Visualizzazione post con etichetta Le muse di Kika van per pensieri. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Le muse di Kika van per pensieri. Mostra tutti i post

venerdì 24 giugno 2016

Le muse di Kika van per pensieri: Eugenio De Blaas (1843-1931) – “L’acquaiola” (1908)


Per questa nuova puntata della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”, Kika ci ripropone ancora un’opera del pittore visto la scorsa settimana, Eugene De Blaas. Parliamo oggi del dipinto intitolato “L’acquaiola”, del 1908.

Lascio da parte eventuali considerazioni critiche (che vista l’importanza relativa di questo autore, non darebbero adito a grandi discorsi e disamine), e mi affido ancora al metodo di analisi più diretto e spontaneo, ossia la pura osservazione, lasciando spazio alle impressioni immediate.

Come già successo con le due leggiadre raccoglitrici di conchiglie, anche in questo caso s’impone subito il dato della fascinazione femminile. Se dovessi dare una definizione di quest’opera, direi che si tratta di un “quadro tattile”. Tanti sono gli elementi, infatti, utilizzati come “dispositivi” visivi, atti a sollecitare sensazioni di contatto fisico. La variazione delle superfici è molto ricco: dal liscio traslucido del paiolo di rame e della brocca di vetro, alla scabrosità a tratti incisa nel profondo del muretto; dalla levigatezza dei piani (di pietra o marmo) sui quali la ragazza poggia i piedi e le braccia, alla “ondosità” del panneggio della veste. 

Ma poi, sono proprio i punti di contatto del corpo della deliziosa procacciatrice d’acqua, con il suolo e col muretto, che sembrano esaltati dalla composizione. Le braccia e i piedi nudi posati sul selciato e sul parapetto, la languida posa delle mani, abbandonate mollemente, lo sguardo sornione e un po’ sfacciato, gli occhi socchiusi con sufficienza: sono tutti elementi che contribuiscono alla sensualità generale della scena. Tutti questi elementi, ovviamente, sono i pregi, ma anche i limiti dell’opera, che denuncia in questo modo un’eccessiva ricerca dell’effetto fine a se stesso.

Nella mia indagine da detective fisiognomico, ho scovato tre volti. Le somiglianze sono un po’ vaghe, ma tutte messe insieme, hanno il loro perché.

Ecco il primo volto:


Si tratta di una donna di spettacolo, presentatrice televisiva di diverse trasmissioni di alcuni anni fa: Melba Ruffo.

A seguire, ecco la seconda somiglianza:


Questa è la fascinosa attrice napoletana Luisa Ranieri.
E infine, chiudo con l’ultimo volto, già protagonista di altre puntate, ma che mi sembrava adatto anche per l’attuale soggetto:


E’ ancora un’attrice, stavolta l’americana Mary Louise Parker.

Si conclude così questa puntata express della nostra rubrichetta. E ora sul blog di Kika, possiamo andare a scoprire come la nostra maghetta della moda ha rivestito la conturbante acquaiola di De Blaas.

venerdì 17 giugno 2016

Le muse di Kika van per pensieri: Eugenio De Blaas (1843-1931)


Torna la rubrica “Le muse di Kika van per pensieri”, oggi con un artista non molto noto, ma non per questo privo di una certa carica suggestiva. Stiamo parlando di Eugenio De Blaas (Albano Laziale, 1843 - Venezia, 1931), un pittore di origini austriache, naturalizzato italiano, che sviluppò gran parte della sua attività artistica nell’area del triveneto, in particolare anche con l’impegno come insegnante all’Accademia di Venezia.


L’opera di Eugenio De Blaas scelta da Kika si intitola “Raccolta di conchiglie”. Riguardo a questo quadro, non c’è molto da dire. Non perché privo di una sua dose di maestria e abilità tecnica, ma per il fatto che si colloca nella tradizione ottocentesca senza particolari guizzi innovativi.


