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lunedì 14 dicembre 2020

Dove sarà finita la pinza!

L'argomento è affrontato molto raramente e spesso diventa argomento di cronaca solo in casi eclatanti, è pure trattato con ironia (forse per esorcizzarlo) e, se per gli utenti è qualcosa di sconosciuto, i medici (in questo caso i chirurghi) ne parlano poco, come fosse (e un po' lo è) un argomento "tabù".
Avrete sicuramente già sentito parlare di strumenti dimenticati nell'addome (o da altre parti ma per motivi chirurgici è l'addome la parte del corpo più interessata) di un paziente sottoposto a intervento chirurgico.
Pinze, garze, strumenti, le cronache ci raccontano storie che sembrano incredibili e probabilmente qualcuno, leggendo questo articolo, si stupirà che l'incredibile, come spesso accade, non lo è poi così tanto.

Già, perché la prima cosa che devo dirvi è che l'evenienza di dimenticare un oggetto nel corpo di una persona sottoposta a intervento chirurgico è sicuramente rara statisticamente (secondo le statistiche siamo attorno allo 0,06% dei casi di intervento), rarissima ma non è impossibile. Anzi, vi dirò di più: se parlate con un chirurgo con il quale avete confidenza (perché, come detto, ne parlerà poco volentieri) vi dirà che si tratta di un'evenienza ben presente nella testa di tutti i medici che operano con le mani nel corpo delle persone.
Si tratta inoltre di una possibilità che esiste da sempre, studiata, analizzata, che negli anni ha visto tante persone adoperarsi per ridurre questo rischio, che vede metodi e tecniche ideate per ridurlo ancora di più.

In un intervento chirurgico classico si usano molti strumenti, quasi tutti di acciaio inossidabile, spesso grandi e pesanti ma non sempre. Si tratta di pinze con le punte lunghe o corte, forbici appuntite o smussate, strumenti che allargano il campo operatorio e poi garze, piccoli tamponi o grandi teli, fili, aghi. Tanti strumenti che sono usati con precisione e accuratezza. Ci sono però alcuni momenti in cui il chirurgo ha molta fretta (quando per esempio un vaso sanguigno inizia a perdere sangue, il chirurgo si sbriga a chiuderlo, un problema che richiede intervento immediato) oppure è distratto (cosa che non deve succedere mai in sala operatoria ma a volte succede). Di regola il chirurgo non stacca gli occhi dal "campo operatorio" (la zona che sta operando) ma anche questo può succedere. Altre volte ci sono degli imprevisti. Tutto questo si unisce a varie caratteristiche tipiche di ogni intervento chirurgico ma due in particolare sono molto subdole. La più evidente è che una garza (soprattutto se piccola) che si impregna di sangue (come si può immaginare questo durante un intervento succede normalmente) diventa spesso indistinguibile dal resto del campo operatorio. Bisogna ricordare che siamo ad "addome aperto" (quindi abbiamo tra le mani gli organi addominali, che sono come un ammasso di tessuti).


La stessa garza o uno strumento possono inoltre cadere in mezzo alle anse intestinali e, in quella matassa di tessuti aggrovigliati, attorcigliati, ingombranti, diventa quasi impossibile vedere un batuffolo di garza o una piccola pinza, letteralmente "vanno persi", si immergono nei tessuti addominali e spariscono alla vista. Ancora peggio quando da uno strumento (per esempio una pinza) si stacca un pezzo (una vite, una molla o altro) molto piccolo. Ritrovarlo è veramente difficile. Per capirci. Se mettessi anche volontariamente in mezzo all'intestino una garza o un piccolo strumento chirurgico la possibilità di "perderlo", non vederlo più è altissima e avrò probabilmente difficoltà a ritrovarlo anche sapendo dove cercarlo.

Non si tratta perciò di qualcosa di "impossibile". Si arriva quindi a un bivio. Se un oggetto si perde nel corpo del paziente le possibilità sono due: il chirurgo (e l'equipe, l'intervento chirurgico è un lavoro di equipe) se ne accorge e quindi non smetterà di cercare fino ad averlo trovato (quindi tutto risolto) oppure nessuno, né chi opera né chi assiste, si rende conto di quell'errore (perché questo è considerato un errore, tra i più gravi) e il corpo estraneo sarà dimenticato dentro il corpo del paziente.
Ma il finale è quasi sempre positivo.

Negli anni sono stati raffinati diversi metodi per ridurre questo rischio.

Mettiamo la prima ipotesi: l'equipe si rende conto di avere un pezzo (facciamo una garza) mancante. Il chirurgo inizierà a cercare, letteralmente frugando in mezzo agli organi ma anche il resto dell'equipe si metterà in moto cercando se per caso l'oggetto non sia a terra, in uno dei sacchi dei rifiuti o da qualche altra parte. Vi assicuro che in questi casi la ricerca è frenetica.
Spesso però il chirurgo sentirà con le mani la garza e la metterà fuori dal campo operatorio, tutto risolto. Ma se questo non succede, se nonostante le ricerche non troviamo il pezzo mancante, non resta che chiamare la radiologia. Tutti i pezzi che si usano in sala operatoria sono "radio opachi", una radiografia, cioè, riesce a vederli (anche le garze, hanno intessuto su di esse un filo visibile alle radiografie).
Il radiologo farà una radiografia e l'equipe capirà esattamente dove si è nascosta o infilata quella garza. Risolto nuovamente.
Garze chirurgiche: il filo blu è "radio opaco", una radiografia quindi lo noterà.

La seconda ipotesi è più preoccupante.
Nessun componente dell'equipe, né il chirurgo né i suoi assistenti, si renderà conto del pezzo mancante.
L'intervento finirà ma la garza (dell'esempio) resta lì, dentro l'addome del paziente.

Inizialmente niente di strano.
Nei giorni seguenti, probabilmente pochi giorni dopo ma a volte anche settimane dopo, il paziente soffrirà di alcuni disturbi. I tessuti umani tendono a creare una sorta di tessuto fibroso, quasi una protezione attorno al corpo estraneo, è fisiologico. Potrebbe in teoria non succedere niente ma, spesso, si assiste alla comparsa di fastidi, infezioni, febbre e dolori, sintomi che possono diventare davvero gravi e allarmanti, persino letali e questo porta a sospettare (non subito, perché ovviamente è la possibilità più remota) quello che è successo. L'unico rimedio è quindi operare di nuovo il paziente (anche a distanza di anni!) per rimuovere il corpo estraneo. Ovviamente i disturbi e i problemi dipendono anche dall'entità del corpo estraneo dimenticato: una garza di cotone probabilmente creerà meno problemi di un grosso e pesante ferro chirurgico. Una pinza appuntita può creare problemi gravissimi (perforare un organo, creare un'emorragia) e non è escluso che in certi casi non ci sia nessun disturbo particolare e la persona conviva, inconsapevolmente, con un corpo estraneo nel proprio addome. In ogni caso dimenticare un oggetto nel corpo del paziente durante un intervento chirurgico è considerata una "dimenticanza" grave, lo stesso chirurgo la vive con un profondo senso di colpa. Esistono dei modi per evitarla?
Ebbene sì (fortunatamente). Sono stati messi a punto molti metodi per ridurre al minimo questo tipo di errore.

Il più diffuso e sicuro (nella sua quasi artigianalità) è la conta
Basta farla bene e con attenzione e contare strumenti e garze può aiutarci a non sbagliare. Come si conta?
La maniera più tipica è quella di fare una conta ripetuta e incrociata in modo da ridurre gli errori (sempre in agguato!).

Le centrali di sterilizzazione (che preparano per esempio i pacchi di garze e tamponi) invieranno solo pacchi standard (esempio, con 10 garze, 10 tamponi, 10 teli, senza numeri a caso o variabili). Gli infermieri di sala operatoria che fanno parte dell'equipe, all'apertura di quei pacchi conteranno due volte e con una persona accanto che conta anch'essa, il numero di garze.
Devono essere 10? Sono dieci? Sono dieci? Sono dieci.
Bene. Sappiamo che inizieremo con 10 garze. L'intervento inizia e alla fine prima di chiuderlo definitivamente, il chirurgo chiede se la conta delle garze è regolare. Da quel momento di garze non se ne useranno più: l'infermiere conferma, conta garze regolari. Dieci erano, dieci sono, non abbiamo dimenticato nulla e possiamo finire l'intervento.
Questo consente alle equipe chirurgiche di minimizzare il rischio di dimenticanza. Sappiamo però che tutto è possibile e che l'errore zero non esiste in nessuna attività umana e così i casi di dimenticanza di oggetti nel corpo del paziente in corso di intervento chirurgico ci sono ancora oggi.
Sono state realizzate anche ricerche e statistiche che analizzano il fenomeno e possiamo dare qualche numero. Se da un lato può sembrare preoccupante bisogna rendersi conto di due cose: il numero di interventi chirurgici che si fanno ogni giorno sono tantissimi, migliaia di una sola nazione (immaginiamoci nel mondo) e il rischio è alla fine molto basso. Inoltre è ormai abitudine cercare di affinare le tecniche anche di riduzione del rischio. Ogni reparto dunque ha delle procedure validate che evitano, fin quanto possibile, questi errori.

