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14 febbraio 2009

La posta della Olga a San Valentino

"Ma gli innamorati non aspettano la festa per festeggiarsi"

«Anche San Valentino risente della crisi economica», scrive la Olga. «Io e il mio Gino l’abbiamo sempre festeggiato cenando al lume di candela con polenta e renga ma quest’anno invece della candela metteremo in mezzo alla tavola un lumìn, di quelli da morto che non solo costano meno degli altri ma che, essendo avvolti nella plastica rossa, fanno più atmosfera. Immagino già l’effetto della luce rossa del lumìn sulla renga e sulla polenta ma anche sulle mani, sui visi, sulla tovaglia che da bianca diventerà rosa e sul torbolìn nei bicéri che da giallino diventerà rosé e ci sembrerà di bere scianpàgn come i siori e, dopo aver immaginato tutto questo, mi dico che anche la crisi ha i suoi vantaggi».
«Il cinese Tan detto Tano e la so dòna, Lin detta Wanda, sono abituati alla luce rossa, anzi si può dire che la loro sia una casa a luci rosse perché in ogni stanza, compresa la camera da letto, hanno, appesa al soffitto, una di quelle lampade con i draghi che si vedono fuori dei ristoranti cinesi dove non sono mai entrata ma il mio Gino, pur non essendoci mai entrato neanche lui, mi dice che si màgnano le formìghe con la maionese. So che per creare l’atmosfera durante la cena intima di San Valentino, el Tano e la Wanda, appunto perché abituati alle luci rosse, smòrsano tutto e fanno entrare dalla finestra gli abbaglianti dell’Ape. Anche quando hanno bisogno di un po’ di parécio erotico in camera da letto, aprono gli scuri e fanno entrare gli abbaglianti dell’ape». «Al baretto, crisi a parte, non c’è grande attesa per una festa che, secondo l’oste Oreste, è stata inventata dai fioristi perché gli innamorati si festeggiano a vicenda quando ne hanno voia, senza aspettare San Valentino. Solo il fascista Trisorco, che ha disposizione una cartuccia all’anno, per tradizione festeggia la moglie Nerina la sera del 14 febbraio, l’unica sera in cui non si vede al baretto. Per la Beresina invece la settimana di San Valentino è la più inattiva dell’anno (lei la chiama "la settimana bianca") perché, per non farle il regalo, i morosi la lasciano la settimana prima e se la riprendono la settimana dopo. Ne traggono vantaggio i pensionati del baretto che nella "vacatio", come dice il ragionier Dolimàn, possono spissegàrla senza ciapàrse dei stramusoni. Per tutta la giornata di San Valentino il baretto è interdetto alla coppia di morosetti Manuel e Daisy perché l’anno scorso hanno inciso un cuore con dentro i loro nomi sul piano del tavolo. Quando eravamo morosi noialtri incidevamo gli alberi, adesso i morosetti sono più comodi e aspettano che gli alberi diventino mobili».

di Silvino Gonzato, L'Arena dell'11.02.2009


La frizzante Anne di Papilles et Pupilles ci propone un gioco simpatico per festeggiare insieme San Valentino:

dichiarare la nostra canzone d'amore più bella, quella che è e resterà per sempre nei nostri cuori, che ha incorniciato un momento indimenticabile, che ancora materializza quella magia elettrizzante nel sentirne le note...


...alors, ma cherie Anne, c'était cette chanson des Chicago que nous a fait par colonne sonore lorsque nous avons rencontrés... Janvier 1977, nous étions en vacance à la montagne, tous les deux sortants par une déception d'amour et... il a été le classique coup de foudre...



et puis...notre déclaration d'amour:



Don't go changing, to try and please me
You never let me down before
Don't imagine you're too familiar
And I don't see you anymore
I wouldn't leave you in times of trouble
We never could have come this far
I took the good times, I'll take the bad times
I'll take you just the way you are

Don't go trying some new fashion
Don't change the color of your hair
You always have my unspoken passion
Although I might not seem to care

I don't want clever conversation
I never want to work that hard
I just want someone that I can talk to
I want you just the way you are.

I need to know that you will always be
The same old someone that I knew
What will it take till you believe in me
The way that I believe in you.