Appunto perché c’è poco da dire “a parole”, voglio fare allora una riflessione riguardante ciò che le opere d’arte possono dire in autonomia, forti soltanto dei loro “mezzi” espressivi, ossia facendo leva solo sul proprio “parlare figurativo”. E lo farò riportando una piccola esperienza personale riguardante proprio questo quadro di Eugenio De Blaas.


Quando Kika mi ha comunicato di aver scelto l’opera di De Blaas, non sapevo nulla di questo autore, di che epoca fosse, di che nazione, ecc.: niente di niente. Come prima semplicissima cosa, privo di ogni riferimento storico, non ho fatto altro che osservare la foto del quadro. Quasi senza pensarci, ho capito subito che si trattava di un pittore dell’Ottocento, più precisamente del testimone di una certa tradizione accademica ottocentesca.


Racconto questo, non per millantare chissà quale esperienza visiva o sensibilità estetica. Lo scopo è invece ribadire un concetto già altre volte rimarcato: la storia dell’arte è la secolare vicenda di un lungo “discorso”, parlato per immagini. Ogni artista si inserisce con parole proprie nella grande “discussione” generale. E questo è già straordinario di per sé, ma la cosa ancor più esaltante è che ogni osservatore, appassionato, studioso, cultore, ammiratore (e così via) può apprendere l’«alfabeto» del linguaggio usato per parlare in quella grande “discussione”, e avere un’idea del punto storico in cui si può collocare grosso modo un’opera (ossia, sapere in quale parte della “discussione” in svolgimento egli si trova come osservatore).

Certo, il caso di Eugenio De Blaas non era uno dei più impegnativi, ma è bello notare tutta una serie di influenze tipiche della sua epoca: nelle sue due raccoglitrici di conchiglie c’è tanto Ingres, Millet, Courbet, c’è una certa luce che è stata così solo dai “macchiaioli” in poi, e andando leggermente più a ritroso, ci sono persino tracce di Delacroix e David. Insomma, chi si appassiona d’arte, ha la possibilità di esser parte di una bellissima e lunga storia, e anche se non è dato a tutti di intervenire direttamente nel “discorso”, se ne possono condividere le emozioni e la bellezza. Il compito che spetta, per questo scopo, è anche molto gradevole: bisogna osservare tante opere, acquisire familiarità con il loro dire, assimilarne i vocaboli visivi, entrare nella loro logica espressiva.

Prima di passare agli esiti dell’indagine fisiognomica di oggi, solo due impressioni personali suscitate dalla semplice osservazione del quadro. Ciò che mi piace in particolare di questo dipinto è il gentile dinamismo innescato intorno alla piccola cascata di conchiglie nel cesto. E’ un moto che parte dagli sguardi abbassati delle due ragazze, si dipana nelle diverse posizioni delle loro braccia e si risolve nel delicato scroscio finale dentro il cestino. Un tipo di composizione rassicurante, non “problematizzante”, non sufficiente a far annoverare l’opera tra i capisaldi della storia dell’arte, ma di sicuro effetto e pregio.

E ora, la ricerca di somiglianze: ho trovato due possibili volti, assimilabili alla ragazza in piedi, e due per la ragazza che versa le conchiglie. Come sempre, si tratta di fisionomie vagamente “evocanti”, più che di vere e proprie sosia. Ma passiamo a vederle.

Ecco il primo volto:


Piuttosto a sorpresa, abbiamo un personaggio molto noto, ma che magari non ci si aspetterebbe di “ritrovare” in quadro dell’Ottocento: l’attrice americana Catherine Zeta Jones.

A seguire, una somiglianza più “classica” e in tono con l’epoca del quadro:

Questa è la grande musa dannunziana per eccellenza, l’attrice Eleonora Duse (1858-1924).
Passando poi alla ragazza accoccolata sul cestino, ecco il terzo volto:


Ancora una certa sintonia cronologica, questa volta con la scrittrice Sibilla Aleramo (1876-1960), il cui romanzo più famoso, “Una donna” (1906), è ricordato come una delle prime opere anticipatrici delle tematiche dell’emancipazione femminile.

