Lei.
Nina è bella come un giardino.
Non fosse che è tre giorni che si addormenta solo mano nella mano sarebbe perfetta.
Lui.
Lui è andato a una mostra, ha visto lei:
e si è innamorato.
Messo alle strette dalle maestre su quale maschera volesse realizzare ha scelto -che ve lo dico a fare - il cavaliere.
Messo alle strette sul non poter scegliere il cavaliere ma sul doversi limitare ai personaggi visti nel corso della visita ha fatto spallucce, brontolato, minacciato ostruzionismo, infine promesso che ci avrebbe pensato su nella notte.
Al risveglio ha optato per la bionda.
"Ma io sono un macchio peò."
"Sì certo, sei e rimani un maschio."
"Io sono un macchio e un cavaliee."
"Già. Infatti ti piacciono le bionde."
"Mi piazzono, sì."
Noi.
Un amico single, senza figli e con un certo sprezzo del pericolo è venuto a trovarci per il fine settimana.
"Dai tutto sommato è andata bene, non aveva l'aria eccessivamente sconvolta: mi ha detto che non si è affatto stancato."
"Mentiva."
"Esagerata, me lo avrebbe detto. Può darsi che non si sia accorto che quello là è un tantinnello nevrotico e quell'altra un cicinino esigente."
"Seeee."
"No davvero, se la giocavano alla grande, hai visto anche tu."
"Siete rimasti d'accordo per ripetere l'esperienza?"
"Hem, no."
"Non lo rivedremo mai più."
Visualizzazione post con etichetta amici. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta amici. Mostra tutti i post
11 febbraio 2014
Noi adesso.
Etichette:
amici,
arte,
carnevale,
cose belle,
cose strane,
Magù,
Magù lifestyle,
nina,
scuola materna
22 aprile 2013
Grazie.
Grazie perché esistono i surgelati.
Il nurofen bimbi.
Wetransfer.
Il vicino di casa babysitter.
Grazie ai due con cui lavoro: precisini, un po' gnègnè, che mi s'inacidiscono per ogni minima cazzata, che convivono nel loro monolocale molto nerd, molto ingegnere e molto lontano.
Grazie perché ci sono, sempre.
E se il mondo là fuori è tosto e gli scrivo "non ce la faccio più, ho fatto fin qui, tra poco svengo, pensateci voi", loro ci pensano.
Grazie per Strawberry Fields.
Forever.
Il nurofen bimbi.
Wetransfer.
Il vicino di casa babysitter.
Grazie ai due con cui lavoro: precisini, un po' gnègnè, che mi s'inacidiscono per ogni minima cazzata, che convivono nel loro monolocale molto nerd, molto ingegnere e molto lontano.
Grazie perché ci sono, sempre.
E se il mondo là fuori è tosto e gli scrivo "non ce la faccio più, ho fatto fin qui, tra poco svengo, pensateci voi", loro ci pensano.
Grazie per Strawberry Fields.
Forever.
4 aprile 2013
Hei voi, là fuori.
Potrei dirvi che non sapete un cazzo di me.
In effetti, non sbaglierei.
Sapete quello che vi faccio sapere, come pare e piace a me.
Non diversamente da quello che accade nella vita reale di ognuno di noi, peraltro.
Faccio foto, twitto cose, vi scrivo, ma sostanzialmente - alla prova dei fatti - potrebbero pure essere tutte fregnacce.
Non dico che lo siano, dico che potrebbero.
Chi ve lo assicura.
Chi me lo assicura, mentre vi leggo.
Chi ce lo assicura, mentre beviamo un caffè assieme, prendiamo il treno, mi racconti cosa fai, ti dico di mio padre.
Tuttavia.
C'è questo bisogno, che alcuni di noi hanno, che francamente la maggior parte di noi ha, di crederci. Di ascoltare, di ascoltarsi.
E quell'altro bisogno anche, di dirlo. Di dirsi.
Ho creduto di essere qui per scrivere. Non è falso, ma la verità più vera è che sono qui per farmi leggere da qualcuno.
Ha ragione lei, e lo dice spudoratamente bene. Nota bene: adoro le cose dette spudoratamente bene, vorrei essere capace di farlo anch'io.
Dire le cose spudoratamente è terapeutico. Dirle spudoratamente bene è pure esteticamente appagante.
Il fatto è che a un certo punto comincia a non contare più ciò che sappiamo da ciò che non sappiamo, perchè quello che ci basta sono le storie.
Vogliamo delle storie. Leggiamo libri, guardiamo film, ascoltiamo canzoni: per le storie.
Le storie degli altri che assomigliano alla nostra, le storie degli altri anni luce dalla nostra.
Ci bastano per appassionarci, invidiarci, ammirarci, snobbarci, affezionarci.
Voglio dire, io manco so di che colore avete i capelli.
No ok, la Tess so che è bionda e che non potrebbe essere altrimenti.
Però leggo le vostre storie.
So che il vostro collega è uno stronzo, che vostra madre sta male, che avete comprato un vestito con le farfalle per sentirvi belle, che al vostro cane gli cola il naso, che avete piantato i bulbi in giardino, perculato un vigile, se avete paura, se siete soli, felici o con tre figli tutti pazzi.
Se ve lo racconto, sapete che ho litigato con mio figlio, m'ha fatto incazzare e l'ho sgridato fortissimo. Che mi sono sentita una merda e ho chiesto scusa. Che dovrei inginocchiarmi e ringraziare e basta. Perchè lui non è tutto quello che ho, però è tutto quello che conta.
A volte vedo le foto di quello che cucinate o dei giornali che leggete, la vostra tazza del latte.
E non so neanche dove siete, cosa fate, come fate di cognome, l'automobile se ce l'avete.
Non so cosa conti di più, in assoluto. Se la verità degli occhi o le storie che raccontiamo.
Potrei dire che non so un cazzo di voi.
E in effetti, non sbaglierei.
Voi di sicuro non sapete tutto di me, però molto di ciò che conta.
Questo è il mio 352esimo post e non so perchè l'ho scritto.
Forse perchè se piango e mi chiedono che hai? io non è che posso dire, tecnicamente, per un'amica.
Però è la verità.
In effetti, non sbaglierei.
Sapete quello che vi faccio sapere, come pare e piace a me.
Non diversamente da quello che accade nella vita reale di ognuno di noi, peraltro.
Faccio foto, twitto cose, vi scrivo, ma sostanzialmente - alla prova dei fatti - potrebbero pure essere tutte fregnacce.
