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lunedì 1 settembre 2014

Great Wall of China

Any music can be psychedelic, no stimulants needed. Just use your brain to drift through the melodies, harmonies, and rhythms. Dream aloud.
(Jim Cuomo)

Impropriamente gettati nel calderone della musica folk i Mormos, gruppo americano che operò prevalentemente in Francia, si muovevano lungo coordinate ben differenti. Sarebbe come a dire, insomma, che la Penguin Cafe Orchestra o la Third Ear Band erano gruppi folk perché utilizzavano strumenti acustici (a onor del vero bisogna ricordare che la svolta acustica di questi ultimi fu "propiziata" dal furto della strumentazione elettrica...). Fonte autorevole di questa interpretazione è lo stesso fondatore del gruppo, Jim Cuomo, che in un'interessante intervista a It's Psychedelic Baby nega influenze o collegamenti con il folk, preferendo accostare le esibizioni dal vivo del gruppo allo spirito dei Grateful Dead acustici. Un altro parallelo può essere fatto con i primi Pearls Before Swine, considerata l'spirazione letteraria di Tom Rapp (Great Wall of China contiene due brani su testi di Shakespeare e W.B. Yeats).
Ripercorriamo in sintesi la storia dei Mormos attingendo alla suddetta intervista e a un'analisi di Bad Cat Records dei loro due album.
Progenitori dei Mormos furono gli Spoils of War, fondati nel 1968 da Cuomo mentre studiava all'Università dell'Illinois a Urbana. Il bizzarro nome deriva da uno dei tanti originali strumenti musicali inventati da Harry Partch. Il gruppo pubblica un disco omonimo sotto forma di sette pollici a trentatre giri contenente un lungo brano per ciascuna facciata. Edito in mille copie l'EP verrà incluso nel 1999 in una raccolta della tedesca Shadoks comprendente diversi brani inediti, alcuni dei quali ripresi successivamente in chiave acustica nei due dischi dei Mormos. Le composizioni degli Spoils of War ben riflettono gli ampi interessi musicali di Cuomo: clarinettista classico, appassionato di jazz, sperimentatore elettronico e di musica concreta. La musica che ne scaturisce è sorprendentemente simile a quella dei ben più noti United States of America di Joseph Byrd, uno dei più felici connubi tra elettronica e psichedelia di fine Sessanta.
Trasferitosi a New York Cuomo assume l'incarico di direttore musicale del La Mama Experimental Theatre Club. Durante un tour francese avvengono due incontri decisivi per Cuomo: nel corso del primo riceve i complimenti di Eugene Ionesco -e scusate se è poco...- mentre grazie a un giornalista musicale parigino ottiene degli ingaggi per un progetto musicale collaterale all'attività teatrale. Il gruppo prende il nome di Misty Mountain Mormos e, oltre a Cuomo, comprende Sandy Spencer e Dianne Taylor. Un breve ritorno negli Stati Uniti porta nella band Elliott Delman, Rick Mansfield e Annie Hat, quest'ultima già parte degli Spoils of War. Con il nome abbreviato in Mormos si stabiliscono definitivamente in Francia e nel 1971 pubblicano per la CBS Great Wall of China, contenente sia registrazioni effettuate dal precedente trio sia composizioni registrate dalla nuova formazione. 
Il buon riscontro ottenuto dall'album induce la CBS francese a pubblicare l'anno successivo un secondo disco, The Magic Spell of Mother's Wrath, a cui segue di lì a poco lo scioglimento del gruppo. Delman, Mansfield e Annie Hat si aggregano agli Sky Farmer, band sorta dalle ceneri dei Mountain Bus e che opera come comune nel Wisconsin. Cuomo, dopo una lunga permanenza in Francia, si trasferisce a Melbourne continuando la sua attività di compositore, al pari di Delman, tornato nel frattempo a Chicago. Nel corso degli anni non sono nemmeno mancate occasionali riformazioni e concerti dei Mormos. 
La ristampa Spalax di Great Wall of China del 1997 contiene anche al singolo Listen to the Flavour / Paranoid Nightdream. L'altro singolo dei Mormos (Magic Stone / Hey Gilles) può essere recuperato su Left and to the Back, prezioso blog dedito alla riscoperta di oscure gemme a sette pollici.
Per completare la discografia della band va citato infine Ca droit etre bien, pubblicato dalla CBS nel 1971, in cui i Mormos fungono da gruppo di accompagnamento al musicista francese Francois Béranger.