Concludiamo con l’ultimo volto:


Anche qui ritroviamo atmosfere piuttosto “retrò”, anche se si tratta di una donna di pieno Novecento: è l’attrice teatrale Marta Abba (1900-1988), nota soprattutto per il sodalizio artistico stretto col grande Luigi Pirandello.

E anche per questa puntata della rubrichetta è tutto, amici. Ora Kika ci aspetta come sempre sul suo blog, con nuove imperdibili magie artistico-modaiole, create attorno alle suggestioni del dipinto di oggi. Buona visione, direttamente sul blog “Le muse di Kika”.

venerdì 10 giugno 2016

Le muse di Kika van per pensieri: Sandro Botticelli (1445 – 1510)


Per la rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”, parliamo oggi di un grandissimo (sottolineato tre volte) autore del ‘400, Sandro Botticelli (1445 – 1510). In particolare, Kika ha scelto un’opera che definire famosa è dire poco: La nascita di Venere (1485).

Per parlare di Botticelli, dovremmo avere davanti a noi due o tre settimane di tempo, e forse sarebbero poche. Mi limiterò dunque a dire due modeste cosette, come posso, sempre con estremo rispetto per questo immenso argomento.

Un’osservazione veloce che si può fare, e che al tempo stesso trovo molto interessante, nasce da un ipotetico raffronto dell’opera di Botticelli con l’arte moderna. Più precisamente, mi rifaccio a un “meccanismo argomentativo” proprio terra terra. Riguardo all’arte moderna, si sentono infatti spesso lamentele di varia natura circa la sua presunta incomprensibilità da una parte, o eccessiva linearità dall’altra. “…Che cosa voleva dire l’artista, ma cosa significano questi quattro segni in croce?...”; oppure: “…Ero capace anche io di farla, quest’opera!...Per scarabocchiare righe e macchie a caso…”, e così via.

Per contro, l’arte del passato è spesso definita genericamente “bella”, “chiara” e accessibile nei suoi significati, senza preoccuparsi se alla fine si sia trattato più di una vera “comprensione”, oppure di pura suggestione.

In questo senso, le opere di Botticelli (e “La nascita di Venere in particolare”) sono emblematiche. Genericamente e superficialmente parlando, esse vengono apprezzate per il loro modo armonioso di porsi allo spettatore, e soprattutto per il “realismo” col quale si esprimono. Non c’è nulla di più sbagliato di una simile interpretazione. 

L’intento artistico di Botticelli era quello di tradurre in pittura la visione del mondo sviluppatasi nella cerchia della corte di Lorenzo il Magnifico, riassumibile nelle tesi della corrente filosofica nota come “neo-platonismo fiorentino”. 

Come ci ricorda “l’imprescindibile” Giulio Carlo Argan: «…L’”idea” del neo-platonismo fiorentino non è propriamente l’archetipo platonico; e non è, propriamente, nulla di definito, ma un vago essere-al-di-là, rispetto alla natura (o allo spazio) e alla storia (e al tempo). Anche il “bello”, con cui l’”idea” si confonde, è “aliquid incorporeum” (“qualcosa di incorporeo”): sfiducia nella realtà più che immagine perfetta. Né bisogna dimenticare che il neo-platonismo è, come oggi diremmo, una “filosofia della crisi”…[…]…Per i filosofi e i letterati della cerchia neo-platonica, dunque, l’”idea” è al di là del tempo…[…]…l’”antico” non è storia vissuta ma un’”idea” della natura, rispetto alla quale le sembianze delle cose sono mere “allegorie”…».

Altro che “realismo”, altro che riproduzione dell’armonia delle cose, dunque: l’opera di Botticelli esprime «…il “furor” che Ficino chiamava “malinconicus”, perché generato dall’aspirazione a qualcosa che non si ha o dalla nostalgia di qualcosa che si è perduto…».