Una curiosità che emerge da alcune statistiche è che nell'80% dei casi, i corpi estranei dimenticati lo erano in interventi nei quali la conta finale risultava corretta. Probabilmente quindi, come emerge da molte ricerche, si tratta di un problema di comunicazione nell'equipe.

Negli Stati Uniti le linee guida (simili alle nostre) raccomandano una conta ripetuta degli oggetti in sala operatoria: prima dell'intervento, ogni volta che viene aggiunto un oggetto, quando l'intervento sta per finire, quando è totalmente finito.
Come detto all'inizio il rischio di un incidente del genere è molto basso ma, soprattutto negli Stati Uniti, dove la pressione legale è altissima, sembra che i dati siano molto sottostimati, si dice perché il personale di sala operatoria tende a nascondere situazioni note (cioè si accorgono di aver dimenticato qualcosa nel corpo del paziente ma preferiscono non dirlo) per evitare denunce o sanzioni, sperando che non succeda nulla.
Sembra che cose come l'obesità del paziente operato e la difficoltà o l'emergenza dell'intervento aumentino il rischio di dimenticanza e che la prima causa sia la distrazione dell'equipe chirurgica. Sembrerà esagerato ma una distrazione banale (come un telefono che squilla) può condizionare e diminuire le capacità tecniche di un chirurgo, cosa che, ovviamente, si ripercuote sulla qualità del suo lavoro.

Una ricerca canadese ha mostrato come negli anni sia aumentato il numero di oggetti dimenticati all'interno del paziente (forse per il contemporaneo aumento dei trattamenti chirurgici anche se qualcuno sottovoce parla di super lavoro delle equipe mediche) portando i casi a 9,8 ogni 100.000 interventi.
Il problema è così sentito che è stata sperimentata addirittura una sorta di "scatola nera" chirurgica, uno strumento che registra tutto quello che succede e si dice in sala operatoria e che evidenzia errori e distrazioni. Uno strumento molto utile anche per rivedere e correggere procedure ma che, nei suoi primi utilizzi, ha mostrato che nel 64% dei casi si è registrata almeno una distrazione in corso di intervento chirurgico, evento banale ma che può diventare pericoloso e dannoso.
Insomma, si cerca in tutti i modi un modo per evitare l'errore, sempre in agguato e umano ma che, soprattutto in questo campo, deve essere ridotto al minimo possibile.

Alla prossima.

martedì 15 gennaio 2013

Storia della medicina: la chirurgia

Possiamo affermare che la chirurgia (cheirourgia, lavoro delle mani), una delle branche della medicina moderna, esista da due secoli. Prima del 1800 non vi era alcuna regola né procedimento scientifico che regolasse le "operazioni" dell'uomo sull'uomo. Esistevano gli "stregoni", i chirurghi autonominatisi e qualche intervento chirurgico sui generis era effettuato da improvvisati operatori che utilizzavano metodi personali.

La prima rivista medica che pubblicò argomenti chirurgici fu il New England Journal of medicine and surgery, nel 1812. Proprio in occasione del 200° anniversario della prima uscita della rivista chirurgica, il New England Journal of Medicine (attuale e prestigioso erede di quella prima pubblicazione), ricorda i passi da gigante fatti in due secoli di storia, talmente affascinanti e sorprendenti che vale la pena leggerli. Le procedure illustrate, rispetto a quelle attuali, erano del tutto primitive e cruente soprattutto se si considera un elemento fondamentale: non esisteva l'anestesia.
Per questo motivo sconsiglio alle persone facilmente impressionabili la lettura dell'articolo, parlare di chirurgia (soprattutto dei tempi andati) non è proprio una passeggiata.



In quei primi anni di chirurgia pionieristica leggiamo di interventi che avvengono ancora oggi, la differenza? La tecnica, la strumentazione, l'anestesia.
Le origini della chirurgia risalgono a millenni orsono. Una delle tecniche chirurgiche più primitive è la trapanazione del cranio. Veniva eseguita dai "medici" del villaggio e si basava probabilmente sulla credenza di un "male" da fare fuoriuscire dal corpo sofferente. Esistono tracce di questo tipo di intervento in varie parti del mondo e tra le più antiche ci sono quelle risalenti a circa 12.000 anni fa, nel Mesolitico, in base a resti rinvenuti in territorio sovietico. Sembra anche che la sopravvivenza da questo intervento arrivasse a quasi il 50% perché probabilmente l'inserimento delle rudimentali punte da trapano (di pietra e poi di metallo) era superficiale e non arrivava a ledere strutture cerebrali. Antiche civiltà come quella sumerica, prevedevano figure e regole ben precise per la pratica della chirurgia: gli schiavi avevano diritti minori dei nobili (pagavano di più e non potevano accedere a qualsiasi tipo di intervento) ed i bravi chirurghi diventavano presto ricchi, rispettati ed invidiati per una posizione che rasentava la divinità, erano gli unici capaci di "aprire" un corpo umano.

Bisturi chirurgici egiziani

I progressi della chirurgia furono lentissimi, nei primi anni del primo millennio strumenti e tecniche erano ancora primitivi ed il mestiere del chirurgo era letteralmente improvvisato.
Piccoli miglioramenti arrivarono solo alla fine del 1600, con l'uso del calore per "disinfettare" gli strumenti ma la mortalità (e le sofferenze) erano problemi irrisolvibili per i mezzi dei tempi.

I princìpi chirurgici sono fondamentalmente gli stessi da secoli (un organo è irrorato dagli stessi vasi sanguigni oggi come 2000 anni fa e per rimuoverlo bisogna agire sugli stessi tessuti, un fegato di oggi è identico al fegato del nostro bisnonno) ma l'affinamento delle tecniche, il progresso che ha permesso la costruzione di strumenti versatili, efficaci e precisi (e soprattutto la possibilità di intervenire su un individuo che non prova dolore) hanno cambiato la storia della chirurgia (un passo fondamentale del progresso chirurgico è rappresentato dalla "standardizzazione" delle tecniche).
Come reagiremmo se tornassimo indietro e subissimo il trattamento chirurgico raccontato a proposito di un intervento per cataratta (malattia dell'occhio)?
Tra dita che schiacciano le varie parti dell'occhio, pinze che, troppo grandi, non riescono ad afferrare bene e bisturi (chissà con quale affilatura) che affondano nella cornea, sembra di raccontare un film dell'orrore, soprattutto se si pensa al paziente: del tutto sveglio con il chirurgo che tiene aperto l'occhio con pollice ed indice della sua mano. Nonostante tutto l'intervento va bene ed il paziente riacquista una buona visione dall'occhio malato. Risultato incoraggiante, ma la chirurgia ha troppi limiti: la già ricordata impossibilità di ricorrere ad anestesia ed il rischio (altissimo) di infezione (non esistevano gli antibiotici), la rendevano una pratica che dal punto di vista medico era ai fatti quasi fantascienza. Tutti gli interventi chirurgici che tentavano di risolvere problemi addominali si chiudevano con un esito quasi totalmente univoco: la morte del paziente. Identica sorte per chi tentava interventi toracici o alle articolazioni, soprattutto le infezioni mietevano vittime nella quasi totalità dei casi.

Bisturi chirurgico del 1800 circa
A volte il caso ci metteva lo zampino.

Interventi che sembravano risolutivi (il giornale riporta il caso di un paziente che aveva avuto un ictus risolto dalla chiusura della carotide) quando si ripetevano e controllavano dimostravano tutti i loro limiti ed erano abbandonati, altri che assicuravano benessere per pochissimo tempo ma finivano lo stesso tragicamente. Era questa la chirurgia, poco più di un esperimento, il sogno proibito dei medici: toccare l'interno del corpo umano, manipolarlo, "sistemarlo", era una possibilità troppo lontana per il livello di progresso dell'epoca.
Il 18 novembre 1846 la svolta che avrebbe cambiato la medicina.

