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30 giugno 2014

Quella che sta nella stanza e mi guarda.

I bambini sono da mia madre.
Per i prossimi due mesi passeranno lì metà della settimana per consentirmi di lavorare, e prima del fine settimana me li riprenderò e porterò a casa.
Oggi mia madre è caduta con in braccio Nina e per salvarla ha fatto una mossa karateka avvoltolandosi e sbucciandosi gomito e fianchi. La colpa era di Magù e del suo brutto vizio d'infilarsi sempre tra le gambe e pestare i piedi, cosa particolarmente fastidiosa d'estate coi sandali.
Mi chiamano 3 volte al giorno.
Di solito mia madre urla nella cornetta, lui pure ma in sottofondo, e lei si sta lanciando da qualche punto molto alto e molto pericoloso.
O anche: mia madre urla e loro due si pestano a sangue.
O anche: mia madre urla, lui parla da solo nel suo mondo parallelo in cui vivono lui, la lente d'ingrandimento e un qualsivoglia insetto, lei sta arpionando un cane di passaggio e cercando di cavalcarlo.
Insomma io sto proprio tranquilla: serena, ecco.
Però mi piacciono queste loro estati.
Che sono proprio culo e camicia, dormono tutti e tre abbracciati sul copriletto di lino, fanno il pesto col basilico dell'orto, vanno a recuperare i cani in paese, cascano per terra e poi in fila alla cassa comprano caramelle gommose altamente chimiche.

Le maestre mi hanno detto che lui è un timido, che ha l'atteggiamento tipico dei timidi. Che quando si arrabbia trattiene le lacrime e incrocia le braccia. Che all'inizio entrava, si sedeva in un angolo, apriva un libro e spariva -puf- inghiottito nel suo mondo.
Ma che si sta aprendo, piano piano. Che ora entra e saluta, racconta qualcosina di sé e un giorno ha voluto cantare palloncino blu tutto da solo al centro della stanza e allora gli hanno fatto un grande applauso.
Io gli ho detto che è un po' nevrotico,  a casa. Loro mi hanno detto di rispettarlo, di accettarlo.
Mi hanno anche detto di aspettarlo - che mi è sembrato molto bello, come concetto.
Lui mi bacia e mi lecca, dice che sono buonissima e che so di fragola.

Nina cammina tra le gambe dei cavalli e non ha paura di niente.
Nina corre veloce.
A Nina piacciono le macchinine e andare sulle moto, però quando accudisce le sue 3 bambole - che di nome fanno tutte Maria - fa quel movimento lì, con la testa, inclinandola di lato e sussurrando una canzoncina. Quel movimento che a lui non ho mai visto fare e che non so - ecco - a me in quel momento Nina mi commuove.

Io lavoro, faccio l'orto, uso canottiere intime come magliette e attendo fiduciosa che l'armadio provveda da solo al cambio dei panni.
Ho sempre poco tempo, e troppo bisogno di scrivere.
E' che quando scrivo mi sento viva.
Non è che non mi senta viva facendo l'orto, o giocando coi miei figli.
In tantissimi momenti mi sono sentita viva.
Quando due anni fa lei usciva da me, mentre urlavo e pensavo di morire mi sono sentita vivissima, mai così -letteralmente- attaccata alla vita. Ed ero corpo e anima insieme, e debole e impotente e invincibile allo stesso tempo.
Ma questa vita qui che sento, mentre scrivo, è una vita diversa.
E' come una stanza dentro di me in cui c'è una me che lì ci sta sempre, mentre l'altra me di fuori lavora, cucina, culla, fa lavatrici, fa l'amore, si spinzetta allo specchio, piange, zappetta l'orto.
Questa me che invece sta sempre nella stanza in silenzio e mi guarda io la ritrovo quando scrivo, e allora è come quando hai un'amica che vive lontano e non vedi spesso ma se v'incontrate il tempo è come se non fosse mai passato -presente, no?- e non avete bisogno di raccontarvi i massimi sistemi -no, perché già sapete tutto: parlate del più e del meno, prendete un caffè, vi fate confidenze, ridete come sceme. Ridete tanto.
Una di quelle persone che mentre girate il cucchiaino nelle tazzine alzate gli occhi contemporaneamente e poi sorridete.
Perché vi siete riconosciute, siete voi, e siete vive.





29 dicembre 2013

Racconto di Natale.

Ora scriverò un racconto, che è una storia vera, una storia di Natale.
La scrivo perché questo posto è un refugium peccatorum, un antidepressivo, uno specchio dell'anima, una resa dei conti. Perché questo posto è un punto di domanda e nessuna risposta.
Perché è la mia palestra, il mio diario, e -soprattutto- la mia memoria.

