro venti il mio sentire, così non mi si forma tensione interiore, no, non è questo, è solo accettare di vivere dentro di sé ciò che accade, questo prima di poterci davvero mettere una croce sopra.
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s'è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(Fernando Pessoa)
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s'è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(Fernando Pessoa)
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