Henry Jacob Bigelow pubblicò un report sulla rivista, "Insensibility during Surgical Operations Produced by Inhalation" (insensibilità durante intervento chirurgico ottenuta con inalazione) e William Morton, un dentista di Boston, somministrò prima ad uno poi ad altri pazienti un gas "misterioso", il Letheon (del quale tenne segreta la formula per diverso tempo), per un intervento chirurgico effettuato da John Collins Warren su suoi pazienti senza che questi fossero coscienti. La redazione del giornale medico fu invasa da commenti e lettere, chi criticava (qualcuno disse "è un capriccio inutile!"), chi chiedeva spiegazioni su quella stregoneria, chi avanzava ipotesi sulla composizione del gas "misterioso", ma molti colleghi di Morton rivelarono dell'"odore di etere" che si diffondeva nelle sale operatorie durante le sedute del dentista e così gradualmente altri provarono a testare l'inalazione di questo gas per effettuare interventi chirurgici. Fu un cambiamento epocale.
L'articolo che descriveva gli effetti dell'etere sui pazienti dei chirurghi del Massachusetts Hospital
Si scoprì successivamente che altri medici avevano sperimentato la sostanza per l'uso anestetico ma non avevano pubblicato i loro risultati, per questo fu Morton ad entrare nella storia.
Uno degli interventi chirurgici più frequenti dell'epoca era l'amputazione degli arti: la guerra, l'assenza di antibiotici per contrastare le infezioni, gli effetti collaterali di malattie incurabili, rendevano spesso impossibile risparmiare l'arto di un ammalato. La sopportazione umana dei dolori terribili di un tale intervento è molto limitata, pochi secondi, le sale operatorie erano invase da urla strazianti ed erano chiuse per non condizionare gli altri pazienti delle sale accanto, l'intervento di amputazione di un arto inferiore durava anche 30-40 minuti, non è facile immaginare la tortura che doveva sopportare chi vi si sottoponeva. Gli stessi medici erano coscienti dell'orrore di quella procedura, ma era l'unico mezzo per salvare una vita. Uno dei più noti chirurghi dell'epoca provò per la prima volta ad eseguire l'intervento in anestesia: "questa cosa è meglio dell'ipnosi", esclamò. Tutti erano stupefatti per la calma ed il silenzio della sala operatoria ottenuta in quel modo, inusuale.
I vantaggi dell'anestesia furono da ambo le parti: i pazienti non soffrivano più ed i chirurghi potevano operare con calma, riflettendo e senza remore "emotive".
Si sperimentarono nuove sostanze, alcune diventarono validi analgesici e la chirurgia fece passi avanti enormi, anche se restava un altro grande ostacolo: le infezioni.
Il 50% della mortalità per interventi chirurgici maggiori era dovuto ad infezione e qualche tentativo di diffondere agenti "antimicrobici" come il fenolo, era visto con diffidenza e screditato (nessuno aveva ancora dimostrato l'esistenza dei "microbi" né l'infezione era considerata un evento causato da agenti "fisici" come i batteri, appunto), lo stesso Semmelweiss, medico che sostenne come la semplice pulizia delle mani potesse abbattere le morti delle puerpere con infezione fu considerato pazzo ed isolato anche per aver ipotizzato che fossero gli stessi medici e studenti a trasportare quei microbi visitando le donne dopo aver partecipato alle esercitazioni anatomiche sui cadaveri.
La pulizia delle mani e della cute del paziente da operare, per secoli furono considerate poco importanti.
Nonostante questo i successi della chirurgia ormai si susseguivano, malattie come l'appendicite, spesso mortale per le conseguenze sulle strutture addominali, erano diventate routine (la prima asportazione di appendice avvenne nel 1880), nel 1884 la prima asportazione di tumore cerebrale e negli anni seguenti furono sviluppate altre tecniche per rimuovere organi malati e parti ormai inservivibili a causa di malattie. Miglioravano le procedure, si formavano i primi grandi chirurghi, nascevano i primi "maestri", si svilupparono le tecniche per ricostruire organi, suturare i vasi sanguigni e limitare le emorragie. Nacquero concetti come la standardizzazione degli interventi (non si poteva operare "a caso" ma secondo procedure conosciute e controllate, metodo che sopravvive ancora oggi) e si produssero i primi guanti chirurgici.
Dopo i primi passi lentissimi ed estenuanti, la chirurgia cominciava a correre, i progressi tecnici erano sempre più veloci. Così si susseguivano tentativi inutili dopo successi incredibili, vere e proprie follie e colpi di genio.

Nel 1929 un giovane medico tedesco, Werner Forssman, voleva sperimentare il "cateterismo cardiaco", riuscire cioè ad arrivare fino all'interno del cuore con un piccolo tubicino, possibilità che avrebbe aperto le porte ad un'infinità di interventi utili.
Il suo professore gli impedì di utilizzare delle cavie, così egli provò su se stesso, "autocateterizzandosi", pubblicando lo studio con tanto di immagini ed arrivando a vincere per questo il premio Nobel per la medicina.
Bisturi chirurgico dal 1900 ad oggi
Siamo attorno al 1930, una nuova sostanza rivoluziona il modo di curare le persone.
I vari tentativi di limitare le infezioni hanno migliorato la riuscita degli interventi, ma solo l'avvento degli antibiotici consentì di definire "sicura" la chirurgia. Morire d'infezione iniziava a diventare un evento raro.
Il progresso correva sempre più veloce, nuovi strumenti e materiali, tecniche sempre più raffinate, scambi di conoscenze tra esperti, la chirurgia iniziava ad essere strumento di salvezza reale e rimedio per moltissime malattie considerate mortali. La possibilità di salvare una persona con infezione di una parte del suo corpo, da un'emorragia, da un trauma, considerata un miraggio solo un secolo prima, ora si era trasformata in realtà e con gli interventi a cuore aperto ed i trapianti, il chirurgo diventò sinonimo di salvezza, andando oltre l'immaginabile.
Oggi la chirurgia ha nel proprio arsenale più di 2500 procedure conosciute, tutte tecniche ben definite e praticate in tutti gli angoli del mondo. Nei soli Stati Uniti, ogni anno sono effettuati 50 milioni di interventi chirurgici, gli strumenti sono sempre più avanzati, l'avvento dell'informatica e della robotica migliorano le performances. L'intervento chirurgico più effettuato al mondo è il taglio cesareo, l'estrazione cioè del feto mediante un'incisione addominale invece che per le vie naturali.

Negli anni '80 si inizia con la chirurgia endoscopica e mininvasiva: al posto delle mani si usano piccoli strumenti che entrano nel corpo tramite piccoli fori e sono azionati dall'esterno, oggi si pratica anche nei piccoli ospedali, la laparoscopia (così si chiama questa tecnica) permette migliore ripresa post chirurgica, minor trauma fisico, minore dolore, minore presenza di cicatrici, minore degenza. Fu un ginecologo francese il primo a testarla per la rimozione di una gravidanza extrauterina ed il suo tentativo (riuscito) destò perplessità che sparirono con il tempo. Oggi la laparoscopia è praticata di routine per tantissimi tipi di intervento chirurgico ed è diffusa praticamente ovunque.

Strumenti per laparoscopia

Ma un robot inizia a sostituirla. Ancora non diffuso dovunque per i suoi costi ma già "operativo" (anche in Italia), la laparoscopia robotica permette realmente ad un chirurgo seduto in una sala operatoria americana di operare un paziente in India, l'uomo comanda a distanza le braccia del robot che controllano direttamente gli strumenti chirurgici utilizzati con una sensibilità ed una precisione mai vista prima con un possibile ulteriore sviluppo, la tridimensionalità.
Non è fantascienza, è solo l'ultima delle frontiere raggiunte.

Robot chirurgico DaVinci
Il racconto della chirurgia del passato, come quello relativo ad altre pratiche mediche, sembra un romanzo antichissimo, un elenco di fatti staccati da secoli di storia e questo è dovuto al fatto che siamo talmente abituati al progresso che certe cose ci appaiono molto distanti nel tempo quando invece accadevano non troppi anni fa. I miei colleghi più anziani ricorderanno (io ne ascolto spesso affascinato i racconti) dell'inesistenza dei disinfettanti chirurgici, del fatto che il chirurgo dopo aver pulito la mani con il sapone le cospargesse di alcol ed iniziasse ad operare, qualcuno ricorderà l'esistenza di guanti di lattice che erano lavati dopo l'uso e riutilizzati dopo essere stati cosparsi di talco, non è preistoria, siamo noi molto avanti rispetto ai nostri nonni.
Il futuro?
Probabilmente le nanotecnologie, dispositivi microscopici comandati dall'esterno o inghiottiti che permetteranno di svolgere il lavoro fino ad oggi svolto dalle mani.
In ogni caso, il viaggio dell'uomo dentro al corpo, in soli due secoli ha fatto passi da gigante con l'obiettivo di muoversi come una farfalla all'interno del corpo umano.

Alla prossima.

Articolo tratto ed adattato da: Two Hundred Years of Surgery Atul Gawande, M.D., M.P.H.
N Engl J Med 2012; 366:1716-1723May 3, 2012

martedì 23 novembre 2010

Cosa succede in sala operatoria

Quando vi rivolgete ad un medico che vi opererà o vi curerà dovete pretendere spiegazioni, chiarezza, semplicità. In cambio voi gli darete la vostra completa fiducia.
E' vostro diritto e suo dovere.

