Ogni società culturale è regolata da una rete tabù, e raramente questi tabù sono universali. Non c'è società priva di tabù sessuali, e la nostra ne ha pochissimi: il nostro tabù sessuale per eccellenza, uno dei pochi rimasti e forse per questo tanto solido, è la pedofilia.
Nei commenti al post precedente Dacia - che ha una formazione solidamente ideologica, oltre ad essere convintamente relativista (cowboy esclusi, va detto) - sostiene due cose.
La prima - con cui sono parzialmente d'accordo - è che la pedofilia è un tabù culturale, la seconda - e qui mi ribello - è che è un tabù "imposto dall'alto".
Provo a spiegarmi.
Intanto si dice che la morale naturale non esiste, o meglio, che la fonte della morale non è la natura.
Da brava dilettante dell'etica, mi permetto di eccepire: se si può discutere culturalmente intorno all'età da marito delle ragazze, che una in società contadina sono spose e madri a 12 anni e in una società urbana alla stessa età sono bambine immature che necessitano di anni e anni di addestramento alla vita, non c'è invece società - mi risulta - che veda con simpatia chi si ingroppa i neonati in culla.
E invece ci sono pedofili che lo fanno.
Quindi la natura non sarà magari la fonte dell'etica, ma a volte qualcosina da dire anche lei ce l'ha.
Cosa accade invece con una ragazza in pubertà? Qui la faccenda si fa assai più sfumata, e interessante. Prima di tutto c'è da insinuare - e io lo faccio - che qui natura e cultura abbiano due opinioni assai diverse, in materia di etica.
Agli uomini piacciono occhi grandi, naso piccolo, piedi piccoli... tutto che rende attraente una donna sono dei "segnali di estrema gioventù/infanzia". Una donna giovane ha di fronte a se' anni di potenziali maternità e di buona salute, è un investimento biologicamente migliore e istintivamente i maschi lo sanno.
Dunque - mediamente - le ragazze puberi ai maschi piacciono.
Qui subentra il secondo assunto ideologico della Dacia, che vivendo la straordinaria e bizzarra contraddizione di combinare una visione violentemente manichea e al tempo stesso relativista della società sostiene che il tabù sia imposto da una specie di casta di potenti che ipnotizzano le genti imponendo i loro diktat culturali.
La società è invece - secondo la mia visione - una rete complessa di cultura, modi di vivere, necessità, opportunità che crescono e si sviluppano motu proprio intorno all'interazione, alla mediazione, e alla lotta tra interessi diversi e comuni. Noi siamo nati e cresciuti in seno a società urbane, nelle quali per vivere è necessaria una alta specializzazione. Una donna, nelle nostre società, per potere allevare altri (pochi) figli a loro volta altamente specializzati a vivere, deve - per esempio - lavorare: nelle società urbane sono pochi ricchi quelli che possono permettersi un solo - lauto - stipendio per mandare avanti la baracca.
Dunque il tabù che proibisce ad un adulto di toccare una pubere è un tabù fondante e fondamentale delle nostre società non per l'interesse di pochi, ma per l'interesse di tutti.
Un articolo sovrastrutturale, necessario - come ogni tabù - a fondare l'identità collettiva, e strutturale, cioè necessario a mandare avanti quella baracca che non sarà un granché ma cazzo - è pur sempre la nostra mammella.
Se poi Dacia, da cultrice del femminismo biologico, sogna una società dove le donne siano preposte a far molti figli e non lavorino, e per quello si batte, che lo dica chiaramente.
Posso - però - restituirle il "crumira" che un giorno - in materia di islamofemminismo - mi fu da lei appioppato?