Questa storia parla di Nonna Oroscopo, ma non dovete immaginarvela com'è adesso, con gli occhiali da sole fucsia, gli stivali di gomma verde e l'autocarro pieno di peli di cane.
Dovete immaginarvela Bambina, a sette anni, con lunghe trecce bionde e gambe secche, con una gran voglia d'indossare degli stivali troppo piccoli per andare nella neve e nessuna intenzione di ammettere che non riesce più a camminarci.
Dovete immaginare un paese al confine, più di 50 anni fa, con campi imbiancati e boschi estesi dietro gli orti.
Dovete immaginarvi anche che manchino pochi giorni a Natale.
Ci siete?
Pronti?

La Bambina, dicevamo, ha circa sette anni e una gonnellina scozzese sulle gambe, nude anche a Dicembre, perché le lunghe calze di lana si allentano facilmente scendendo al ginocchio.
Lei non ci fa caso e le riacchiappa tirandole su con gesto abitudinario.
Suo padre è alto, con una giovane barba castana e occhi nocciola sotto le ciglia.
E' un padre bellissimo, nessuno ne ha uno così.
Camminano lungo il sentiero, nella neve alta.
Nell'eccitazione della gita Bambina, che porta il 32 di piede, non sente ancora la stretta degli stivaletti numero 28.
Ma ha già percorso più di tre kilometri lungo la strada principale, dove c'è solo fanghiglia e dai tetti delle case salgono i rivoli di fumo delle stufe.
Solo adesso lasciano il paese alle spalle, imboccando un sentiero attraverso i campi.
Bambina e suo padre non parlano, il solo suono è il passo sordo dei loro stivali nella neve alta o il tonfo rado di un peso che piomba dai rami giù sulle rive.
Non esistono pini in questa radura, verranno solo tra molti anni, trapiantati da chissà chi e poi moltiplicati.
Oggi, in questo Dicembre degli anni Cinquanta, ci sono solo tigli spogli, betulle dai tronchi squarciati di nero e acacie. Molte acacie.
Lui si volta a guardarla e la vede massaggiarsi le gambe, sbuffare rossa come una mela sulla tavola di Natale.
Tu resta qui, io vado a cercarlo. Torno presto, hai capito? non muoverti per nessuna ragione.
Bambina guarda il giaccone sparire nel bosco.
Certo, se avesse lo slittino con sé il tempo passerebbe più in fretta.
Si arrosserebbe le ginocchia nella neve scivolando giù da quella riva, vah che bella. Un vero spreco.
Bambina ha uno slittino vecchio, con le lame consunte. Non che gli altri bambini abbiano di meglio: tutti così, sulla stessa barca. Almeno son pari quando fanno le gare.
Bambina abbozza un pupazzo nell'attesa: un paio di bacche per gli occhi, una foglia fradicia per il sorriso. Manca poco, ora arriva. Ne avrà trovato uno bellissimo, grande, da riempire di mandarini, campanelli e arance essiccate sulla stufa.
...adeeeste fide-e-les...la-la-la-la-la-laaaa... - canticchia - la maestra la sa bene, conosce il latino.
Guarda lì che bel passero, grasso come un tordo.
Intanto sul campo, lentamente, scende l'ombra.
Nubi compatte chiudono il cielo, più tardi ricomincerà a fioccare e forse l'indomani mattina, dopo la Messa, Bambina scenderà lungo il fiume a sfidare gli altri nella neve fresca.
Se ora si volta indietro non si vedono case, solo i ricami neri delle siepi tra i campi e la tenda scura del bosco tutto intorno.
Adesso torna, fa quasi buio.
Urca come stringono 'sti stivali. Se sfrega i piedi li sente bruciare.
Prova a saltellare sul posto, ma le gambe sono rigide, le piante dei piedi trafitte da spilli ad ogni balzo.
Si ferma, porta le mani nude alla bocca, al vapore caldo dell'alito che si condensa nell'aria.
Gioca con gli sbuffi una, due, tre volte.
Il cielo è diventato grigio come il fondo di una pentola.
Forse non torna. Oddio, forse non torna.
Forse è caduto e sta laggiù disteso sul fondo di un precipizio nel cuore della Val Grande, magari la sta pure chiamando e grida aiuto. Bambina tende l'orecchio.
Forse rimarrà lì per sempre, come le ha detto lui, non muoverti per nessun motivo, e l'indomani sarà un pupazzo di neve, con le trecce lunghe e gelide come stalattiti e le ginocchia di ghiaccio.
O forse le toccherà cercarlo, per ore ed ore, per poi  tornare a casa da sola e disperata, e lui non arriverà neanche per Natale.
Se lui non tornasse, Dio se lui non tornasse.
Bambina sente gli occhi riempirsi di lacrime, lei che non piange mai.
Neanche quella volta che il figlio dei vicini l'aveva presa in giro.
Lei, piccola com'era, gli aveva stampato uno schiaffo duro sulla guancia, e lui -il vile- era andato da sua madre. Le aveva prese, naturalmente. Solo il nonno, al momento di metterla a letto, aveva chiesto a Bambina "ma perché lo hai fatto?".
Il nonno, ah se ci fosse il suo nonno. Forse dovrebbe correre a casa ad avvisarlo, andrebbero insieme a cercarlo, lì nel nero del bosco o sul fondo del precipizio.
Oddio, il precipizio. 
Qui è tutto buio papà, sento freddo papà, sali dal burrone papà, vieni a prendermi.
Si asciuga le lacrime col dorso della manina e trema perché un'arietta gelida  s'è già alzata su dal campo, proprio verso di lei.
Si accuccia sulle ginocchia e soffia forte tra le mani.
Frrsscc. Frrsscc.
Alza la testa, non lo vede subito.
Nell'ultimo scampolo di luce la neve scricchiola via nell'aria, il vento freddo scuote una piccola bufera senza che attorno nevichi.
Poi lo vede, il giaccone. Lo riconosce d'un tratto nel turbinio della neve ghiacciata, tra fronde traballanti che lasciano cadere una pioggia fitta di cristalli.
Il giaccone, poi la barba con gli occhi nocciola e sulla spalla un ramo enorme, che striscia riverso a terra lasciando una scia di aghi e terra macerata.
Non dice nulla, Bambina con le labbra viola, quando lui si toglie il ramo dalla spalla e sollevandola se la mette in collo.
Ogni tanto lungo la strada -ancora scossa da piccoli singhiozzi- si volta a guardare il ramo che striscia alle sue spalle, nella mano forte di lui.