Una delle cose che personalmente faccio sempre è la spiegazione integrale di quello che succederà durante l'intervento chirurgico. Spiego la tecnica, i tempi, i rischi, gli scopi e se necessario mi aiuto con dei disegni.
Vi piacerebbe sapere cosa fa un chirurgo?
Ve lo spiego cercando di essere schematico e breve nello stesso tempo.
Affrontare un intervento chirurgico da parte del medico è un atto molto impegnativo. Richiede parecchie qualità e soprattutto un'ottima conoscenza delle tecniche chirurgiche.
Non si opera mai alla cieca. Un chirurgo che deve effettuare un intervento sa già cosa deve fare.
Ogni intervento chirurgico ha dei tempi stabiliti. Nel corso degli anni si sono sviluppate tecniche precise che si ripetono all'infinito fino alla nuova (eventuale) tecnica che rivoluziona quelle precedenti. Si sa cosa "tagliare", quando e come, si conoscono la successione degli eventi, i gesti ed i movimenti.
Per questo motivo un intervento non è mai "improvvisato" ma segue i passi stabiliti da chi l'intervento l'ha inventato, modificato, perfezionato negli anni. Ogni chirurgo può avere una sua manualità ma i tempi dell'intervento sono sempre gli stessi. Esiste così la "colectomia secondo Miles" o l"'isterectomia secondo Wertheim", interventi eseguiti con le tecniche inventate dal primo chirurgo che le eseguì o le descrisse.
Ai giorni nostri è molto rara la modifica radicale di una tecnica chirurgica (l'anatomia umana non cambia con il progresso...) è possibile invece una modifica o un'invenzione che riguarda l'aspetto tecnico dello stesso (strumentazione, materiali, sicurezza...).

E' fondamentale anche la forma fisica e mentale poichè ogni intervento, anche quello più "semplice" richiede uno sforzo fisico e mentale non indifferente. Sono convinto che un bravo chirurgo è quello che mantiene un po' di "stress" all'inizio di ogni intervento, anche dopo decenni di esperienza.
Lo stress ti induce a stare particolarmente sveglio, a non abbassare la guardia a non sottostimare l'evento. L'eccessiva tranquillità rischia di rilassare troppo il cervello. Ma sono opinioni, c'è chi la pensa all'opposto di come la vedo io sostenendo che un buon chirurgo dopo anni di attività ha "sorpassato" la fase di stress.

Non scrivo un articolo che spiega come diventare chirurghi nè un trattato di chirurgia, sono solo brevi e generali cenni giusto per far capire cos'è un intervento chirurgico e come si svolge durante tutto il tempo in cui il paziente è in anestesia. Spero di non essere complicato o noioso e che questo articolo sia visto come opportunità di informazione generica su un evento che coinvolge molti di noi. La descrizione degli eventi è per forza di cose abbastanza superficiale poichè approfondire ogni singolo aspetto risulterebbe praticamente incomprensibile ai non addetti ai lavori. Ogni intervento chirurgico poi, ha le sue peculiarità ed anche per questo ho preferito mantenermi sul generico.

Ingresso nel blocco operatorio

Il chirurgo vestito "in borghese" o con il camice di reparto, entra nella stanza filtro. Dovrà spogliarsi dei suoi abiti, liberarsi degli oggetti (orologi, collane, anelli...) ed indossare i càmici puliti della sala operatoria. Indosserà pure mascherina e cappellino chirurgico.
Entrato al blocco si identifica la persona da operare, si legge la cartella, si ripassa il caso e si risolvono eventuali piccoli dubbi (per esempio con l'anestesista).

Disinfezione del chirurgo

In gergo si dice "lavarsi". Il chirurgo, ricevuto l'ok dall'equipe di sala operatoria e dall'anestesista, procede al lavaggio delle mani.
Tramite una soluzione disinfettante laverà la mani e l'avambraccio fino al gomito per parecchi minuti ed utilizzando pure una spazzolina per lo spazio sotto le unghie, naturalmente non dovrà toccare nulla con le mani ed il sistema di lavaggio (rubinetto e lavandino) sono fatti apposta per questo: il flusso d'acqua ad esempio, inizia appena il chirurgo si avvicina al lavandino (con una cellula fotoelettrica che fa iniziare il flusso d'acqua).

Entrata in sala operatoria

Il chirurgo è "lavato". Si può procedere alla vestizione con gli indumenti sterili. L'addetto alla sala operatoria passa al chirurgo il camice sterile (ormai quasi dovunque è "usa e getta") e successivamente i guanti. Anche in questa fase, naturalmente, il chirurgo non deve toccare nulla e non deve essere toccato nella sua parte anteriore del corpo. Un addetto alla sala operatoria penserà ad allacciare posteriormente il camice di chi opera.
In questi minuti l'anestesista provvede ad "intubare" (in caso di anestesia generale con intubazione) cioè a collegare il paziente da operare ad un macchinario che ne sosterrà le funzioni vitali durante l'intervento.

Si prepara il "campo operatorio": questa fase consiste nel disinfettare la parte da operare e sistemare successivamente dei teli sterili che lasciano scoperta solo quella. Il resto del corpo del paziente è coperto da questi teli e la parte finale del telo si "solleva" davanti al viso del paziente per impedirgli di vedere cosa accade davanti a lui (non è piacevole vedere gente all'opera dentro il tuo corpo...) ma anche per far concentrare il chirurgo sulla parte da operare.
Ultimi preparativi: si sistema bene la luce della lampada scialitica (quella lampada che illuminerà la parte da operare), si avvicina il tavolino degli strumenti chirurgici (si chiama "servitore") e si fissano cavi, tubi di aspirazione, placche e tutto il resto.

A quel punto con il benestare dell'anestesista e se tutto il personale di sala operatoria è pronto si inizia con l'intervento.

Inizia l'intervento

L'equipe è pronta. In genere è composta dal primo chirurgo (colui che materialmente esegue l'intervento), l'aiuto (chi lo aiuta nelle fasi dell'operazione), uno strumentista (che prepara gli strumenti necessari e li porge al chirurgo che li richiede quando servono), l'anestesista e l'equipe di sala che effettuano tutte le manovre necessarie al buon svolgimento dell'intervento (ci sono sempre tante cose da fare, di continuo).
Si incide la cute del paziente con il bisturi.


Per ovvi motivi non mostrerò video di interventi chirurgici e quindi dovrete un po' immaginare le cose che descrivo. Per i più "coraggiosi" su You Tube esistono centinaia di video (anche molto impressionanti...) su varie tecniche chirurgiche.
Non voglio tenere naturalmente un corso di chirurgia sto solo cercando di spiegare alcune cose che chi sta sempre dalla parte del paziente raramente conoscerà in altro modo. Un argomento che raramente si ha modo di approfondire o di capire nella maniera corretta.
Il bisturi è qualcosa del genere:
Un manico (di plastica, quando lo strumento è usa e getta altrimenti d'acciaio) con all'estremità la lama chirurgica.
La lama del bisturi è, come si sa, affilatissima. Per incidere la cute è necessaria una certa pressione (potrei paragonarla alla metà della forza che si usa per tagliare con il coltello una fetta di carne) che però dipende anche dalla zona da incidere e dalla costituzione della persona da operare.

Prendiamo come esempio un intervento addominale come potrebbe essere un'appendicectomia (rimozione dell'appendice), un'isterectomia (rimozione dell'utero) o un intervento alla vescica. L'intervento effettuato incidendo l'addome si chiama laparotomico (=che incide l'addome) ma esistono altre tecniche, come quella laparoscopica (=che guarda dentro l'addome) che se interessa spiegherò in un prossimo articolo.

Incisa la cute si attraversano vari strati dell'addome: prima il sottocutaneo, lo strado adiposo (più o meno spesso), la fascia muscolare (una sorta di membrana bianco-rosa madreperlacea che ricopre i muscoli addominali), poi i muscoli (gli addominali), il peritoneo (che è una membrana sottile e lucida che ricopre l'addome).


Per oltrepassare ognuno di questi strati ci si può servire secondo la situazione, la tecnica o le abitudini del chirurgo del bisturi, della forbice o persino delle dita dell'operatore.
Nel frattempo se qualche vaso sanguigno dovesse sanguinare, si procederà all'emostasi, cioè alla chiusura del vaso sanguinante, con un punto o con l'elettrobisturi che "cauterizza", coagula, il vaso sanguigno che perde sangue. Se il vaso non è particolamente grande (e quindi la perdita di sangue è molto limitata), quest'operazione potrà essere eseguita in un secondo momento.