Non dico che lo siano, dico che potrebbero.
Chi ve lo assicura.
Chi me lo assicura, mentre vi leggo.
Chi ce lo assicura, mentre beviamo un caffè assieme, prendiamo il treno, mi racconti cosa fai, ti dico di mio padre.
Tuttavia.
C'è questo bisogno, che alcuni di noi hanno, che francamente la maggior parte di noi ha, di crederci. Di ascoltare, di ascoltarsi.
E quell'altro bisogno anche, di dirlo. Di dirsi.
Ho creduto di essere qui per scrivere. Non è falso, ma la verità più vera è che sono qui per farmi leggere da qualcuno.
Ha ragione lei, e lo dice spudoratamente bene. Nota bene: adoro le cose dette spudoratamente bene, vorrei essere capace di farlo anch'io.
Dire le cose spudoratamente è terapeutico. Dirle spudoratamente bene è pure esteticamente appagante.
Il fatto è che a un certo punto comincia a non contare più ciò che sappiamo da ciò che non sappiamo, perchè quello che ci basta sono le storie.
Vogliamo delle storie. Leggiamo libri, guardiamo film, ascoltiamo canzoni: per le storie.
Le storie degli altri che assomigliano alla nostra, le storie degli altri anni luce dalla nostra.
Ci bastano per appassionarci, invidiarci, ammirarci, snobbarci, affezionarci.
Voglio dire, io manco so di che colore avete i capelli.
No ok, la Tess so che è bionda e che non potrebbe essere altrimenti.
Però leggo le vostre storie.
So che il vostro collega è uno stronzo, che vostra madre sta male, che avete comprato un vestito con le farfalle per sentirvi belle, che al vostro cane gli cola il naso, che avete piantato i bulbi in giardino, perculato un vigile, se avete paura, se siete soli, felici o con tre figli tutti pazzi.
Se ve lo racconto, sapete che ho litigato con mio figlio, m'ha fatto incazzare e l'ho sgridato fortissimo. Che mi sono sentita una merda e ho chiesto scusa. Che dovrei inginocchiarmi e ringraziare e basta. Perchè lui non è tutto quello che ho, però è tutto quello che conta.
A volte vedo le foto di quello che cucinate o dei giornali che leggete, la vostra tazza del latte.
E non so neanche dove siete, cosa fate, come fate di cognome, l'automobile se ce l'avete.
Non so cosa conti di più, in assoluto. Se la verità degli occhi o le storie che raccontiamo.
Potrei dire che non so un cazzo di voi.
E in effetti, non sbaglierei.
Voi di sicuro non sapete tutto di me, però molto di ciò che conta.
Questo è il mio 352esimo post e non so perchè l'ho scritto.
Forse perchè se piango e mi chiedono che hai? io non è che posso dire, tecnicamente, per un'amica.
Però è la verità.
Etichette:
amiche,
amici,
blog,
coem la vedo io,
cose belle,
cose strane,
io solo io,
leggere,
scrivere
22 maggio 2012
Lui è uscito con gli amisi.
Lui a Settembre va alla materna.
Lui è andato alla pizzata con le tate, per salutarsi, dopo 1 anno e passa insieme.
Avvinghiati, appassionati, affezionati, commossi.
Fermamente decisi a festeggiare con folli bagordi, per non dimenticare.
Lui è stato consegnato di fronte alla pizzeria all'orario cenesco in cui mangiano le galline, mia suocera e i duenni, ossia poco prima delle 7: entrato, ha preso posto a un tavolo e al padre ha detto " 'sao, papà".
Indi ha dato inizio ai folleggiamenti pasteggiando a pizza, patatine, variegato ciocco-vaniglia e cantando in coro ilcaffèdellapeppina sotto lo sguardo allibito del malcapitato cameriere del turno di sera.
Un'ora e mezza più tardi è stato prelevato, chi dalle braccia delle tate un po' frignante, chi attaccato alla colonnina neoclassica del ristorante a ballare la lap-dance, chi in preda alla sindrome del torerocamomillo(el matadortranquillo).
Lui era ancora lì seduto, allo stesso tavolo, impegnato a perlustare il fondo della coppetta variegato ciocco-vaniglia.
Quando, alzatosi, è stato salutato dal coro di "'zao, Magù, si vediamo domani!", lui ha risposto laconico "'sao, amisi".
Così: come un abituè del pub al venerdì sera.
Lì Susibita ha realizzato che Lui ha solo due anni, e quella era la sua prima pizza con gli amici.
Il tempo passa maledettamente in fretta.
Lui è andato alla pizzata con le tate, per salutarsi, dopo 1 anno e passa insieme.
Avvinghiati, appassionati, affezionati, commossi.
Fermamente decisi a festeggiare con folli bagordi, per non dimenticare.
Lui è stato consegnato di fronte alla pizzeria all'orario cenesco in cui mangiano le galline, mia suocera e i duenni, ossia poco prima delle 7: entrato, ha preso posto a un tavolo e al padre ha detto " 'sao, papà".
Indi ha dato inizio ai folleggiamenti pasteggiando a pizza, patatine, variegato ciocco-vaniglia e cantando in coro ilcaffèdellapeppina sotto lo sguardo allibito del malcapitato cameriere del turno di sera.
Un'ora e mezza più tardi è stato prelevato, chi dalle braccia delle tate un po' frignante, chi attaccato alla colonnina neoclassica del ristorante a ballare la lap-dance, chi in preda alla sindrome del torerocamomillo(el matadortranquillo).
Lui era ancora lì seduto, allo stesso tavolo, impegnato a perlustare il fondo della coppetta variegato ciocco-vaniglia.
Quando, alzatosi, è stato salutato dal coro di "'zao, Magù, si vediamo domani!", lui ha risposto laconico "'sao, amisi".
Così: come un abituè del pub al venerdì sera.
Lì Susibita ha realizzato che Lui ha solo due anni, e quella era la sua prima pizza con gli amici.
Il tempo passa maledettamente in fretta.
Etichette:
amici,
cambiare,
cose belle,
crescere,
Magù,
Magù lyfestyle,
nido
15 maggio 2012
Vento.
Hai finito? Dai, adesso stenditi un po'.
Bel lavoro, bravi.
No, qui è da rifare: si potrebbe avere, che ne so...uguale ma anche diverso? cioè, tipo classico ma anche innovativo? ma soprattutto: mica mi esponete un sovrapprezzo, eh?
Dobbiamo essere fuori per metà Giugno.
Quand'è di preciso che li mandiamo a cagare?
