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martedì 27 dicembre 2011

Scodinzoli di luce


Ve lo devo proprio dire? Non sono per niente gran belle giornate per me, queste. C'entra un po' il clima delle feste, ma c'entrano soprattutto certe cose mie, che non sto qui ad elencarvi per eludere almeno in questa sede il tedio generale.
Sono smodatamente stanco di mediocrità, minchia! Stanco di cose grevi, asfissianti. La si sente pure nell'aria questa stanchezza. Si arriva ad un punto in cui, pur rendendosi conto che non ha senso, che tanto i problemi ci sono e vanno affrontati, tuttavia viene da sbottare: «...Ma basta, per la strafava del sacro cipponico impero! Vaffanculo allo spread, al bund, al mib, a Studio Aperto e al cazzincul, che la puttana boia se li porti tutti!!!...».
Però ormai l'ho imparato, anche nei periodi più asfittici e mediocri, capitano lampi di luce che irradiano di purezza la nostra anima, lasciandoci lì nello stupore a non pensare a nulla, se non a quell'attimo di fulgore estatico.
Tornando a casa lemme lemme sulla mia inutilitaria targata 313GT (Gattopoli, la provincia di Gillipixiland), mi sono reso conto di essere ancora capace di stupirmi per una canzone. E poi, una volta acceso il computer, ho riprovato la gioia di ricevere un saluto, con tanto di suoi delicati buffetti, dalla cara amica Scodinzola, che non sentivo da un sacco di tempo.
Mi hai dato una gioia oggi, Scodi, sappilo. Per un attimo mi è parso di essere dentro un quadro di Salvador Dalì e c'era un signore con la pipa che fumava seduto vicino. Chissà come mai...

sabato 22 novembre 2008

Once upon a time...

(Foto e fotomontaggio di Gillipixel -
nonchè mano e pallone vecchio di Gillipixel)

A volte mi manca il basket.
Il Cielo sa quanto ho amato quello sport.
Anche se fra le tante cause degli acciacchi alla schiena che mi hanno portato a non poterci più giocare va annoverato proprio il basket, mi manca lo stesso.
E dire che, in fondo, vincere non mi è mai interessato più di tanto. Io giocavo per l'estetica. Per il gusto di addentrarmi nella bellezza dei movimenti.
Anzi, è più corretto dire che in realtà ci tenevo a vincere, ma non perchè sentissi in modo particolare lo spirito competitivo. Era più per non dare la soddisfazione della vittoria a chi non si sapeva muovere con tutta l'eleganza e la nobiltà del gesto che con il tempo compresi essere contenute in misura così abbondante nelle movenze di quel gioco.
All'inizio non era facile, perchè spaventava un po' il fatto di dover fare tante cose insieme: palleggiare, camminare o correre, tenere d'occhio il movimento di avversari e compagni di squadra, passare la palla, saltare, tirare.
Ricordo ancora, quando iniziai a conoscere questo gioco, la gioia che mi accompagnava mentre mi rendevo conto che stavo penetrando piano piano nel segreto di quella sincronia di gesti. Era come padroneggiare gradualmente i passi di una danza. E capii di essere a buon punto le prime volte che le gambe si sentirono libere di andare per i fatti loro, come se corressi in condizioni normali, senza quasi dar troppa importanza al fatto che invece le mani stavano pigiando la palla ritmicamente a terra.
Il giorno che mi sorpresi capace di arrestare palleggio e corsa, tirando poi a canestro in salto, tutto con un movimento di filato, ero da solo sul rugoso rettangolo di catrame dietro al campo da calcio.
Credo sia stato quello il momento preciso in cui la mia curiosità per il basket si trasformò in qualcosa di passionale.
Correvo in palleggio dal limite di un'area all'altra, vestito coi jeans, scarponcini invernali e maglione. E mi sentivo libero. Ero entrato nel mistero di una gestualità che fino ad allora avevo potuto solo invidiare ai grandi campioni in tv.
Faceva piuttosto freddo, dev'essere stata una giornata di febbraio, intorno al Carnevale. Forse a casa mi aspettava qualcosa di buono preparato dalla mamma, ed era bello pensarci rubando ancora qualche attimo all'imbrunire incalzante, e ripetere il tiro in salto a perdifiato, scorrazzando felice da un canestro all'altro.
Ancora uno, ripetevo fra me e me. Ma quel tiro di commiato non mi bastava mai, un po' come la volta che scoprii la bellezza di "Some girls are bigger than others" degli Smiths e non mi scomodavo nemmeno ad accendere lo stereo se non per ascoltarla minimo 40 volte di fila.
Ieri sotto sera, è stato uno squarcio di cielo che svaporava vitreo dal cupo cinerino all'indaco luminoso, e più giù ancora verso un arancio palla da basket, a rammentarmi tutto ciò.
Non so dentro quante sere come quella hanno tuffato la loro coda le interminabili partite che ho giocato coi miei amici su quel campetto.
E non so le volte che sono andato anche da solo a confidare le mie pene al canestro, ritrovando nell'atto di scagliare la palla verso il cesto con l'avambraccio che la frusta dolcemente, qualche consolazione ai miei mille pensieri di ragazzino.
"...se va dentro, lei mi dirà di sì..."..."...se va dentro, mi va bene il compito di mate..."...
E infiniti altri ricordi. Belli perchè legati a momenti inutili.
La "mistica" della stanchezza, coi polmoni pieni del fresco del cielo e la gambe sudate di salti e lunghe falcate a canestro. Un senso di amicizia forse mai più provato così intenso, come quello per il compagno di squadra al quale avevo servito un pallone strepitoso, spizzato a terra velocissimo fra le gambe degli avversari.
E le volte che non riuscivo a sbagliare un tiro nemmeno a volerlo, e da 10 metri avrei infilato anche una biglia dentro ad una vera da sposi. E i giorni che invece avrei mancato anche l'oceano con un pesce.
Già, mi manca il basket, a volte.