Tutto ciò, a me sembra estremamente complesso e di difficile lettura (a dispetto dei luoghi comuni sulla immediatezza dell’arte del passato). Anzi, oserei dire che simili intenti espressivi si potrebbero attagliare senza problemi anche all’opera di autori moderni come Paul Klee (1879-1940), oppure Giorgio Morandi (1890-1964) (per citare solo quelli che al momento mi sovvengono).

Sarà un caso, ma ad esempio, sullo sfondo della “Nascita di Venere”, possiamo osservare quel boschetto “innaturale” che sembra uscito dal pennello del “Doganiere” Henri Rousseau (1844-1910) dal quale si diparte un paesaggio del tutto “antiprospettico”. Se la prospettiva è per eccellenza lo “strumento dimensionale” della storia e della spazialità dominata razionalmente, Botticelli giustamente la rifiuta, fedele com’è alla sua visione del mondo neo-platonica. In alcuni dipinti tardi, arriverà addirittura a ritrarre le figure sullo sfondo, con dimensioni maggiori rispetto a quelle in primo piano: il massimo della ribellione contro le logiche della prospettiva.

Per non fare danni ulteriore (anzi, sperando di non aver detto troppe boiate), chiudo qui la parte “critica” riguardo all’opera di oggi e passo alle tre somiglianze (un po’ stiracchiate) che ho trovato oggi.

Ecco il primo volto:


E’ la celeberrima eleganza di Julia Roberts ad aprire le danze.

E ora, la seconda somiglianza:


Sempre un’attrice, però stavolta di casa nostra: la bravissima Micaela Ramazzotti.

Chiudiamo poi con l’ultimo viso:


Abbiamo qui ancora un’attrice, presentatrice di origini spagnole, ma praticamente adottata dall’Italia: Vanessa Incontrada.

Ecco, insomma, stavolta la mia opera di detective fisiognomico non sarà stata tanto efficace, ma come diciamo spesso noi ricercatori di volti, quando ci ritroviamo a bere un bicchiere all’Assomiglione (il nostro circolo del dopo lavoro): «…Se proprio non somiglia, almeno non so anni luce…».

E dopo questa bella vaccata, vi saluto, ricordandovi come al solito di fare un salto sul blog di Kika, per scoprire come la nostra maghetta modaiola sia riuscita nel suo incanto di escogitare un moderno outfit, traendo ispirazione da una modella ignuda nata.


venerdì 6 maggio 2016

Le muse di Kika van per pensieri: Georges Seurat (1852-1891)


Per le nostre rubrichette incrociate di arte e moda, Kika ci propone ancora l’opera di un grande autore: “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” (1884-86), di Georges Seurat (Parigi 1852 – 1891).

Questo quadro rappresenta una sorta di “opera-tipo” nella complessa indagine sul rapporto fra arte e scienza che il pittore francese intese sviluppare. Nel fervore scientifico-positivistico della seconda metà dell’Ottocento, gli artisti, e in particolare i pittori, si sentirono chiamati a interrogarsi sul ruolo della propria ricerca. La scienza metteva a disposizione nuovi strumenti per esplorare i significati dalla realtà, che a prima vista sembrava avrebbero ampiamente depotenziato (se non addirittura quasi annullato) gli spazi di manovra dell’arte. In particolare, gli elementi cruciali nel far scattare questa “crisi di identità” della pittura furono lo sviluppo degli studi sulla percezione e l’introduzione della tecnica fotografica. In pratica, “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” può essere considerata una riflessione generale su tutti questi temi, tradotta in pittura.

Alla fine forse, l’importanza fondamentale di questo quadro sta in ciò che esso ci “dimostra” (usando il verbo in maniera didascalica e accessoria: l’arte in realtà non vuole mai “dimostrare” nulla). Ossia ci fa capire che l’arte rappresenta e rappresenterà sempre un percorso d’indagine privilegiato, un linguaggio attraverso il quale poter affermare cose che in nessun altro linguaggio si possono dire. Cosa, e “come”, ritrae infatti “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte”? 

