Visualizzazione post con etichetta Manuel Peyrou. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Manuel Peyrou. Mostra tutti i post

lunedì 3 aprile 2017

La Buona Annata's Literary Supplement: Può essermi accaduto

Ricordo che uscii dall'ufficio di un amico, tra Avenida San Martín e Calle Corrientes, e guardai l'ora all'orologio della compagnia Transradio, distrutto qualche mese dopo nel bombardamento dell'Alleanza. Erano le dieci. La mattinata era fresca, benché fosse febbraio. L'aria, sottile, vibrava elettricamente nell'ambito della via. In alto, verso oriente, si muovevano alcune nuvole leggere. Volsi lo sguardo e distinsi in lontananza l'Obelisco, con la sua finestrella. Decisi di tornare a casa a piedi e subito mi distrassi, cogliendo solo qualche stridio di clacson o il tossico sbuffo degli scappamenti... Perché non si cammina sempre distratti del tutto. E neppure completamente attenti a ciò che ci succede attorno. Io camminavo così: metà e metà, se si possono misurare l'attenzione o l'indifferenza. E poi, dopo tanti anni che si abita a Buenos Aires, ci si imbatte in molti luoghi, angoli, incroci che ci fanno un cenno dal passato. Allora, non siamo noi che stiamo attenti. Sono quei luoghi che vengono incontro al nostro passo e ci dicono: ricorda.
Per esempio, quante volte ho guardato l'orologio della compagnia Transradio? Centinaia. E sempre l'orologio segnava l'ora di quel momento, e poi un'altra, e un'altra. Bene. Presi per Corrientes, e giunto a una ventina di metri dall'ingresso alla metropolitana di Calle Lacroze guardai casualmente il viso di un uomo che veniva verso di me. Ripeto che lo guardai casualmente. Non c'era nulla in lui che mi spingesse a fissare gli occhi sulla sua persona. Non era un volto familiare; e neppure era un volto che colpisse, perché bello o perché sgradevole. Non era il passato che mi balzava innanzi e diceva: ricorda. No. Tuttavia, alzai meccanicamente gli occhi su di esso, e sul breve fiocco della cravatta a farfalla, sotto il mento sottile. Due secondi dopo, distolsi gli occhi e pensai ad altro. Proseguii il cammino e passai davanti al cinema Rotary. Senza fermarmi, guardai le locandine e subito tornai a volgere lo sguardo davanti a me. Allora accadde il fatto che è motivo di questa narrazione. Cioè, accadde il fatto che motivò la mia sorpresa e poi la mia inquietudine e poi il desiderio irrefrenabile di accertare la verità. Guardando avanti - ripeto - vidi di nuovo l'uomo che avevo incrociato qualche metro prima. Logicamente, ne fui sorpreso. L'uomo era tornato rapidamente indietro di venti o trenta metri per poi marciare di nuovo nella direzione precedente? Era possibile, ma strano. Continuai a pensare alla stranezza dell'episodio e all'improvviso mi scosse qualcosa come una scintilla mentale. No. L'uomo non era vestito nella stessa maniera. Anche se non avevo guardato chiaramente che il viso, era indubbio che la prima volta portava una cravatta a farfalla, e ora una lunga, chiara. Non ne ero completamente certo, ma mi parve che anche l'abito fosse diverso. Naturalmente, l'osservazione di questo particolare mi causò sgomento e fastidio. Per tranquillizzarmi pensai che possono esistere due persone molto somiglianti, o due fratelli gemelli, e che in questo caso l'unica particolarità del fatto sarebbe stata quella che uno camminasse dietro l'altro. Immerso in queste riflessioni, passai davanti al Círculo de Armas e poi al locale dove qualche anno fa c'era una boîte chiamata Charly. Mancavano pochi metri a Maipú. Allora, ormai apertamente allarmato, vidi venire l'uomo per la terza volta.