I said I love you and that's forever
And this I promise from the heart
I could not love you any better
I love you just the way you are.

En Décembre 25 ans de marriage!


13 febbraio 2009

Omelette nel sacchetto e torta al cioccolato in tazza





Oggi è una giornata particolare,

dalle 18 si può aderire
all'iniziativa di Caterpillar

"M'illumino di meno"

Ce lo ricorda anche Evelyne:

da 5 anni a questa parte Cirri e Solibello (i conduttori) lanciano questa iniziativa di sensibilizzazione alla riduzione dei consumi, con l'invito ad attuare delle buone pratiche (di seguito troverete il loro decalogo) ma anche con un'azione simbolica da fare il 13 febbraio dalle 18 in poi, questo perché "loro" (o chi per loro) misureranno il calo di consumo energetico in quella frazione di tempo (!), tutto questo viene gestito con una carica di simpatia unica, per cui è impossibile non aderire. Ogni anno aderiscono singole persone, scuole, comuni, etc... con le più svariate iniziative (dalla cena al lume di candela allo spegnimento dell'illuminazione di un monumento, etc. etc.) e ogni anno sono sempre di più le persone che aderiscono.

che per l'occasione ha lanciato questa simpatica raccolta di ricette a risparmio energetico.
Ecco che mi è tornato alla mente un divertente e pratico modo di prepararsi una buona e soffice omelette provato un paio di anni fa:



... e si può fare sfruttando l'acqua dove intanto bolle la pasta!


Bastano un paio di uova, sale, un pochino di grana grattuggiato e un sacchetto per alimenti, meglio se con la chiusura ermetica, tipo Ziplock: si mettono le uova nel sacchetto, sale, pepe e grana, un pochino di prezzemolo per dare un tocco di colore e sapore, si chiude bene il sacchetto facendo uscire bene l'aria, si stropiccia con le mani per sbattere le uova, si mette nell'acqua che bolle per circa 10 minuti, si apre e si serve nel piatto, con una bella spolverata di noce moscata. Si può aromatizzare l'omelette a piacere, farcendola anche con avanzi di verdure o salumi.


E se dopo pasta e omelette ci venisse voglia di un dolcino... magari cioccolatoso?
Niente di più facile e veloce, anzi, sprintosissimo e risparmioso, di una piccolo tortino in tazza!
L'idea è della mia amica Anne, che simpaticamente ci illustra come fare:
  1. imburrare o oliare leggermente una bella tazza/mug
  2. metterci dentro 4 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai di cacao amaro, 2 cucchiai di granella di nocciole e mescolare bene
  3. aggiungere un uovo, 4 cucchiai di olio di semi e 2 cucchiai di latte, mescolare bene
  4. mettere nel microonde a potenza massima per circa 2,30 minuti e vedrete che gonfia!

Dal momento che non tutti i microonde sono uguali, dopo due minuti controllare (attenzione che la tazza potrebbe scottare!), verificare con la lama del coltello se è cotto, deve uscire asciutta, altrimenti dare ancora 30 secondi. Io ho preferito dividere la dose della tazza in due bicchierini Galej dell'Ikea.


E voilà...la vostra dolcezza cioccolatosa è pronta, giusto il tempo che si raffreddi un minuto per poi affondarci il cucchiaino golosamente (scusate la foto, ma con la luce artificiale è un disastro... domani provvedo a farne una migliore!). Perfetta se abbinata con un pochino di panna montata lucida col frustino a mano, oppure con del gelato fiordilatte.

E sempre in tema di risparmio energetico/ecologico/biologico naturale consiglio vivamente il detersivo naturale per piatti e lavastoviglie, le palline per lavatrice Robby Wash, il dado fatto in casa e la nutella casalinga!

M'illumino di meno - il ricettario


La posta della Olga:
"E tutte quelle luci che hanno illuminato la Bra per le feste?"


