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domenica 13 febbraio 2011

Nuovi virgulti di questo tempo

Di solito ho un rapporto difficile con gli adolescenti. Per me è stata un'epoca orribile della vita, buia, senza gioia e impregnata di personale stupidità. Ciò dovrebbe spingermi ad essere estremamente comprensiva e accogliente con i medesimi, ma confesso un senso di fatica disperante ogni volta che devo interagire con più di un paio di ragazzini alla volta. Più che fatica, ecco, be', insomma li strangolerei. Quando vado in palestra, ad esempio, in contemporanea ai corsi che seguo io, c'è un corso di danza, con un'insegnante brava e molto simpatica, ma popolato da ragazzine tra i 12 ed i 16 anni. Ragazzine della periferia romana, nutrite a pane e televisione sin dalla più tenera età, chiassose, invadenti e decisamente insopportabili. La cosa più intelligente che gli  si sente dire è "te sto a fregà na gomma... mica t'encazzi vero?" (traduzione: sto prendendo una gomma da masticare dalla tua borsa, la cosa non ti disturba vero?). Tutti i discorsi, quando va davvero bene e non parlano di televisione, sono conditi di "quella stronza de' italiano, oggi me s'è 'ncazzata perché ho scritto che con la k... ma se po' sentì" o "quella stronza di matematica... m'ha 'mbruttito oh, solo che stavo a dì na cosa all'amica mia! ma scialla no?!"  o 10 minuti su quanto è bono quello e se sia il caso "de facce quarcosa". Va be' lo so che poi passa e molte di loro diventeranno luminari di questo o quello, lo so, ma a me viene l'orticaria e le strozzerei.
Sono però consapevole che non tutte le adolescenti sono deficienti, anzi ce ne sono di meravigliose che tra un scialla e a-ma'-nun-rompè hanno molto più che ormoni in tempesta tra le orecchie. Guardo mia nipote quindicenne e vedo una meraviglia, vedo una ragazza in gamba, intelligente e pure bella. Penso però di essere di parte, quindi questo esempio non vale. Ma veniamo al punto. 
Oggi sono andata brevemente alla manifestazione in piazza del Popolo, non sono nemmeno riuscita ad entrare in piazza tanta era la gente presente,  dalle monache alla ragazzette con percing e ormoni in tempesta. Mi sono  guardata un po' intorno e dopo poco ho ripreso la metropolitana e sono tornata a casa. Uscendo dalla metro mi trovo accanto a due ragazzine, carine entrambe, una delle due decisamente bella. Abbigliamento rigorosamente etnico, collanine a sfare, ciocche colorate. Le due fanciulle erano tampinate da due giovanetti intraprendenti, con fare un po', come dire, coatto. Ascolto lo scambio di battute in corso. Uno dei due, il più intraprendente, si rivolge alla bellissima e le chiede dove va a scuola, lei risponde con il nome di un prestigiosissimo liceo classico romano. Il ragazzo sgrana gli occhi e:
"ammazza oh! e come t'a cavi?"
Lei: "bene, molto bene, mi piace molto studiare"
Lui ride: "ma scusa a una bona come te che cazzo je serve de studià? ce poi diventà deputato!"
Lei, tranquillissima: " certo, m'a cavo pe' 'n po' d'anni poi quanno so vecchia che faccio? vado a dì alla gente me dovete mantenè perché so stata na gran figa? ma sai le pernacchie che me fanno!"

L'avrei abbracciata.




domenica 6 febbraio 2011

Correva l'anno 1995....

Oggi non avevo nulla da fare, poca concentrazione, nessun neurone orientato allo scrivere. Così mi sono messa a ravanare su youtube e ho trovato un vecchio spettacolo di Benigni. A me piace Benigni, tanto, mi fa ridere da sempre e spesso sono molto d'accordo con le cose che dice. Ho guardato il pezzo di spettacolo che è diviso in 3 filmati, ve li metto qui sotto. Alla fine dei tre brani, ho avuto però una sensazione abbastanza sgradevole:  mi sembrava di essere ancora nel 1995. Ditemi se sono io o se è proprio che, in certi ambiti, il tempo si è praticamente fermato.






venerdì 14 gennaio 2011

Silenzio


Non cantare più!
 Voglio il silenzio
 per dormire
 qualsiasi ricordo
 della voce udita
incompresa
 che fu perduta
 perché l'ho udita.


Fernando Pessoa


giovedì 30 dicembre 2010

Il secondo principio della termodinamica e il senso di colpa

 

In chiusura di un anno di poche parole-web, vorrei raccontare ai 2-3 sventurati che capitano qui, alcune mie riflessioni. Un parallelo tra fisica e anima che ultimamente mi si ripresenta di continuo. Bene per far poco casino parto dall'inizio.
Uno dei ruoli che la vita mi ha attribuito è quello di ascoltatore, ovvero la gente, anche gli sconosciuti, dopo poco che parlano con me, mi raccontano la loro vita, i desideri, le aspirazioni e i dolori. La gente mi racconta di sé. Penso che questo dipenda dal fatto che non si sentono giudicati, la mia faccia dice "vai avanti che bella storia" più o meno qualunque cosa mi stiano raccontando di sé stessi. Per me ogni essere umano è una cosa bellissima, sacra, nella somma delle sue imperfezioni. Anche la storia umana all'apparenza più convenzionale ha per me un qualcosa di speciale: l'essere umano che me la sta raccontando.
Mi trovo così ad avere un discreto campionario di storie nel mio database e dato che ho la tendenza ad organizzare dati e cercare pattern ricorrenti, mi sono resa conto che tutte o quasi, le storie che mi si raccontano sono condite con lo stesso ingrediente: il senso di colpa.
Sarà la derivazione cattolica per uno, il senso del dovere marxista-leninista per un altro, la mamma ebrea per un altro ancora, tutti mi si rivoltano nella melma del senso di colpa. Stanno lì impantanati nelle "terribili" cose che hanno fatto, si arrotolano su se stessi tentando disperatamente di tornare indietro e disfare quel che hanno fatto. Orbene, si tenga presente che non stiamo parlando di omicidi o delitti vari, di solito si tratta di emerite cazzate. Il classico dei classici infatti sono le corna al compagno-compagna (moglie o marito dipende) di turno. Coloro che più si flagellano poi sono quelli o quelle che hanno messo un cornino fugace, o avuto una storia di breve durata di solito causata dall'essere trattati a casa come se si fosse un mobile. Ora ma se ti trattano come un oggetto di servizio fino a farti sentire una pezza, che male c'è a dare una bottarella all'amor proprio tra accoglienti braccia? L'importante è non scappare con il o la padrona o padrone delle suddette braccia abbandonando baracca e burattini. Evitato ciò e caricate le batterie, non è successo nulla di male. Tutti sono contenti: l'amante è stato amato, il consorte riceve sorrisi invece di rimbrotti e i pargoli hanno un genitore sereno. 
Va be' ma mica è una bella cosa comunque, dice una voce dal fondo. Certo invece di risolvere i problemi casalinghi il soggetto è scappato altrove, vogliamo fucilarlo? Il soggetto stesso dice di sì, o chiede a gran voce che qualcuno riporti indietro l'orologio e si possa cancellare quanto fatto. Qui è il senso di colpa che parla, quel meccanismo idiota che invece di farci riflettere, alzarci in piedi e dire "be' se ho fatto tutto questo casino ci sarà pure un motivo, ora lo trovo e cerco una soluzione nella mia vita", ci tiene ben fermi e ci fa dire "ah se potessi tornare indietro".
Quest'ultimo pensiero è la peggiore cazzata di tutte. Indietro non si torna, non nel mondo macroscopico, non qui, non ora. Infatti c'è una legge fisica che nel nostro mondo vale e che regola molte molte cose, quella legge che ci ha fatto inventare il tempo come oggetto con una ben precisa direzione: il secondo principio della termodinamica. Questo principio chiarisce che il tempo non è reversibile (a meno di essere una particella e non un umano più o meno coglione), l'entropia aumenta, se fai casino il casino resta. Quindi se proprio uno si deve fermare, lo faccia per pensare, per trarre spunto dall'accaduto, da ciò che ha fatto, per cercare nuove direzioni e soluzioni ai problemi suoi e del suo mondo. Ogni casino combinato ha una sua ragion d'essere, una sua funzionalità, lasciatevelo dire da chi di cazzate ne ha fatte tante e non ne rinnega nemmeno mezza, anzi le rivendica tutte, dalla prima all'ultima, che poi è sempre la migliore....