Il fuoco della stufa è troppo forte, scotta rovente sulla pianta dei piedini, rossi come peperoni d'estate. Bambina sente come se glieli incidessero di netto, con lame affilate.
Sua madre dice "dai qui a me" e la allontana dalla stufa.
Le sfila, pianissimo, le calze. Prende i piedi, nudi e ghiacci, si scosta il maglione e li infila sotto le ascelle tiepide e morbide.
Stanno lì così, per un tempo sonnolento e interminabile, mentre la stanza s'impregna di resina.

31 ottobre 2013

Pensavo fosse sfiga invece era un calesse.

Su questi giorni strani m'appoggio.

Ho fatto un sogno, l'altra notte.
Ero incinta ma qualcosa non andava. Qualcosa, dentro di me, non funzionava.
Abortivo lì, sul tappeto verde in bagno.
E quando lo vedevo a terra e gli guardavo il viso bello, da quell'istante in poi lo amavo.
Lui sì, per la prima volta, da subito, lo amavo senza conoscerlo. Non una goccia meno degli altri due.
E' stato allora che è arrivato il dolore, a detonare dentro.

Pensavo fosse sfiga invece era un calesse.

Mi sono presa la mattina e ho portato Nina a fare il vaccino.
Ha  scatarrato sul camice del medico che le ha controllato i polmoni e ci ha rimandate a casa.
Pensavo di essere indietro col lavoro,  pensavo come faccio a portarla dalla pediatra adesso, pensavo ma pensa te che  stronza che non ti sei manco accorta del catarro, pensavo certo che c'hai una sfiga.
Invece poi abbiamo pranzato insieme e lei sedendomi davanti succhiava spaghetti e sorrideva arricciando il naso. Si è pure messa un dito nell'orecchio e  lo girava per dirmi ch'eran buoni.
Io di solito pranzo da sola.

Cose che solo io.

Le inette come me decidono così- su due piedi- di preparare il pan di mort.
Siccome e precipuamente perché sono inette non lo fanno dopo una spesa ragionata ma così, proprio ad minchiam, col neurone a intermittenza e la dispensa come la trovano.
E non c'hanno i fichi secchi ma vabbè la marmellata.
E non c'hanno  gli amaretti ma vabbè  il grancereale (?).
E non c'hanno il savoiardo ma vabbè c'ho i biscotti (??).
E non c'hanno il vin santo e vabbè c'ho quel mezzo grappino fatto in casa.
E non c'hanno lo zucchero e vabbè - no, 'spetta- cazzo. Non c'ho lo zucchero.

Cose che solo io - due.

Ho fatto vedere a Magù questa foto e gli ho detto che trovo sia bellissima, e intensa, e ritoccata in postproduzione,  e tuttavia simmetrica, commovente, perfetta.
Dico magari ci andiamo un giorno io te e Nina e il babbo in South Dakota, al confine col Minnesota.
Perchè no, chi ce lo impedisce, dico io. Ci andiamo pure noi e fotografiamo la luna gigante e i coyote, se ce li troviamo.
Dico domani in ogni caso la disegniamo insieme, lui  pastrugna l'orecchio e fa sì con la testa.
Io mi tranquillizzo.




Comunque lo avete capito -sì ?- che m'è arrivato il ciclo.

