« Perdi due, tre anni su un’idea, non ci riesci a farla, prendi un’altra idea, ci stai due, tre anni, non riesci a realizzare nemmeno questa, e così via, ed è così che passano quindici anni.»
Claudio Caligari
Senza farlo apposta, ci si ricollega al post precedente riguardante la polemica su Muccino e il suo giudizio nei riguardi di Pasolini. Ci sono personaggi mediocri (di cui si farebbe tranquillamente a meno) che hanno girato decine di film, mentre uno come Claudio Caligari è riuscito a completarne appena tre in una vita. L'ultimo, grazie soprattutto a Valerio Mastandrea.
Ieri sera finalmente sono andato a vedere il film che rappresenterà l'Italia agli Oscar. Un titolo che sembra una raccomandazione per un'opera che è una lezione di cinema e di onestà intellettuale.
Un metodo che parte da lontano, proprio da intellettuali come Pasolini, di cui il regista era un grande ammiratore, con uno uno stile che fa riferimento a modelli alti come
Mean Streets di
Martin Scorsese,
citato esplicitamente da Calegari.
Ancora in fase di realizzazione Mastandrea aveva anche scritto
una lettera appello al regista americano per chiedere una mano, perché la mancanza di fondi stava facendo naufragare il progetto. Nonostante l'assenza di una risposta, la situazione si è poi sbloccata e il film è stato presentato fuori concorso a Venezia.
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Anche in questa sua terza opera lo sguardo è focalizzato su quelle periferie dove le prospettive di un futuro minimamente dignitoso sono destinate a fallire. Il punto di partenza è la Ostia del 1995, anno sicuramente scelto non a caso, in quanto confine temporale del passaggio definitivo dall'eroina alla cocaina e alle droghe sintetiche. Due ragazzi, cresciuti come fratelli, affrontano la vita d'istinto arrangiandosi tra piccoli furti e spaccio muovendosi dal bar alla spiaggia, ai locali di quartiere. Non racconto altro della trama, ma sappiate che siamo di fronte ad un'opera viscerale e potente: un romanzo popolare che ha qualcosa di raro e che piano piano ti scava dentro lasciando un nodo in gola e la sensazione finale di trovarsi di fronte ad un cinema purtroppo ormai in via d'estinzione.
Mostruosi i due protagonisti.
Luca Martinelli, personaggio da fumetto divenuto carne e sangue: una sorta di Zanardi di Andrea Pazienza in versione borgatara; nervosissimo e schizzato.
Alessandro Borghi, già visto in Suburra, anche lui in un'interpretazione memorabile.
La declinazione dell’amore è sempre presente nel film e, come sempre, i personaggi che lo animano non vengono mai giudicati. Perché, in fondo, Non essere cattivo racconta una grande storia d’amicizia: Claudio ha voluto ancora una volta raccontare una storia piccola, un’amicizia sullo sfondo di un contesto sociale che ti stritola.
Giordano Meacci, cosceneggiatore