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sabato 5 settembre 2015

Circus - Movin' on (1977)

Band progressiva seppur priva del peculiare tappeto delle tastiere: il risultato è comunque eccellente.
La prima parte del disco è devota alla atmosfere dei Genesis più pacati, poi lo strumentale Dawn alza l'asticella introducendo degnamente alla suite Movin' on (22'25''), un capolavoro di prog-jazz (a volte Yes, a volte Crimson, ma son solo suggestioni) in cui ogni musicista (Hauser su tutti)  riesce a ritagliarsi un ruolo d'alto livello.
Un piccolo classico.

Andreas Grieder, voce, flauto, sassofono, percussioni; Marco Cerletti, voce, chitarra, basso; Roland Frei, chitarra, sassofono; Fritz Hauser, batteria, percussioni.

giovedì 23 ottobre 2014

Nurse With Wound list vol. 38 (Boyd Rice/Terry Riley/Rocky's Filj/Claudio Rocchi/Ron 'Pate's Debonaire/Dieter Roth-Gerhard Rühm-Oswald Wiener)

NWW list vol. 38. Boyd Rice
Indice Generale/General index

222. Boyd Rice (Stati Uniti) - Boyd Rice (1977). Il disco, noto anche come The black album, è composto da nove tracce: ognuna consta d’un brevissimo segmento sonoro ripetuto indefinitamente (ovvero: mandato in loop). Come classificarlo esteticamente? Ho rigirato il problema come un cubo di Rubik e sono arrivato a due (misere) conclusioni: o si considera tale musica quale sonorizzazione propedeutica a una catarsi sciamanica (quale alienazione che allontana dal quotidiano e invita a superiori stati di coscienza); oppure come musica il cui apprezzamento si regge su un contratto concettuale con l’ascoltatore. Mi spiego: noi guardiamo Boyd Rice che occhieggia dalla copertina, armato di martello, sopra un tappeto di vinili spezzati, e diciamo: “Bene, il pop ha avuto la sua nemesi. Questo è un disco antipop, antisistema, antimelodico, anticapitalista et cetera. Mi piace”. È l’antitesi brutale alla tradizione a suggellare un patto fra lui e noi e a eccitare il consenso. Quando tale patto verrà meno il disco si derubricherà a quello che è: una serie di loop inascoltabili. Lo stesso avviene in altri ambiti: pensiamo (ma è un esempio fra i moltissimi) alle scatole di cornflakes firmate da Andy Warhol, e vendute per centinaia di dollari; grazie al contratto emozionale/concettuale tra il carisma dell’artista creatore e il fruitore (debitamente gonfiato dalla propaganda dei mercanti e dalle elucubrazioni dei critici), ogni scatola di cartone sublima(va) in oggetto artistico ambitissimo. Una volta rotto il contratto (morte di Warhol, disinteresse all’avanguardia americana, calo delle vendite), ogni collezionista o galleria d’arte si ritroverà fra le mani il prodotto nella sua nuda e indubitabile oggettività: nient'altro che una vecchia scatola di cereali. Curioso fenomeno che non avviene, ne converrete, con la Quinta di Beethoven, Blonde on blonde o La tempesta di Giorgione. Da ascoltare, comunque. Melodici, astenersi come d’uso.

223. Terry Riley (Stati Uniti) - A rainbow in a curved air (1969). Uno dei capolavori della musica elettronica moderna. In esso rileva la ripetizione (può ascriversi alla corrente minimalista del tempo, propria dei connazionali Philip Glass e Steve Reich), seppur complicata dalle stratificazioni sonore (Riley suona tutti gli strumenti, dalle tastiere alle percussioni ai fiati) e da sicure derivazioni world, tratte, in particolare, dalla musica indiana. Da quest’ultima il californiano deriva la struttura ritmica (propria dei raga, di cui fu attento studioso) e, non meno importante, l’afflato concettuale (basato sulla eternità dei cicli temporali) – inderogabile concetto metafisico e religioso che informa di sé, necessariamente, anche le epifanie musicali. Da non mancare.

