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17 ottobre 2007

Sogni solatii

Anche stasera cercheranno di trascinarmi a vedere un film impegnato. Io tremo sempre in queste occasioni, e cerco di sottrarmi alla noia che mi prende non appena l'idea sorge nella mente di qualcuno che mi sta accanto.
Non cercate nella mia biblioteca letteratura "alta" e nemmeno tra i miei dvd (o finanche VHS) film d'autore. Non li trovereste.
Ringrazio un paio d'anni adolescenziali che mi hanno trascinato, precoce e noiosa intellettuale in erba, nei territori della letteratura e del cinema, così almeno su qualche classico, chessò Proust - riesco a imbastire una conversazione, anche se molto sintetica (di solito: Proust? che rottura di coglioni! o, se l'ambiente non lo consente: Proust? e bevo un sorso di vino).
In particolar modo - l'amico letturalenta stia attento a non rovesciare la birra - non amo la letteratura e il cinema contemporaneo.
Non fraintendetemi - non tollero essere fraintesa, mi viene il dubbio di pensare male, con fallacie - se per letteratura intendete gialli, noir, horror, fantascienza e per cinema pure, allora eccomi.
Ma non tentate di farmi leggere Pamiuk o farmi vedere Viaggio a Kandahar.

Mi piacciono i romanzi storici, e così, qualche tempo fa ho comprato un libro di Pamiuk che dalla quarta di copertina pareva strepitoso, ambientato nel XVII secolo.
Alla quinta pagina di descrizione della miniatura di un cavallo le mie imprecazioni avevano varcato la soglia dei decibel fissata per legge per i rumori molesti.

E la visione di Viaggio a Kandahar ha messo in seria crisi la stagione sentimentale più bella della mia vita (grazie a dio il film è finito ma la stagione continua).

La mia posizione è semplice: considerato il mio lavoro, io non leggo per hobby, e nemmeno guardo film. Se devo concentrarmi e pensare, allora lavoro. Se non è lavoro è cazzeggio. E se è cazzeggio non può essere Viaggio a Kandahar o Pamiuk. (tengo a precisare che sono solo due esempi, vale anche per Joyce e Antonioni).

E non mi piace il cinema italiano. Tutto, in blocco, non mi piace. Non faccio distinguo, per distinguere è necessario pensare, e pensare è lavoro. Non cazzeggio.