«Ieri il Comune, smorsàndo l'Arena e gli altri monumenti per qualche ora» scrive la Olga «ci ha dimostrato come si può risparmiare la luce. Fino a poco tempo fa, in occasione delle feste di Natale, lasciando impissàte per più di un mese milioni di lampadine ornamentali, ci aveva invece dimostrato come si può sperperarla. Adesso ci aspettiamo che il sindaco ci dica quale dei due opposti insegnamenti dobbiamo seguire perché semo un po' in confusiòn e, come noi, penso tutti i cittadini».
«Quando, ancora ai primi di dicembre, abbiamo visto tutte quelle lampadine che rampegàvano sui Portoni della Bra e sul Municipio e che le se coréa drio sulla parte alta della facciata della Gran Guardia e che, come s-ciàpi de useléti luminosi, affollavano i rami degli alberi di corso Porta Nova, abbiamo pensato che la luce, da cara che era, fosse diventata a bon marcà o addirittura gratis ("É calà el petrolio" ha commentato il mio Gino)».
«E allora anche noialtri nelle nostre case, sui balconi e nei parchi condominiali abbiamo impissàto tutto quello che si poteva impissàre: c'è stato chi invece di un albero di Natale ne ha fatti due e con lampadine da cento candele al posto delle solite lampadinette microscopiche attaccate a un roéio de fili e c'è stato chi, come l'oste Oreste, ha illuminato il baretto come il Titanic al viaggio inaugurale. Insomma, sull'esempio del Comune, abbiamo sperperato».
«Adesso però, sul nuovo esempio del Comune, dovremmo smorsàre anche le lampadine di casa, andando al cesso con la candela in man o, dopo aver strapegàto su par le scale la bicicletta, far luce con la dinamo andando avanti e indrìo per il corridoio e dandoci il turno ai pedali quando o io o il mio Gino dobbiamo andare al cesso: uno el pedàla o, meio ancora, el gira la rua con la man e l'altro el fa quel ch'el deve far. L'idea della bicicletta (sempre che la luce non sia diventata gratis come ci era stato fatto capire in dicembre) ci è venuta vedendo i ciclisti degli Amici della bicicletta girare ieri sera intorno all'Arena spenta con i fanài impissàti per dimostrare che pedalando si risolve tutto».
«Il mio Gino sta già pensando a una lavatrice a pedài con due rue ai lati che, senza tocàr par tèra, girino collegate a una dinamo. Lo stesso sarà per il lampadario della sala: quando ci sono ospiti a pranzo, uno el pedàla con 'na specie de barachìn da moléta e i altri i màgna. E così per lo scaldabagno, il fon, la macchinetta dei tost, il frullatore eccetera. Volendo, il pedalatore di turno, potrà indossare la màia e el casco de Marzio Bruseghìn».

di Silvino Gnzato, dall'Arena del 14.02.2009

30 gennaio 2009

La posta della Olga


"Obama ha brindato anche col torbolìn dell'oste Oreste?"

«C’è un sacco di gente che si fa pubblicità a ufo sfruttando l’elezione di Obama» scrive la Olga. «Il ragionier Dolimàn, in una conferenza al volo tenuta al baretto davanti alle sole gemelle zitelle Alda e Elda Strapuntìn perché tutti gli altri avventori, meno il mio Gino che era a casa ad aiutarmi a fare le frìtole, non avevano che òci, e réce, per la Beresina che lucidava con indolente malizia le stecche del biliardo indugiando sulla ponta (insomma dava spettacolo), il ragionier Dolimàn, dicevo, ha elencato tutti i vini italiani, in gran parte veneti, con cui Obama, secondo quanto riportato dai nostri giornali, avrebbe brindato e pranzato sia il giorno della vittoria elettorale che quello dell’insediamento alla Casa Bianca, sostenendo che, se fosse andata veramente così, il presidente, nell’una e nell’altra occasione, avrebbe preso una ciùca tale che i suoi discorsi ufficiali, compreso il giuramento, dovrebbero essere ripetuti in regime di sobrietà per essere credibili».
«Dunque Obama avrebbe brindato col prosecco di un produttore di Legnago, col prosecco di una cantina di Gambellara, con lo spumante di Valdobbiadene e con lo spumante di verdicchio di un’azienda marchigiana. Avrebbe poi pasteggiato con due vini rossi della stessa azienda vicentina che ha fornito il prosecco, col chianti di Rufina, col nipozzano dei marchesi de’ Frescobaldi e con un rosso piemontese. Inoltre avrebbe bevuto un’acqua minerale veneta, avrebbe calzato scarpe dell’artigiano di Novara Andrea Stefanelli (fotografato su quasi tutti i giornali) e avrebbe mangiato risi e bisi, bìgoli con le sardèle e baccalà alla vicentina cucinati dal cuoco italo-americano Tony Mantuano e alla fine avrebbe esclamato "Ostia come go magnà ben e beùo meio!". Insomma se sei quello che mangi e bevi, come dice una pubblicità televisiva, Obama è dei nostri».
«Poi però il ragionier Dolimàn ha saputo dall’amico Ermes detto Cicàgo, che i vini che beve Obama sono scelti dal capo del Wine Market Council e che sono tutti rigorosamente americani perché il presidente degli Stati Uniti el sarìa proprio un mona, coi tempi che core, a farghe publicità ai vini (e ànca alle aque) foresti. Ci aveva provato, ma lo abbiamo saputo solo adesso, anche l’oste Oreste, spedendo alla Casa Bianca una damigiana de Torbolìn Gran Riserva 1998 con le bollicine ma nessun giornale ha scritto che Obama ci ha brindato e lo stesso Oreste non si era mai fatto illusioni in merito anche se gli era parso di aver visto in tivù la damigiana in un cantòn dello studio ovale».
di Silvino Gonzato, dall'Arena del 27.01.2009