E per chiudere:
Buon 2011
che sia un anno a bassa entropia e di grande evoluzione!

lunedì 11 ottobre 2010

Dei sogni e della realtà

Capita di sognare, a volte, con un'intensità estrema. Sono sogni in cui il reale è il sogno, a volte sono bellissimi e svegliarsi è terribile, altre volte sono orribili e svegliarsi è salvifico. A volte ci si sveglia e non si sa più tanto bene dove si sia. Di recente, nel gran silenzio che mi è preso, è successo proprio questo. Ho sognato, ho sognato con gran forza, ho visto la mia realtà, in quel sogno, sgretolarsi, mi è stato detto che la mia vita era solo un sogno schizoide, il rifugio di una povera malata di mente e sapevo, nel sogno, che quel che mi si diceva era vero. Ho visto ogni cosa raggiunta, ogni traguardo realizzato, svanire.  Ogni singola cosa vista, provata o vissuta, in qualunque forma, era solo una menzogna.

Ci ho messo un po' a svegliarmi, ho faticato ad emergere dal dolore che quel sogno mi stava dando. Ho cominciato a toccare gli oggetti sparsi per la stanza, a sentire il calore della coperta, a guardare il mio letto vuoto, i miei libri di roba tecnica, il computer, gioco-lavoro-pezzo-di-vita. Ho toccato e guardato mentre il cuore riprendeva a battere ad un ritmo normale, ho guardato, toccato,  annusato gli odori della casa, lo scarico che a volte puzza, il profumo dell'incenso in corridoio; ho ascoltato il tram che passa sotto la finestra, l'ubriaco della notte che inveisce al mondo in una lingua ignota,  ho respirato a fondo ogni cosa. E allora, la mia vita, così spesso solitaria, così spesso malinconica, mi è sembrata bellissima.

Ps. grazie gilly parlare con te mi fa bene :-)

domenica 15 agosto 2010

Ferragosto cittadino

Eccomi qua il 15 di agosto ad ascoltare le campane del mattino in quel di Roma. Eccomi qua a scrivere, un po' perché ho delle scemenze da dire, un po' perché London Alcatraz mi ha messo ansia con il suo post ferragostano, mica voglio farmi cancellare dal suo blogroll! (potete sentirmi sghignazzare anche da lì).
Ferragosto a Roma è sempre stato bellissimo. 
Un tempo la città  era davvero deserta, i residenti o se ne erano andati in vacanza altrove già da tempo o provvedevano a sparire entro l'ora di pranzo in direzione del mare o delle campagne limitrofe. Se si andava al mare, ad esempio ad Ostia, la densità umana era degna della metropolitana di Tokio all'ora di punta. Per ciascun ombrellone si trovavano almeno 3 generazioni di romani, con annesse borse e sporte contenenti l'equivalente di un banchetto di nozze. Chiaramente otri di vino accompagnavano il tutto, con successivi numerosi incidenti sulla via del ritorno la cui gravità era moderata solo dalle lunghe code e conseguente bassa velocità. Numerosi ricoveri per colpi di calore e insolazione allietavano la festa di fine estate del personale degli ospedali romani, insieme alle numerose presenze al pronto soccorso di chi, magari tormentato dal mal di testa, non riusciva a trovare un'aspirina in tutta la città. I reparti psichiatrici erano sempre pieni. Anche solo per il senso di solitudine che la città vuota comunicava molti, tra gli individui più fragili, preferivano star lì dove almeno c'era sicuramente tanta gente.
Chi, come me, restava entro il Grande Raccordo Anulare e aveva un equilibrio mentale semi-ragionevole, viveva un'esperienza  affascinante. La città era di noi pochi e dei turisti, si stava come sospesi nella totale assenza di qualunque servizio, dalla farmacia, al ristorante, al bar: tutto chiuso.  Guai a finire le sigarette il 15 agosto! Un'estate, da adolescente, rimasi in città con alcuni amici, chi dimenticato dalle famiglie, chi rimandato a settembre e quindi messo in punizione  (per inciso diciamo pure che lasciare un'adolescente da sola a casa per alcune settimane, non è esattamente una punizione...) Quell'anno lì l'unica attività commerciale che trovammo in funzione fu lo spacciatore di droghe leggere del quartiere che quasi ci abbracciò vedendoci arrivare. 
Gli autobus erano pochi e facevi prima ad andare a piedi che ad aspettarne uno. A Ferragosto sviluppavi  capacità di sopravvivenza in condizioni estreme  (il che, come noto,  è sempre utile).