224. Claudio Rocchi (Italia) - Rocchi (1975). L’album che segnò l’inizio di una sperimentazione più ardita per il cantautore milanese. Rocchi rimesta un ciceone di concretismi, space, inserzioni sonore, riecheggiamenti world (che sostanziano integralmente l’iniziale Zen session, 12’59’’) su cui galleggiano, fascinose, le blande sopravvivenze della forma canzone: un folk psichedelico dilatato (Zero, Certa Puglia) e imbevuto di quella siderale lontananza proprio del sogno. Notevole. 

225. Rocky's Filj (Italia) - Storie di uomini e non (1973). Il disco inizia con uno dei capolavori della stagione progressive italiana, L’ultima spiaggia (12’54’’); così lo presenta un competente estremo di quel periodo, John, amministratore del blog John’s Classic Rock: “Dopo un micro-attacco orchestrale e un breve innesto melodico, scatta di colpo un break rock dalle sonorità conturbanti che spiana il terreno ad una sorta di improvvisazione free basata principalmente sul sax, sul flauto e su di una autorevole linea di basso che detta legge sino al finale”. Con l’eccezione di Il soldato, brano più sbilanciato verso un topico melodismo italiano, il resto dell’album (suonato impeccabilmente) conferma un empito jazz rock che richiama, a tratti, i primissimi King Crimson. A distanza di anni li trovo sorprendenti. Da ascoltare, ovvio. Rocky Rossi, voce, sassofono, clarinetto; Roby Grablovitz, chitarra, flauto; Luigi Ventura, basso, trombone; Rubino Colasante, basso, batteria.

226. Ron 'Pate's Debonaire (Stati Uniti) - Raudelunas pataphysical revue (1977). Occhio … l’apostrofo prima di Pate’s indica l’appartenenza alla ‘Patafisica, corrente fondata letterariamente e ideologicamente da Alfred Jarry. Cosa sia la patafisica è discutibile: la scienza dell’identità dei contrari, delle eccezioni, del relativismo fenomenologico … a distanza di anni non l’ho capito … posso dire che i patafisici sono provocatori, ricercatori del futile, sobillatori del buon senso. E così i Nostri: guidati dal reverendo Fred Lane (nome d’arte di Tim Reed) aprono e chiudono il disco con due pericolanti versioni da big band, My kind of town (Chicago is) e una sguaiata Volare; nel mezzo, patafisicamente incongrui, abbiamo un concerto per gracidii di rane, noise puro, avanguardia free jazz, musica spettrale da giostrina, monologhi. Indefinibile e da ascoltare. Fred Lane, voce; Adrian Dye, voce, tastiere; Nolan Hatcher, voce, corno; Cyd Cerise, chitarra, sassofono; Omar Bagh-dad-a, tastiere; Ron 'Pate, trombone; Bob "Cheapskate" Cashion, trombone; Mitchell Cashion, tromba, trombone, sassofono, corno, percussioni; Craig Nutt, voce, sassofono, trombone, corno, percussioni; Johnny Williams, sassofono; Davey Williams, sassofono; Johnny Fent-Lister, sassofono; Nolan Hatcher, corno; Dick Foote, oboe, sassofono; Fred McGann, sassofono; Roger Hagerty, oboe, sassofono; Don "Pretty Boy" Smith, tromba; Dick Foote, oboe, sassofono; Don "Pretty Boy" Smith, tromba; Theodore Bowen, cembalo; Cathy Mehler, violoncello; Abdul "Ben" Camel, basso; Theodore Bowen, basso; "Bill" The Kid Dap, batteria; Anne LeBaron, percussioni; arpa; LaDonna Smith, tromba, viola; Davey Williams, corno; Nips "Napes" Newton, arpa, percussioni; Mark Lanter, batteria; percussioni; Charles Ogden, batteria.