7 gennaio 2009

La posta della Olga


"Renghe cinesi e porco nostrano al cenone del baretto"

di Silvino Gonzato - letto sull'Arena del 30.XII.2008

"Mai viste renghe così lunghe" scrive la Olga. "Le ha procurate il cinese Tan detto Tano per il cenone di San Silvestro che, come sempre, faremo al baretto. Il mio Gino, dopo averle misurate a spanne, ha detto che sono lunghe un metro, mentre una renga normale, secondo l'oste Oreste, non dovrebbe superare i cinquanta centimetri, sennò facendo le curve sotto acqua si scavezza. Il Tano ha spiegato l'anomalia col fatto che si tratta di renghe cinesi d'allevamento che vengono allungate manualmente dai produttori nei primi mesi di vita, quando sono più elastiche, ma la spiegazione non ci ha convinto. Ne è nata una discussione che è ben presto degenerata e, mentre noi donne, compresa la Beresina, addobbavamo la sala montando sulle carèghe, gli uomini sono andati fuori tema parlando di altri generi di misure e di misurazioni".
"Senza molto entusiasmo, ma curiosi di provare la cucina orientale, abbiamo accolto la notizia che quest'anno la renga verrà servita secondo la ricetta suggerita da Lin detta Wanda, la moglie del Tano. Le renghe, cotte ai ferri e grondanti di olio, verranno infilate intere e verticalmente nelle polente, dalla parte della còa, tre per ogni panàra, e ogni commensale ci pocerà sopra fino all'esaurimento della polenta. Dopodiché tutte le renghe verranno ritirate, numerate dal ragionier Dolimàn che fungerà da notaio, e messe in frizer per la prossima occasione. In pratica, se vogliamo métar qualcosa nello stomego, dovremmo ricorrere alla cucina tradizionale nostrana e cioè al porco, che non manca mai nel menu dei nostri cenoni di fine anno".
"L'oste Oreste ne ha preso uno intero, dal grugno al coìn, da un allevatore della Lessinia che glielo ha dato in conto vendita, cioé si paga quello che si mangia e il resto lo si restituisce, secondo la formula adottata da molti allevatori di porci, e non solo, in tempi di crisi. In attesa di essere arrostito, il porco, ovviamente defunto, è stato esposto su due tavolini affiancati e rinforzati all'ingresso del baretto e molti bambini sono entrati per tirargli la còa infiocchettata e chiedere come si chiama. Una mamma ci ha messo sopra a cavalcioni il suo bambino che lo chiamava papà perchè è lo stesso gioco che fa a casa col genitore".
"Il professor Strusa, di passaggio dal baretto, ha fatto una riflessione a voce alta sulla facilità con cui i bambini trasferiscono gli affetti da un soggetto all'altro. Dopo il cenone la Beresina farà la danza del ventre sul biliardo. I pensionati hanno già occupato col capèl le careghe delle prime file".

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