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giovedì 15 luglio 2010

Sulle strade che solo loro sanno fare


Certe volte verso sera, davanti a casa, vedo passare due donne.
Non ci sarebbe nulla di eccezionale in questo. Se non forse il dettaglio che passano sempre a piedi, e so per certo che il loro tragitto non è limitato a pochi metri, ma sicuramente si dilunga di parecchio prima che la meta venga raggiunta.

Ormai nelle nostre campagne chi si sposta per necessità e lo fa con mezzi umili (la bici o anche solo semplicemente sui propri piedi), è quasi sicuramente uno straniero. Altro conto sono i cicloamatori, i pedalanti della domenica (come me…) o i podisti ipercalorici che devono smaltire la tara accumulata ingozzandosi dallo stress di non riuscire ad arrivare alla fine del mese.
Gli stranieri si spostano invece perché ne hanno bisogno e per loro, vista l’indisponibilità di mezzi, le strade misurano ancora come nell’Ottocento, o tutt’al più come ai primi del Novecento.

Sono due donne che vedo passare, più precisamente una vecchia e una ragazzina. Immagino siano nonna e nipote. Un dettaglio s’impone subito: sono molto belle. Non belle nel modo superficiale col quale usate dire “voi, gente di oggi”(*). Ho detto dettaglio non per caso, infatti. Posseggono una bellezza talmente armoniosa e modellata sui loro corpi, che risulta eccezionale e scontata ad un tempo, talmente è naturale.
Son belle per davvero, insomma. Sono donne.
E sono indiane, ciascuna una sorta di personificazione archetipica dell’età di donna che stanno attraversando.
La vecchia (potrei dire “anziana”, se non fosse sempre roba da lasciare alla “gente di oggi”) avanza in una melodia di gesti che è eleganza pura. Indossa un abito tipico indiano. Non propriamente un “sari”. Qualcosa di simile, meno vistoso, ma pur sempre puntualmente evocatore delle atmosfere della sua remotissima ed immensa terra.
Potrebbe tuttavia vestire anche una pelliccia, un tailleur, un barracano, jeans e maglietta, o essere addirittura nuda: nessuna specificazione esteriore sarebbe in grado di distogliere l’attenzione dalla classe, dalla grazia, che dalla sua persona si diffondono.
Il viso è plasmato di “terra non cotta”, la chioma fluisce abbondante di grigi argentei e cupi, in un piacevole bisticcio fra le pretese accampate dalla senescenza e le rivendicazioni mai smesse di una gioventù che ancora seguita ad albeggiare, se mi si passa la sub-continentale suggestione un po’ facile, fra i meandri frondosi del suo animo ancora in verde ed oscuro rigoglio.

Un gioco molto simile fra le età, rifulge anche nel sembiante d’ebano e avorio della nipotina. Laddove la nonna dichiarava la propria fanciullezza mai sopita, qui è invece una maturità di portamento e movenze ad imporsi nella sua semplicità più compiuta.
E’ la pigmentazione scura ovviamente ad imporsi anche su di lei, in tutte le sue declinazioni cutanee e corporali. Ma per la magia nascosta nella profondità più densa di tutto il mistero in cui si cala questa femminea accoppiata, sono certo che nemmeno dal viso della più candida e graziosa fanciulla svedese potrebbe scaturire una simile radiosa luminosità.

Non vi so spiegare bene come, ma dal modo in cui la ragazzina si muove si vede che vuole bene alla nonna. Sembra di vederla intenta a prendere lezioni di cammino. La nonna fende l'aria con la propria eleganza, lasciandosi dietro una duplice ondata di avvenenza senza tempo, e la nipotina pare annusare quell’aroma motorio infondendolo direttamente nei gesti del suo muoversi.

In un attacco di egocentrismo leggermente irrispettoso, mi ritrovo a pensare che doveva venire la globalizzazione per far sì che un pigro stanziale, inchiodato alla sua terra piccola come una cozza al suo scoglio, potesse sapere direttamente qualcosa delle genti del mondo.

Non sono certo famoso per il mio spiccato fiuto da segugio della “realpolitik”, ma anche ad un pensatore bizzarro e stralunato quale io sono non sfugge la complessità del tema dei migranti planetari. E’ forse la questione più grande, complessa e cruciale che il “secolo breve” abbia lasciato in eredità a questo secolo ancora molto bambino.