227. Dieter Roth-Gerhard Rühm-Oswald Wiener (Austria/Svizzera) - 3. Berliner Dichterworkshop 12./13.7.73 (1973). Gli austriaci Gerhard Rühm e Oswald Wiener militavano nel Wiener Gruppe, sorta di cenacolo letterario d’avanguardia devoto alle correnti più radicali sorte nei primi decenni del secolo breve (Surrealismo, Dadaismo …). L’inizio (i primi dieci minuti) si stabilizzano su un pianismo d’avanguardia piuttosto prevedibile (per chi è avvezzo alla lista NWW), quindi si spalancano le celle imbottite: un coro intona in ordine sparso la vocalità della propria follia dannata, quasi una parodia del Ligeti lunare di Kubrick; segue la quiete, rotta quasi subito da giustapposizioni di fischi e fischietti malandrini: la voliera del disagio mentale. Ci si ferma di nuovo, si riprende, ci si trastulla con bizzarrie assortite, e poi via così, sino allo sfinimento della ragionevolezza. Ognuno lo definisca a modo suo. Da ascoltare, ma con cautela.


domenica 21 aprile 2013

Nurse With Wound list vol. 27 (Magical Power Mako/Magma/Colette Magny/Mahjun/Mahogany Brain/Malfatti-Wittwer)

NWW list vol. 27. Makoto Kurita

158. Magical Power Mako (Giappone) - Magical Power (1973). Prima opera di Makoto Kurita (qualche altra informazione qui), è un collage folle e attraente che spazia continuamente fra tribalismi alla Zappa (quelli di Help I’m a rock e zone limitrofe), percussionismi autistici (In a stalactite cavern), esibizioni a cappella, concretismi, pozze folk melodiche (Flying), rock purissimo (Restraint freedom), immersioni nella musica tradizionale. Da riscoprire subito.

159. Magma (Francia) - Köhntarkösz (1974). Il fascino dei Magma è immarcescibile. Questo è un altro capolavoro dall’incedere liquido e possente, ma, al tempo stesso, denso di inquietudine, come se i Gong fossero minacciati da qualche entità maligna. Grande la sezione ritmica, come nel miglior zeuhl progressive. Stella Vander, voce; Klaus Blasquiz, voce, percussioni; Brian Godding, chitarra; Michel Graillier, tastiere; Gérard Bikialo, tastiere; Jannick Top, voce, tastiere, percussioni, basso; Christian Vander, voce, tastiere, percussioni, batteria.

160. Colette Magny & Free Jazz Workshop (Francia) - Transit (1975). Figura obliqua, attiva sin dagli anni Cinquanta, impegnatissima nei diritti civili, ed eccellente interprete jazz-blues, sempre pericolante, però, verso certi toni anticonformisti a metà fra cabaret politico e sensibilità confidenziale. Fa eccezione la sperimentale La bataille in cui la Magny opera su basi preregistate. Colette Magny, voce, chitarra; Patrick Vollat, tastiere; Rémy Gevron, tastiere; Louis Sclavis, sassofono, clarinetto; Maurice Merle, sassofono; Jean Mereu, tromba; Jean Bolcato, basso; Christian Ville, batteria.

161. Mahjun (Francia) - Mahjun (1973)/Mahjun (1974). I due album omonimi sono qui riuniti. I Mahjun miscelano goliardicamente bizzarrie lunari, marcette, valzer, con lo stile lieve di Kevin Ayers (bella Les enfants sauvages). Si fanno preferire però sui brani lunghi (Chez Planos, 13'21''; La ville pue, 13'41'') laddove il tono svagato si fissa su un più diluito progressive memore del lato colto di Canterbury. D. Barouh, voce; Mouna, voce; J.L. Lefebvre, voce, chitarra, flauto, violino; Haira, tastiere; P. Rigaud, sassofono, tromba; P. Beaupoil, tastiere, basso, percussioni;  J.P. Arnoux, batteria, percussioni.