6 agosto 2013

Pensieri dall'orto.

Magù aveva un cappello a forma di vaso rivoltato, e una lunga stretta foglia a fargli da piuma.
Era biondo, piccolo e snello con grandi occhi verdi.
Magù credeva alle lucciole da accendere, alla sua cannuccia a forma di spada e alle brucomobili che sfrecciavano nell'orto.

Magù aveva molti pensieri felici, e uno brutto, che gli camminava accanto.
Non sapeva come fare a liberarsene.
Provò e riprovò a cacciarlo via, ma non c'era verso.
Allora pensò che forse era più semplice lasciarlo lì dov'era, a rimuginare da solo.
Infilò i suoi stivaletti retromarcia che gli aveva regalato la nonna - per quando sentirai il bisogno di tornare a casa tua, gli aveva detto - e quelli schizzarono via all'indietro, come saette.

Quando arrivò, sua sorella stava trafficando tra i pomodori, pensierosa.
Le si avvicinò e tirò fuori dalla tasca un soldatino giallo sorridente, il suo primo pensiero felice.
"Un biccotto al calzino bagnato e crema pattizzera" - le disse ridendo.
Poi raccolsero i pomodori caldi di sole e, addentandone uno a testa, si volsero verso casa chiamando forte Barbeque il cane, perchè li raggiungesse.

4 aprile 2013

Hei voi, là fuori.

Potrei dirvi che non sapete un cazzo di me.
In effetti, non sbaglierei.
Sapete quello che vi faccio sapere, come pare e piace a me.
Non diversamente da quello che accade nella vita reale di ognuno di noi, peraltro.
Faccio foto, twitto cose, vi scrivo, ma sostanzialmente - alla prova dei fatti - potrebbero pure essere tutte fregnacce.
Non dico che lo siano, dico che potrebbero.
Chi ve lo assicura.
Chi me lo assicura, mentre vi leggo.
Chi ce lo assicura, mentre beviamo un caffè assieme, prendiamo il treno, mi racconti cosa fai, ti dico di mio padre.


Tuttavia.
C'è questo bisogno, che alcuni di noi hanno, che francamente la maggior parte di noi ha, di crederci. Di ascoltare, di ascoltarsi.
E quell'altro bisogno anche, di dirlo. Di dirsi.
Ho creduto di essere qui per scrivere. Non è falso, ma la verità più vera è che sono qui per farmi leggere da qualcuno.
Ha ragione lei, e lo dice spudoratamente bene. Nota bene: adoro le cose dette spudoratamente bene, vorrei essere capace di farlo anch'io.
Dire le cose spudoratamente è terapeutico. Dirle spudoratamente bene è pure esteticamente appagante.

Il fatto è che a un certo punto comincia a non contare più  ciò che sappiamo da ciò che non sappiamo, perchè quello che ci basta sono le storie.
Vogliamo delle storie. Leggiamo libri, guardiamo film, ascoltiamo canzoni: per le storie.
Le storie degli altri che assomigliano alla nostra, le storie degli altri anni luce dalla nostra.
Ci bastano per appassionarci, invidiarci, ammirarci, snobbarci, affezionarci.

Voglio dire, io manco so di che colore avete i capelli.
No ok,  la Tess so che è bionda e che non potrebbe essere altrimenti.
Però leggo le vostre storie.
So che il vostro collega è uno stronzo, che vostra madre sta male, che avete comprato un vestito con le farfalle per sentirvi belle, che al vostro cane gli cola il naso, che avete piantato i bulbi in giardino, perculato un vigile, se avete paura, se siete soli, felici o con tre figli tutti pazzi.
Se ve lo racconto, sapete che ho litigato con mio figlio, m'ha fatto incazzare e l'ho sgridato fortissimo. Che mi sono sentita una merda e ho chiesto scusa. Che dovrei inginocchiarmi e ringraziare e basta. Perchè lui non è tutto quello che ho, però è tutto quello che conta.
A volte vedo le foto di quello che cucinate o dei giornali che leggete, la vostra tazza del latte.
E non so neanche dove siete, cosa fate, come fate di cognome, l'automobile se ce l'avete.
Non so cosa conti di più, in assoluto. Se la verità degli occhi o le storie che raccontiamo.

Potrei dire che non so un cazzo di voi.
E in effetti, non sbaglierei.
Voi di sicuro non sapete tutto di me, però molto di ciò che conta.
Questo è il mio 352esimo post e non so perchè l'ho scritto.
Forse perchè se piango e mi chiedono che hai? io non è che posso dire, tecnicamente, per un'amica.
Però è la verità. 
  

15 gennaio 2013

Parafrasando Pennac.

I diritti imprescrittibili dello scrittore*.


1. il diritto di non scrivere.

2. il diritto di rileggersi, oppure no.

