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Gli uomini ciechi nella hall di marmo — Ignácio de Loyola Brandão

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La segretaria portò il caffè al Direttore-Presidente alle tre e un quarto in punto. Lui era un uomo metodico. E perché era così era arrivato al punto in cui era. Quel pomeriggio un raffreddore lo disturbava. Si soffiava il naso spesso, il cestino era strapieno di fazzoletti di carta, l’occhio sinistro gli lacrimava senza sosta. Detestava i malesseri, era difficile ragionare. E quando lui non ragionava bene, perdeva soldi in qualche settore dell’organizzazione. Nulla di concreto, ma aveva la sensazione che fosse il suo essere costantemente all’erta che lo faceva progredire. Né poteva calcolare dove sarebbe arrivato se tutto fosse continuato così. Prese il caffè lentamente. Aveva aggiunto del limone, la vitamina C andava bene per influenze e raffreddori. Per un momento, durante la giornata, si permetteva di alzare gli occhi dalle carte e di contemplare la città attraverso la parete di vetro. Gli piaceva quella massa compatta di edifici, le strade stipate di macchine, di smog, le persone che si urtavano. Agitazione e dinamismo erano cose che lo stimolavano.
Si sentiva, qui in alto, responsabile di una gran parte del lavoro di tutta quella gente. Quando vedeva due uomini che si incontravano, si salutavano e si fermavano a chiacchierare, diventava inquieto. Quegli uomini dovevano lavorare per qualcuno, perciò stavano rubando tempo. Chissà che magari non lavorassero in qualche posto collegato all’organizzazione che faceva capo a lui. Se la conversazione durava più del suo caffè, faceva scendere qualcuno del Controllo ad avvisare i due che conversavano di circolare, di smetterla di parlare a vuoto.
Quel pomeriggio, quando sollevò la tazzina, ebbe la sensazione di una nebbia tenue davanti agli occhi. Deve essere il raffreddore, pensò. La cosa lo preoccupò di più. Se continuava così, il tardo pomeriggio sarebbe stato perduto per le decisioni importanti. Sorseggiò il caffè, soffiandosi il naso e aspettando che la nebbia diminuisse. Al contrario, man mano che il caffè diminuiva, la nebbia aumentava, al punto che quando la tazzina fu vuota, lui non distingueva niente, se non i contorni ritagliati controluce. Premette il bottone, la segretaria venne e si spaventò nel vedere la sua espressione.
– Si sente male?
– Molto male. Non distinguo niente.
– Vado a chiamare il medico.
– No. Mi aiuti ad arrivare all’ambulatorio. Ma prima faccia allontanare tutti dal corridoio. Chiunque sia in circolazione, ritorni immediatamente alla sua scrivania.
La segretaria sparì per qualche istante. Rientrò, e il Direttore-Presidente si appoggiò al suo braccio. Si avviarono verso l’ascensore.
All’improvviso, lei si fermò:
– Che succede? C’è qualcuno?
– No. Non vedo niente. Hanno spento tutto.
– Anche Lei?
– Anch’io. Andiamo tutti e due a farci vedere. Non è normale.
A tentoni lungo la parete, lei arrivò fino al pulsante dell’ascensore. Sentirono la porta che si apriva, lei provò con la mano, per vedere se c’era l’ascensore. Aveva una gran paura di cadere nella tromba dell’ascensore.
– Quinto – disse al lift.
– Per favore, lo prema Lei il bottone.
– Perché io? Schiacci Lei che è l’addetto. È qui per questo.
– Lo farei con piacere, se vedessi il pannello. Ma non vedo niente, proprio niente.
– Le sembra di essere cieco? – chiese il Direttore-Presidente.
– Completamente. A meno che non abbiano spento la luce del mondo (il lift faceva sempre lo spiritoso).
– Lei ha più esperienza. Se tocca il pannello, riesce a scoprire il quinto piano. Provi.
Premette un bottone, l’ascensore scese.
Si fermò, la porta si aprì.
Da fuori gridarono:
– È lì l’ascensore?
– Sì.
– Tenete la porta, entriamo.
Seguì un rumore di passi.
– Non c’è più nessuno? – chiese il lift.
– Come possiamo saperlo? Non riusciamo a distinguere niente. Questa compagnia è uno schifo. Ha spento tutto, di botto. Vuoi vedere che stanno razionando? Vivono facendo economia.
– Non è la compagnia – disse indignato il Direttore-Presidente. – La compagnia è ottima. Siete voi che siete diventati ciechi.
– Ciechi? Ma è matto? È la luce.
– La luce? Allora guardi qui.
– Sto guardando, che c’è?
– Ho acceso l’accendino. Lo vede?
– No.
– Visto? Non è la compagnia. Chieda scusa o sarà licenziato.
– Ma Lei, mi vede?
– No. Sono cieco anch’io.
– Allora, pace. Lei non sa chi sono.