162. Mahogany Brain (Francia) - With (junk-saucepan) When (spoon-trigger) (1971). Rock free-form con tutti gli strumenti in libera uscita e impossibile a coagularsi in una frase melodica neanche per pochi secondi. Siccome l’anno è il 1971 parecchi riannodano l’esperienza a Captain Beefheart, ma, a tratti, pare di essere dalle parti dell’avanguardia di New York, anni Novanta. Da ascoltare. Dominique, voce; Benoît Holliger, chitarra; Mine, chitarra; Gilles Mézière, tastiere; Zéno Bianu, flauto; Michael Bulteau, flauto; Claude Talvat, violino; Patrick Geoffrois, basso; Yves Berg, percussioni.

163. Malfatti-Wittwer (Austria/Svizzera) - Thrumblin' (1976). Quattro duetti free fra gli spetezzi del trombone di Radu Malfatti (austriaco; ancor oggi attivo sul versante dell’improvvisazione e del minimalismo) e i disastri elettrici di Stephan Wittwer (svizzero; collaboratore di Steve Lacy e Jim O’Rourke, fra gli altri). Avete presente: "Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi"? Questo è il contrario. Stephan Wittwer, chitarra; Radu Malfatti, trombone.

martedì 5 marzo 2013

Nurse With Wound list vol. 25 (Komintern/Kraftwerk/Krokodil/Steve Lacy/Lard Free/Le Forte Four)

NWW list vol. 25. Krokodil

146. Komintern (Francia) - Le bal du rat mort (1971). Nati dagli umori fervorosi del 1968 (Komintern fu l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti fra i due conflitti mondiali), i francesi (nell’episodio maggiore, la suite eponima, 16’31’’) cominciano esplicitamente con la rielaborazione di Bandiera rossa, poi sublimano in un progressive mercuriale in cui paiono convergere tutte le maggiori tendenze europee. La seconda parte concede di più allo sberleffo e al cabaret politico, ma, a tratti, il loro lato lunare risplende ancora con forza. Da ascoltare. Jeanne de Valène, voce;  Pascale Chassin, chitarra; Olivier Zdrzalik, voce, tastiere, basso; Joss Baselli, clavicembalo; Serge Catalano, batteria, percussioni; Francis Lemonnier, voce, sassofono; Raymond Katarzynsky, trombone; Fred Gérard, tromba; Pierre Thibaus, tromba; Richard Aubert, violino.

147. Kraftwerk (Germania) - Kraftwerk (1970). Il primo album dei Kraftwerk è già un capolavoro. Klaus Dinger è della partita. E si sente. Per un brevissimo periodo, lo sarà anche Michael Rother. Sui primi Kraftwerk si allunga, insomma, l’ombra smisurata dei Neu. Affidatevi a queste risonanze: Neu!, Cluster, Harmonia … Ruckzuck da sola vale l’ascolto dell’opera. Forse è una prova per Hallogallo e Für immer. E il finale di Von Himmel Hoch? I Kraftwerk troveranno poi il meritato successo con polpette elettroniche di altro sapore, ma questo è il loro disco inevitabile. Ralf Hütter, tastiere;  Florian Schneider-Esleben, flauto, violino, percussioni; Andreas Hohmann, batteria; Klaus Dinger, batteria. 

148. Krokodil (Svizzera) - Swamp (1970). Sonorità paradigmatiche dei tardi Sessanta, ma gestite senza quella personalità in grado di evitare la maniera. Accenni blues (musica da cui nacquero; Human bondage), brani rilassati e melodicamente apprezzabili (Sunlight’s beautiful daughterLight of day), accompagnamenti di flauto, aleggiamenti di sitar … Come spesso accade è proprio il manierismo il punto di forza di tali lavori: affascinati da questi timbri (nostalgia canaglia) amiamo preterirne l'eventuale mediocrità. Walty Anselmo, voce, chitarra, basso, sitar; Terry Stevens, voce, chitarra, basso; Hardy Hepp, voce, tastiere, violino; Mojo Weideli, flauto, armonica; Düde Dürst, batteria, percussioni, vibrafono.