Penetrato il peritoneo si è nella cavità addominale e si può procedere all'intervento chirurgico previsto.
Per rimuovere un organo esistono delle tecniche ben precise con passaggi obbligati, tempi precisi e movimenti ripetuti a memoria.
Ho già scritto che non si opera "a caso" ma secondo tecniche ben consolidate. Bisogna conoscere bene l'anatomia umana, soprattutto i legamenti e la presenza ed il decorso dei vasi sanguigni. Ogni incisione o asportazione è calcolata e si muove entro precisi limiti e punti.

Durante un intervento possono succedere vari imprevisti ma la maggiorparte di questi fanno parte dei "rischi conosciuti" ed il chirurgo quindi sa che possono accadere, sa anche "quando" possono accadere e sa porvi rimedio.
Altre (rare) volte possono avvenire imprevisti assolutamente eccezionali o gravi.
Vi possono per esempio essere delle malformazioni dei vasi sanguigni che colgono impreparato chi opera oppure una lesione preesistente che quindi il chirurgo non si aspettava. Tutto questo può causare un "intoppo", un incidente di percorso che nella "perfezione" chirurgica fa entrare in crisi l'intero sistema.
E' come se ognuno di noi percorresse per dieci anni la stessa via, sempre dritta e senza ostacoli, per andare al lavoro e dopo anni, per una volta, in mezzo alla strada apparisse un masso ad interrompere la nostra corsa. Il rischio di sbandare sarebbe davvero alto.
Ma se si mantiene la concentrazione, si resta freddi e si fa ciò che si deve (e non si è particolarmente sfortunati), in genere l'ostacolo è superato senza troppi danni.
Per questo il lavoro del chirurgo è eccezionale. Non è mai di "routine", nemmeno in un intervento...routinario. Non esiste l'intervento senza rischi, non esiste il chirurgo che non ha mai sbagliato. L'intervento chirurgico è un atto umano, di alto livello ma pur sempre con l'incognita dietro l'angolo. E' vero che esistono anche qualità personali che rendono un chirurgo un "ottimo" operatore. Ho conosciuto grandi medici che nel campo chirurgico avevano molti limiti ed al contrario chirurghi geniali che si perdevano nella prescrizione di un farmaco. Come in tutte le attività umane non esiste chi è bravo in tutto.

Quando bisogna asportare un organo quindi bisogna conoscere tutti i vasi sanguigni che lo irrorano, i legamenti che lo tengono fisso nella sua posizione e le strutture che lo circondano, come detto l'anatomia per un chirurgo è la bibbia quotidiana: sai cosa devi fare se conosci perfettamente quello che troverai.
Lo scopo è quello di interrompere tutto ciò che arriva all'organo (vasi sanguigni, legamenti, tessuti...), sezionandolo e legandolo con fili di sutura ed infine asportare la parte che ci interessa.

Per "chiudere" ( si dice anche "clampare", dall'inglese "to clamp", chiudere, pinzare, serrare) qualcosa che arriva all'organo da asportare (ammettiamo un vaso sanguigno) serve una pinza, a esempio questa:
Si chiama "Pean" e serve proprio a "chiudere" un vaso sanguigno (per questo è detta anche "pinza emostatica"). Si usano due pinze: una vicino l'organo da asportare ed una poco più lontano (distanziate di pochi millimetri). Abbiamo così un piccolo tratto di tessuto delimitato da due pinze chirurgiche (sto sempre semplificando, naturalmente...). Chiuso il vaso possiamo sezionare. Si taglia con la forbice la piccola parte compresa tra le due pinze e così abbiamo fatto la prima sezione chirurgica.


Si mette un punto dietro la pinza più lontana dall'organo da asportare (quindi si "chiude" il tessunto e gli eventuali vasi sanguigni che contiene) e per questo si usa ago e filo. L'ago chirurgico assomiglia ad un amo da pesca. E' un semicerchio di acciaio più o meno curvo e più o meno grande, le sue dimensioni dipendono dal tipo di tessuto e dalla zona da suturare.
Oggi gli aghi sono già dotati di filo (un tempo gli aghi erano senza filo e questo veniva "montato" sull'ago al momento di utilizzarlo).
Fino a pochi anni fa uno dei materiali più usati per costruire fili chirurgici derivava dalle interiora di animali e veniva chiamato "cat gut". Questo materiale è stato bandito dopo la comparsa di casi di "mucca pazza" proprio perchè di derivazione animale, il suo posto è stato preso da fili in materiale sintetico resistentissimi.


La dimensione dell'ago ed il tipo di filo può variare secondo l'uso previsto (suturare la cute, chiudere un vaso sanguigno, eccetera...).
L'ago si afferra con una pinza specifica che si chiama "porta aghi", questa (di lunghezza variabile, come quasi tutti i ferri chirurgici):



Con l'ago quindi si trapassa il tessuto da chiudere (e con l'ago il filo) e si può procedere al nodo chirurgico.
Il "nodo chirurgico" è un normale nodo (più o meno come il primo nodo per allacciare le scarpe ma ripetuto più volte, cinque, sette volte almeno). In questo modo abbiamo sezionato e chiuso un vaso sanguigno o un tessuto, lo abbiamo "isolato" dal resto del corpo e così possiamo procedere con gli altri tessuti per asportare l'organo malato. Il nodo chirurgico se eseguito correttamente è praticamente eterno, non si può più sciogliere.

Questi "passi" si ripetono per ogni tessuto da tagliare, da chiudere e da asportare.
Asportato l'organo o risolto il problema si controlla l'emostasi ovvero che non vi siano perdite di sangue o tessuti danneggiati.
Nel frattempo l'anestesista continua a monitorare tutti i parametri del paziente attraverso i sensori ed il monitor e riportandoli nella cartella anestesiologica.
In genere in sala operatoria vi è un silenzio particolare (scandito dai segnali degli strumenti di monitoraggio) che serve a tutti per concentrarsi ed al paziente per non avvertire anche inconsciamente una situazione di disagio.

Conclusione dell'intervento

Si può procedere al lavaggio della cavità addominale con soluzioni di acqua tiepida, si ricontrolla di nuovo che tutto sia a posto (un controllo in più non è mai eccessivo) e se vi siano sanguinamenti. In genere la fase finale dell'intervento è molto più "rilassata" della precedente, spesso anche i chirurghi si lasciano andare rispetto a prima, siamo nel momento meno delicato e lo stress inizia a diminuire, ci si scambia qualche parola, si discute più di prima.
Gli strumentisti procedono alla "conta dello strumentario" ovvero se tutte le garze preparate all'inizio, gli strumenti chirurgici e gli aghi utilizzati nel corso dell'intervento corrispondono in numero a quelle presenti alla fine (e quindi tutte le garze, gli strumenti e gli aghi sono "fuori", non rischiano di essere "dimenticati" dentro il paziente).

Vi stupirò scrivendo che la possibilità di "dimenticare" una garza nell'addome del paziente non è per nulla qualcosa di impossibile. Una garza impregnata di sangue diventa praticamente indistinguibile alla vista dal resto dei tessuti e dal sangue presente durante un intervento. Strano ma vero.
Per questo motivo la conta finale delle garze è un momento importante e fondamentale. Esistono due conteggi di "sicurezza" uno prima dell'intervento (per assicurarsi che il numero di garze sia corrispondente a quello "dichiarato" dalla confezione che le contiene) ed uno alla fine. Allo stesso modo si contano strumenti ed aghi chirugici. Negli ultimi anni si è puntato moltissimo sulla sicurezza in sala operatoria ed oggi siamo ad un livello altissimo dove anche un errore ha la possibilità di essere corretto in tempo più che sufficiente tramite controlli incrociati, livelli di allarme e schede di controllo (le check list di sala operatoria stanno diventando quasi paranoiche...ma è giusto così).

Quando un conteggio non corrisponde (per esempio risulta una garza in meno rispetto a quelle iniziali) la sala operatoria viene praticamente rivoltata per controllare se la garza è caduta, è finita in un anfratto o in mezzo ai teli chirurgici, questo perchè la conta deve essere sempre perfettamente corrispondente.

Se è tutto a posto si può procedere alla sutura di tutti gli strati dell'addome incisi fino alla sutura della cute.
Si disinfetta e l'intervento è concluso.
L'operatore si "spoglia" dell'abbigliamento sterile e riporta su un registro (obbligatorio) tutti i tempi, la descrizione e le annotazioni riguardanti l'intervento, firmando lo stesso con il suo nome.

Il paziente va in sala risveglio per riprendersi dall'anestesia.

Come state?
E' tutto finito, tutto bene, ora si torna in reparto dai parenti, problema risolto.
Al prossimo intervento...
:)

domenica 18 luglio 2010

Hand of Hope

Attenzione alcune immagini contenute nell'articolo possono impressionare

Non so quanti conoscano questa storia.
Per chi non la conosce sarà un incredibile contatto con la vita, un'emozionante sensazione di speranza.
Già, la storia che racconto oggi è stata già chiamata "The hand of hope", la mano della speranza.