3. il diritto di scrivere qualsiasi cosa.

4. il diritto di rubare (atmosfera, tecnica, tema. Lo stile no, non si può, anche volendo. Per questo non è copiare.)

5.  il diritto di censurarsi, cestinarsi.

6. il diritto di rispettare le regole ( l'asindeto è la figura retorica che consiste nell'elencazione di termini senza uso di congiunzioni, il punto e virgola si usa per scandire i membri di un'enumerazione complessa, la lettera iniziale maiuscola si usa dopo ogni punto fermo, altre varie ed eventuali.)

7. il diritto di decidere di non usufruire del diritto precedente.
Per protesta. Per utilità. Per fantasia.

8. il diritto d'inventare.
Io potrei essere un uomo pelato, 77 anni, senza figli.
Quello che conta è ciò di cui lo scrittore ha bisogno, ciò di cui il lettore ha bisogno.
E scrittori, o lettori, non hannno bisogno di persone. Hanno bisogno di storie.
Un tempo lei non la pensava così, ma adesso che ogni sera racconta a Magù la storia dell'omino degli angoli che vive nella sua stanza e gli ruba i giocattoli sa che invece è così, è vero. Che ha ragione Magù, mica per niente è un bambino.


 8.  Il diritto di leggere a voce alta ciò che si scrive mentre lo si scrive.

 9. il diritto di scrivere ovunque. Su carta, pc, tablet. Sulla metro o in galera. In bagno con le mutande abbassate. Mentre mangi e ungi il foglio. Dentro nel fondo stanco e  pesto della notte.

10. Il diritto di non pubblicare.






*Laddove per scrittore intendasi il tizio concentrato sulla panchina al parco con ipad in mano, Jonathan Franzen col premio Pulitzer, mio nipote di 11 anni -scuola media statale- di fronte al tema in classe, Dante Alighieri e la Comedìa, il Sig. Marco Rossi e la sua lista della spesa in rima, Blaise Pascal, il Dott. Chi Gun in vacanza con famiglia e la passione per le cartoline vintage, un qualsivoglia ghost writer, la Signorina Ilda Mauvalente che scrive una lettera d'amore di mattina presto, il tizio che scriveva i pensierini nei dolcetti della fortuna di non ricordo più quale romanzo che lessi anni fa, la tizia che racconta i fatti suoi su un blog anonimo, altri personaggi inventati.

14 febbraio 2012

Io amo (l'Apple Store).

A chi di voi ha affermato, spergiurato, millantato, banfato e quant'altro di avere un iphone/ipod/ipad o simili aggeggi di imprescindibile (?) e amena (!!) virtù vi avviso che le FilAppstrocche sono su iStore!
Trovate qui la versione lite, e qui quella completa.
Adesso non cominciate a fare i braccini corti e a lanciarvi su quella aggratis però eh ;D!!!
Scherzo.
Ma anche no.
Insomma vedete un po' voi ma io qua, da dietro lo schermo, c'ho gli occhietti da bassethaund con lacrimuccia laterale e un residuo di dignità che scodinzola, fate vobis.

Per quelli che fossero arrivati qui da poco e si stessero chiedendo:

- se le FilAppstrocche siano filanti, appetitose ricette pugliesi a base di troccoli.
La risposta è no: come spiegavo qui trattasi di una piccola e succulenta raccolta di filastrocche inedite, in quanto scritte da me medesima. Insieme a quei pazzi scatenati quella brava gente con cui lavoro abbiamo deciso di farne un'app per smartphone. Perchè in fondo, ci crediamo moltissimo.

- se mi venisse la lussuriosa idea di leggermele le trovo in libreria? dal porcaro? a teletubbilandia?
La risposta è no: sono app, ovvero applicazioni ludico-ricreative con cui sollazzarsi tramite smartphone o tablet, insomma per lo più coi telefonini di nuova generazione che fanno tutto, dal massaggio bioayurvedico per il cane alla prenotazione della visita di controllo alla gotta di tua nonna.
Ricapitolando: se avete un iphone/ipod/ipad e nulla di male contro Cupertino le trovate qui.
Se invece siete un po' più in bolletta e/o per qualche motivo vi sta sulle balle il clima di Cupertino allora le trovate qui.
In ogni caso io ci tengo tanto, ma proprio tanto.
Se poi voleste anche darmi qualche opinione, fare una piccola recensione (questa con mia immensa gratitudine a vita), congratularvi, inviarmi rose rosse o un modulo per l'assistenza sociale, fatelo. Scrivetemi una mail, scrivetemi un post, commentate: scherzi a parte, ci sarebbero davvero utili un po' di feedback ;).
Al momento i download sono molto buoni, ma pochi ci scrivono per qualche commento: date il buon esempio, oggi è la festa dell'Ammmorrre e gli uccelletti fischiettano. Come dite? Ah non fischiettano, s'ammazzano sul terreno gelato e fa un freddo cane? ragione in più, dico io, per stare caldi caldi davanti al computer e farmi sapere che ne pensate di questo mio secondo parto =).