Oggi le cose sono cambiate. La città è solo parzialmente svuotata, i servizi ci sono tutti e le orde con sporte alimentari sono meno numerose. La città è sempre bella, anzi bellissima, ti godi le strade, il rumore si è ridotto ad un brusio di fondo, il cielo è di un azzurro confortante e luminoso. Nell'aria  c'è la promessa di una giornata quieta, di una lunga passeggiata serale tra le epoche che, qui, convivono in ogni angolo, ricordando a chi vuol ricordare,  quali sono le cose che restano e quelle che se ne vanno.


lunedì 9 agosto 2010

E di nuovo si torna

Eccomi qua, dopo 1350km in una settimana, sono di nuovo connessa. Disintossicata da web, lavoro, conflitti e quant'altro disturba la quiete dell'anima. Mi sono allegramente lessata sulle strade d'Italia, diretta a Sud verso amici vecchi e nuovi, verso una leggerezza che raramente ho trovato. Ci sono cose che facciamo, incontri e atmosfere che guariscono. Ecco mi sento guarita.
Oggi poi è un giorno particolare, dedicato a chi non c'è più, a chi, nonostante siano passati parecchi anni e tanta acqua sotto i ponti, continua a mancarmi. Sono andata a portarle fiori e piante in quel luogo che a me non dice nulla, ma rappresenta comunque l'unico punto dove si possa compiere un rito di memoria. Quest'anno, per la prima volta, è stato un rito sorridente. Ho guardato la lastra di marmo con il suo nome e le date, con gli altri che sono lì e sono, come lei, morti d'estate, quasi tutti. Mi sono chiesta se anche io me ne andrò in estate, con il sole cocente e l'asfalto bollente. Mi sono chiesta se le piacerebbe come sono ora, mi sono risposta un "abbastanza", mai nulla le andava bene in toto, anche se era capace di amare incondizionatamente. Ho pensato che la mia estate su due ruote avrebbe significato un milione di telefonate, una ad ogni sosta, anzi con soste apposite per telefonare, perché lei era ansiosa. Oppure avrei dovuto mentire, come un'adolescente, partire di nascosto, senza dire come andavo. Mentire era cosa che da adolescente non facevo, al massimo tacevo. E a lei non tacevo granché, imparando nel modo più duro, che avrei fatto meglio a star zitta.
Tirava gran fregature la mia mamma, con la sua aria aristocratica e sorridente, ma era certamente una delle persone più divertenti che abbia mai conosciuto. Me la sono portata in viaggio questa volta, lei e tutti i ricordi, vicini e lontani. Gli uomini che ho amato, gli amici e le amiche, i sogni infranti e quelli avvenire, ciò che è stato e ciò che non sarà. La moto un po' pesava all'andata, al ritorno la sentivo più leggera. Tante cose hanno trovato il loro posto in questo andare. Ho lasciato andare cose e persone, un lasciar andare da dentro, da quel luogo dell'anima dal quale di solito ci si aggrappa a ciò che è stato bello. Ho ringraziato dal profondo per i bei momenti, per le tante cose ricevute, poi ho salutato e ho continuato la mia strada, finalmente diritta, in pace come non lo sono mai stata...

lunedì 26 luglio 2010

A volte si torna a malincuore...

Ci sono quei periodi in cui prendi tante di quelle sberle che ti senti un pugile suonato, tra uno sganassone e l'altro fai fatica a capire perché dovresti stare ancora in piedi e quali siano le motivazioni che dovrebbero spingerti ad alzarti la mattina. Poi, come per miracolo, la vita ti ricorda perché sei ancora qui e perché non ti sei ancora tirata sotto a un treno. Sbuca un qualcosa, un'esperienza, un incontro o magari solo un cielo più blu del solito, che ti fanno allargare l'anima, respirare a fondo e pensare: va bene si può andare avanti. Ti ritrovi magari seduta in caffé con due amici, ma non un caffé qualunque, stai lì, vicino alla moschea Sulaimaniya di Istanbul a fumare tabacco alla mela e bere tè, mentre il muezzin chiama alla preghiera. Stai lì, in un altro mondo, in un'altra vita e tutto va bene.

Ma andiamo con ordine.

Ho la gran fortuna di fare cose che interessano ad altri, così ogni tanto mi viene chiesto di andarle ad insegnare qua e là, o magari di collaborare a questo o quel progetto in cui sono coinvolte persone di mezzo mondo. Qualche mese fa, un amico che lavora nella cooperazione mi cerca e mi chiede di partecipare come docente ad un progetto con la Turchia, si tratta di tenere un corso di una settimana sulle cose che faccio io, il posto è dimenticato da dio e da buona parte degli uomini, ma poi magari "ti fermi a Istanbul un paio di giorni". Accetto, convinco una delle mie migliori amiche a venire con me, preparo il materiale per le lezioni, mi faccio prendere dal panico perché farò lezione in inglese con un'interprete che traduce in turco... poi non ci penso più che sono troppo occupata a prendere sberle.

Così arriva il 18 luglio e mi ritrovo con una valigia all'aeroporto di Fiumicino a prendere una serie di aerei fino a Trabzon sul Mar Nero. Viaggio demenziale, albergo peggio, con affaccio autostrada e frequentato da signore che fanno un mestiere antico, anche meritorio volendo, ma certamente rumoroso. Salvata dai tappi per le orecchie mi avvio a far da docente ad un gruppetto di signori turchi, la maggior parte sopra i 40 anni, molto motivati e molto ignoranti. La cosa in sé pare terrificante eppure si rivela essere un'esperienza fantastica! Non la faccio lunga, dico solo che oltre ad essere tutti gentilissimi e simpatici, si sono impegnati come nessuno mai e alla fine io ho imparato 3 parole di turco ma loro una vagonata di roba tecnica da far paura.

E poi il fascino del vivere una realtà completamente diversa e non da turisti. Il fascino di un paese davvero multietnico, con mille contrasti e dotato di una vitalità enorme, con una gran voglia di uscire dal cantuccio in cui si trova, senza però perdere l'anima strada facendo. Tutto questo in un buco di città fuori dalle rotte turistiche. 
Poi prendi un altro aereo e fai quei 1350 km che ti separano da Istanbul e cadi in un sogno. Ti perdi tra 15milioni di persone che risiedono in quell'area, fiumi umani compositi, che scorrono riempiendo ogni angolo di un posto che è così bello che mi è piaciuto come mi piace Roma. Cammini per 12 ore visitando luoghi storici e perdendoti per le strade, entri nel bazar e finisci nella bottega di un genio del vestire, un signore gentile che visto che tu e la tua amica non potete permettervi le sue meravigliose creazioni, ve le fa provare tutte, anzi si mette lì e vi veste come dice lui, trasformando te e l'amica da stanche turiste in principesse orientali. Annusi l'aria, la gente, nutri l'anima di una valanga di impressioni che per digerirle ti ci vorrà un mese. Dal vento che percorre incessantemente le strade di Istanbul, alle chiacchiere a gesti con i vicini di tavolo al caffé, tutto sembra fatto per dirti: ricordati che c'è sempre una ragione per sorridere la mattina, anche se a volte sembra improbabile.

venerdì 12 marzo 2010

Uno di quei giorni...