Perchè alla fine questa è la storia di una mano.

Una mano che ne afferra un'altra, anzi a dire il vero ne afferra solo un dito ma la stringe forte. Quante mani si stringono ogni giorno, ma questa ha qualcosa di diverso.
Ha tutta una storia dietro senza la quale quella mano non avrebbe stretto quel dito.

Ha decenni di studi, scienza, prove, sconfitte, vittorie, nuovi tentativi e poi sofferenza, paura, dolore e disperazione...fino alla speranza e la vita. Ecco perchè si chiama "la mano della speranza".

Ed in questa storia si incontrano tre persone, Michael Clancy, fotografo di Nashville, Samuel Alexander Armas un bambino oggi di 11 anni ed un chirurgo, Joseph Bruner. E di una foto. perchè anche la foto di quello che successe quel giorno è entrata nella leggenda.
La mamma di Samuel, in gravidanza, si sottopone ai consueti controlli, quando un'ecografia diagnostica una grave malformazione: la spina bifida.
Questa malattia è una malformazione della colonna vertebrale che consiste nella mancata chiusura di alcune vertebre. Nella vita fetale infatti, la colonna vertebrale è come un doppio binario che durante la gestazione si riunisce formandone uno solo, quello che conterrà il midollo spinale.
Una mancata chiusura della colonna causa seri problemi al midollo (quanto più è precoce l'insorgere del problema tanto più gravi saranno le conseguenze, fino all'incompatibilità con la vita). Le forme molto lievi possono dare pochi problemi, quelle gravi necessitano di intervento chirurgico correttivo che risolvono parte delle problematiche. Se il difetto insorge molto precocemente il danno sarà talmente importante da poter essere incompatibile con la vita.
C'è poco da fare in questi casi: si tende quasi sempre ad effettuare (quando necessario e possibile) un intervento chirurgico subito dopo la nascita o nei casi più drammatici c'è chi ricorre all'interruzione volontaria di gravidanza e chi porta la gestazione fino alla fine con le conseguenze del caso.

La mamma di Samuel è un'ostetrica. Chissà quanti casi simili ha visto nella sua vita,e come si dice, doveva capitare proprio a lei...
Ma non si da per vinta. C'è una remota possibilità.
A partire dalla fine degli anni 90, un chirurgo americano ha sperimentato un intervento rivoluzionario: operare il feto quando si trova ancora nell'utero materno.
L'intervento è davvero molto difficile, pesante anche per chi opera perchè richiede mano fermissima, sangue freddo, perfezione e precisione massima, tanta fortuna ed un po' di incoscienza, arma vincente di tutti i grandi chirurghi. Basta pochissimo per un fallimento totale e tragico.

Joseph Bruner, il chirurgo di Nashville, quelle qualità le aveva ed i suoi interventi avevano avuto un ottimo tasso di successo.
Operando il feto molto precocemente si risolveva il problema ed il bambino sarebbe nato con pochi problemi rispetto a quelli che avrebbe potuto avere. Uno di quei miracoli che solo i mezzi moderni possono compiere.

La mamma di Samuel si rivolge a Bruner che parla chiaro: l'intervento è molto rischioso per il feto, ce la metteremo tutta ma non c'è da aspettarsi un successo garantito: è una sfida.
Così il 19 agosto 1999 a Nashville l'equipe del Vanderbilt University Medical Center è pronta, come sempre.

Questa volta una novità: in sala operatoria era presente Michael Clancy, fotografo di USA Today, inviato proprio in quell'ospedale per fissare qualche momento di quel rivoluzionario intervento chirurgico che faceva discutere mezza America. L'occasione era preziosa. Per la prima volta l'intervento veniva tentato alla ventunesima settimana di gravidanza. Era il limite minimo.
In caso di fallimento vi erano pochissime speranze per Samuel, sarebbe avvenuto un parto prematuro e le possibilità di vita in quell'epoca di gravidanza erano praticamente nulle.

Michael era emozionato, mai stato in una sala operatoria si trovava vestito come un chirurgo in mezzo a luci sconosciute, ai "bip" dei macchinari ed alla "cerimonia" che ogni giorno si ripete, perfettamente uguale, in tutte le sale operatorie del mondo.

L'intervento avvenne come sempre.
L'utero viene inciso per un tratto brevissimo assieme alle membrane amniotiche. Con manipolazioni esterne e muovendo delicatamente il feto si cerca di posizionarlo in maniera da poter effettuare la correzione chirurgica della spina bifida.
In un'ora e mezza l'intervento era concluso ed il chirurgo (come tutti i chirurghi alla fine di un intervento) sembrò più sollevato. Si poteva richiudere l'utero e concludere la procedura.

A quel punto il Dott. Bruner si voltò verso Clancy: "che pellicola stai usando?" domandò, preoccupato che nella penombra della sala operatoria non si riuscissero a vedere bene i particolari dell'intervento.
Mentre il fotografo stava per rirpondere le pareti dell'utero ebbero come un sussulto, una vibrazione interna disse Clancy.
Dalla breccia ancora aperta dell'utero emerse qualcosa di rossastro.
Subito il fotografo pensò fosse sangue e strinse la sua macchina fotografica.
Poi vide come quattro appendici sottilissime.
Era una mano.

Il chirurgo la sollevò dalla breccia uterina con un dito e la mano strinse forte.
Era Samuel.
La mano di Samuel, come per ringraziare quel medico che gli stava ridando la vita, strinse il suo dito. O forse era solo un saluto per poi rivedersi qualche mese dopo, al momento del parto. In ogni caso quella era la mano della speranza.
Clancy non credeva ai suoi occhi ed istintivamente scattò qualche foto:




L'infermiera vide Clancy particolarmente agitato: "cosa succede?" chiese, "la mano, è uscita la mano dall'utero" "succede sempre così" rispose l'infermiera continuando il suo lavoro.

La gravidanza proseguì normalmente, Samuel è nato a termine di gravidanza in buone condizioni. Ha qualche problema di movimento ma fondamentalmente sta bene e soprattutto è vivo e vegeto. Ed a quanto pare felice di stare con i suoi genitori:


Qui un slideshow degli scatti di Clancy, creato dallo stesso autore.
Ho passato parte del mio periodo di specializzazione in Francia. Nel reparto dove lavoravo si erano sperimentati alcuni casi simili. Nel 2000 ho operato tre casi tutti e tre con ottimi risultati. Io mi occupai della parte ginecologica, l'equipe era formata da 5 medici, oltre a due ginecologi anche un neurochirurgo e due chirurghi generali, vi erano inoltre due anestesisti, due neonatologi, l'equipe infermieristica e di sala operatoria. Ogni intervento impegnava poco meno di due ore ma la spesa in energia e stress era enorme (ricordo che alla fine dell'ultimo intervento in tre abbiamo terminato un boccione da 5 litri di acqua). Le attrezzature inoltre erano di avanguardia e costosissime. Successivamente la procedura fu progressivamente abbandonata per l'altissimo rischio intraoperatorio che non ne permetteva l'uso routinario.

Che io sappia in Italia (ma potrei sbagliarmi) ancora nessuno ha tentato un intervento del genere (anche perchè non è possibile farlo dovunque...). [Aggiornamento: invece è successo, a Trieste.]

In seguito alla serie di foto scattate in sala operatoria ci furono molte polemiche. Le immagini erano talmente incredibili che ci fu chi mise in dubbio la veridicità della vicenda. Nacquero polemiche anche tra il chirurgo ed il fotografo. Il primo infatti sostiene che il feto non estrasse volontariamente la mano, ma fu lui a tirarla fuori a scopo dimostrativo mentre Clancy dice di ricordare chiaramente i movimenti del piccolo arto.
La storia fu anche strumentalizzata dai movimenti antiabortisti americani e c'è chi accusò il Dott. Bruner di scorrettezza perchè sostiene che quelle foto siano "posate", preparate, giusto per fare scalpore, si racconta anche di un team di medici che definì le foto "false". Non posso sapere se la foto fosse "preparata" o cercata, ma al 100% è vera dal punto di vista medico.
Visto che c'è "di mezzo" una vita salvata, delle polemiche non mi interesso, ho solo raccontato una storia e se un po' di speranza è nata in ognuno di voi, beh, lo scopo era proprio questo.

Alla prossima.

giovedì 6 maggio 2010

Live surgery, in tutti i sensi…

Roger Frisch di Plymouth è in sala operatoria e si sta sottoponendo ad intervento chirurgico. Soffre dal 2009 di un problema neurologico che gli causa tremori incontrollabili a varie parti del corpo ed alle mani in particolare. Si chiamano "tremori essenziali": una porzione del cervello invia segnali errati e discontinui che causano questo tremore incontrollabile.