Womanbud Deborah
Great Wall of China
Forever Seventh Loved Time
Now is Made in America
The Crimson Uniform
Poughkeepsie
Smelling like a Rose
Victoria Falls
Jack of Hearts
O Mistress Mine
Cap and Bell
Walk In, Walk Out
These Echoes / My Grandma Rocks
St. Ives
Listen to the Flavour (bonus)
Paranoid Nightdream (bonus)





C'era uno sgabello a portata di mano e il robusto sedile sembrava più che sufficiente per i vecchi pannelli. Prima si aprì una spaccatura nel legno e poi la porta cedette, come spinta dalla parte opposta: soffiò una folata di vento gelido che puzzava di segrete senza fondo e si sprigionò un risucchio che non apparteneva a questo mondo, ma che avvinghiò il detective alla braccia e alle gambe e lo trascinò nell'apertura, giù per spazi bui dove risuonavano lamenti, sussurri e ogni tanto una risata di scherno.
Naturalmente si è trattato di un sogno: tutti gli specialisti concordano su questo fatto e Malone non può in alcun modo dimostrare il contrario, anzi preferirebbe che fosse così, perché in tal caso la vista degli squallidi edifici di mattoni e le facce scure degli stranieri non torturerebbero la sua anima. Ma in quel momento sembrò tutto tremendamente reale e niente potrà cancellare dalla sua memoria le catacombe avvolte nelle tenebre, le gigantesche arcate, le figure informi che parevano uscite dall'inferno e che s'aggiravano maestose nel silenzio, reggendo esseri divorati a metà e in qualche caso ancora vivi, imploranti pietà o in preda a risate isteriche. Odori d'incenso e corruzione formavano un insieme ripugnante, e il buio viveva di sembianze nebulose, informi e semi-invisibili ma fornite di occhi. Da qualche parte onde melmose lambivano moli d'onice, e una volta un suono di campanelle sottolineò festosamente l'insano cachinno di un essere nudo e fosforescente che nuotò a riva, emerse dall'acqua e si arrampicò su un piedistallo d'oro dove rimase acquattato. 
Da ogni parte s'irradiavano gallerie di notte eterna: quel luogo era il centro d'un contagio destinato a corrompere città e nazioni, a spegnere il mondo in un'ibrida pestilenza. Lì si era infiltrato il male cosmico e lì, alimentato da riti vietati, aveva cominciato la marcia trionfale che avrebbe trasformato noi uomini in orrende anomalie e frutti della corruzione, in qualcosa di troppo orripilante perché anche la tomba volesse accoglierci. Satana teneva in quel luogo la sua corte pagana e le membra contaminate di Lilith venivano lavate col sangue dei bambini. Incubi e succubi gridavano le lodi di Ecate, mostri nati senza testa invocavano la Magna Mater. Capre danzavano al suono di flauti e satiri davano la caccia a fauni deformi su massi che avevano la forma di rospi enormi. Moloch e Astaroth non erano assenti, perché nella quintessenza della dannazione i vincoli della coscienza si allentavano e alla fantasia dell'uomo si aprivano visioni di ogni regno d'orrore o dimensione vietata che il male potesse forgiare. Il mondo della natura era indifeso di fronte all'attacco che procedeva dai pozzi spalancati della notte, e non c'era segno o preghiera che potesse mettere in scacco quel tumulto da notte di Valpurga; una chiave malefica, usata da un evocatore di demoni, aveva spalancato le porte dell'abisso.
A un tratto un raggio di luce materiale filtrò in mezzo ai fantasmi e Malone sentì uno sciabordio di remi fra le blasfemie di creature che avrebbero dovuto essere morte. Apparve una barca con una lanterna a prua, attraccò a un anello di ferro che sporgeva dal molo e vomitò una serie di uomini scuri che reggevano un grosso fardello avvolto in un lenzuolo. Lo portarono al cospetto della creatura nuda e fosforescente accosciata sul piedistallo e quella rise, sfiorando il lenzuolo con una zampa. Gli uomini strapparono il lenzuolo e sollevarono il cadavere di un uomo corpulento, con i capelli bianchi e le guance coperte di stoppia. L'essere fosforescente ridacchiò di nuovo e gli uomini estrassero dalle tasche alcune bottiglie di liquido rosso, che versarono ai piedi della creatura; poi gliele diedero perché ne bevesse.
All'improvviso, da un corridoio sormontato da arcate che si perdevano in lontananza venne il boato di un organo blasfemo, che riassumeva nei suoi toni bassi tutte le beffe dell'inferno. In un attimo tutto ciò che viveva si galvanizzò e una processione rituale prese forma, mentre l'orda d'incubo strisciava verso la fonte della musica: capre, satiri, fauni, incubi, succubi, lemuri, rospi deformi ed elementali senza nome, creature dal muso di cane che urlavano nel buio e creature che avanzavano in silenzio. Davanti a tutti era l'entità fosforescente che ora, scesa dal piedistallo, camminava insolente e reggeva tra le braccia il cadavere dagli occhi vitrei del vecchio. Gli uomini dalla pelle scura danzavano verso il fondo, mentre la colonna si agitava ed eccitava con la passione di un baccanale. Malone barcollò dopo aver fatto pochi passi e al colmo della confusione dubitò del posto che gli spettasse in quello o in qualsiasi altro mondo. Si girò, inciampò e scivolò sulla pietra viscida, mentre l'organo demoniaco gli dava i brividi. I fremiti e i cachinni della folle processione si facevano sempre più distanti.
Si rendeva conto vagamente degli inni d'orrore e dei paurosi gracidii che risuonavano nel buio, mentre di quando in quando una frase gli giungeva dalle nere arcate; alla fine sentì ripetere lo spaventoso incantesimo greco che aveva letto sul pulpito della chiesa.
"O amico e compagno della notte, tu che ti rallegri dell'abbaiare dei cani e degli spargimenti di sangue, tu che cammini in mezzo alle ombre fra le tombe, che brami sangue e porti terrore ai mortali, Gorgo, Mormo, luna dalle mille facce, accetta con favore i nostri sacrifici!"