Spegni quel computer.
Non ci credo: gliel'hai venduto sul serio. Sei una bestia del commerciale, il mio guru, ti amo.
Ho fatto le due di notte.
Vi detesto, siete intollerabili, adesso io mollo tutto e entro in maternità, voglio vedere chi vi sopporta poi a voi altri due.
Certo che mi fido di voi, ciecamente. Non vorrei lavorare con nessun altro al mondo.
Scusa se sono stato stronzo nella mail.
Lui è migliorato tanto, ti dico: ora scrive, dice cose. Prima bofonchiava e basta: bof e pfff e hum.
Scuse accettate.
E' che non te lo dico ma sei come un fratello per me. E coi fratelli è così, un po' odioetamo, un po' che ci si scanna, ma è che ti devo ancora ringraziare per quella volta che al liceo mi hai spiegato gli integrali. E la vacanza dei 18, quando abbiamo fatto Leonardo Di caprio e Kate Winslet ubriachi marci e poi hai vomitato tutta notte, o quella in tenda con 150.000 lire per 10 giorni e siamo sopravvissuti a pasta al pesto sul fornello da campo. Son cose che lasciano il segno, tu mi capisci.
"Non sarà semplice senza di te nel periodo in cui sarai in maternità."
"Hum??"
"Dico: non sarà per nulla semplice."
"Scusa, ma allora tutti quei discorsi sul sei sbadata, confusionaria, imbranta, irrazionale, la tua mente è quanto di più lontano ci possa essere da un'approccio ingegneristico? erano solo balle da tecnico maschilista?"
"No. Sei definitivamente imbranata, irrazionale, ti dimentichi le scadenze, sei molto stordita e a tutti gli effetti non ho mai incontrato una persona più lontana dall'avere un approccio ingegneristico."
"Ah grazie. Quindi?"
"Che c'entra? E' che sei una in gamba e noi...noi, bè...abbiamo bisogno di te."
"..."
"Che c'è?"
"Lo sai che in tre anni non me l'avevi mai detto prima?"
"Mmpff, bof, hum. Senti poi ti ricordi di mandarmi il file, vero?"
Sono giorni di vento, e il vento ti stanca.
Sono giorni di vento, e il vento ci cambia.
Poi c'è quell'altro.
Che mischia la marcia di Radetzky con Rino Gaetano e canta Aida (Alala Aidaaa...come sei beellaaa...).
Lei sfogliava i suoi ricordi
le sue istantanee
i suoi tabù
le sue madonne i suoi rosari
e mille mari
e alalà.
"Beella queetta..."!"
Che ama lavarsi i piedi.
Che non sopporta i tappetini risvoltati e passando li rimette a posto ("tu lo sai che ciò è inquietante, vero? c'ha già le manie, come te, che ti piglia male e ti prendono le fisse per la birra rossa doppio malto e non ne bevi altra.").
Che ha una libreria che straborda, e solo due anni: se la passa in rassegna ogni sera, sceglie con perizia e poi intima:
"Tu. Lezzi!"
"Io non leggo proprio un bel niente finchè non me lo chiedi per favore."
"Peffavoe. Lezzi, tu?"
Che:
"Voeei un susio, amisi."("Vorrei un ciuccio, amici")
"Da quando siamo stati declassati a suoi amisi?"
"Non so. Ma soprattutto: dovè, quand'è di preciso che abbiamo sbagliato?"
Bel lavoro, bravi.
No, qui è da rifare: si potrebbe avere, che ne so...uguale ma anche diverso? cioè, tipo classico ma anche innovativo? ma soprattutto: mica mi esponete un sovrapprezzo, eh?
Dobbiamo essere fuori per metà Giugno.
Quand'è di preciso che li mandiamo a cagare?
Spegni quel computer.
Non ci credo: gliel'hai venduto sul serio. Sei una bestia del commerciale, il mio guru, ti amo.
Ho fatto le due di notte.
Vi detesto, siete intollerabili, adesso io mollo tutto e entro in maternità, voglio vedere chi vi sopporta poi a voi altri due.
Certo che mi fido di voi, ciecamente. Non vorrei lavorare con nessun altro al mondo.
Scusa se sono stato stronzo nella mail.
Lui è migliorato tanto, ti dico: ora scrive, dice cose. Prima bofonchiava e basta: bof e pfff e hum.
Scuse accettate.
E' che non te lo dico ma sei come un fratello per me. E coi fratelli è così, un po' odioetamo, un po' che ci si scanna, ma è che ti devo ancora ringraziare per quella volta che al liceo mi hai spiegato gli integrali. E la vacanza dei 18, quando abbiamo fatto Leonardo Di caprio e Kate Winslet ubriachi marci e poi hai vomitato tutta notte, o quella in tenda con 150.000 lire per 10 giorni e siamo sopravvissuti a pasta al pesto sul fornello da campo. Son cose che lasciano il segno, tu mi capisci.
"Non sarà semplice senza di te nel periodo in cui sarai in maternità."
"Hum??"
"Dico: non sarà per nulla semplice."
"Scusa, ma allora tutti quei discorsi sul sei sbadata, confusionaria, imbranta, irrazionale, la tua mente è quanto di più lontano ci possa essere da un'approccio ingegneristico? erano solo balle da tecnico maschilista?"
"No. Sei definitivamente imbranata, irrazionale, ti dimentichi le scadenze, sei molto stordita e a tutti gli effetti non ho mai incontrato una persona più lontana dall'avere un approccio ingegneristico."
"Ah grazie. Quindi?"
"Che c'entra? E' che sei una in gamba e noi...noi, bè...abbiamo bisogno di te."
"..."
"Che c'è?"
"Lo sai che in tre anni non me l'avevi mai detto prima?"
"Mmpff, bof, hum. Senti poi ti ricordi di mandarmi il file, vero?"
Sono giorni di vento, e il vento ti stanca.
Sono giorni di vento, e il vento ci cambia.
Poi c'è quell'altro.
Che mischia la marcia di Radetzky con Rino Gaetano e canta Aida (Alala Aidaaa...come sei beellaaa...).
Lei sfogliava i suoi ricordi
le sue istantanee
i suoi tabù
le sue madonne i suoi rosari
e mille mari
e alalà.
"Beella queetta..."!"
Che ama lavarsi i piedi.
Che non sopporta i tappetini risvoltati e passando li rimette a posto ("tu lo sai che ciò è inquietante, vero? c'ha già le manie, come te, che ti piglia male e ti prendono le fisse per la birra rossa doppio malto e non ne bevi altra.").