149. Steve Lacy (Stati Uniti) - Straws (1977). Registrato a Milano nel Novembre 1976 (edito dalla Cramps), Straws è la magnificazione del sassofono soprano dell’artista di New York (allievo di Cecil Taylor e Gil Evans), qui impegnato in una serie di prove ai limiti dello sperimentalismo (la finale Rise).

150. Lard Free (Francia) - Gilbert Artman's Lard Free (1973). Multistrumentista, collaboratore di Pierre Henry (cfr. I e II), Urban Sax (NWW5) e Richard Pinhas, Artman organizza sei brani di jazz acido minato da tocchi elettronici (12 ou 13 Juillet que je sais d'elle), attraversato da assoli chitarristici frippiani (Honfleur écarlate) e non esente da meritorie derive krautrock (Culturez-vous vous même). Un capolavoro. François Mativet, chitarra; Philippe Bolliet, sassofono; Hervé Eyhani, tastiere, basso; Gilbert Artman, tastiere, batteria, vibrafono.

151. Le Forte Four (Stati Uniti) - Live at the Brand (1976). Sodali degli Airway (NWW1; entrambi fanno parte della Los Angeles Free Music Society), i Nostri mettono in scena una teoria di scenette per disturbati mentali, pregne di concretismo, prese per i fondelli, jazz andato a male, folate elettriche, catatonie, rimbombi elettronici scaturiti da un universo malato, blues da camera imbottita. Da ascoltare. Per dimenticare Sanremo. O per farselo piacere. Dipende. Qui la lista dei musicisti.

domenica 27 gennaio 2013

Nurse With Wound list vol. 23 (Ibliss/L'Infonie/International Harvester/Iskra/Island/Martin Davorin Jagodic)

NWW list vol. 23. Island

133. Ibliss (Germania) - Supernova (1972). Incroci psichedelici e jazz-rock fortemente ritmati (soprattutto per merito di Hammoudi, già con gli Organization): un impasto dal sapore fortemente Seventies. L’ultima traccia, la migliore, dai toni distesi e ammalianti, sfiora il liquido registro dei Popol Vuh. Basil Hammoudi, voce, flauto, percussioni; Wolfgang Buellmeyer, chitarra, percussioni; Norbert Buellmeyer, basso, percussioni; Rainer Buechel, flauto, sassofono; Andreas Homann, batteria, percussioni.

134. L’Infonie (Canada) - Volume 333 (1972). Free-jazz, progressive, improvvisazione, si susseguono felicemente in questo rimarchevole lavoro proveniente dal Quebec canadese. Provocazioni alla John Cage, progressive cerebrale di derivazione Canterbury, Beethoven, Zappa, concessioni all’elettroacustica (Boudreau è ammiratore di Stockhausen, Xenakis, Ligeti) compongono un pout-pourri inesauribile. Raôul Duguay, voce; Michel Lefrancois, chitarra; Yvon Trudeau, chitarra; Jacques Beaudoin, basso; Jacques Valois, basso; Gilles Henault, tastiere; Michel Gonneville, tastiere; Andre Pelchat, sassofono; Walter Boudreau, sassofono; Jean Grimard, sassofono; Pierre Daigneult, sassofono; Jacques Beaudoin, contrabbasso; Ysengourd Knörh, percussioni.