(H.P. Lovecraft, Orrore a Red Hook. 1925)


venerdì 18 aprile 2014

Lovecraft: nuove considerazioni

Nei venticinque anni seguiti alla morte di H.P. Lovecraft i suoi racconti hanno ricevuto lodi sperticate e feroci stroncature, sia le une che le altre, in genere, superficiali e poco approfondite. E se questa gazzarra può soddisfare qualcuno e divertire qualcun altro, per me, che sono stato influenzato tanto dall'uomo che dallo scrittore Lovecraft, non è certo sufficiente. Per questo, almeno per quanto mi riguarda, desidero andare a fondo e usare un metro il più possibile analitico. 
In un mio articolo dal titolo Copernico letterario (che, in realtà, avrei fatto meglio a intitolare Il Copernico del racconto dell'orrore) ho analizzato i pregi dei racconti di Lovecraft e dei mezzi letterari e creativi di cui si è servito. Ora tenterò di dare l'altro lato del quadro, non per invalidare la mia vecchia analisi, ma per completarla e inserire il nero accanto al bianco. Mi baserò essenzialmente su Colui che sussurrava nelle tenebre, il mio preferito tra i racconti di Lovecraft, perché è un prodotto del suo periodo più maturo (fu scritto nel 1930), è abbastanza lungo per costituire un buon campione, suscita vigorosamente sia il senso dell'avventura che il terrore e combina bene la vecchia tendenza di Lovecraft a sfruttare come sfondo delle sue storie le leggende di magia nera con quella, che si manifestò nell'ultima parte della sua vita, di creare atmosfere di mistero volgendosi alle fantasie della scienza. Ma forse la ragione fondamentale per cui lo prediligo è che Colui che sussurrava nelle tenebre mi ha dato, la prima volta che l'ho letto, i brividi più deliziosi.
Innanzi tutto, brevemente, la trama (per rinfrescare la memoria di coloro che hanno letto il racconto; a tutti gli altri... leggetelo prima!).
Albert Wilmarth, un appassionato di folklore e professore di letteratura alla Miskatonic University, partecipa a un dibattito ospitato da una rivista accademica, sulla possibilità che nelle colline del Vermont siano scesi esseri di un altro mondo. Wilmarth è del partito scettico, ma Henry Akeley, uno studioso solitario che vive sul posto, lo convince per corrispondenza che quegli esseri esistono e che vengono da Plutone. E' necessario, tuttavia, mantenere il segreto, perché se scoperti essi potrebbero decidere di attaccare la Terra. Akeley si convince che gli esseri lo uccideranno o lo rapiranno presto perché sa troppo, e prega Wilmarth di tenersi alla larga. Poco dopo, però, il professore riceve una lettera in cui Akeley mostra un profondo cambiamento; non solo le sue idee, ma la sua stessa personalità sembrano diverse: dice di essere entrato in contatto con le creature di Plutone, di aver scoperto che sono benevole e prega Wilmarth di andarlo a trovare portando con sé la loro corrispondenza. Il professore accetta e per parecchie ore, in una stanza in penombra, conversa con un Akeley dall'aspetto stranamente rigido. Quella notte (avendo evitato di bere del caffè drogato) Wilmarth è in grado di udire una conversazione che indica come uno degli esseri di Plutone abbia preso il posto di Akeley, impersonandolo, e che è intenzione di quegli esseri rapire anche lui. Wilmarth ottiene le prove che è tutto vero e fugge a precipizio dalla casa di Akeley e dalle colline del Vermont.
Questo riassunto non dà nessuna idea dell'atmosfera e della forza del racconto, ma mi permette di situare in un certo quadro i miei commenti (o meglio, le mie "reazioni di lettore").