Che ha una libreria che straborda, e solo due anni: se la passa in rassegna ogni sera, sceglie con perizia e poi intima:
"Tu. Lezzi!"
"Io non leggo proprio un bel niente finchè non me lo chiedi per favore."
"Peffavoe. Lezzi, tu?"
Che:
"Voeei un susio, amisi."("Vorrei un ciuccio, amici")
"Da quando siamo stati declassati a suoi amisi?"
"Non so. Ma soprattutto: dovè, quand'è di preciso che abbiamo sbagliato?"
Etichette:
amici,
donne,
educare,
io solo io,
lavoro,
Magù lifestyle,
uomini
13 ottobre 2011
Ascoltami, Magù
Ascoltami, Magù.
Voglio raccontarti una storia.
Non è una favola, non è una storia con effetti speciali, ma è una storia che sa di vero ed è bella per questo.
Tua mamma è nata in un giorno d'autunno e quando la portarono a casa faceva quel freddino che fa nelle sere in cui si è persa l'estate e l'aria di vetro ha quella luce un po' bagnata che sa di condensa e di fumo.
Al suo terzo natale le fu regalato un pupazzo a forma di coniglio coi baffetti impomatati e un ridicolo papillon a pois bianchi.
Lei ne fu travolta.
Travolta da quell'amore cieco, assoluto, senza respiro che amano solo i bambini.
Quello che non capisce, non tollera le assenze.
Quello che s'aggrappa ai pantaloni e si getta per terra, che dorme avvinghiato, vuol esser dondolato.
Amò intensamente il suo coniglio e per questo lo riempì di baci, gli insegnò a prendere il tè col gruppo delle bambole e lo pteurosauro, lo invitò ai suoi compleanni e a quelli dei suoi amici, lo portò in gita alle piramidi e in sella a quella vecchia cavalla bianca con le coccarde sulla porta del box.
Gli insegnò com'è che si comporta un vero pirata e alla fine, soddisfatta, lo fece ufficiale del proprio vascello.
Fu generosa e offrì sempre aranciata e formaggio in abbondanza, non lasciò mai che dormisse da solo e perchè non vedesse i rami frustati dal vento sul vetro nelle notti di tempesta, lo stringeva forte al viso e gli cantava storie di cuscini.
D'altronde era per lei un fratello e quando lo diceva si faceva seria seria, perchè non vi fossero dubbi: lei non stava scherzando.
Lesse per lui ogni libro di fiabe nel modo in cui leggeva lei a 4 anni: col libro al contrario e la vocina acuta e saccente, succhiando una fetta di limone.
Lui la ricambiava gettandole lo stesso costante, fiducioso sorriso da ogni angolo della casa in cui lei lo avesse appoggiato. Ascoltava ogni suo racconto, placidamente appagato e deliziato, senza fare domande. Declinava gentilmente ogni offerta e lasciava che fosse lei a finire anche la sua parte di gelato. Consolava le sue lacrime calde e le asciugava nel cotone delle proprie orecchie di cui lei abusava talvolta per indagare i recessi delle proprie narici, già che c'era.
Dove c'era lui, c'era lei.
E si amavano, sai, per via del fatto che ogni paura di lei era la paura di lui, ogni dubbio che lei si poneva era la domanda che attanagliava anche lui, ogni ingiustizia subita era da vendicare insieme, ogni languorino era lo stesso mal di pancia, ogni febbre il comune delirio, ogni puntura l'identico terrore.
Così lei non fu mai veramente sola, per molti anni, in qualunque posto andasse.
Ti sembrerò banale, ma è una storia così, senza una vera fine.
Quel che conta, in questo caso, è più il viaggio.
Per questo stasera, quando ti sei portato a letto quel coso blu che credo miri a sembrare un orso, io ti ho chiesto come si chiamasse e tu ci hai pensato un paio di secondi e poi mi hai fatto: "A-ha", io mi sono ben guardata dal prenderti sotto gamba e gli ho detto: "Benvenuto a bordo, Ufficiale."
Voglio raccontarti una storia.
Non è una favola, non è una storia con effetti speciali, ma è una storia che sa di vero ed è bella per questo.
Tua mamma è nata in un giorno d'autunno e quando la portarono a casa faceva quel freddino che fa nelle sere in cui si è persa l'estate e l'aria di vetro ha quella luce un po' bagnata che sa di condensa e di fumo.
Al suo terzo natale le fu regalato un pupazzo a forma di coniglio coi baffetti impomatati e un ridicolo papillon a pois bianchi.
Lei ne fu travolta.
Travolta da quell'amore cieco, assoluto, senza respiro che amano solo i bambini.
Quello che non capisce, non tollera le assenze.
Quello che s'aggrappa ai pantaloni e si getta per terra, che dorme avvinghiato, vuol esser dondolato.
Amò intensamente il suo coniglio e per questo lo riempì di baci, gli insegnò a prendere il tè col gruppo delle bambole e lo pteurosauro, lo invitò ai suoi compleanni e a quelli dei suoi amici, lo portò in gita alle piramidi e in sella a quella vecchia cavalla bianca con le coccarde sulla porta del box.
Gli insegnò com'è che si comporta un vero pirata e alla fine, soddisfatta, lo fece ufficiale del proprio vascello.
Fu generosa e offrì sempre aranciata e formaggio in abbondanza, non lasciò mai che dormisse da solo e perchè non vedesse i rami frustati dal vento sul vetro nelle notti di tempesta, lo stringeva forte al viso e gli cantava storie di cuscini.
D'altronde era per lei un fratello e quando lo diceva si faceva seria seria, perchè non vi fossero dubbi: lei non stava scherzando.
Lesse per lui ogni libro di fiabe nel modo in cui leggeva lei a 4 anni: col libro al contrario e la vocina acuta e saccente, succhiando una fetta di limone.
Lui la ricambiava gettandole lo stesso costante, fiducioso sorriso da ogni angolo della casa in cui lei lo avesse appoggiato. Ascoltava ogni suo racconto, placidamente appagato e deliziato, senza fare domande. Declinava gentilmente ogni offerta e lasciava che fosse lei a finire anche la sua parte di gelato. Consolava le sue lacrime calde e le asciugava nel cotone delle proprie orecchie di cui lei abusava talvolta per indagare i recessi delle proprie narici, già che c'era.
Dove c'era lui, c'era lei.