Lascensore si fermò, le porte si aprirono.
– Questo dev’essere il quinto – disse il lift.
Ma c’era già della gente che entrava. Il Direttore-Presidente tentava di uscire. Cominciò a spingere. Quelli reclamarono. Lui gridò:
– Toglietevi di mezzo, sono il Direttore-Presidente, ho bisogno di andare all’ambulatorio.
– L’ambulatorio è chiuso. Era pieno di gente cieca. Perfino il medico è diventato cieco, se n’è andato.
– Dobbiamo telefonare al mio oculista. Cerchi un telefono – disse il Direttore-Presidente.
Uscirono a tentoni. Aprivano porte che non sapevano dove davano. Tastavano alla ricerca di tavoli. Gridavano agli altri di aiutarli, nessuno rispondeva. S’imbattevano in tavoli ma non trovavano il telefono. Uscirono nei corridoi, entrarono in altre stanze, nei bagni. C’erano porte che non si aprivano. Nervosamente, quasi fuori di sé, la segretaria trovò un telefono. Non c’era linea. Tentò di tutto, il microfono muto. Le centraliniste dovevano essersene andate. Vedrai che sono cieche. Bisogna trovarne uno con la linea diretta. Ce l’hanno solo i capi. Dove sono le scrivanie dei capi? Stabilirono un piano. Provare scrivania per scrivania, ufficio per ufficio, piano per piano. Se ne vengo fuori, disse il Direttore-Presidente, assumo un po’ di ciechi e li lascio lì. Se capita di nuovo, serviranno da guida con i loro bastoni. In quel momento cominciarono a udire delle grida provenienti dalla grande sala di entrata. Era un edificio imponente, con una immensa sala di marmo dove si davano le grandi feste, i balli, le commemorazioni.
– Lei continui a cercare che io scendo. Ci dev’essere un modo per uscire di qui.
Orientandosi con il mormorio che saliva, il Direttore-Presidente cercò la scala. Girò, girò, riuscì a trovarla. Scese piano piano, fino a raggiungere la sala. Non era un mormorio. Era piuttosto come un’enorme manifestazione, tutti a parlare contemporaneamente. C’erano grida, pianti, lamenti, insulti. Ci dev’essere molta gente. Forse tutto il palazzo. Il Direttore-Presidente non riusciva a muoversi. Dava spintoni a tutti, irritato. Toglietevi di mezzo.
– Ehi, vecchio, calma, che c’è?
– Sono il Direttore-Presidente. Toglietevi di mezzo.
– Il Direttore-Presidente, eh! Prendi un po’, vecchio. È tutta colpa tua.
Pugni, bastonate.
– Come può essere colpa mia? Sono tutti ciechi, perfino io.
– Tu? Lo dici tu. Non ci possiamo credere. Ci hanno sempre mentito in questa ditta.
– Mentito? Avete sempre avuto la meglio. È una ditta progredita, con grandi mete.
– Avete progredito solo voi. E ora siamo tutti ciechi. Oltre che ciechi, non possiamo nemmeno uscire di qui.
– Perché no?
– È tutto chiuso. I guardiani, quando si sono accorti di essere ciechi, hanno sprangato tutto. Ora non si sa se i guardiani non trovano le porte, o se hanno perso le chiavi nella confusione. Hanno già cercato di spaccare i vetri, ma sono del tipo blindex triplo fumé. Vuol dire che non si rompono, né ci vedono da fuori.
– Ci sarà pure qualcuno che vorrà entrare. Capirà la situazione anormale.
– Hanno già tentato. Abbiamo sentito dire – « Dev’essere festivo. Torneremo un altro giorno ».
– Allora aspettiamo, qualche soccorso verrà pure da fuori.
– Non possiamo aspettare che i nostri problemi vengano risolti dall’esterno.
– Ma non sapete che ormai nessun problema è risolto solo da quelli che stanno dentro?
– Dobbiamo trovare qui fra noi una soluzione.
– Come? Con questa banda di ciechi?
– Qualcuno deve pur vedere. Non è possibile che siamo tutti, contemporaneamente, ciechi.
– Se qualcuno ci vede, e la folla lo viene a sapere, sa che cosa succede?
– No.
– Gli cavano gli occhi.
– Ma fino a che non troviamo una via d’uscita, continueremo a rimanere ciechi.
– Forse. Ma impareremo pure nuovi modi di vivere. Ciechi e senz’aria non possiamo certo continuare. Mi dà molta angoscia pensare che siamo bloccati dentro una sala di marmo freddo, sapendo che potremmo stare all’aria aperta, al sole, a respirare.
A poco a poco, stanchi, cominciarono a sedersi. Non c’era spazio. Si spingevano, si sistemavano. Esausti, affamati, assetati. Alcuni riuscirono a sdraiarsi. Tentavano di organizzarsi, spuntarono dei capi che dicevano:
– Prima le donne, poi i più vecchi
Scoppiavano risse qua e là. Nessuno sapeva se era giorno o notte. Sentivano freddo e scoraggiamento. E aspettavano.



Ignácio de Loyola Brandão
, da Cadeiras proibidas — Contos, 1976

(Tratto da Vietate le sedie, Casa Editrice Marietti 1983, trad. di Rita Desti)