Il tremore delle mani è per lui il problema peggiore. Roger infatti è un violinista e suona da 30 anni (è maestro di violino e suona nella Minnesota Orchestra) e quell'impedimento è per lui non solo un grosso problema psicologico ma anche sociale, gli impedisce di suonare. Oltretutto i tremori aumentano proprio quando inizia a suonare lo strumento.
"Mi sono reso conto di non poter più suonare note lunghe, tenere una nota per lungo tempo era diventato impossibile, questo voleva dire la fine della mia carriera".

Le terapie mediche nel suo caso non funzionano ed il dott. Kendal Lee del Mayo Clinic Neural Engineering Laboratory decide allora per l'impianto cerebrale di uno strumento che permette, tramite un elettrodo, di "regolare" gli impulsi scoordinati che causano i tremori di Roger.
L'intervento non è nuovo ma nel caso del violinista non è sufficiente ridurre i tremori in generale ma diminuire il più possibile quelli della mano, consentendo all'uomo di poter suonare lo strumento. Il problema è che gli impulsi da inviare devono essere precisissimi, né troppo lievi da non risolvere il problema né eccessivi da non permettere un ragionevole uso delle mani ed un altro ostacolo importante è che bisogna individuare il punto esatto dal quale partono gli impulsi incontrollati da regolare con gli elettrodi. La cosa migliore sarebbe dunque "regolare" tutto dal vivo, mentre il paziente suona il suo strumento.
Vengono impiantati due elettrodi. Quando la terapia medica (i farmaci) non funziona questa è l'ultima possibilità ma è anche quella che funziona di più e con più evidenza (anche perché ha effetto immediato).
Si decide quindi per questa regolazione "speciale", farla mentre Roger suona il violino.
Ma come fa il paziente a "sopportare" il dolore dell'intervento senza anestesia?
Roger non sente dolore (l'inizio dell'intervento viene effettuato in anestesia locale) perché il cervello non ha recettori per il dolore.
"Quando mi sono sdraiato sul letto operatorio, mi hanno messo il violino sotto al mento e quando è stato inserito il secondo elettrodo ho iniziato a suonare".
Il video che lancia questa notizia è stato pubblicato da Repubblica, per chi volesse vederlo è qui, ma non si tratta di una procedura nuova o mai effettuata. Sembra strano ma l'unico modo per rendere l'operazione efficace è proprio questo, effettuare l'intervento a paziente sveglio inducendolo a compiere un'azione per lui (fino a quel momento) impossibile.
Nel 2008 Eddy Adcock, suonatore di banjo molto noto negli Stati Uniti, fece la stessa cosa. Il video lo potete vedere di seguito:



Alla prossima.

martedì 18 agosto 2009

La cura del cancro oggi: un medico al lavoro

Abbiamo visto come si curava il cancro nella metà del 1800. Di passi avanti ne sono stati fatti. L'invenzione dell'anestesia, degli antibiotici, la chirurgia più sicura, gli esami diagnostici accuratissimi (oggi siamo a livelli inimaginabili fino a 20 anni addietro...), permettono alla medicina di curare una malattia inguaribile come il cancro.

Le neoplasie maligne, lasciate al loro decorso naturale, provocano la morte della persona afflitta, anche in poche settimana. Tutte le neoplasie maligne iniziano con un tasso di pericolosià bassissimo, è il tempo, che le lascia progredire ed espandere, che ne causa l'evoluzione letale.
Per questo quasi sempre, la guarigione dipende dall'organo colpito dal tumore e dalla diagnosi: più è precoce, più ha possibilità di salvare un individuo.

L'argomento cancro è da sempre quasi un tabù, se ne parla ma a bassa voce, io credo che informare e spiegare cosa succede realmente quando si incontra per la propria strada (da medico o paziente) questa malattia, faccia solo bene, a tutti.

Una cosa che ho notato ad esempio è che la maggioranza dei "sostenitori dell'alternativo" coloro cioè che credono alle cure alternative come cure efficaci coperte da potenti e multinazionali, sono in realtà poco informati. Sono pochissimi quelli in malafede, che pur di andare "contro", negano anche l'evidenza e questi sono in genere quelli che hanno interessi personali a mantenersi nelle loro posizioni (guaritori, venditori di rimedi alternativi, proprietari di siti web o case editrici ispirate all'alternativo).

La maggioranza invece semplicemente sconosce le cose e quando viene messa davanti ad una affermazione (anche se falsa e poco credibile), pensa sia l'unica possibile. Non hanno adeguate conoscenze, tutto qui, seguono luoghi comuni quasi sempre falsi e sono convinti di cose che nella realtà non esistono. Sono in pratica presi in giro da chi loro considerano come "guru", come principale fonte di sapere.
L'esempio tipico è quello dei "trucchetti scientifici" di Tullio Simoncini: affermare che gli studi dicono una cosa (a suo favore) quando invece basta leggerli per accorgersi che affermano proprio l'opposto (a suo sfavore quindi). Ma il lettore sprovveduto, in mancanza di informazione corretta, rischia di cadere in quel tranello.

Oltretutto il tipico comportamento del guaritore per convincere di avere "capito qualcosa" di medicina, è quello di condire le sue affermazioni con termini pseudoscientifici, paroloni, frasi complicate e senza senso, ad effetto...tutto per condire con...aria fritta le sue deliranti affermazioni.
La medicina fa i fatti condendoli di poche parole, il guaritore è bravo con le parole (non riuscendo poi, nei fatti, a guarire nessuno) e di fatti non ne mostra mai.

Mi è sembrato interessante e meno dispersivo raccontare una normale procedura nella diagnosi e la cura di una neoplasia. Quasi seguendo una giornata del lavoro di un medico.
E' anche un modo di rendere più comprensibili certi ragionamenti e certe decisioni. Utilizzerò un linguaggio più semplice possibile accompagnandolo da immagini che spiegano meglio tutto.
Il tumore è letteralmente l'aumento di dimensioni di una parte di organo o struttura (tumore=gonfiore). Rimuovere il tumore è il primo obiettivo per cercare di curarlo. Questo perchè esso si diffonde (nel caso dei tumori maligni) per contiguità (cioè per vicinanza, alle strutture ad esso adiacenti), per continuità ( cioè avanza, cresce di dimensioni, penetra nei tessuti) ed a distanza (con le metastasi).

L'obiettivo del chirurgo è rimuovere tutto o tutto ciò che è possibile, del tumore che intende curare.
Non sempre questo obiettivo è semplice da raggiungere, per vari motivi. Coinvolgimento di organi vitali, dimensioni troppo elevate, posizione complicata...ed altro. Inoltre, il chirurgo, per limiti umani, può rimuovere ciò che vede ad occhio nudo o ciò che "vedono" gli esami diagnostici che ha a disposizione.
Altro limite: se la neoplasia ha invaso strutture adiacenti o ha raggiunto dimensioni serie, può servire effettuare dei cicli di chemioterapia, servono sostanzialmente a diminuire di dimensioni e di "aggressività" il tumore, permettendo una più semplice e completa asportazione.

Prendiamo ad esempio un tumore che rende più semplice la spiegazione, quello del collo dell'utero.
Ho scelto questo esempio perchè tra i meno complicati e cruenti, tra i più semplici da illustrare e comprendere e...perchè mi occupo proprio di queste cose.
Il collo dell'utero è la parte finale dell'utero (immaginate una pera all'interno dell'addome, la grandezza è più o meno quella del frutto, con il "sedere" verso l'ombelico e la punta, rivolta verso l'esterno, la vagina):



Questo è un utero visto lateralmente, come se guardassimo una sezione all'altezza della coscia, mettendoci di lato, sul fianco della donna, se invece guardassimo davanti, rivolti all'addome, potremo vedere qualcosa del genere, ricordate sempre che la "pera" ha la punta verso il basso:


La parte finale, la "punta della pera" ( cervix, la cervìce, in italiano) è il collo dell'utero.
Se con uno strumento creato apposta, lo speculum, guardiamo dentro la vagina, vedremo proprio il collo dell'utero sul davanti, come se guardassimo la "pera" mettendola parallela al pavimento, coricata, all'altezza dei nostri occhi e guardassimo la punta di questo frutto, nel caso del collo uterino, vedremo qualcosa del genere...:

Quel foro centrale è l'OUE (Orifizio Uterino Esterno), che permette alle mestruazioni di fuoriuscire e durante il travaglio di parto si "apre", si dilata, fino a permettere il passaggio del nascituro. Se toccassimo senza guardare, il collo dell'utero, la consistenza è praticamente identica a quella della punta del nostro naso. Le dimensioni sono varie, ma in media, quella "pallina", misura circa 4-5 cm. di diametro.