La terza volta l'uomo passò con un impeccabile vestito di lino bianco. Quella notte, solo in casa mia, mentre i riflessi del neon filtravano attraverso le tende e il rumore cittadino si acquietava, consultai parecchi trattati scientifici. Lessi che esiste un'illusione della memoria che consiste nel credere di riconoscere, fino al più piccolo particolare, l'insieme psicologico che forma il contenuto totale e attuale della coscienza in un dato momento, come se si rivivesse integralmente un istante già vissuto. Questo non era male. Io potevo aver rivissuto lo stesso istante diverse volte. Ma perché l'uomo mutava abito? Allora, non era lo stesso istante? Lessi anche che esistono altri casi prodotti da scombussolamenti della memoria. Può esistere il falso riconoscimento di ciò che non è stato realmente percepito una prima volta, o il credere una novità ciò che è già stato percepito. Il primo caso non variava fondamentalmente l'impostazione precedente. E se ciò che io prendevo per fatti nuovi erano realmente incontri reali precedenti con quell'uomo, tornavo al punto di partenza: la straordinaria esperienza di vedere un uomo camminare dietro se stesso più volte nel corso di duecento metri. Fu a questo punto che gettai a terra il libro e sentii un tremito. Il tremito dei racconti fantastici letti o ascoltati in vita mia. Ora ero io il protagonista, in una trama in cui l'inquietudine si univa all'illusione. Uno di quei fatti che ci impongono un mutamento della nozione del tempo, che ci fanno affacciare a una finestra siderale e vertiginosa. Ma era molto tardi. Il sonno e la stanchezza mi dominavano e mi sommergevano come una marea: riuscii a immaginare un piano d'azione; poi, lentamente, molto lentamente, naufragai nel blando e tenebroso ondeggiamento.
Sì. Era ciò che dovevo fare, mi dissi e mi ripetei la mattina seguente, camminando per Calle Lavalle diretto all'ufficio del mio amico. Il mio piano, d'altra parte, era di una semplicità estrema. Consisteva nel far visita all'amico, che dirige un'importante libreria, nel parlare con lui per la stessa quantità di minuti del giorno precedente, e nell'uscire in strada alle dieci in punto (ricordavo chiaramente di aver interrotto la conversazione vedendo che l'orologio segnava le dieci meno un minuto). Nell'ufficio dell'amico, tutto si svolse come avevo pensato, salvo la conversazione, che fu incoerente da parte mia e sfumata di meraviglia dalla sua. Era logico, perché io ero nervoso e tentavo di coprire un lasso di tempo, senza potermi preoccupare troppo della logica delle mie risposte. Mi chiese, per esempio, perché non avevo piazzato una partita di libri di un giovane poeta (faccio il rappresentante librario). Invece di rispondergli che il giovane poeta non lo voleva leggere nessuno, mi difesi con certe scuse assurde che aumentarono il suo sgomento. Infine, sudando e guardando l'orologio, raggiunsi le dieci meno un minuto. Mi congedai e uscii, cercando di camminare con lo stesso passo che ricordavo di aver tenuto la mattina precedente. All'angolo controllai l'ora all'orologio della compagnia Transradio. Certo di proseguire correttamente nell'esecuzione del mio piano, imboccai Calle Corrientes. Giunto di fronte all'ingresso della metropolitana, vidi venire l'uomo; poi, passando davanti alla libreria lo vidi venire di nuovo; finalmente, qualche metro prima di giungere all'angolo di Calle Maipú, osservai che per la terza volta, e come il giorno prima, camminava verso di me e mi incrociava.
Per un mese continuai a realizzare l'esperimento ogni mattina, con l'unica variante, rispetto ai primi giorni, che iniziavo il cammino dall'angolo dell'orologio.
Espongo qui le osservazioni realizzate, le congetture e qualcosa che mi accadde una notte, qualche tempo fa, e che lascerò per il finale.