Innanzi tutto non mi ha mai convinto la facilità con cui Wilmarth si lascia persuadere ad andare nel Vermont, dato che il piano dei plutoniani si intuisce lontano un miglio. A questo punto ho sempre dovuto fermarmi per rassicurare me stesso che Wilmarth doveva essere così incuriosito da perdere qualunque senso di cautela (anche se il racconto non offre nessun appiglio al riguardo); solo dopo quest'operazione potevo continuare la lettura. Dopo essere arrivato nel Vermont Wilmarth continua a mostrarsi incredibilmente tardo nella comprensione della verità, anche se gli indizi si sommano agli indizi.
In secondo luogo non viene mai spiegato, nemmeno per allusioni, perché gli esseri di Plutone indugino tanto a realizzare i loro piani sul conto di Wilmarth (o di Akeley). L'affermazione che i loro movimenti sulla Terra sono lenti e difficoltosi è inverosimile quando si apprende che l'avamposto sul nostro pianeta esiste da centinaia d'anni. E' vero, i plutoniani di Lovecraft non sono più inetti del dottor Fu Manchu quando spreca le migliori occasioni di far fuori Nayland Smith: ma ci si aspetta qualcosa di più da una razza di extraterrestri che scorrazzano nella galassia. Inoltre i loro metodi sono quelli tipici del melodramma: caffè drogato, falsi telegrammi, travestimenti elaborati e corse in macchina nella notte.
Terzo, il paesaggio del Vermont è descritto fin nei dettagli almeno quattro volte: nelle osservazioni preliminari di Wilmarth, nella lettera di Akeley, durante il viaggio di Wilmarth a casa di Akeley e durante la fuga finale. Questa ripetitività, che ho sempre trovato stancante, preannuncia i reiterati vagabondaggi nei corridoi delle colossali strutture architettoniche che troveremo nell'Ombra fuori del tempo e nelle Montagne della follia.
Nel racconto ci sono momenti di grande suggestione, come quando Wilmarth vede un cilindro di metallo contenente un cervello scorporato a cui sono stati lasciati due soli sensi, la vista e l'udito, oltre alla facoltà di parlare (ho usato questa stessa idea nel mio romanzo Le argentee teste d'uovo, riconoscendone il merito a Lovecraft). Ma il racconto acquista efficacia drammatica solo in pochi punti: i lunghi passaggi descrittivi, le allusioni elaborate e le volute ripetizioni tendono a stancare.
La ragione di questa scelta mi sembra la seguente: Lovecraft aveva in mente il grande spavento finale di Wilmarth (e del lettore) e scriveva per "aprirsi la strada" verso di esso, evitando decisamente di battere qualsiasi sentiero collaterale; eppure, di solito, sono proprio gli aspetti secondari a costituire l'interesse di un racconto, perché consentono l'introspezione, le osservazioni sulla vita quotidiana e le sottigliezze psicologiche.
Questa marcia forzata verso il climax mi sembra la vera responsabile della scarsità di scene pienamente sviluppate in senso drammatico. Dopo le dichiarazioni d'apertura, tenute sulle generali, le cose devono essere viste con distacco, apprese per allusioni e sentito dire, fino all'accecante rivelazione conclusiva. Troppi primi piani all'inizio del racconto potrebbero rovinare questa progressione passo passo all'apice del terrore. Ed è anche la ragione per il ritardato concretizzarsi della minaccia nei confronti di Wilmarth: le creature di Plutone impiegano ore a fargli oscure allusioni, pur avendolo in loro potere, semplicemente perché questo esalterà la sua paura. Lovecraft usa lo stesso procedimento nei confronti del lettore, con cui gioca come il gatto con il topo, sfruttando interminabilmente le esitazioni e la riluttanza del suo narratore nel dirci in che cosa consista l'orrore. Questi artifici funzionano abbastanza bene nell'evocare la paura del soprannaturale, ma irrigidiscono, limitano e incanalano il racconto su una traccia monotona. 