Però per quei pochi attimi leggiadri di passaggio delle mie due piccole, personali, dee indiane, non ci voglio pensare. Lascio ai miei pensieri solo immagini belle, come l’idea che una nonna e una nipotina si vogliono bene al mondo tutte allo stesso modo, e che un grande fiume è pur sempre un grande fiume, nella lontana ed esoterica India così come nella sudaticcia Bassa padana.
E in tutti i posti del mondo si ritorna a casa, alla fine della giornata, sia che lo si faccia su quattro ruote veloci, sia su quattro piedi che posandosi per terra parlano parole di poesia e speranza.

*******

(*) = trattasi di espressione generica, di un "voi ipotetico", ovviamente non rivolto ai cari amici viandanti per pensieri, ma largamente spalmato sulla massa eterogenea ed informe di coloro che non sanno "pensare con l'anima".



venerdì 2 gennaio 2009

Elogio della femminea differenzialità

(Fotomontaggio di Gillipixel - Con opera di Rabarama)

Le bruttine mi sono sempre piaciute di più.
Non le brutte, no. Neanche il termine "bruttina" rende tanto l'idea, non è preciso ed è ingeneroso. Che poi, pure quando si dice "brutto" a qualcuno, si compie un atto di odiosa presunzione, perchè comporta l'arrogarsi un diritto di giudicare che forse non compete a nessuno.
E non voglio nemmeno sembrare indelicato toccando temi piuttosto sottili. Sentirsi fisicamente "inadeguati" a volte è un grosso problema, con implicazioni psicologiche serie, e non voglio minimamente che si pensi che sto trattando questo argomento con leggerezza o con ironie fuori luogo.
Non bruttine dunque. Ma non so, non saprei usare una parola più adatta.
Allora, facciamo così: fate conto che non ho ancora scritto nulla, e ricomincio.
Le donne particolari mi sono sempre piaciute di più.
Quelle incasellate negli stereotipi alla moda, quelle catalogate nelle loro fattezze dai canoni ufficiali, mi sembrano proprio le meno interessanti, le meno attraenti e più banali che si possano immaginare.
Le top model ad esempio, le strabellone da copertina, non mi piacciono per nulla ("...seeeehhhh...", sento già in sottofondo il coro di scherno beffardo del goliardico mio lettore...).
Non so come farmi capire meglio. E' chiaro che su una Naomi Campbell (o chi per lei) non ci sputerei su. Mica c'ho scritto "Jo Condor" (...mitico carosello dei bei tempi...).
Ma quello che voglio dire è che, se ci pensate un attimo, non c'è nulla di più odioso di farsi dire quello che ci deve piacere. Perchè è un po' questo ciò che accade con tutto il gran trabiccolo mediatico: ti dicono loro quello che ti deve piacere.
E per di più, quello che ci deve piacere deve essere pure tutto bello standardizzato e uniformato su quattro ingredienti quattro, e fatteli bastare, zitto e mosca. E 90-60-90, e il nasino all'insù, e il vitino da vespa, e tutte 'ste menate.
La cosa, nella migliore delle ipotesi, mi lascia perplesso. Nei casi più eclatanti, mi fa pure incazzare. Ma come? In questo modo mi sento trattato come un idiota. Lo saprò ben io quello che mi piace, o no?
Quando una donna mi piace e mi attrae, questo succede grazie ad una sua particolarità, e non perchè è la copia fatta con lo stampino di un modello voluto da altri.
A parte il fatto che non succederà mai e poi mai, nemmeno per sbaglio, che un essere femminile anche vagamente somigliante ad una modella si possa avvicinare a me a meno della distanza di 500 km., non è questo il punto.
Il punto è che la bellezza di una donna sta in quello che di unico lei ti può dare. Possono essere anche i fianchi un po' forti, o una leggera pinguedine, il modo di fare un certo gesto, di sorridere, oppure una qualche asimmetria affascinante del viso, un naso un po' più lungo e dalla foggia particolare, e così via. Non saprei dire ora cosa può essere: si tratta sempre di un'alchimia delicata fra mille fattori, fisici e spirituali.
Ma in ciascuna, ciò che fa la differenza è quel "quid" che la rende unica, e non quel "quod" che la uniforma (...tanto per bistrattare un po' il latino a mio uso e consumo...).
La differenza è simile a quella che passa fra una vacanza organizzata in un villaggio turistico, con ogni tuo minuto di soggiorno prestudiato, preconfezionato e "pre-divertito", ed invece un viaggio alla ventura nel quale ti fai tu il tuo itinerario, scegli tu le stradine e gli angoli della città che più ti affascinano, ti attraggono, ti chiamano a sè.
Va beh, ci sentiamo ragazzi...stavolta sono andato per pensieri un po' contorti, ma ormai mi conoscete e ci siete abituati... Ciao.

Ah, e non state in pensiero: nemmeno stasera Naomi Campbell mi ha chiamato per invitarmi a cena....