E si amavano, sai, per via del fatto che ogni paura di lei era la paura di lui, ogni dubbio che lei si poneva era la domanda che attanagliava anche lui, ogni ingiustizia subita era da vendicare insieme, ogni languorino era lo stesso mal di pancia, ogni febbre il comune delirio, ogni puntura l'identico terrore.
Così lei non fu mai veramente sola, per molti anni, in qualunque posto andasse.
Ti sembrerò banale, ma è una storia così, senza una vera fine.
Quel che conta, in questo caso, è più il viaggio.
Per questo stasera, quando ti sei portato a letto quel coso blu che credo miri a sembrare un orso, io ti ho chiesto come si chiamasse e tu ci hai pensato un paio di secondi e poi mi hai fatto: "A-ha", io mi sono ben guardata dal prenderti sotto gamba e gli ho detto: "Benvenuto a bordo, Ufficiale."
3 ottobre 2011
La città per una che vive in campagna è tutto ciò che hai lasciato alle spalle.
Tutto ciò che non hai scelto.
La città a 300 km da dove vivi è un pezzo di passato, e non dei più piacevoli.
Solo un pezzo -direte voi- ma pur sempre un pezzo -dico io-.
Città è caffetteria della metro con le porte spalancate e prufumo di croissant che t'investe ai tornelli. Che in città sanno vendersi bene, non ci son cazzi.
Finestrini appannati, vagoni affollati, visi sbiancati sono città.
Caffè e giornale gratuito in stazione è città.
Città è vetrine belle anche solo da guardare. Che in città sanno allestire, non ci son cazzi.
Città sono i librai coi biroccini sui lati dei portici, la mattina umida tra le pagine delle vecchie edizioni.
Città è il marciapiede tra i palazzi su cui hai corso mille e mille volte, il lato all'ombra d'estate, il lato al sole d'inverno. I sanpietrini che ti mangiavano la suola.
Ritornarci senza libri in mano, niente bocca dello stomaco contratta prima dell'esame, niente casco allacciato allo zaino, niente culo piatto il primo anno dopo due ore a terra perchè oh ma che è? tutti sto corso dobbiamo seguire?, niente aule deserte gli ultimi anni, alla fine che specializzazione hai scelto? ah sì? ma non volevi mica studiare i dinosauri, te?
Appoggiarsi alla colonna del chiostro sgranocchiando biscotti nell'aria d'autunno e avere 20anni.
[I soliti cracker un po' tristi, almeno risparmio. Una sciarpa colorata, le gazzelle grigie a stringhe blu, i libri troppo pesanti, cazzarola ho rotto la tracolla di nuovo.
La corona di alloro e una camicetta di porpora, tu che ridi mentre ti bacia.
Apri una busta e corri al telefono.
Quell'anno che ti ha cambiata, che ti ha fatto anche un po' male.
Giri la chiave e sposti lo stendino, la porta del bagno aperta con la coinquilina che si depila.Che me passi er cellulare che me sta a squillà?
Così ricordavi, nell'aria d'autunno, e una briciola scivolava giù dalle labbra].
Avere di nuovo 20 anni e volerseli scollare di dosso perchè no grazie, proprio non t'interessano.
Non avere più 20 anni e guardarsi attorno.
Dopocinque, no sette, va bene ok, 10 anni.
E no, il mondo non lo hai spaccato. Tantomeno cambiato.
E no, non sei partita con medecins sans frontieres, non hai scritto il romanzo della tua vita, nè hai poi vinto quella borsa di studio in quel fichissimo camp californiano.
Non hai pagato nemmanco il tagliando della macchina, Susà.
Però ci sono sempre quei altri due, gli amici di sempre, e visitate musei, entrate nelle chiese, camminate nei parchi, portate avanti dialoghi surreali dacinque, no sette, va bene ok, 10 anni.
Lei: "Ti dico che qui ci stavano i Teatini."
Lui: "Si ma non nel '600, se non erro anche prima."
Susibita: "Vi ho mai raccontato di quella volta in cui Magù stava per ciucciare lo spazzolino del water?"
Lei: "Non ne sarei così sicura. Ddììo che ribrezzo queste cornici, ma come si fa? sono deplorevoli. Detesto il Barocco."
Lui:" E' sempre interessante visitare una chiesa con voi cattolici, siete spassosi."
Susibita: "Ma soprattutto: cosa sono i Teatini?"
In più c'è lui, quello che parla ai piccioni.
"Coccòò-coccòòò... "
"Magù, amore de mamma, non sono polli, son piccioni, poracci."
"Bau! Bau-bau!"
"..."
Non c'è nulla di quello che avevo immaginato, dopo questi 10 anni.
Ma c'è ancora tutto quello che allora contava davvero, e persino qualcosa in più.
Io devo essere sincera: a me i 30 anni piacciono.
(Anche se ne ho 27, eh.)
Tutto ciò che non hai scelto.
La città a 300 km da dove vivi è un pezzo di passato, e non dei più piacevoli.
Solo un pezzo -direte voi- ma pur sempre un pezzo -dico io-.
Città è caffetteria della metro con le porte spalancate e prufumo di croissant che t'investe ai tornelli. Che in città sanno vendersi bene, non ci son cazzi.
Finestrini appannati, vagoni affollati, visi sbiancati sono città.
Caffè e giornale gratuito in stazione è città.
Città è vetrine belle anche solo da guardare. Che in città sanno allestire, non ci son cazzi.
Città è il marciapiede tra i palazzi su cui hai corso mille e mille volte, il lato all'ombra d'estate, il lato al sole d'inverno. I sanpietrini che ti mangiavano la suola.
Ritornarci senza libri in mano, niente bocca dello stomaco contratta prima dell'esame, niente casco allacciato allo zaino, niente culo piatto il primo anno dopo due ore a terra perchè oh ma che è? tutti sto corso dobbiamo seguire?, niente aule deserte gli ultimi anni, alla fine che specializzazione hai scelto? ah sì? ma non volevi mica studiare i dinosauri, te?
Appoggiarsi alla colonna del chiostro sgranocchiando biscotti nell'aria d'autunno e avere 20anni.
[I soliti cracker un po' tristi, almeno risparmio. Una sciarpa colorata, le gazzelle grigie a stringhe blu, i libri troppo pesanti, cazzarola ho rotto la tracolla di nuovo.
La corona di alloro e una camicetta di porpora, tu che ridi mentre ti bacia.
Apri una busta e corri al telefono.
Quell'anno che ti ha cambiata, che ti ha fatto anche un po' male.
