Anche chi non sa assolutamente nulla di filosofia ha però un'immagine affettuosa e romantica in mente quando sente nominare Socrate. Socrate, il disinteressato a fronte di quegli esosi dei sofisti; Socrate, il padre della filosofia; Socrate, il combattente per la libertà sacrificato da biechi governanti, che trascinano questo povero vecchio in tribunale, un eroe di guerra!, per processarlo e condannarlo a morte. Socrate, che rifiuta di fuggire e accetta la condanna, come ci descrive Platone, con accenti gravi, tristi e forieri di accuse verso i suoi carnefici.
Platone però non c'era accanto a Socrate, ché dal maestro qualcosa l'aveva imparata, primis: pararsi il culo. E allora come oggi, non è così intelligente stare accanto a uno sotto processo, poi condannato a morte; diciamo che la gente non capisce, e può farsi idee strane. (ma ci torneremo sopra in un'altra occasione).
Socrate, dicevamo.
Qualcosa sappiamo della vita di Socrate, e le fonti più importanti sono quattro:
Aristofane,
Senofonte,
Platone e
Aristotele (Aristotele però in seconda istanza, non avendolo mai conosciuto); poi vabbe', c'è il solito
Laerzio.
Nasce ad Atene nel 470-469, fa il servizio militare, qualche campagna di guerra, e nel 399 viene processato.
Secondo Diogene Laerzio, quando in una discussione entrava Socrate, spesso finiva in rissa; lo prendevano a pugni, a calci, a sputi. Quando parlava lui, la gente perdeva il lume della ragione, non capiva più nulla e avrebbe fatto qualunque cosa per farlo tacere. [un po' come oggi quando parla Calderoli insomma].
E quanto parlava Socrate, scrivere invece niente.
Perché non scrive Socrate? Si sono scritti volumi per rispondere a questa domanda, senza contare l'angoscia esistenziale di Platone, che invece scrive un sacco, e molte delle pagine da lui scritte contengono le scuse per averle scritte, ché il suo maestro gli aveva detto che scrivere era una brutta cosa che fa diventare ciechi (1).
Ho una mia bieca spiegazione sul perché Socrate non scrive. Secondo Platone Socrate conosceva
Parmenide,
Zenone di Elea, aveva letto
Anassagora; questo mi fa supporre non che non volesse scrivere, ma che non sapesse cosa, scrivere.
E parlare in piazza è un un buon modo per dire una cosa oggi, e un'altra domani, fidando nella poca memoria, nella capacità dialettica e nella splendida, strepitosa, fantastica scusa del "so di non sapere".
Non fatevi ingannare dall'apparente modestia di questa affermazione.
Socrate la pronuncia per ribattere all'oracolo di Apollo che l'aveva indicato come l'uomo più sapiente di tutta la Grecia. Lui, fingendosi sorpreso, sostiene di non spiegarsi l'affermazione del dio, perché l'unica cosa di cui è certo è che "sa di non sapere".
Bene.
Per prima cosa possiamo dire che Socrate era maleducato, perchè se uno ti fa un complimento ti dice, che so, "sei bello" non è che puoi rispondere "bello no, ma certo più di te".
Perché è questo che Socrate risponde ad Apollo. Chè poi Apollo si incazza per molto meno eh? Ed è perfido la sua parte.
Quando Cassandra lo rifiuta, per esempio.
Lui invece di fare come il padre, Zeus, che quando le donne gli dicevano di no, le stuprava, ma poi la cosa finiva lì, e se andava bene nasceva anche un semidio, Apollo, da figlio viziato, faceva lo sdegnoso e si vendicava atrocemente.
E a Cassandra fa il dono di profetare, senza essere mai creduta.
Una bella condanna, se ci pensate.
Voi non solo avete sempre ragione, ma lo sapete prima, e tutti vi prendono per i fondelli, e dopo un po' vi schivano pure, che non solo continuano a non credere alle vostre parole, ma sono anche certi che portate sfiga.