Ci sono quei giorni che ad un certo punto cominciano a prendere una piega "sbagliata". Intendiamoci io non credo alla sfiga cosmica. Di solito diamo un possente contributo alla medesima con le nostre azioni. Però qualche volta un dubbio mi viene. Prendiamo ad esempio la giornata che sta per chiudersi, qui da me sono quasi le 11pm, in Italia sono quasi le 5am, quindi per voi altri è bello che cominciato il nuovo giorno, ma per me ancora no.
Analizziamo serenamente la giornata:
  • Sveglia intorno alle 6:30 ora locale, preparazione del caffé e della colazione con contemporanea accensione del computer.
  • Plin da skype. Cose lavorative italiane da considerare. Un "già che sei lì" di qualche furbastro che fa finta di ignorare il fuso orario.
  • Bestemmia che non viene riprodotta in chat, mi occupo delle rogne italiane e faccio colazione.
  • Lavoro a un programma che deve fare certe cose e non le sta facendo, anzi mi spernacchia fuori dei risultati talmente brutti che alle 7:30 già mi viene da piangere.
  • Ri-plin da skype. Stiamo organizzando un viaggio di lavoro, il mio collega e amico con cui devo partire mi cerca per comprare i biglietti on-line sul sito alitalia. Il sito non accetta la mia carta di credito, controllo la disponibilità e ce n'è quanta ne voglio. Soprassediamo.
  • A fine mattina, con le pive nel sacco per quanto riguarda il software, vado a raggiungere gli americani. E qui c'è una parentesi gradevole, tra discussioni di lavoro e pranzo con risate.
  • Rientro in ufficio, arriva un'email. La riunione telematica che si doveva tenere non si può tenere per ragioni che non mi è dato sapere. Il dio della burocrazia ha deciso che per decidere quel che c'era da decidere, non sarebbe abbastanza legale farlo per via telematica. Mi sostituiranno nel gruppo che deve decidere. Annuisco allo schermo e rispondo che per me va bene anche se non capisco perché.
  • Arriva un'altra email, l'e-shop di libri a cui ho ordinato un regalo per un amico non lo trova e mi cancella l'ordine. Annuisco allo schermo.
  • Continuo a lavorare, a combattere con il codice, con l'ambiente di programmazione che sto usando, a dare la testa nel muro. Si fanno le 8pm e non ho risolto un cazzo.
  • Faccio caso alla mancanza di comunicazione con un paio di persone a cui voglio bene. Mi intristisco, anche parecchio ad essere onesti.
  • Passa uno degli americani, il mio preferito, e andiamo a mangiare qualcosa, siamo lessi, ma veramente lessi. Però mi tiro un po' su di morale.
  • Mi riporta alla macchina, guido in trance sotto un'acqua battente fino ad approdare al residence dove sto. Non trovo la chiave della stanza. Ho la visione della medesima sul tavolo dell'ufficio (contributo alla sfiga numero 1). Vado al front desk, aspetto che finiscano un check in, mi faccio fare una copia della chiave (magnetica).
  • Entro nella stanza e penso "finalmente...." (sospiro). Mi rendo conto di avere le scarpe piene di fango, sono finita in un'aiuola andando alla macchina. Bene, che sarà mai! prendo un bel po' di carta e le pulisco, appoggio il malloppo schifoso di lato e mi giro con movimento evidentemente sbagliato, il malloppo cade nella tazza e neanche me ne rendo conto. Tiro l'acqua (contributo alla sfiga numero 2). Si ottura la tazza.
  • Piango? non piango? no non piango. Da sotto il lavandino prendo lo sturalavandini. Lo uso e non succede assolutamente nulla. Piango? ... no non piango. Echecazzo siamo negli States no? c'è qui accanto il supermarket aperto 24 ore, vado. Piove. Entro e passo mezz'ora a leggere le etichette di tutti i liquid plummer (idraulico liquido), extra-super-powerful clogs removal (extra-super-potente elimina intasamenti) che riportano immancabilmente la scritta "do not use in toilets". Piango? no non piango, ancora je la posso fare. Vado al front desk, parliamo, pensiamo, cerchiamo del fil di ferro, non lo troviamo, ci rassegnamo. La signorina, gentilissima, mi dice "cerco una stanza libera e le do la chiave, lei vada su che la chiamo appena trovo". Vado.
  • Entro e vado in bagno, guardo la tazza, guardo lo sturalavandini, ci fissiamo intensamente e "no non la puoi avere vinta tu!" acchiappo lo sturalavandini e per 10 minuti buoni faccio del sano esercizio fisico.
Avete idea di cosa sia la gioia pura? io adesso sì: una tazza otturata che di colpo si stura alle 11pm di una giornata di merda.




domenica 17 gennaio 2010

Napoli è....