Una delle prime rivelazioni che ebbi durante quel mese vertiginoso fu quella che gli incontri con l'uomo significavano per lui (e per me, naturalmente) il trascorrere di un lasso di tempo. Vale a dire che le varie immagini non erano, per esempio, come diverse copie della stessa fotografia. No. Il tempo trascorreva, per lui. Lo capii osservando la sua pettinatura, l'abito, le cravatte, che erano sempre diversi o mostravano qualche particolare che variava coi giorni o nello stesso giorno. Per dirla in breve, il soggetto andava dal passato al presente o dal presente al passato. Per parecchi giorni non riuscii a capire quale fosse la soluzione corretta. Poi, grazie alla mia straordinaria memoria,che tutti conoscono e che è una delle poche cose di cui posso vantarmi, risolsi il problema. L'uomo veniva verso il presente: io tutte le mattine vedevo la sua vita all'indietro. Come lo accertai? Grazie alla mia memoria, come ho già detto. Osservai che il viso, l'abito, la cravatta che vedevo ogni mattina nel secondo incontro erano quelli che il giorno prima avevo visto subito, appena iniziata la mia marcia in Corrientes e San Martín. E ogni giorno, il primo viso, o meglio, il primo viso, la prima pettinatura, il primo abito dello stesso uomo, erano diversi. Dunque, ogni mattina, io vedevo quel giorno e i giorni precedenti di quell'uomo, le sue quotidiane e preferite camminate verso l'ufficio o verso casa. Indovino il sorriso ironico del possibile lettore. Indovino le sue prevedibili domande. Notavo forse un invecchiamento crescente nell'uomo il cui passato si offriva ai miei occhi? O notavo indizi di ringiovanimento man mano che le immagini si allontanavano? Rispondo senza incertezze. Non potevo notare alcuna delle due cose, perché il lasso di tempo durante il quale il fenomeno si produceva era di giorni soltanto. Invecchiamo un giorno dopo l'altro, ma non lo si vede. Il fatto è che pensando a queste domande me ne venne in mente un'altra. Io stavo vedendo la giornata attuale di un uomo, e poi, all'indietro, le sue giornate precedenti. Bene. E se in qualche maniera io, collocato ormai in quella sorta di canale del tempo, potessi vedere mesi e anni del suo passato? E poi venne, naturalmente, un'altra domanda, che mi procurò ansia. E se io potessi vedere, non il passato di questo sconosciuto che non mi interessa affatto, bensì quello di mia madre, o della mia povera Giselle, morta tanti anni fa? Se potessi vedere, per esempio, la notte del 31 dicembre 1937, a Les Ambassadeurs? Quale via, quale canale avrei potuto realizzare a questo scopo? Ci misi pochi giorni a capire che per passare a una fase così meravigliosa avrei dovuto anzitutto completare la prima. Ossia, fare un esperimento con lo sconosciuto, per poi passare all'obiettivo susseguente.
Dopo alcuni giorni in cui non riuscii a individuare il mio personaggio, una mattina lo vidi venire. Io mi trovavo davanti all'ingresso della metropolitana, e lui camminava di fretta, come se fosse in ritardo. Era l'uomo di oggi, quello di ieri o quello dell'altrieri? Non indugiai ad accertarlo. Appena passò, presi a seguirlo. Mi divertiva pensare che dietro di noi venivano altre versioni dello stesso uomo, altri giorni, come fogli di un calendario che in qualche punto andavano a unirsi. Giunto a un edificio situato all'altezza del 200 entrò, salutato dal portiere. Io entrai dietro di lui nell'ascensore e aspettai che scendesse, senza guardarlo. Fece qualche metro lungo un corridoio, sempre seguito da me, ed entrò. Allora decisi di abbordarlo. Era già seduto, davanti ad alcuni incartamenti. Tossii, bussai leggermente alla porta, ed egli sollevò gli occhi. Poi disse: "Avanti". La sua voce mi provocò un leggero brivido: mi parve di averla sentita da qualche parte, molto tempo prima. Ma il viso mi era assolutamente ignoto. Entrai, mi sedetti ed espletai i convenevoli abituali prima di venire al dunque. Notai che era uomo di poche parole, o molto occupato, Mi pregò di stringere.
"Le sembrerà assurdo ciò che mi propongo", lo prevenni; "ma posso e devo compiere un esperimento sorprendente con il tempo."
"Con il tempo?" disse con un leggero pallore e la voce arrochita. "Con il tempo?"
"Sì. Ho scoperto che posso giungere al passato delle persone, ma ho bisogno di collaborazione..."
Mi guardò con un leggero sorriso.
"Collaborazione? Di chi?"
"Delle persone al cui passato voglio arrivare. Di lei, per esempio."