La scena rappresentata è inserita in uno “spazio mentale”. Le figure, gli animali e tutti gli altri elementi del paesaggio sono ricondotti al loro comun denominatore formale, e mutati in manichini geometrizzati. Lo spazio medesimo è ottenuto con l’innovativa tecnica del “puntinismo”, che sfruttava le più aggiornate conoscenze sulla luce come miscela di diversi colori (dove quella bianca è ottenuta dalla somma di tutti i colori). Non c’è allora più differenza tra i volumi solidi e l’aria in cui sono immersi: i corpi, il prato, l’acqua, l’atmosfera, tutto è reso come un continuo di luce pura. In questo modo, l’artista ci mette di fronte a un paradosso: applicando attentamente tutte le più recenti raccomandazioni della scienza, giunge a uno sguardo posato sulla realtà che solamente con la mediazione dell’occhio e del pensiero umano si può ottenere. In pratica, Seurat prende uno spazio reale e lo traduce nei termini “oggettivanti” di cui è capace il punto di vista umano. Ma questo è un percorso attraverso cui ci si può incamminare solo servendosi degli strumenti dell’arte.

Volendo, si può persino cogliere una nota ironica variamente distribuita per tutto il quadro. Seurat sembra divertirsi, avvertendoci qua e là, con bizzarri indizi, che in fondo in fondo ci ha anche presi un po’ in giro. La scimmietta al guinzaglio, l’uomo che suona la tromba, l’eccessiva “resa tubolare” di alcune figure (al limite del buffo, la donna seduta di spalle con la lunga fascia rossa in testa, dove si incrociano le diagonali della metà sinistra del quadro: ricorda più un paracarro o un cippo marmoreo, che una donna), il compiaciuto gioco intorno ai “lievitanti deretani alla moda” di alcune signore. Con tutti questi elementi, il pittore pare quasi voglia affermare sottovoce che l’arte non potrà mai essere imbrigliata da altre forme della conoscenza umana: le sue potenzialità di spaziare nel regno dell’imprevedibile e del “non altrimenti dimostrabile”, rimarranno sempre sua insostituibile prerogativa. 

La ricerca di somiglianze col soggetto che oggi Kika ri-abbiglierà (la donna in primo piano sulla destra, proprio quella con la scimmietta al guinzaglio, per capirci) non è stata facile. Un po’ che la donna è di profilo, un po’ che il “puntinismo” ne intorbida i contorni…insomma, ho fatto quello che ho potuto e vi presento tre volti possibili.

Ecco il primo volto:

E’ l’attrice americana Erin Moran, nota soprattutto come interprete del ruolo di Joanie Cunningham, nel telefilm “Happy days”.

Ed ecco la seconda somiglianza:

Questa è l’attrice Irina Sanpiter: di origine russa, ma attiva spesso in Italia, è stata la rassegnata e dimessa consorte dell’insopportabile Furio (Carlo Verdone), nel film “Bianco rosso e verdone” (1981).

Infine, l’ultimo volto di oggi:

Abbiamo qui Francesca Nocerino, brava video-giornalista del Tg2.

E adesso l’appuntamento è sul blog di Kika, dove la nostra maghetta modaiola preferita ci “rivestirà” di nuovo la dama “iper-tafanuta” della Grande Jatte.

venerdì 29 aprile 2016

Le muse di Kika van per pensieri: Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867)


Le muse di Kika vanno oggi per pensieri con un grandissimo autore: Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 29 agosto 1780 - Parigi, 14 gennaio 1867). L’opera scelta da Kika è il “Ritratto di madame Moitessier” del 1856. Anche se la notizia non ha certo quella gran importanza, adoro l’opera di Ingres che rimane uno fra i miei artisti preferiti di sempre.