E' sabato, sono quasi le due, stai correndo verso la stazione mentre mentalmente mandi al diavolo tutto e tutti. Sono giorni e giorni che aspetti questo momento, che te lo sei organizzato, che te lo sei promesso, a te e agli amici che ti aspettano. La vita fa del suo meglio per farti mancare la promessa, il tuo personale Titanic che sta affondando, la zia che s'agita, il frullatore che cerca di ri-catturarti per tritarti ancora una volta. Ce la fai, salti sul treno ad alta velocità e ora lo sai: tra un'ora sarai a Napoli. Non puoi dire che Napoli ti piaccia, non sarebbe esatto, se ci vai per lavoro ammazzeresti i colleghi locali, non ce n'è uno o una con cui divideresti un panino, figuriamoci una giornata lavorativa. Rappresentano la summa dei difetti orridi del luogo: arroganza che maschera incompetenza, approssimazione, passione per l'intrigo e l'azione furbesca. La città è un vero casino, cose meravigliose lasciate a crollare su se stesse, angoli di pura poesia inzzaccherati di monnezza. Insomma lo sai che è tutta vera la retorica del degrado che si racconta. E allora perché ci tieni tanto ad andare? Perché in fondo e neanche tanto in fondo, sei innamorata di quel gran casino e, sopratutto, a Napoli hai alcuni amici che ami profondamente e da tantissimo tempo. Con loro ti sei scambiata la promessa di vedervi almeno una volta l'anno. Magari per una sola giornata, ma almeno quella giornata deve esserci. Loro, come la maggior parte dei tuoi amici, sono abbastanza normali e quindi hanno figli, famiglia, quindi di solito vai tu. Certi anni la città non la vedi per niente, ti chiudi con loro da qualche parte e parlate per ore, vi raccontate fatti, impressioni, vi date consigli, rievocate soggiorni americani condivisi, vacanze insieme e progettate un futuro. Poi loro cucinano ed è sempre Natale pure se è agosto, dopo la visita vi ci vuole una settimana di dieta. Altre volte vi date all'esplorazione, diventi tu occasione per lanciarsi alla scoperta e ri-scoperta della città, del centro, del decumano e dei vicoli. Da Soccavo partite in spedizione, armati di ogni genere necessario alla gestione dei bambini e via a camminare nel casino, nei colori, nella monnezza e a riempirvi gli occhi di gente e cose.
Mentre il treno cammina veloce ti chiedi come sarà quest'anno. C'è tristezza nell'aria, tutti lo siete un po'. Ognuno ha il suo di Titanic in affondamento, tutti vi sentite precari, instabili. Però lei te lo ha detto "Vieni, vieni che ci fa bene a tutti, a te e a noi". Arrivi e c'è Napoli centrale, c'è il sole e un cane che dal binario ti accompagna alla metro, ti guarda e ti precede, se ti fermi si ferma, aspetta mentre cerchi un biglietto per l'autobus, biglietto che alla fine ti vende un signore gentile perché tutte le rivendite li hanno finiti e le macchinette sono rotte. Il cane ti aspetta, chissà perché tu lo segui, va giù per le scale, si districa nel labirinto generato dai lavori di ristrutturazione, ti porta a colpo sicuro al binario. Poi se ne va. Prendi il treno metropolitano, scendi a montesanto dove c'è la stazione nuova, non l'avevi ancora vista ed è bellissima. Sembra fatta d'aria. Sali sul treno della cumana e sei da loro. Per ventiquattrore sei lì, vi raccontate i rispettivi affondamenti, i desideri di fuga, scacciate la malinconia con il baccalà e il buon vino. Andate a passeggiare alle Terme di Baia, a guardare un fico che cresce a testa in giù tra le rovine di un'edificio romano. Poi corri di nuovo, questa volta superi ogni tuo record e salti sul treno mentre le porte si chiudono, non li avresti voluti lasciare.
Mentre torni la solita canzone ti suona in testa, la canti piano piano, ne richiami la malinconia e intanto speri che proprio quella malinconia che hai dentro muoia sui binari.


venerdì 8 gennaio 2010

Al rovescio

Ci sono tempi in cui stai di spalle alla vita. L'hai guardata bene negli occhi per un bel po' di tempo, vi siete fissate intensamente, come in quei duelli tra samurai in cui i combattenti si fissavano per mezza giornata e poi era un battito di ciglia a decidere chi aveva vinto o perso. Sei andata avanti così cercando di capire chi avrebbe abbassato gli occhi per prima. Hai fatto il samurai per anni. Una sera tornando a casa ti sei seduta sul divano, hai guardato bene il luogo, i mobili, gli oggetti, i quadri alle pareti, i vestiti che hai indosso. Cose ben note. Hai ripercorso i volti delle persone incontrate quel giorno, molti sono volti amatissimi e questo è bene, altri sono indifferenti e anche questo è bene, nessuno è un volto odiato e questo è molto bene. Hai pensato agli ultimi, faticosi, 5 anni e hai pianto un po'. Gioie, dolori, fatiche, la vita insomma. Ti sei alzata dal divano, hai deciso di non cenare, hai fatto un compito inchino da samurai alla vita, hai messo la katana nell'armadio e hai girato le spalle pensando "Che facciano un po' come gli pare, io sto qui se bussano apro, ma ora basta duelli." e finalmente, ascoltando solo il battito del cuore, hai preso sonno.


giovedì 31 dicembre 2009

Post di fine anno

Nell'augurare un meraviglioso 2010 a tutti, ma proprio tutti i frequentatori (fissi, occasionali e sporadicamente presenti) di codesto salotto-cortile-aia-vicolo-piazza-sgabuzzino virtuale, vorrei proporre un coretto di elevata moralità ed invocante alla buona sorte, un coro che esemplifichi la qualità suprema dell'anima nostra, del livello culturale sempre sopraffino, dello splendore illuminato del nostro intelletto:


duemilaenoveeeeeeee
duemilaenoveee

.... eeh ....
MA VAFFA...
(con gesto)


BUON 2010


martedì 29 dicembre 2009

Addestramento*



Il telefono squilla, è un apparecchio grigio a tastiera, sta lì accucciato sul ripiano basso della libreria bianca in camera della madre. Squilla e vibra, la madre non risponde. Lo guarda alzando appena gli occhi dal libro, lo osserva da sopra gli occhiali che ha lasciato scivolare verso la punta del naso. Il telefono smette di suonare, parte la segreteria telefonica, una voce d'uomo, ossequiosa, quasi untuosa "Signora, cara sono XXX la cerco da un po'... sa avrei davvero bisogno di parlarle, quando può con comodo mi richiami... care cose" . La madre riprende a leggere scuotendo la testa e le spalle come a liberarsi di qualcosa, solo dopo alcuni secondi si accorge della figlia adolescente che la guarda dal vano della porta. La sua sgraziata creatura, sovrappeso e tanto, troppo intelligente "Be' non ci volevo parlare" le dice e sul viso aristocratico le spunta un'espressione da monella, quell'espressione che la figlia conosce bene, quella "faccia da impunita" che lei non sa riprodurre e che trova assolutamente affascinante. "Sì mamma, ma quello chiama 15 volte al giorno e io ho finito il repertorio cazzate da raccontargli... magari potresti dirglielo che lo scarichi... no?" la madre riporta gli occhi al libro "uhm, no, poverino ci resterebbe male... tanto tu mi fai da filtro vero?" e la guarda di traverso con il suo sorriso bambinesco, la figlia sbuffa "mamma io non ne posso più di raccontare balle ai gatti bagnati che raccatti e poi scarichi!" si gira di scatto e va via.
"Non ne posso più di inventare fesserie per arginare gli impiastri che mamma scarica!" due ragazzine sedute sui gradini dell'ingresso. Una magrissima e scura, l'altra giunonica e con la pelle chiarissima. "la vedi come fa? prima accoglie casi umani assortiti, non si lascia nessuno in mezzo a una strada, dice lei" la ragazzona si scosta un ciuffo dei capelli disordinati dal viso, gli occhi rivolti al suolo "li rimette a posto e quando stanno in piedi da soli, li scarica... senza dirglielo però ... e io lì a raccontare cazzate spremendomi la testa e lavorando di fantasia!" la ragazzina magra ride "ma dai che ti sta addestrando a diventare una romanziera!" l'altra sorride e alza gli occhi da terra "ma ché! mi sta solo addestrando a diventare una vera bugiarda!" ridono insieme, cercano di dimenticare il loro stato di abbandono, di ragazzine che nessuno vede, passano ad altro, al ragazzo appena conosciuto, al motorino che sognano, parlano di libri, di amori immaginari, si immergono nei loro discorsi da adolescenti brutte e sole.