p.s. oggi è s. Valentino e vabbhè tutti partiranno con utilissime ricette al cioccolato e segnalazioni last minute di capi osè per la serata più sheccschi dell'anno.
Io invece vi lascio con una chicca da Ponte dei Sospiri: Susibita e Papone si conobbero all'età di 8 anni, epoca in cui lei atterrò per la prima volta in una classe di marmocchi sbiaditi con i banchi ordinati e  i grembiulini monocolore (neri, gosh. Neri!!!).
Lui la squadrò di sottecchi coi suoi occhietti aguzzi e non disse nulla, ma lei anni dopo venne a sapere che lui c'aveva sto dubbio amletico di chiederle: "Com'è che vieni dall'Africa e non hai la pelle nera?".
Al che lei ringraziò sommessamente il Santo Protettore del Primo Appuntamento che vede più in là di tutti perchè altrimenti, quel giorno di fine Febbraio di mooolti anni dopo, mica si sarebbe lasciata baciare.



15 gennaio 2012

Io ci ho fatto un' app.

Sottotitolo: l'angolo della self-promotion.


Quando ho aperto questo blog ho solo dato forma diversa a una cosa che in parte facevo già prima: scrivere.
Lunghe, infinte mail alla mia migliore amica.
Qualche racconto qua e là.
Biglietti idioti in rima lasciati sul piano della cucina a Papone.
Poesie su un vecchio quaderno a righe.
Mail idiote a Papone, Sorella Subli o sventurati amici.
Biglietti della spesa, spesso idioti, sempre per Papone.
Con idiozia, ma senza costanza.
Senza questo -come dire?- allenamento.
Perchè è anche un esercizio, a voler ben vedere. Inconscio, ovviamente.
Per quelli tra voi che hanno un blog : avete mai provato a rileggere i vostri post più vecchi? I miei hanno uno stile diverso, a me sembrano più rigidi. Decisamente più rigidi.
E' come se l'utilizzo costante della forma scritta mi avesse aiutato a trovare, in questo piccolo angolo virtuale, un modo più mio, di esprimere le cose. Un mio stile, banalmente.
Trascurabile ai più, perfettibile certamente, ma a me di questo frega poco o niente.
Sono felice quando riesco a tirare fuori le cose così come girano nella mia testa e poi rileggerle, riguardarle, come sassolini sulla mano.
Mi sono accorta anche che la cosa si estende. Tipo che adesso mi riesce più facile persino scrivere i bigliettini d'auguri.
O magari scrivere storielle per Magù.
Filastrocche, ad esempio.
Storie  in rima, che raccontano la sua giornata: quando stendiamo i panni insieme, la fila al supermercato, lui che scappa se gli dico 'si va a nanna?', il riflesso del lampione sul piumino del suo letto.
E niente, tutto questo per dire che quindi alla fine  io ci ho fatto un'app.


'Facciamo un'app tutta nostra, dai.'
'Sì ma i contenuti? Non conosciamo nessuno con dei contenuti già pronti?'
' ...'
'Susibita perchè fischietti?'
'Chi? Io?'
'Sì, tu. Fischietti e fai la faccia da gnorri.'
'Io delle cosucce le avrei anche, ma credo piacerebbero per lo più a un nano compreso tra gli 0 e i 5 anni. Oppure a dei genitori sufficientemente sciroccati. Hem, se volete, ve le...hem...ve le leggo.'
...
'Mmm, mumble mumble. Credi funzionerà?'
'A Magù piacciono.'
'Mmm, mumble mumble.'
'...Bhè?Allora?'
'Allora credo potrebbero funzionare.'

Questo succedeva almeno 5 mesi fa, ed è con immenso piacere che oggi vi presento le FilAppStrocche.
Per ora sono in vendita sull'Android Market, ma se tutto va bene uscirà anche la versione su Apple Store.
Questa è la serie della sera (ma ho già scritto anche quelle per il giorno), i testi sono scritti da me, le illustrazioni fatte da lei, l'applicazione fatta da loro.


Senza questo blog non le avrei scritte, probabilmente.
O forse sì, ma non avrei avuto il coraggio di farle leggere ad altri.
Ma qui ho imparato a scrivermi, a leggermi.
E a non temere il vostro giudizio.

Quindi siate clementi e, per l'amor del cielo, scaricatela.

13 ottobre 2011

Ascoltami, Magù

Ascoltami, Magù.
Voglio raccontarti una storia.
Non è una favola, non è una storia con effetti speciali, ma è una storia che sa di vero ed è bella per questo.