In quell'istante notai due cose. L'uomo aveva abbassato la mano e aveva toccato qualcosa sotto la scrivania. Lontano, molto lontano, mi parve di udire lo squillo di un campanello. L'altra cosa che notai fu più allarmante. Già la voce dell'individuo mi aveva fatto un'impressione strana, come ascoltare un tono familiare, dimenticato e poi ricordato. Ma quello che mi preoccupò fu che l'uomo cominciò a sembrarmi conosciuto, con la dolorosa sensazione di non poter andare oltre in quel riconoscimento. Per meglio dire, mi ricordava qualcosa. Potevo averlo conosciuto. Ma dove? Quando? Glielo chiesi e negò con durezza. Divenne antipatico e toccò di nuovo qualcosa sotto la scrivania. Ero sul punto di odiarlo, ma tentai di convincerlo.
"Per mezzo suo voglio arrivare al passato di altre persone. Lei sarà soltanto l'oggetto di un esperimento sorprendente. Forse poi anche lei vorrà conoscere altre vite, altre persone."
La sua irritazione aumentò, e io cominciai a capire. In quel momento si aprì la porta e apparve un individuo basso, servile.
"Ha chiamato, signore?"
"Sì. Accompagni quest'uomo all'uscita. Se diventa molesto chiami un agente."
Mi misero fuori quasi a spintoni; ma poiché non resistetti che verbalmente, non mi causarono altri fastidi. Camminai per un pezzo, masticando maledizioni, e quando mi calmai ritornai a casa. Non uscii per tutto il giorno, e la sera andai a letto presto. Eccomi giunto al momento di riferire quanto ho sognato - se ciò che avvenne fu un sogno - e le sue conseguenze. Mi trovavo a letto supino, e dalla finestra entrarono molte immagini, come stampe, del viso dell'uomo, che si incollarono alla prima fino a formare un volto animato, lungo, dotato di ampiezza e profondità. Non mosse le labbra, ma sentii la sua voce come se fosse dentro di me o come se avessi una cuffia radiofonica alle orecchie. Le sue parole mi desolarono. Disse: "Fermati. Non pretendere di guardare indietro. So che puoi vedere tua madre. Ma la vedrai dapprima morta, poi decrepita, poi più giovane, ma allora la vedrai sfocata. E non la riconoscerai. Vedrai anche la notte del 31 dicembre 1937 a Les Ambassadeurs e vedrai Giselle, ma vedrai anche ciò che non vuoi vedere. Non so per quanto tempo continuò a parlare, ma io non lo ascoltavo più. Con orrore avevo capito ciò che quel viso significava per me. Era, ed è, qualcuno che mi ha causato un male immenso, ma che non riuscii mai a smascherare. Qualcuno che ho sempre visto di spalle, che mi ha ferito senza mostrarsi, che sempre ha chiuso la finestra e si è nascosto quando mi facevo avanti per vedergli la faccia.
Mi svegliai sudando. Per un pezzo mi aggirai come un sonnambulo per la stanza, e poi presi la mia decisione. Stavolta sapevo dove potevo trovarlo. Per ogni evenienza, presi con me la mia piccola Smith & Wesson 32 e uscii. Poiché ero vicino, andai a piedi. Ad ogni passo mi convincevo e la mia decisione si rafforzava. Raggiunsi il palazzo, presi lo stesso ascensore e percorsi il corridoio. La porta era aperta. Entrai, ma non vidi nessuno. Battei le mani e apparve, molto cortese, l'uomo basso, servile, che mi aveva buttato fuori a spintoni il giorno prima. Gli chiesi del "signore che riceve lì", indicando la stanza. Mi rispose che in quella stanza non riceveva nessuno, che era usata solo per depositarvi pratiche che gli uscieri lasciavano e prendevano per portarle in altri uffici. L'uomo era gentile, ma davanti alla mia insistenza cominciò a fare una faccia strana. Mi scusai e uscii. Non so per quante ore andai come stordito, camminando per la strada, finché macchinalmente giunsi a casa e mi coricai. Credo che in un momento di lucidità feci qualche progetto per il giorno seguente. Ma il giorno seguente non accadde nulla, e neppure in seguito. Sono passati diversi mesi, durante i quali ho vigilato quotidianamente, all'ora opportuna, il tratto di strada in cui quella mattina di febbraio vidi venire l'uomo. Non l'ho più rivisto. Tuttavia, non dispero di incontrare un giorno il responsabile di tutto ciò che ho sofferto nella mia vita e di scoprire chi è.

(Racconti argentini. A cura di Jorge Luis Borges. Mondadori, 1991)