Sono passati anni da quei giorni sui gradini. La ragazzona è diventata una donna atletica, ha sempre la pelle chiarissima anche se è estate, non ha quel vestire aristocratico della madre, niente abiti firmati, solo coloratissime sete da bancarella. Oggi siede nello studio del suo professore, lavora ad una tesi di dottorato che sta prendendo una gran bella forma, piena di risultati originali e di idee nuove. Sia lei che il professore sono molto soddisfatti. Lei poi è al settimo cielo, ha da anni una cotta per quell'uomo di mezza età, gentile, sempre impeccabile, estremamente intelligente e sotto sotto, un po' stravagante. Per lui si getterebbe nel fuoco ed ogni sua parola di elogio la rende felice per giorni. E' anche questo, come quello per la madre, un suo amore senza speranza, ma non le importa, oggi è qui nel suo studio e può godersi almeno un'ora della compagnia del suo idolo. Certo non è facile, il telefono squilla spesso, la gente bussa ancor più spesso, tutti lo cercano il suo idolo, chi per un consiglio, chi per un semplice caffè, chi per rimproverargli questo o quello. E' un catalizzatore di guai e "gatti bagnati", di disgraziati e brillanti scienziati con turbe della personalità. Un accademico sui generis, uno che quando ci sarebbe da tirare il colpo di grazia si ferma, sospende, "poveraccio" o "poverina" dice "lasciamo perdere che sta già abbastanza male" e non affonda il coltello. Ha carisma il suo prof. e non sa dire di no. Lo cercano, lo cercano e lui da udienza a tutti o quasi. "Prof... così non la finiremo mai 'sta lettura della tesi... prof... c'è una scadenza molto molto vicina" mormora e lo guarda implorante. Lui le rivolge uno sguardo sperso... "lo so mannaggia! senti adesso stacco il telefono anzi i telefoni, spengo anche il cellulare, vedi? ..." dice chiudendo l'apparecchio e staccando il ricevitore del telefono fisso "e sono tutto per te" sorride un po' sornione e lei ha il solito tuffo al cuore "ma se bussano e entrano non so che fare, mica mi posso nascondere sotto la scrivania!" aggiunge il prof allargando le braccia "eh, mica sarebbe una cattiva idea... " sorride lei.
Lavorano, leggono, cambiano frasi aggiustando l'inglese, sistemano equazioni, immersi in quella bolla di complicità e piacere intellettuale. Bussano, colpi imperiosi, lo sanno entrambi di chi sono, si guardano per un istante e lui è già sparito. La porta si spalanca, il collega anziano entra con passo deciso. L'anziano professore è sempre imperioso, incede non cammina, grandi falcate sicure spostano il suo corpo massiccio, lui non entra in una stanza, no, lui fa un ingresso in palcoscenico, sempre. "Dov'è quel disgraziato del tuo tutor?" esclama stentoreo "lo so che era qui fino a poco fa!!" esplodono le sillabe a riempire l'aria. Lei alza gli occhi pieni di innocenza e fissa direttamente il decano, un effluvio di perfetto candore emana da tutta la sua persona "Mi spiace professore, ma il prof. non c'è, mi ha mollato qui ed è andato via di fretta... non so ha ricevuto una telefonata, credo fosse qualcuno di importante, sa, gli dava del lei... ecco mi ha detto di aspettarlo qui..." la voce le trema, gli occhi le sono diventanti due abissi, trasudano sconforto, anche la postura parla dell'abbandono subito, le spalle lasciate un po' cadenti, il collo leggermente piegato da un lato, la fronte corrugata. Il decano si ferma un po' sconcertato "Be' ... ehm digli che sono passato... ho urgenza di parlargli... e... insomma, digli che è un disgraziato!" bofonchia, si gira e se ne va.
Lentamente da sotto la scrivania il prof. riemerge, ha i capelli un po' scomposti, un'espressione tra il perplesso e il divertito "Certo che sei proprio brava a dir cazzate!" esclama piano, sia mai che il decano senta la sua voce ed irrompa di nuovo. "uhm prof.: sono stata molto ben addestrata." sorride lei guardando il suo idolo.

ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente strumentale alla costruzione del racconto di fantasia

*dedicato a chi ci si riconosce, caso mai dovesse passare di qui

lunedì 21 dicembre 2009

Solstizio

Seduta sul divano aspetti che ti passi il raffreddore, la tosse, qualche linea di febbre. Stai lì e per forza devi stare a casa. Un po' lavori, un po' cincischi su internet, un po' chiacchieri al telefono o su skype. Aspetti che i colpi di tosse si diradino, che magari fuori faccia meno freddo. Stai buona buona in una nicchia accoccolata al caldo. Ripercorri nei ricordi gli anni, cosa è successo questo giorno gli anni passati? Fai una lista di cose, intorno al solstizio d'inverno ne sono sempre capitate tante nella tua vita. Scorri i solstizi, ricordi, fai due conti e guardi con sollievo il calendario, presto saremo oltre. Tra poco le giornate ricominceranno ad allungarsi, tra poco comincerà a tornare quella strana sensazione di speranza che l'anno nuovo ti comunica. Sei asincrona, per te l'anno nuovo arriva al solstizio, entri nell'inverno e nel tempo nuovo. In quel giorno, da sempre, è come se ti accoccolassi sotto la neve, in una tana di marmotta, di solito ti metti in sospensione a raccogliere le forze. Immobile metabolizzi l'anno passato, lo accarezzi e lo coccoli, ne accogli le lacrime, ne abbracci i sorrisi, ti lasci avvolgere come un mantello dal tessuto fatto di attimi che hai costruito quest'anno. Quel tessuto forma un baccello, ti ci sdrai dentro, sei diventata un seme, lo sai, tra non molto arriverà il momento di cominciare a germogliare di nuovo.