Tua mamma è nata in un giorno d'autunno e quando la portarono a casa faceva quel freddino che fa nelle sere in cui si è persa l'estate e l'aria di vetro ha quella luce un po' bagnata che sa di condensa e di fumo.
Al suo terzo natale le fu regalato un pupazzo a forma di coniglio coi baffetti impomatati e un ridicolo papillon a pois  bianchi.
Lei ne fu travolta.
Travolta da quell'amore cieco, assoluto, senza respiro che amano solo i bambini.
Quello che non capisce, non tollera le assenze.
Quello che s'aggrappa ai pantaloni e si getta per terra, che dorme avvinghiato, vuol esser dondolato.

Amò intensamente il suo coniglio e per questo lo riempì di baci, gli insegnò a prendere il tè col gruppo delle bambole e lo pteurosauro, lo invitò ai suoi compleanni e a quelli dei suoi amici, lo portò in gita alle piramidi e in sella a quella vecchia cavalla bianca con le coccarde sulla porta del box.
Gli insegnò com'è che si comporta un vero pirata e alla fine, soddisfatta, lo fece ufficiale del proprio vascello.
Fu generosa e offrì sempre aranciata e formaggio in abbondanza, non lasciò mai che dormisse da solo e perchè non vedesse i rami frustati dal vento sul vetro nelle notti di tempesta, lo stringeva forte al viso e gli cantava storie di cuscini.
D'altronde era per lei un fratello e quando lo diceva si faceva seria seria, perchè non vi fossero dubbi: lei non stava scherzando.
Lesse per lui ogni libro di fiabe nel modo in cui leggeva lei a 4 anni: col libro al contrario e la vocina acuta e saccente, succhiando una fetta di limone.
 Lui la ricambiava gettandole lo stesso costante, fiducioso sorriso da ogni angolo della casa in cui lei lo avesse appoggiato. Ascoltava ogni suo racconto, placidamente appagato e deliziato, senza fare domande. Declinava gentilmente ogni offerta e lasciava che fosse lei a finire anche la sua parte di gelato. Consolava le sue lacrime calde e le asciugava nel cotone delle proprie orecchie di cui lei  abusava talvolta per indagare i recessi delle proprie narici, già che c'era.

Dove c'era lui, c'era lei.
E si amavano, sai, per via del fatto che ogni paura di lei era la paura di lui, ogni dubbio che lei si poneva era la domanda che attanagliava anche lui, ogni ingiustizia subita era da vendicare insieme, ogni languorino era lo stesso mal di pancia, ogni febbre il comune delirio, ogni puntura l'identico terrore.
Così lei non fu mai veramente sola, per molti anni, in qualunque posto andasse.

Ti sembrerò banale, ma è una storia così, senza una vera fine.
Quel che conta, in questo caso, è più il viaggio.
Per questo  stasera, quando ti sei portato a letto quel coso blu che credo miri a sembrare un orso, io ti ho chiesto come si chiamasse e tu ci hai pensato un paio di secondi e poi mi hai fatto: "A-ha", io mi sono ben guardata dal prenderti sotto gamba e gli ho detto: "Benvenuto a bordo, Ufficiale."

10 ottobre 2011

Su Google c'è gente strana

O voi cibernauti che mi trovate su Google digitando:

"Susibita childfree"
Nego tutto: non l'ho mai detto, non ne avete le prove.

"conoscere gente senza figli", "persone senza figli" ma anche "portare bambini a casa di gente senza figli"

Non so come dirvelo, ma ho un figlio.

Voglio far ammalare il mio capo.
Tutti abbiamo bisogno di un sogno.

Mi sono licenziata perchè ho vinto al superenalotto.
Davveeero?? Ma che bella notizia. Te possino.

30 anni poco, 30 anni assai.
Buona la prima.

Troppi peli, troppo magra.
Cazzo, m'ha beccata la mia estetista. Dani???

E' strano non volere figli.

Non direi, tesoro. E' strano averli. (ma è il suo bello)

Spalmare piscia.
Perchè, a voi non succede?


Buono sconto all'autolavaggio.
Quale? Dove?

E adesso pedala.
Grazie, che carino. Li mortacci tua.

Dicevo così per dire.
Anch'io.


27 luglio 2011

Ciò che è degno di essere considerato.

Ad esempio un cane che scodinzola, è degno di essere considerato.
Il linguaggio lento dei vecchi.
Chiunque si scusi.
Quelle foglie piccolissime nel vasetto sul mio terrazzo.
Chi paga la spesa e va avanti.
Degna è la mano che chiede.
L'acqua che disseta il mio bambino.

La lampadina che accende una stanza, il canto di un coro fuori da una chiesa.
Non sprecare carta, riciclare un vecchio lenzuolo è cosa molto degna.
Degno è il pensiero onesto.
Conoscere i nomi delle stelle.
Chi cura la terra.
Chi studia la storia.
La parola "grazie".