La maggior parte dei racconti di Lovecraft soffre di questo modello rigido e ristretto. Da storie come La dichiarazione di Randolph Carter a romanzi come Le montagne della follia, si ha la sensazione che ogni successivo racconto non vada più avanti del primo. Alle idee si può solo alludere, mai analizzarle; ai personaggi non può essere permesso quasi mai di interagire in modo drammatico; i mostri, in particolare, non devono essere analizzati o esplorati nell'intimo: infatti ognuna di queste due cose potrebbe rovinare l'atmosfera di terrore, spezzare l'incantesimo.
In Note sull'arte della letteratura fantastica Lovecraft riassunse questo tipo di limitazione: "Tutto ciò che un racconto del meraviglioso può essere è un vivido ritratto di un certo tipo di atmosfera psichica". Questo dogma estetico, pur avendo qualche validità tecnica, trasuda solitudine da tutti i pori e può rivelarsi distruttivo nei confronti di una tipica attitudine dello scrittore, quella di dire qualcosa sul mondo reale, gettare sguardi penetranti nell'animo di uomini reali, speculare nel senso migliore del termine e avvicinarsi al suo lettore invece di condividere con lui semplicemente "una vaga illusione dell'arcana realtà dell'irreale".
Ciò che voglio dire si può ridurre a questo: che HPL scrisse racconti dell'orrore e che i racconti di questo tipo, specialmente se creati da un purista, sono di orizzonti limitati. Per esempio, analizzare i mostri o esplorarli nell'intimo già trasformerebbe una storia del terrore in una di fantascienza.
Voglio anche suggerire che i racconti di HPL si impossessano del lettore come incubi e furono scritti nello stesso modo, con la mente incapace di uscire dallo spaventoso garbuglio e di guardarsi intorno finché non si arriva alla fine. E' un'intensità ipnotica, sonnambolica, lettore e scrittore privati della volontà e attratti interminabilmente in corridoi che sprofondano verso il basso, in città sterminate e ciclopiche, o ancora in foreste abominevoli; è un procedere attraverso un paesaggio di orridi arabeschi, il cui scenario sembra tratto di peso dall'incubo o da una visione ipnagogica. Per quanto riguarda in particolare Colui che sussurrava nelle tenebre, che Lovecraft scrisse in una settimana, per rendere la storia credibile il lettore deve accettare che Wilmarth si trovi in uno stato mentale ipnotico, in una sorta d'incubo fin dal momento in cui riceve l'ultima lettera di Akeley.
Mi duole che in questo breve articolo io debba trascurare i tanti aspetti affascinanti del racconto: ad esempio il modo in cui sfrutta i fatti di cronaca dell'epoca come le inondazioni del 1927 in Vermont, la scoperta di Plutone e il proliferare di luoghi estivi per vacanza a buon mercato in tutta la Nuova Inghilterra; l'eleganza con cui incorpora l'influenza letteraria di Machen, Fort e altri; le numerose, pregevoli battute di dialogo, specie le più brevi e drammatiche; l'uso eccellente di impronte d'artigli e altri mostruosi indizi; l'ottimo assunto di base, che è pura fantascienza; la sensazione d'eccitamento e aspettativa al pensiero delle indicibili meraviglie e degli arcani dell'universo. Questi elementi di fascino sono tanto vividi e vitali nei racconti di Lovecraft quanto assenti in quelli dei suoi imitatori. Perché, nonostante le limitazioni del suo modulo narrativo preferito (e che a volte, credo, lo ostacolò seriamente), Lovecraft cercò sempre di usarlo per esprimere ciò che lui sapeva e sentiva della vita, non per creare racconti gotici di maniera. ("The Whisperer" Re-examined, 1964)
(Fritz Leiber, Spazio, tempo e mistero. Mondadori, 1987)