venerdì 11 dicembre 2009

Pause

Capita di sedersi da una parte, di mettersi lì mentre dovresti essere altrove, dovresti dire-fare-pensare ad altro. Invece no, ti siedi, ti fermi e resti lì. Guardi la gente che passa, la signora con in una mano il guinzaglio del cane che la trascina e nell'altra i sacchetti per pulire dietro al cane. Il signore in giacca e cravatta con il chihuahua al guinzaglio, è alto, grande, quel signore, il cane sembra un incidente incongruente accanto a lui. Guardi i bambini che vanno a scuola, sono di venti paesi diversi e tutti si insultano in romanesco, si muovono a colpi di "aho" e "mo che voi da me". Hanno vestiti simili, ma ognuno riflette il luogo di origine familiare, un dettaglio, una luce negli occhi di un colore appena diverso.
Scorrono le auto, una dopo l'altra, a momenti ferme con i paraurti attaccati. Scorrono, con i passeggeri abbrutiti del mattino, pieni di auricolari e parole che puoi solo intuire. Vanno. Dove vanno? Su qualcuno ti viene su una storia. Quella donna giovane e bella, perfettamente truccata, perfettamente vestita, parla concitata al telefono, la bocca le si piega in un pianto trattenuto. E tu immagini una conversazione d'amore, un dialogo con un uomo che non è il legittimo compagno, che esiste, perché lei ha un anello da moglie al dito dal quale il sole ha appena tratto un riflesso. Parla nel traffico fermo e una lacrima le riga una guancia mentre chiude il telefono. Forse lui è stanco di aspettare una sua decisione. Così la testa va alle decisioni che tu dovresti prendere, quelle che non vogliono essere prese, quelle che sai che dovrai prendere se vuoi ritrovare un sorriso. Quelle decisioni che solo nelle pause ti permetti di pensare, quelle cose che, se tanto non le decidi, poi si decidono da sole, quando meno te lo aspetti.
Sei in pausa, il fare non è di adesso, solo l'osservare appartiene all'istante. Passa il tram, passa l'autobus, il traffico si dirada e sei in ritardo, te che sei sempre puntuale, te che non vuoi mai perdere un colpo. Oggi perdi, oggi sei in pausa, oggi al diavolo il mondo, tu sei seduta lì e il resto non conta.

domenica 6 dicembre 2009

Periodi

In uno di quei biscotti della fortuna che ti danno ai ristoranti cinesi, una volta mi è capitata una frase che non ho mai più scordato: "Non è la mancanza di ricchezza ad essere dolorosa, lo è la mancanza di condivisione". E' in nome di quel biscotto che scrivo.

E' questo un periodo, di caos interiore. Le parole non sgorgano ordinate perché non vi è ordine alcuno. Non esistono isole stabili, punti fermi o ciambelle di salvataggio. L'anima vortica in un caos vagamente lisergico e le parole la seguono. Un periodo in cui il mio senso di estraneamento al mondo che mi circonda è sempre più forte. Vivendo sola, poi, non ho modo la sera, quando il ritmo si quieta e il fiume della giornata scorre placido, di vivere un momento di confronto che, potrebbe, ricondurmi negli argini del "normale". La sera torno a casa, dopo una giornata intensa, mi guardo intorno e c'è solo il rumore del tram. Anche la sera, come la giornata, diventa autoreferenziale. Detta altrimenti: te la canti e te la suoni tutta per conto tuo.
E' questo il pericolo maggiore della solitudine. Quel cantare e suonare dentro una sola testa, senza mai uscire fuori nel mondo reale, senza quel confronto quotidiano con qualcuno che ti riporta nei limiti. Ascolti solo una campana, una sola versione di ogni storia: la tua.
Va be' dirà qualcuno, ma durante il giorno passi un sacco di tempo in mezzo alla gente, a parlare, interagire, fare. Questo è quel che succede sul lavoro. Ma là non è mai un interagire rilassato. Non esiste un ambiente di lavoro in cui puoi serenamente dire quello che pensi, in cui puoi liberamente essere te stessa. Se così fosse avrei forse messo la mia foto e il mio nome su questo blog. No sul lavoro indossi l'abito da lavoro e fai le tue cazzate in versione specifica ed adatta al luogo. Ci passi spesso ben più di otto ore in quel luogo del fare. Quel che resta del giorno è pieno dei piccoli doveri della sopravvivenza: fare la spesa, pagare conti, sistemare cose. Restano una manciata di ore che sono tue, che dovrebbero servirti a riconquistare la sanità mentale. E allora te le inventi tutte, dal comprarti la moto nuova, all'andare in palestra, al porgere la spalla a chi è nei guai.... In cambio hai spesso grandi dichiarazioni di amore, di stima e affetto. Eppure quell'assenza di condivisione quotidiana resta. Ogni giorno ti alzi e dici: passerà, è solo un periodo un po' di merda. Riparti e continui inventando schemi nuovi, ristrutturando o elminando i vecchi. Ti senti come se camminassi sulla gomma piuma, con un vago ma persistente senso di irrealtà. A pensarci bene, questo è un periodo in cui mi sembra di essere ad una di quelle serate mondane, anche piuttosto trendy e fighette, in cui vaghi con un bicchiere in mano scambiando poche parole qua e là, in cui ti si fanno e fai complimenti, in cui hai l'aria di avere uno scopo, di star magari cercando qualcuno o che qualcuno ti cerchi per dirti qualcosa di rilevante, in cui, però, dentro di te, passi il tempo a chiederti: ma che sto facendo io qui?


Nuvole... Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole... Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
(Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine")

lunedì 23 novembre 2009

Tempesta?

Certi giorni ti senti così, come un cielo in tempesta. L'anima in subbuglio, i pensieri che si addensano neri e si raggrumano in crocchi rabbiosi, un parlottio concitato invade ogni angolo della mente e potresti prendere a schiaffi chiunque. No non chiunque, ma coloro che vagano per la vita come se in fondo ciò che accade non fosse affar loro. Non parlo di monaci zen che hanno raggiunto l'illuminato distacco dal mondo, non parlo di gente che è nel mondo ma non appartiene ad esso No, parlo di quella immensa carrettata di imbecilli che continuano a guardare solo i propri calli quando una nave sta affondando. Coloro che hanno del mondo una visione così ristretta ai soli personalissimi interessi che, dopo 10 minuti che ci parli, ti viene la claustrofobia, ti si raggrinziscono i neuroni e ti sale la nausea. Ti prende un attacco di pessimismo universale, smetti di proferire verbo, taci, guardi e mentre loro parlano, quei due neuroni ancora vivi, cominciano a cercare le indicazioni per le scialuppe di salvataggio. Alzi gli occhi e vedi la stanchezza immensa che ha invaso la faccia di un altro, quell'altro che sa che c'è una falla grossa come una casa, che ha capito che abbiamo preso l'iceberg. Allora vorresti la bacchetta magica, non per salvare la nave, no, solo per trovarti altrove, velocemente ed evitare di vomitare in pubblico. Ecco magari inviteresti pure quell'altro, non foss'altro perché si merita una vacanza.
Ecco mi sa che ultimamente ho passato troppo tempo dentro a riunioni di lavoro....