Giri la chiave e sposti lo stendino, la porta del bagno aperta con la coinquilina che si depila.Che me passi er cellulare che me sta a squillà?
Così ricordavi, nell'aria d'autunno, e una briciola scivolava giù dalle labbra].
Avere di nuovo 20 anni e volerseli scollare di dosso perchè no grazie, proprio non t'interessano.
Non avere più 20 anni e guardarsi attorno.
Dopo
E no, il mondo non lo hai spaccato. Tantomeno cambiato.
E no, non sei partita con medecins sans frontieres, non hai scritto il romanzo della tua vita, nè hai poi vinto quella borsa di studio in quel fichissimo camp californiano.
Non hai pagato nemmanco il tagliando della macchina, Susà.
Però ci sono sempre quei altri due, gli amici di sempre, e visitate musei, entrate nelle chiese, camminate nei parchi, portate avanti dialoghi surreali da
Lei: "Ti dico che qui ci stavano i Teatini."
Lui: "Si ma non nel '600, se non erro anche prima."
Susibita: "Vi ho mai raccontato di quella volta in cui Magù stava per ciucciare lo spazzolino del water?"
Lei: "Non ne sarei così sicura. Ddììo che ribrezzo queste cornici, ma come si fa? sono deplorevoli. Detesto il Barocco."
Lui:" E' sempre interessante visitare una chiesa con voi cattolici, siete spassosi."
Susibita: "Ma soprattutto: cosa sono i Teatini?"
In più c'è lui, quello che parla ai piccioni.
"Coccòò-coccòòò... "
"Magù, amore de mamma, non sono polli, son piccioni, poracci."
"Bau! Bau-bau!"
"..."
Non c'è nulla di quello che avevo immaginato, dopo questi 10 anni.
Ma c'è ancora tutto quello che allora contava davvero, e persino qualcosa in più.
Io devo essere sincera: a me i 30 anni piacciono.
(Anche se ne ho 27, eh.)
Etichette:
amiche,
amici,
come la vedo io,
io mamma?,
io solo io,
la strana città
13 settembre 2011
Quel che resta della mia dignità (assai poco)
Il primo anno in cui sono andati a vivere assieme, Susibita e Papone stavano in un piccolo monolocale in cui gli amici andavano e venivano, si facevano cene, si ascoltava musica, si andava in palestra, si arrivava tardi, s'improvvisava.
Una sera Papone, che allora Papone non era, chiama al telefono e dice:
"Susibita, amore, bagliore d'alba nella notte oscura, mia fulgida cometa" (non è vero, non mi chiama "amore" manco se lo prendo a fustigate, ma ripensare alla giovinezza che fu mi rende romantica)
Comunque, dicevo, mi fa:
"Sto arrivando con F., abbiamo del lavoro da fare, ci vediamo a casa?"
"Sìsì, sono già arrivata, faccio un salto da M. la dirimpettaia e le scrocco il caffè."
"Bravissima, a tra poco."
Susibita conosce F. da diverso tempo, non è proprio in confidenza, però vabbhè non importa, è un tipo alla mano, uno alla buona, e poi -diciamocelo- mi capita a casa dopo cena un po' tra capo e collo, vedete un po' voi.
Decide quindi di sorvolare sui pantaloni del pigiama con stampe a forma di cono gelato e sulla canottierina di Pukka. Ma anche sulle pantofole a forma di cane.
Scena I
"Heei, di casa??? siete già arrivati? Avete cenat..."
"Ah ciao Susi, questo è il socio di F., è venuto anche lui."
STOP. FERMO IMMAGINE.
Perchè dovete capire che quello che mi sono trovata davanti sulla soglia di casa non era un uomo.
Era Febo Apollo.
Era...come faccio a spiegare?
Era tipo Brad Pitt ma senza Angelina e 40 marmocchi.
Era tipo Tom Cruise ma alto e non psicopatico.
Era tipo Kevin Costner ma non puttaniere.
Era tipo Robert Redford ma trentenne.
Insomma era bello, ma proprio bello come quelli che vedi sui giornali, l'uomo più bello che abbia mai visto.
CIAK! Scena II
Ragazzo Figo: "Ciao, piacere! scusa se ti piombiamo in casa così senza preavviso."
Susibita:"Hi-hi."
Ragazzo Figo:"Che casa colorata, com'è carina, complimenti."
Susibita:"Hi-hi"
Papone:"Susi che dici, caffè?"
Susibita: "Hi-hi" .
Ragazzo Figo: "Volentieri, grazie"
Susibita: "Hi-hi"
Papone: "Zucchero?"
Ragazzo Figo: "Sì, grazie"
Susibita: "...Sssscussate le pp-pantofole..."
E mentre Papone e F. lavoravano Ragazzo Figo raccontava a Susibita della flora marina lungo la costa tirrenica, dei set fotografici coi ventilatori e le modelle anoressiche, di vela e apnea, di sagre del cinghiale in collina e di quanto era felice e innamorato di sua moglie e della loro bellissima bambina, magari volevo vedere una sua foto?
"Hi-hi. Ma certo." rispondeva Susibita accantonando di malavoglia il pensiero di colpirlo violentemente in testa e tapparlo in una teca di cristallo da mettere di fianco al comodino per accenderci davanti lumini la sera e intonare laudes al mattino.
Poi Susibita e Papone hanno fatto un sacco di cose tra cui studiare ancora, viaggi, adottare un cane e chiamarlo come un motore di ricerca, cene con gli amici, almeno tre traslochi, rimanere incinti per caso.
E Ragazzo Figo è rimasto un tormentone, un episodio mitologico risalente al Giurassico cui nessuno crede più veramente se non per rinfacciare "Scusa, è come se io avessi portato in casa Michelle Pfeiffer e non ti avessi detto nulla, lasciando che tu ti presentassi in pigiama. Questa non me la dovevi fare. E' sleale."
Ma in fondo, poi, nessuno ci pensa più.
Finchè.
Stasera.
Papone: "Sai chi ho incontrato oggi? F., un sacco di tempo che non lo vedevo. Dice che ha in mente progetti nuovi, che dovremmo vederci, magari anche con M."
Susibita: "Hi-hi"
Papone:"Non cominciare a ridere come una cretina"
Susibita: "Hi-hi. Ma de che? Io? Hi-hi"
Papone: "Susi, non sembri neanche tu, insomma. Datti un contegno."
Susibita: "Glu-glu"
Papone:"Non c'è speranza, un po' di dignità perdinci. Poi magari lo vedi ed è pure diventato pelato"
Susibita:"Hi-hi."