E questo per tutta la vita, e solo per non aver voluto, una volta, cedere alle avances di Apollo.
Ma torniamo a Socrate che, proclamandosi come non sapiente, in realtà afferma che sa una cosa che il dio ignora: "sa di non sapere".
E mette a tacere un dio.
E poi ci si meraviglia se l'accusano di empietà.
Come stupirsi, quindi, se gli umani che non hanno, spesso, il dono della divina pazienza, davanti a qualche sua sparata in piazza regolassero la questione a cazzotti.
Socrate per un po' fa lo scultore, come il padre Sofronisco. La madre, Fenarete, era levatrice, non apparteneva dunque ai ceti più elevati, anzi diciamo pure che l'unica cosa che cerca, nei paraggi dell'aristocrazia ateniese, sono i ragazzini.
Alcibiade e Platone sono solo i più famosi, ma a quanto pare Socrate faceva strage di cuori, e non solo, che la castità non era una delle sue qualità più famose, se dobbiamo proprio credere ad Alcibiade. Anzi a Platone, che in dialogo mette in scena un racconto di Alcibiade.
Che racconta di essersi infilato nel letto di Socrate, e di aver passato la notte in completa sicurezza, come se avesse dormito con il padre, o con un fratello.
E lo racconta a più riprese, e sembra essere lui il primo a non crederci.
Che diamine! Socrate non aveva mai rifiutato un giro di giostra a nessuno!
Per quale diavolo di motivo lui -Alcibiade il bellissimo, sogno di tutti gli uomini di Atene - doveva essere il primo?
E si capisce anche che chi lo ascolta gli crede a fatica, e solo perché lui è Alcibiade e spesso paga il vino, che è brutto dare del bugiardo a uno che ti paga l'aperitivo una sera si e una no, e che per di più gira in compagnia dei suoi amici aristocratici sempre pronti a menare le mani.
A un certo punto Socrate viene sorteggiato per entrare nel consiglio dei Cinquecento; caso volle che qualche tempo dopo il consiglio dei Cinquecento dovette giudicare il comportamento dei generale ateniesi nella
battaglia delle Arginuse; che gli strateghi la vincono quella battaglia, ma non si fermano a soccorrere i soldati caduti in mare - ateniesi e concittadini.
Tutti quelli chiamati (cinquecento!) a giudicare se i generali devono essere processati votano per il processo, tranne Socrate.
Ovviamente il processo viene istruito e gli imputati condannati.
Poi Atene perde la guerra del Peloponneso e Sparta impone sulla città un governo fantoccio, quello dei
Trenta Tiranni. Leader dei Trenta era Crizia, zio di Platone, e a sua volta seguace di Socrate; tra loro c'è anche Senofonte, altro allievo di Socrate.
Senofone è un cavaliere, e proprio la cavalleria si distingue per la ferocia con cui combatte.
Comincia un periodo di terrore per Atene, i simpatizzanti del partito democratico scappano in massa dalla città per non venire uccisi, e si impadroniscono del Pireo, dal quale escono per combattere. E' la guerra civile.
A un certo punto i Trenta decidono che le retrovie della città non sono sicure, e scelgono Eleusi come roccaforte, ma ad Eleusi ci sono gli eleusini.
E che fanno i Trenta?
Mettono in scena un falso censimento: mano a mano che gli uomini vengono registrati devono uscire dalla porta della città, ma appena fuori dalle mura i cavalieri schierati su due file li ammazzano.
Da Atene non scappano solo i democratici, ma se ne vanno anche coloro che non vogliono essere coinvolti nelle azioni dei tiranni, ma non Socrate.
Socrate resta in città.
In quella città ormai stretta nella morsa dei tiranni, con a capo due suoi allievi.
(1) qui si potrebbe aprire una bella digressione sulla contemporaneità filosofica italiana, ma la tengo per un'altra volta.
(2) Tutti i libri di Canfora sono da leggere.