mercoledì 4 luglio 2018
Colazione con Hegel
Il mondo ci si dispone continuamente davanti in “pacchetti significativi”. I nostri apparati di ricezione e di codificazione a un certo punto isolano un gruppo di stimoli che solleticano lo spirito interpretativo, e da lì nasce una “conformazione degna di nota”.
Uso questo termine, “conformazione”, in una maniera del tutto specifica e naif-artigianale, inventata da me per l'occasione: ossia lo intendo come sintesi di “contenuto” e “forma”.
In questa foto, c'è una tazza di infuso che mi volevo bere. Scottava un po’ e allora l’ho posata qualche momento sul davanzale perché si raffreddasse. M'è caduto l'occhio un istante e l'insieme sembrava raccontarmi qualcosa.
Non so bene cosa, ma non mi lasciava indifferente. Un gioco di simmetrie, il riflesso della tenda nel liquido, il tondo della tazza, e così via. Chi lo sa cos'era. Fatto sta che mi parlava di un senso possibile (degno di una foto, tra l'altro).
In tali “conformazioni” incappiamo di continuo. Non è sempre necessariamente un qualcosa di visivo. Può trattarsi di un’idea, di un suono, di un profumo, di un pensiero. Il passaggio cruciale sta nel riconoscere un contenuto veicolato da una forma.
Queste conformazioni esistono nella realtà esterna indipendentemente dal nostro percepirle?
Oppure scaturiscono esclusivamente dal pensare che ne facciamo?
Oppure ancora, esistono in una non meglio precisata “dimensione eterna dello spirito”, al di là del fatto che un uomo le abbia mai concepite, e al di là di qualsiasi loro verificarsi in una realtà effettiva?
In altre parole, “due piu due” avrebbe sempre fatto quattro, anche se nessuna mente umana se ne fosse mai accorta e se la cosa non si fosse mai concretizzata in nessun fenomeno reale?
Ho preso in mano la tazza, mi ci sono riflesso un attimo e poi ho bevuto l'infuso ormai gradevolmente tiepido. E nel dolce gustino assaporato, c’era la risposta: sì, “due più due” avrebbe fatto sempre quattro, anche se l’uomo non l’avesse mai saputo; anche se due pianeti vicini non avessero avuto ciascuno un suo satellite.
Anche se non avessi mai posato quella tazza sul davanzale.
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