135. International Harvester (Svezia) - Sov-gott Rose Marie (1968). Gli International Harvester (il nome deriva da una fabbrica di macchine agricole statunitense) scaturirono dai Pärson Sound, una delle prime radici del progg finlandese, anticommerciale e libertario (non necessariamente riconducibile al prog continentale - una ‘g’). Gli Harvester reagirono ad una trasformazione della società scandinava in atto a cavallo fra i Sessanta e i Settanta tesa all’occidentalizzazione più convulsa (come si può desumere, ad esempio, dai gialli degli svedesi Maj Sjöwall e Per Wahlöö). Nell’album convivono sketch più immediatamente politici e vignette polemiche contro lo sviluppo capitalistico (The Runcorn report on Western progress) assieme a improvvisazioni di più ampio respiro: I mourn you (12’47’’) e le litanie How to survive (11’42’’) e Skördetider (24’59), echeggianti il minimalismo di Terry Riley, cui i Nostri pagheranno un tributo artistico nei lavori successivi. Bo Anders Persson, voce, chitarra; Thomas Tidholm, voce, corno; Arne Ericsson, violoncello; Urban Yman, violin; Torbjörn Abelli, basso; Thomas Gartz, batteria.

136. Iskra (Svezia) - Allemansrätt (1977). Reparto bizzarrie, ma non troppo: tribalismi (Den Ensamme Ciclysten), squittii alla Chipmunks, marcette vaudeville (Halte Kameraden), influssi mediorientali. Sfugge un senso unitario; a meno che questi non sia da ricondurre ad una ribalda anarchia. Iskra fu un giornale pre-rivoluzionario russo che vantò come redattore Vladimir Lenin. Allan Olsson, sassofono, oboe, flauto; Jörgen Adolfsson, sassofono, flauto, vibrafono, percussioni; Tuomo Haapala, basso, tromba, percussioni; Arvid Uggla, basso, tuba, percussioni; Sune Spångberg, batteria, percussioni.

137. Island (Svizzera) - Pictures (1977). Capolavoro indiscutibile del tardo progressive europeo. Tutte le sonorità pregresse del genere sembrano convenire nell’opera: Yes, Genesis, le architetture di Canterbury (lato Henry Cow, NWW21), anche se l’ascendenza più suggestiva è da ricercarsi nelle complesse introversioni dei Van der Graaf Generator. Il tutto vale solo come indicazione, però: la perizia strumentale e la miracolosa fluidità compositiva (per più di settanta minuti), ottenuta senza il ricorso a basso e chitarra, rendono gli Island unici. Benjamin Jäger proveniva dai Toad. Copertina storica di H.R. Giger, creatore di Alien. Benjamin Jäger, voce, percussioni; Peter Scherer, voce, basso, tastiere; Güge Jürg Meier, batteria, percussioni; René Fisch, voce, flauto, clarinetto, sassofono, triangolo.

138. Martin Davorin Jagodic (Jugoslavia) - Tempo furioso (Tolles Wetter) (1975). Pubblicato dall’italiana Cramps, il lavoro risente dell’influenza del concretismo francese; si compone di due lunghe tracce (20’08’’ e 21’58’’) in cui vengono allineati rumori da foresta pluviale, inquietanti interferenze elettroniche, estratti da radio e televisione, rumori di fondo interstellari, monologhi desolati. Il tutto avvolto in una atmosfera incombente da finis terrae. Da ascoltare.

mercoledì 22 agosto 2012

Nurse with Wound list vol. 9 (Brainticket/Brast Burn/Brave New World/Anton Bruhin/Ton Scheine Scherben/Franz de Byl/Cabaret Voltaire)

Cabaret Voltaire. NWW list vol. 9

43. Brainticket (Belgio/Svizzera/Germania/Italia/Gran Bretagna) - Cottonwoodhill (1971). Autentico collettivo europeo (Bryer e Muir britannici, Vandroogenbroeck belga, Frölich tedesco, Lampis italiano, almeno d’origine), i Nostri raggiunsero il loro vertice creativo proprio con tale esordio. Il disco deve le sue fortune alla suite Brainticket, in tre parti (26 minuti totali), tastiere ripetitive ed ipnotiche su cui sfarfallano effetti sonori bislacchi, registrazioni dal vero e la vocalità orgasmica della Muir. Forse sopravvalutato, ma rimane un classico. Dawn Muir, voce; Ron Bryer, chitarra; Joel Vandroogenbroeck, tastiere; Werni Frölich, basso; Cosimo Lampis, batteria, Wolfgang Paap, percussioni, tablas; Hellmut Kolbe, effetti sonori.