Il cancro del collo uterino (o meglio, il cancro della cervice uterina) colpisce frequentemente proprio la zona attorno all'OUE. Altre volte, anche zone adiacenti.
Il Pap-test, consiste nel prelievo (tramite una spatola di legno) di cellule da quella zona, queste cellule, vengono prelevate passando la spatola attorno a quell'orifizio e poi "strisciate" (il nome popolare del Pap-test è proprio "striscio cervicale") su un vetrino, che dopo fissazione viene osservato e studiato da un citologo.

Dopo l'analisi, il risultato del Pap-test potrà dire se in quella zona vi sono cellule normali, precancerose o francamente maligne.
Certe volte, lo stesso aspetto ad occhio nudo della cervice uterina, lascia poco spazio a dubbi: se invece di osservare quell'aspetto liscio e regolare, si osserva qualcosa di non normale, il sospetto di tumore maligno sorge già prima del prelievo per il Pap-test.
Per capirci, delle immagini di tumori già evidenti all'esame visivo. Ricordate l'immagine del collo dell'utero di prima? Ecco cosa succede in caso di cancro evidente:





Credo siano evidenti le differenze e l'anormalità del collo uterino.

Le immagini sono ottenute con il colposcopio, uno strumento (una sorta di binocolo con luce e diversi ingrandimenti disponibili) che permette una visione ingrandita e ravvicinata del collo dell'utero, difficilmente è possibile vedere ad occhio nudo tutto quello che ci interessa.
Ricordo che comunque la diagnosi di neoplasia maligna non è MAI visiva o clinica (in questo senso possiamo parlare solo di sospetto, anche serio ma sempre ipotizzato), ma SEMPRE istologica.
Non esiste un tumore maligno senza diagnosi istologica. Anche in questi casi quindi, si effettua una biopsia di conferma.
Qui si spiega anche perchè senza esame istologico, un tumore diagnosticato a "vista" o riferito, come succede nelle guarigioni miracolose che ho trattato in questo blog, non hanno nessun valore scientifico. Capita (non spesso, ma capita eccome) benissimo di scambiare ad un primo esame una lesione benigna per una maligna.
Diagnosi fatta quindi, ora molto dipende dall'estensione della malattia. E' stato colpito un organo molto vascolarizzato e questo non è un vantaggio. Inoltre, fino a che punto si è infiltrata la neoplasia?

Esiste un solo modo per saperlo, asportare la lesione ed accertarsi se abbia invaso i tessuti vicini o addirittura i linfonodi. Questa è la stadiazione. Più è alta l'infiltrazione e l'invasione dei tessuti e degli organi vicini e più è grave, naturalmente, la prognosi.

I gradi del tumore del collo dell'utero sono diversi.
Esiste una prima divisione che comprende le DISPLASIE che sono stadi precancerosi che precedono il cancro vero e proprio. Le displasie sono dette CIN (Cervical Intraepithelial Neoplasia). Le CIN sono tre: I, II e III (rispettivamente di basso, medio ed alto grado) e non sono lesioni che hanno invaso strutture vicine, sono localizzate.
Dopo la CIN III (detta anche carcinoma in situ) iniziano i vari stadi (che si dividono per estensione e grandezza) di cancro INVASIVO, il più pericoloso.
Non mi dilungo più di tanto nella trattazione dei vari gradi del tumore del collo dell'utero, è un argomento un po' complicato e continuiamo con l'esempio pratico.

Ammettiamo che l'anatomopatologo, dopo biopsia, mi comunichi che la lesione è una CINIII e cioè una neoplasia di grado III. Devo asportarla, c'è il rischio che si infiltri in profondità o addirittura nel tempo invada gli organi vicini (nel caso del collo dell'utero: la vescica, il retto, il corpo uterino, la vagina...).

Non è sempre così: se l'anatomopatologo invece del CIN III mi comunicasse un CIN I, il grado più basso, potrei addirittura decidere di non intervenire per nulla, visto che quel grado spesso regredisce da solo, senza nessun intervento (ma con controlli serrati!), qualcuno estende questa scelta attendista anche per il CIN II.

Torniamo e proseguiamo con il nostro esempio: CIN III.

L'intervento indicato si chiama CONIZZAZIONE. I chirurghi più aggressivi propongono l'isterectomia (asportazione totale dell'utero): in donne che non possono o non vogliono più gravidanze in effetti, sembra il tipo di intervento più logico.
Come in tutti i trattamenti chirurgici dei tumori, è fondamentale asportare tutta la neoplasia. Vista la zona da trattare in questo caso, non c'è bisogno di intervento chirurgico con apertura dell'addome ma si può intervenire per via vaginale (come se si dovesse effettuare un Pap-test per intenderci).
Si tratta in questo di asportare una porzione del collo dell'utero di forma conica, che contenga TUTTA la lesione in oggetto.
Fino a qualche anno addietro, questa asportazione si effettuava con il bisturi classico, si chiamava "conizzazione a lama fredda". Oggi la conizzazione si effettua nella quasi totalità dei casi con elettrobisturi o bisturi a radiofrequenza (io uso quest'ultimo) ed è detta a "lama calda".
Questo strumento è detto ANSA DIATERMICA o Leep o Loop.

Ecco al volo come funziona:

Il supporto di plastica ha alla sua estremità una semiluna, è un filo metallico attraverso il quale passa corrente elettrica. La corrente, riscalda (non si arriva ad incandescenza comunque) il filo che così ha la capacità di "tagliare" i tessuti. Con due benefici: durante il taglio contemporaneamente coagula evitando emorragie e con questa tecnica il taglio risulta più preciso e netto. Per capire cosa succede, immaginate un filo arroventato che provi a tagliare del burro.

La resezione si effettua ruotando il supporto che mantiene il filo metallico ed il risultato è proprio un cono di collo uterino. Qui un'immagine della vecchia tecnica con il bisturi.

Per vedere una tecnica con Leep (anche se invece di ruotare lo strumento, il chirurgo utilizza un'altro metodo) ho trovato un video su You Tube (non è molto cruento, ho scelto questo tipo di patologia apposta, il video è "sopportabilissimo"), questo:


In una sola azione abbiamo ottenuto due cose:
1) Rimozione della lesione neoplastica
2) Pezzo anatomico per esame istologico, stadiazione, verifica della completa rimozione della neoplasia.

Uno degli aspetti più importanti è l'accertamento da parte dell'anatomopatologo, che in quel cono sia contenuta TUTTA la lesione diagnosticata. In questo caso il referto parlerà di MARGINI dell pezzo LIBERI DA LESIONE, ciò vuol dire che abbiamo asportato tutto quello che era necessario. Al contrario, se l'esame evidenza uno o più margini con lesione, evidentemente qualcosa è rimasto in sede ed è necessario un reintervento per completare tutto.

In questo caso poniamo confermata la lesione che dicevamo, la CINIII.

Visto che la lesione è stata asportata completamente, abbiamo in pratica terminato la nostra opera. La recidiva di tumore cervicale dopo asportazione a cono, è molto rara.

Le complicanze sono rarissime, gli effetti collaterali molto rari.

Nei casi più avanzati si preferisce operare per via addominale ed asportare anche utero ed ovaie e se il caso effettuare anche una biopsia dei linfonodi. Tutto questo ci permetterà non solo di asportare la lesione e le zone maggiormente a rischio di esserne coinvolte, ma anche di conoscere la gravità e l'eventuale estensione del tumore, potendo scegliere la terapia migliore.

Nei casi avanzati, chemioterapia ed in certi casi radioterapia, seguono la diagnosi, l'eventualità che cellule cancerose siano andate in circolo o abbiano raggiunto organi vicini è molto alta.

Per i casi più severi di tumore di collo dell'utero, la sopravvivenza è oggi buona, dopo 5 anni, circa il 65%, dopo 10 anni dalla diagnosi, più del 50%.

Fine. Il tumore è stato asportato. Ora la paziente deve sottoporsi periodicamente a Pap-test ed eventualmente a colposcopia, almeno una volta l'anno.

Ma ha tantissime possibilità di potersi dichiarare guarita.

Spero di essere stato comprensibile e di aver reso la procedura scorrevole. Questo è uno dei modi con i quali la medicina cura le malattie mortali che affligono l'uomo.

Poche storie, nessuna invenzione, nessuna promessa di miracolo, nessun vittimismo, questa è la realtà, la medicina di oggi, quello che succede negli ospedali, ogni giorno un medico salva una donna (ed una mamma, una moglie...) dal cancro. Nessuno va su internet a piangere o a saltare per le strade dalla felicità. Tutto questo, oggi, viene praticamente considerato "normale". Questi sono i risultati di anni di studio, progresso, scienza. Questo è ingegno umano.
Questo succede decine di volte al giorno, in tutti gli ospedali italiani e nel mondo.

Senza altri giri di parole: questi sono fatti.
Ognuno decida a chi affidarsi.


Alla prossima.