Papone:"Vabbhè senti, cambiando argomento: sei poi uscita oggi con Magù?"
Susibita: "Chi???"
Papone: "..."
Una sera Papone, che allora Papone non era, chiama al telefono e dice:
"Susibita, amore, bagliore d'alba nella notte oscura, mia fulgida cometa" (non è vero, non mi chiama "amore" manco se lo prendo a fustigate, ma ripensare alla giovinezza che fu mi rende romantica)
Comunque, dicevo, mi fa:
"Sto arrivando con F., abbiamo del lavoro da fare, ci vediamo a casa?"
"Sìsì, sono già arrivata, faccio un salto da M. la dirimpettaia e le scrocco il caffè."
"Bravissima, a tra poco."
Susibita conosce F. da diverso tempo, non è proprio in confidenza, però vabbhè non importa, è un tipo alla mano, uno alla buona, e poi -diciamocelo- mi capita a casa dopo cena un po' tra capo e collo, vedete un po' voi.
Decide quindi di sorvolare sui pantaloni del pigiama con stampe a forma di cono gelato e sulla canottierina di Pukka. Ma anche sulle pantofole a forma di cane.
Scena I
"Heei, di casa??? siete già arrivati? Avete cenat..."
"Ah ciao Susi, questo è il socio di F., è venuto anche lui."
STOP. FERMO IMMAGINE.
Perchè dovete capire che quello che mi sono trovata davanti sulla soglia di casa non era un uomo.
Era Febo Apollo.
Era...come faccio a spiegare?
Era tipo Brad Pitt ma senza Angelina e 40 marmocchi.
Era tipo Tom Cruise ma alto e non psicopatico.
Era tipo Kevin Costner ma non puttaniere.
Era tipo Robert Redford ma trentenne.
Insomma era bello, ma proprio bello come quelli che vedi sui giornali, l'uomo più bello che abbia mai visto.
CIAK! Scena II
Ragazzo Figo: "Ciao, piacere! scusa se ti piombiamo in casa così senza preavviso."
Susibita:"Hi-hi."
Ragazzo Figo:"Che casa colorata, com'è carina, complimenti."
Susibita:"Hi-hi"
Papone:"Susi che dici, caffè?"
Susibita: "Hi-hi" .
Ragazzo Figo: "Volentieri, grazie"
Susibita: "Hi-hi"
Papone: "Zucchero?"
Ragazzo Figo: "Sì, grazie"
Susibita: "...Sssscussate le pp-pantofole..."
E mentre Papone e F. lavoravano Ragazzo Figo raccontava a Susibita della flora marina lungo la costa tirrenica, dei set fotografici coi ventilatori e le modelle anoressiche, di vela e apnea, di sagre del cinghiale in collina e di quanto era felice e innamorato di sua moglie e della loro bellissima bambina, magari volevo vedere una sua foto?
"Hi-hi. Ma certo." rispondeva Susibita accantonando di malavoglia il pensiero di colpirlo violentemente in testa e tapparlo in una teca di cristallo da mettere di fianco al comodino per accenderci davanti lumini la sera e intonare laudes al mattino.
Poi Susibita e Papone hanno fatto un sacco di cose tra cui studiare ancora, viaggi, adottare un cane e chiamarlo come un motore di ricerca, cene con gli amici, almeno tre traslochi, rimanere incinti per caso.
E Ragazzo Figo è rimasto un tormentone, un episodio mitologico risalente al Giurassico cui nessuno crede più veramente se non per rinfacciare "Scusa, è come se io avessi portato in casa Michelle Pfeiffer e non ti avessi detto nulla, lasciando che tu ti presentassi in pigiama. Questa non me la dovevi fare. E' sleale."
Ma in fondo, poi, nessuno ci pensa più.
Finchè.
Stasera.
Papone: "Sai chi ho incontrato oggi? F., un sacco di tempo che non lo vedevo. Dice che ha in mente progetti nuovi, che dovremmo vederci, magari anche con M."
Susibita: "Hi-hi"
Papone:"Non cominciare a ridere come una cretina"
Susibita: "Hi-hi. Ma de che? Io? Hi-hi"
Papone: "Susi, non sembri neanche tu, insomma. Datti un contegno."
Susibita: "Glu-glu"
Papone:"Non c'è speranza, un po' di dignità perdinci. Poi magari lo vedi ed è pure diventato pelato"
Susibita:"Hi-hi."
Papone:"Vabbhè senti, cambiando argomento: sei poi uscita oggi con Magù?"
Susibita: "Chi???"
Papone: "..."
Etichette:
amici,
donne,
mamma e papà,
mamma?,
papà,
storditland,
susibita,
uomini
26 agosto 2011
Non abbandonateci. Un appello agli amici senza figli.
Mi ha scritto un'amica.
Dice che è stata a casa di amici, dice che erano tre coppie di cui 2 su 3 in attesa.
Dice che tutte le sue più care amiche ormai o sono incinte o hanno già figli.
Dice che comincia a sentirsi un po' un pesce fuor d'acqua e che fonderà un gruppo Fb "30 odds and childless".
Volevo dirle che la capisco.
Volevo dirle che quando sono rimasta incinta io di amiche incinte non ne avevo.
A 29 anni.
E' strano, se ci pensi. 29 anni mica son pochi per fare un figlio, no?
No dico, ci vorrebbe tutta a dire che non è un'età più che plausibile.
Eppure il deserto dei tartari, c'era.
Tralasciamo le ragioni sociologiche del fenomeno, il precariato a vita, l'eterna scolarizzazione, i contratti di stage e pure la sindrome di Carry Bradshaw.
A suo tempo per me la cosa fu un problema non indifferente e la ragione principale per cui andai a cercare nuovi contatti nel mondo blog.
Nessuno cui chiedere:
"Anche i vostri amici raccontano delle loro favolose vacanze in coppia liberi come le mutande mentre voi vi fiondate a molla a vomitare sul water?"
O anche:
"Pure voi avete perso la visibilità dei vostri piedi sotto la doccia?"
Oltre a:
"E' proprio necessario che stiamo qui tutte in cerchio come alcooliste anonime ad esercitare l'elasticità del perineo? Posso uscire? Eh? Posso?"
E dopo:
"Oh cazzo ha cagato verde, che significa??"
Insieme a:
"A.A.A. affittasi lattante. P.S. Massima serietà, pagamento in contanti."
Cercate di capire, non è semplice proprio per una mazza.
Ed è per questo che vi lancio un appello: non abbandonateci.