Considero degno chi ha provato vergogna di sè stesso.
Il primo libro che ho letto.
Il mestiere d'insegnare e l'odore bianco del gesso.
Gli oggetti di legno e i fazzoletti di stoffa.
La pioggia in autunno, il freddo d'inverno, il caldo in estate e le giuste stagioni.

La parola "lavoro" è tra le più degne.
L'amore fatto al buio.
Non vergognarsi di dire " mi hai fatto male da morire".
Quando non riesci a smettere di ridere.
Chi ha tanta paura.
Chi non ne ha per nulla.

Non saperti spiegare, bambino, ma provarci lo stesso.

14 luglio 2011

Dicono di.

Lei è una che diffida di chi non sa essere gentile.
Chi le stringe la mano svogliato, molle come uno straccetto le fa sorgere come un sospetto a priori.
Lei è una che guarda moltissimo e si fa una sua idea, ma non la dice subito, aspetta di arrivare a casa e che qualcuno le chieda "allora, che ne pensi? guarda che ti ho vista, so che hai un'idea."
A lei piacciono quelli che li capisci , cos'è che vogliono, quello che li delude e ciò che non tollereranno mai.
La mettono a suo agio.
Il non sapere con chi ha a che fare la mette in agitazione e fa sì che cominci a muoversi nervosamente e sudare, come quando stai in pantaloncini su una poltrona di pelle che appiccica.
E poi -chiaro- quelli che sanno ridere.
Soprattutto di sè stessi.
Quando le capita d'incontrarli si rilassa subito, perchè ha la certezza che non avranno paura di nulla, visto che hanno imparato a non prendersi troppo sul serio.

Di lei invece si potrebbe dire che è sensibile.
Qualcuno direbbe che è dolce.
Idealista, fragile, permalosa, braccino corto, ingenua, gentile, approssimativa, senza senso delle proporzioni, istintiva, infiammabile, maldestra, svagata, curiosa, infantile, trasparente, un tantino bimbominchia e parecchio cazzara.
Molti la troverebbero buffa.
Pochi direbbero che sa guidare.
Nessuno direbbe che è elegante.
Tutti direbbero che è stordita.

Lei direbbe che ama ascoltare la notte salire su per i muri d'estate.
Lasciar fuori i pensieri a grattare la porta e miagolare.
Non farli entrare.
Attorcigliare le gambe e sentirne il fruscìo sotterraneo, come di acqua corrente, segreta.
Lei direbbe che questo basta per conoscerla, ma solo ora e per poco ancora, tra le undici di sera e il lavandino che gocciola.

10 gennaio 2011

Succede che un giorno apri un blog.
Ti sembra una cosa carina.
La tua famiglia, i tuoi amici, così spesso lontani.
Non stai neanche tanto a pensarci su.
Lo apri perché è comodo, molto comodo.
Perché è utile, molto utile.
Perché sei incinta e tutti fanno le stesse domande, gli stessi commenti, danno le stesse risposte.
Perché hai un luogo solo, unico, in cui dire “non ditemi”.
Non ditemi non sei eccitatissima?, ho paura e me la faccio sotto.
Non ditemi non fa male, non vi credo.
Non ditemi è una cosa fantastica, non vi capisco.
Non ditemi brava!, non è, qui, una questione di merito.
Non ditemi era ora, fatevi un po’ i cazzi vostri.
Non ditemi ahh goditela adesso che poi dopo…, mi girano le balle.
Non ditegli per lei non esisterai più, siete tristi.
Non ditemi non sarà più come prima, è, semplicemente, banale.

Eccheccazzo, erano tutti pesantissimi.
Io volevo solo essere un po’ leggera.

Lo apri perché hai un luogo in cui aspettare.
Sono un po’ lenta, e, qui dentro, ho imparato ad aspettarmi.
Poi ogni tanto c'è della gente che passa, da queste parti.
Una cosa misteriossima, che non mi spiego mai del tutto.
E un giorno una di loro – che ne so - magari ti scrive.
E scopri che non è un’entità extraterrestre non meglio definita ma anzi ha una città, un lavoro, un accento, un nome.
E quello che tu leggi sul suo blog non ha la tua voce, ma la sua.
Non il tuo accento, ma il suo.
E capisci che c’è una persona - o magari più di una? - che vive a centinaia di km da te e che, seduto a una scrivania, di mattina in ufficio o alla sera in salotto, legge proprio di te.
Esattamente come fai tu.
Non hai idea di che colore abbia i capelli, ma sai se suo marito s’è alzato incazzato quella mattina.
Non sai come si chiami, ma conosci il nome dei pupazzi dei suoi figli.
Non conosci la sua età, ma le sue paure sì.
Non sai se creda in Dio, ma cosa la fa ridere ogni giorno.
Allora io mi dico: che cosa strana e buffa, eh?
E bella, mi pare.