Su Ingres ci sarebbe da scrivere un volume intero, forse senza riuscire a dire la metà delle cose. Mi limito dunque ad alcune considerazioni sul dipinto di oggi, nel quale a mio avviso sono contenute in maniera evidente certe caratteristiche della poetica di Ingres che ne fanno uno dei più importanti artisti del XIX secolo. Considero Ingres non solo un fondamentale precursore di tutti gli sviluppi successivi dell’arte moderna, ma addirittura, per dirla con un’immagine colorita, come colui che innescò la miccia per la deflagrazione modernista in arrivo. Il tratto fondamentale dell’estetica di Ingres lo possiamo infatti cogliere nella sua volontà di “far esplodere le forme” (tanto per rimanere nella metafora). Questo aspetto si coglie molto bene anche nel ritratto della signora Moitessier. La “volumetria” reale del corpo della donna, pur rappresentata con modi molto eleganti e fascinosi, sembra diventare quasi un “pretesto”. Quello che interessa davvero al pittore e far parlare le forme esprimendo attraverso di esse il proprio linguaggio poetico, anche a costo di piegarne il senso realistico e di disarticolarne la coerenza (emblematica in questo senso è la mano che regge il capo della donna, con quelle dita che nella loro estrema libertà formale vanno assumendo quasi la parvenza di radici di un tronco d’albero). Siamo ancora lontani dagli sviluppi successivi che gradualmente porteranno a Cezanne, poi a Picasso, all’arte non figurativa, concettuale, informale e così via, ma Ingres segna, fra i primi, un importante passo iniziale in quella direzione.

In particolare, il quadro in questione presenta un altro elemento compositivo di straordinaria forza anticipatrice. Mi riferisco allo “stratagemma visivo” innescato attraverso l’immagine riflessa alle spalle del soggetto. Ingres riesce in questo modo a presentarci sia il fronte che il profilo della persona, evocando nell’osservatore quell’estraniante ma familiare effetto, sperimentato molto probabilmente da ciascuno la prima volta che ci si è osservati di profilo, con l’aiuto appunto di uno specchio. Di sicuro inconsciamente, di sicuro in forma ancora molto larvata, in ogni caso, con questa scelta compositiva, il pittore sembra fare già propri i primi barlumi concettuali che saranno poi alla base della ricerca cubista picassiana, giocando nel contempo con l’idea delle mille sfaccettature dell’identità individuale (e qui viene alla mente ad esempio tutta la tematica pirandelliana). Spaziando oltre con la suggestione (ma qui cito la similitudine come pura curiosità: forse cercare un’effettiva corrispondenza è in questo caso davvero eccessivo) la figura della madame Moitessier di Ingres, per “affinità volumetrica” mi ricorda molto da vicino quella delle “Due donne che corrono sulla spiaggia”, dipinte da Picasso nel 1922, quando la sua ricerca era andata ormai addirittura oltre la fase cubista.
“Due donne che corrono sulla spiaggia” - Pablo Picasso (1922)

Per l’indagine fisiognomica, ho trovato tre volti famosi dei nostri giorni, che forse presi uno per volta non rendono molto l’affinità, ma immaginati in qualche modo fusi insieme, contribuiscono a creare una certa somiglianza.
Sono tutti e tre personaggi famosissimi. Ecco la prima donna di oggi:


Quasi vi faccio un torto se ve lo spiego, ma si tratta della bellissima Claudia Cardinale.

Questo è il secondo volto:


Anche qui non ci sarebbe bisogno di dire altro, perché il suo viso è altrettanto famoso della sua voce: si tratta infatti della cantante inglese Adele.

E concludiamo sempre con una cantante attrice, più famosa qualche anno fa:


Qui abbiamo naturalmente la poliedrica Cher.

E ora, come di consueto, Kika ci aspetta sul suo blog per rivelarci con quali magie modaiole ha reinterpretato in chiave moderna l’abbigliamento di madame Moitissier.

venerdì 8 aprile 2016

Le muse di Kika van per pensieri: la Regina delle Nevi


Si conclude con questa puntata l’excursus modaiolo-favolistico di Kika fra le principesse da fiaba. Il personaggio che vediamo oggi è la Regina delle Nevi (portato alla notorietà dalla fantasia di Hans Christian Andersen).