Perchè si può avere figli e non voler necessariamente parlare solo di parti e otiti.
Perchè abbiamo tanto, tantissimo da dire anche di politica, musica, religione, cucina mediterranea e giardinaggio.
Non necessariamente in quest'ordine e non necessariamente con cognizione di causa, ma ci sforzeremo. Un po' come tutti.
Perchè potete invitarci fuori lo stesso, non siamo contagiosi. Nostro figlio per la maggior parte dei casi sì, ma noi no.
Magari vi chiederemo di scegliere quel tavolino lì fuori, un po' più tranquillo, o andremo via un po' prima del solito ma -davvero - saremo d'ottima compagnia.
Al massimo potremo giusto tentare un paio di volte di scappare dalla porta sul retro e smollarvi il nano - così - tanto per provare il brivido dell'ebrezza.
...
Scherzavo, hihi.
Ve la siete fatta sotto, eh?
Ahem, dicevo.
Perchè se non ce lo fate capire voi con uno svogliato "ah, sì...hem...carino, lui..." noi capace che andiamo avanti tutta la sera a farvi vedere sul telefonino le foto del pargolo al mare, in montagna, nel lettino, sulla sdraio, all'asilo, dai nonni, sulla tazza, nel lavabo.
Per favore fermateci.
Non abbiate pietà, fermateci.
Perchè abbiamo bisogno di voi per renderci conto che una serata al ristorante non è solo "Scusate, mi coprite gli gnocchi che mi stanno in caldo? Amore vieni fuori da sotto quel tavolo, in che senso CAC-CCA?".
Ma anche, ad esempio: del buon vino, programmare cosa fare la domenica, ripromettersi di dormire fino alle 11, cosa c'è fuori al cinema?
Perchè voi siete una benedizione che ogni giorno ci ricorda ciò che siamo sempre stati e che vogliamo continuare ad essere: il lavoro e gli amici, i viaggi che sogniamo, le grandi passioni, un ottimo libro che non finisca in rima (cucciolino, tesorino, fai la nanna, saccottino...), un ragazzo che ci taccheggi sulla spiaggia, 1 ora a pettegolare al telefono mentre facciamo la ceretta o il semplice saltarsi addosso anche di giorno e in cucina.
Per tutto questo e perchè quando sarà il vostro turno non vi diremo "te l'avevo detto".
Non abbandonateci, vi prego.
Dice che è stata a casa di amici, dice che erano tre coppie di cui 2 su 3 in attesa.
Dice che tutte le sue più care amiche ormai o sono incinte o hanno già figli.
Dice che comincia a sentirsi un po' un pesce fuor d'acqua e che fonderà un gruppo Fb "30 odds and childless".
Volevo dirle che la capisco.
Volevo dirle che quando sono rimasta incinta io di amiche incinte non ne avevo.
A 29 anni.
E' strano, se ci pensi. 29 anni mica son pochi per fare un figlio, no?
No dico, ci vorrebbe tutta a dire che non è un'età più che plausibile.
Eppure il deserto dei tartari, c'era.
Tralasciamo le ragioni sociologiche del fenomeno, il precariato a vita, l'eterna scolarizzazione, i contratti di stage e pure la sindrome di Carry Bradshaw.
A suo tempo per me la cosa fu un problema non indifferente e la ragione principale per cui andai a cercare nuovi contatti nel mondo blog.
Nessuno cui chiedere:
"Anche i vostri amici raccontano delle loro favolose vacanze in coppia liberi come le mutande mentre voi vi fiondate a molla a vomitare sul water?"
O anche:
"Pure voi avete perso la visibilità dei vostri piedi sotto la doccia?"
Oltre a:
"E' proprio necessario che stiamo qui tutte in cerchio come alcooliste anonime ad esercitare l'elasticità del perineo? Posso uscire? Eh? Posso?"
E dopo:
"Oh cazzo ha cagato verde, che significa??"
Insieme a:
"A.A.A. affittasi lattante. P.S. Massima serietà, pagamento in contanti."
Cercate di capire, non è semplice proprio per una mazza.
Ed è per questo che vi lancio un appello: non abbandonateci.
Perchè si può avere figli e non voler necessariamente parlare solo di parti e otiti.
Perchè abbiamo tanto, tantissimo da dire anche di politica, musica, religione, cucina mediterranea e giardinaggio.
Non necessariamente in quest'ordine e non necessariamente con cognizione di causa, ma ci sforzeremo. Un po' come tutti.
Perchè potete invitarci fuori lo stesso, non siamo contagiosi. Nostro figlio per la maggior parte dei casi sì, ma noi no.
Magari vi chiederemo di scegliere quel tavolino lì fuori, un po' più tranquillo, o andremo via un po' prima del solito ma -davvero - saremo d'ottima compagnia.
Al massimo potremo giusto tentare un paio di volte di scappare dalla porta sul retro e smollarvi il nano - così - tanto per provare il brivido dell'ebrezza.
...
Scherzavo, hihi.
Ve la siete fatta sotto, eh?
Ahem, dicevo.
Perchè se non ce lo fate capire voi con uno svogliato "ah, sì...hem...carino, lui..." noi capace che andiamo avanti tutta la sera a farvi vedere sul telefonino le foto del pargolo al mare, in montagna, nel lettino, sulla sdraio, all'asilo, dai nonni, sulla tazza, nel lavabo.
Per favore fermateci.
Non abbiate pietà, fermateci.
Perchè abbiamo bisogno di voi per renderci conto che una serata al ristorante non è solo "Scusate, mi coprite gli gnocchi che mi stanno in caldo? Amore vieni fuori da sotto quel tavolo, in che senso CAC-CCA?".
Ma anche, ad esempio: del buon vino, programmare cosa fare la domenica, ripromettersi di dormire fino alle 11, cosa c'è fuori al cinema?
Perchè voi siete una benedizione che ogni giorno ci ricorda ciò che siamo sempre stati e che vogliamo continuare ad essere: il lavoro e gli amici, i viaggi che sogniamo, le grandi passioni, un ottimo libro che non finisca in rima (cucciolino, tesorino, fai la nanna, saccottino...), un ragazzo che ci taccheggi sulla spiaggia, 1 ora a pettegolare al telefono mentre facciamo la ceretta o il semplice saltarsi addosso anche di giorno e in cucina.
Per tutto questo e perchè quando sarà il vostro turno non vi diremo "te l'avevo detto".
Non abbandonateci, vi prego.
Iscriviti a:
Post (Atom)