martedì 20 ottobre 2009

Faticosamente procedere


E' un po' che corro dietro a me stessa. Non con la solita modalità del frullatore, piuttosto direi con quella del trattore. Pot pot, il motore gira senza interruzione, pot pot pot aro campi e trasporto concime. Salgo per valli e fossi, mi arrampico qui, mi trascino dietro qualcosa lì. Fondamentalmente lavoro come una bestia meccanica senza soste. Trovo questo meglio del frullatore, in fondo così, almeno, non mi sento in balia degli eventi. Non mi sento trascinata via, anzi mi sento di essere io, in parte, motore della corrente. In questi giorni la testa funziona bene, la luce della stanza dell'anima è più forte, ci si vede meglio. Le atmosfere interiori più quiete, sorrido di più e sopratutto, ho trovato un paio di intorcinamenti matematico-cerebrali che mi appassionano. Be' non intendo illustrarli in dettaglio che se no anche i miei 4-5 lettori abituali non tornano più, però vorrei dire che sono begli intorcinamenti e li preferisco a quelli del cuore-anima-budella che ultimamente mi davano abbastanza fastidio. Però non riesco a fare a meno di lasciar emergere la mia anima nerd e andare di poetica matematica.

Esistono funzioni matematiche che mi sono simpatiche, una è il logaritmo. Già vedo la perplessità sorgere al fondo dell'occhio di chi legge, da un lato c'è chi non si ricorda assolutamente cosa sia un logaritmo, dall'altro chi se lo ricorda è veramente perplesso, cosa ha mai 'sta funzione di bello? simpatico poi.... Un attimo che spiego. Quando cominci a studiare matematica un po' seriamente, ti raccontano prima di tutto le cose più semplici, le proprietà di base delle funzioni, non so, come cresce o decresce il loro valore, se si comportano "bene" secondo un insieme di regole e così via. La funzione log(x) si comporta abbastanza bene, è regolare, un tipo tranquillo, senza salti o grilli per la testa. E' una funzione crescente di x, il che vuol dire che cresce x e cresce pure il valore di log, solo che, ecco, il log(x) è una delle funzioni che crescono più lentamente tra quelle "regolari". Va piano, non si agita, non corre, ma costantemente, al crescere di x cresce, piano piano. Queste sue qualità di tranquillità e regolarità mi hanno sempre attratto. Nella mia testa poi si formano come sempre immagini e rappresentazioni umane dell'universo formale, in questo periodo cerco, immagino, una funzione che descriva me e il mio livello di equilibrio e saggezza al crescere di x=anni di età. Mi piacerebbe tanto che fosse almeno Farlocca(x)=log(x).

mercoledì 7 ottobre 2009

L'acchiappa farfalle

Tra un notturno e l'altro dell'anima, tra un momento autunnale in cui le foglie cadono nell'anima e un attimo di luce radiante come solo l'ottobre romano sa dare, sorge una sensazione forte, una presa di coscienza impellente, un sentire con ogni fibra del proprio essere così intenso che quasi devasta. Mi sento cretina. Sì non solo farlocca, ma proprio cretina. Vi capita mai, mie cari 4 lettori, di agire, pensare, realizzare comportamenti in cui anni e anni di vita, esperienza, saggezza (e chi più ne ha ne metta), svaniscono come per incanto? Come se voi foste ancora una sorta di virgulti tra l'infanzia e l'adolescenza non ancora sbocciati? A me capita e quando capita, appena me ne accorgo, mi sento una perfetta deficiente. Mi dico "ma come sei lì che parli di frattali esistenziali, di coazioni a ripetere, di evoluzione e poi... ma cazzo, guardati!". Do la testa nel muro. Continuo "Ecco, subumana che non sei altro, che non lo sai che ci sono cose, persone e situazioni che ti destabilizzano? che in questi casi devi stare attenta a quel che fai? e smettila di fare il generatore frattale, porco qui e porco lì!!!!" Il turpiloquio nasce spontaneo. Gli insulti non finiscono qui, gli episodi da perfetta cretina inducono una severa critica, evocano una definizione di me che posso riassumere solo con il titolo del post: mi sento un'acchiappa farfalle. Una specie di futile, farlocchissimo, personaggio che insegue il proprio sentire con un retino, per altro a maglie troppo larghe, dal quale le farfalle scappano che è una bellezza.
Capisco che ora all'esiguo ma degno pubblico sorga spontanea una domanda: ma che cacchio hai fatto mai? Semplice, ho ri-perso le chiavi dello scooter.

sabato 3 ottobre 2009

Quel che resta


"E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure..." cantava De Gregori quando ero ragazzina. Questa frase continua a tornarmi in mente negli anni, ogni volta che volto una pagina, o che cerco di farlo, risuona, Rimmel diventa la colonna sonora, quasi il tormentone, delle mie fasi di transizione. Qualcosa rimane. Ho sacchi da immondizia condominale di quei qualcosa, un mare di coriandoli che descrive una vita. Alcuni leggeri come un soffione, altri pesanti come piombo.
Ogni tanto mi fermo, apro i cassetti della memoria e mi chiedo se vale la pena tenerli tutti quei ritagli-ricordi, se è mai possibile da quei frammenti costruire un quadro unico, una sintesi che descriva il tempo trascorso e quello che va. Come sintetizzare una vita che scorre? Non ha senso una media, tutto è troppo variabile, troppi picchi in alto e in basso, troppi salti in tutte le direzioni. Un disegno forse, magari di una traiettoria di un processo stocastico? oppure un algoritmo? Guardo meglio quel che ho tra le mani, quei frammenti, forse senza uno schema, non so come raccontarmeli. Somigliano ad una costa scogliosa, pieni di anfratti, rientranze, baie improvvise, dirupi e abissi, vette ripidissime e pozzi di buio.
Guardo e ancora guardo, lentamente, come per caso, comincio a vedere qualcosa. Esistono delle regolarità, delle similitudini impressionanti tra un frammento e l'altro. Esistono coazioni a ripetere, schemi sempre uguali, esistono tentativi di abbandono di questi schemi, magari li ho modificati un po' nella dimensione e nel colore. Eppure sempre internamente a quelli mi muovo, sempre la stessa forma, sempre lo stesso, in fondo noiosissimo, disegno. Guardo ancora e vedo che al centro c'è il mio inizio, poi un elemento alla volta, un frammento ogni giorno, nel tempo, negli anni, si delinea qualcosa di riconoscibile, ma non nel mondo ordinario, bisogna uscire fuori dalle geometrie usuali, fuori dal televisore-schermo di tutti i giorni (euclideo e bi-dimensionale). Di colpo, tutta quell'immondizia caotica prende una forma nella mia testa, finalmente è rappresentabile. Ora lo so, la mia vita è un frattale.


presa da qui