L’immagine della Regina delle Nevi è stata scelta più per ragioni di suggestione che per il suo pregio artistico. Per ragioni logistiche, da parte mia mi limito per questa volta all’indagine fisiognomica.

Ravanando nei bassi fondi della visionarietà fisiognomica, ho scovato tre somiglianze seriamente intese, più un quarto volto scherzoso suggerito da Kika. Una cosa è certa: il mio immaginario femminile si conferma essere alquanto datato.

Il primo volto si adatta alla somiglianza anche in virtù della sua enigmaticità:


Questa è Kate Bush, leggendaria cantante inglese, una meraviglia del mondo musicale sbocciata sul finire degli ani ’70.

A seguire, un altro viso notissimo:






Abbiamo stavolta una grandissima dello spettacolo in ogni sua espressione: Liza Minnelli.

Ecco poi la terza somiglianza:



Un’altra icona della canzone pop anni ’70, però del panorama italiano: Marcella Bella.

E infine, chiudiamo con l’accostamento scherzoso, indicato da Kika:


Siamo sempre nell’ambito della musica leggera di casa nostra, con l’inconfondibile maschera di Renato Zero. E a ben pensarci, l’ambivalenza di genere da sempre suggerita col suo personaggio, rende meno scherzosa la somiglianza di questo multiforme cantante con la Regina della nostra favola.
Ed ora ci aspetta un bel giretto sul blog di Kika, per scoprire come la nostra maghetta di moda preferita ha reinterpretato il look della Regina delle Nevi e di Gerda, un altro personaggio della fiaba.



venerdì 1 aprile 2016

Le muse di Kika van per pensieri: Toshiaki Kato - Raperonzolo


Versione “express” anche oggi della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. 

Le incursioni modaiole di Kika nel mondo delle favole, proseguono col personaggio di Raperonzolo. Molto mirabile l’opera scelta per richiamare l’immagine dell’eroina fiabesca resa famosa ai primi dell’Ottocento dai fratelli Grimm, ma declinata in tante altre versioni da diverse tradizioni europee e italiane (dove di volta in volta è chiamata Petrosinella, Persinette, Puddocky, Prunella, Prezzemolina).

Possiamo ammirare Raperonzolo così com’è stata interpretata dall’artista giapponese Toshiaki Kato. Questo dipinto è una vera e propria festa per gli occhi. Non solo è ricchissimo di richiami a correnti e fonti d’ispirazione nobilissime: ci sono tocchi evidenti di Klimt e di Art Nouvea tutta; c’è Tamara de Lempicka; c’è la magia raffigurativa dell’artista inglese Aubrey Beardsley; c’è la tradizione del disegno giapponese (e non poteva certo mancare, in questo caso). 

Ma soprattutto è incantevole la costruzione compositiva dell’opera, che armonizza in misura perfetta geometria e forme raffigurate, fuse in un dispositivo poetico notevole. 

Azzardando un’interpretazione forse un po’ troppo fantasiosa (ma non ci ha mai fatto paura né un po’ di azzardo, né tanto meno la fantasia), possiamo dire che tutto l’impianto compositivo coglie benissimo quel senso di costrizione e desiderio di libertà che nella fiaba si combattono di continuo come motivo dominante di tutta la storia.

Oggi l’indagine fisiognomica mi ha portato sulle tracce di tre volti, che vi presento.
Ecco il primo volto:


Si tratta dell’attrice britannica Keira Knightley (nome, tra l’altro, quanto mai fiabesco).
E questa è la seconda somiglianza:


Ancora un’attrice, ma stavolta italiana: Micaela Ramazzoti.
Chiudiamo poi con il terzo volto:


Abbiamo in questo caso la presentatrice Giorgia Surina.

E ora come sempre, Kika ci aspetta sul suo blog, per stupirci ancora una volta con le sue magie modaiole, ispirate stavolta alla Raperonzolo di Toshiaki Kato.