44. Brast Burn (Giappone) - Debon (1974). Ancora una formazione dalla genesi oscurissima, probabilmente da assimilare ai Kaluna Khyal (che pubblicarono sulla stessa etichetta). Due lunghi brani, di circa ventitré minuti, da ascoltare assolutamente: tastiere languide, field recordings, percussioni ieratiche, accensioni psichedeliche, nenie vocali, inevitabili tocchi world. Konimara, voce; ?, chitarra; Masabuni, tastiere; Rey Ohara, percussioni.

45. Brave New World (Germania/Irlanda) - Impressions on reading Aldous Huxley (1972). Frase di William Shakespeare, libro di Aldous Huxley (precursore lucido della globalizzazione come pianificazione e conformismo positivo). Non male. I Brave New World ordirono solo questo disco composto da sette strumentali: atmosfere pacate e debitamente psichedeliche in linea con il livello del tempo; vi sono cadute (Lenina) ed episodi interessanti (Soma, la seconda parte di Alpha, Beta, Gamma, Delta); da ascoltare, ma è il tipico caso di assunzione in gloria a causa della rarità. Esther Daniels, voce; John O'Brien-Docker, voce, chitarra, tastiere, percussioni; Herb Geller, tastiere, flauto, sassofono; Lucas Lindholm, basso, tastiere; Dicky Tarrach, batteria, percussioni; Reinhart Firchow, voce, flauto, ocarina, percussioni.

46. Anton Bruhin (Svizzera) - Die Goldabfischer (1969). Esperimento di folk d’avanguardia in cui il multistrumentista svizzero suona praticamente tutto: armonica, flauto, flauto a fischietto, percussioni, marranzano (lo scacciapensieri, di cui è maestro) e il ch-phon, incrocio mitologico fra un sassofono e un tubo di PVC. Spiazzante e ben più di una curiosità. Lo aiutano Stefan Wittwer alla chitarra e Cristian Koradi al basso e violoncello.

47. Ton Steine Scherben & Brühwarm Theater (Germania) - Mannstoll (1977). Storica formazione berlinese (da sempre militante a sinistra e sbilanciata sui temi dello squatting) qui alle prese coi testi del Brühwarm Theatergruppe (provenienti dal proprio spettacolo Männercharme), imperniate su bozzetti di vita quotidiana omosessuale. Risente dell’impostazione teatrale, ma si lascia sentire. R.P.S. Lanrue, chitarra; Rio Reiser, tastiere; Kai Sichtermann, basso; Britta Neander, batteria.

48. Franz de Byl (Germania) - Und (1971). Volete suicidare il vostro blog? Volete scatenare le forze della DMCA? Mettete un link qualunque ad una delle due rarità di Franz de Byl (l’altro è il disco con Heiner Hohnhaus) e verrete sommersi di reclami, insulti e maledizioni (ha persino attaccato discogs.com). Per il semplice fatto di citarlo (in grassetto rosso!) rischio parecchio. E pensare che Und non è neppure male. Potete trovarlo qui. De Byl, we love you.

49. Cabaret Voltaire (Gran Bretagna) - Three mantras (1980). EP diviso in due lunghe composizioni (Eastern mantra e Western mantra, 20’39’’ e 20’12’’), due vere e proprie ipnotiche salmodie elettroniche che prefigurano la nuova avanguardia world degli anni a venire. Giustapposizioni sonore, filtri, ritmi trance, accenni industrial sostanziano uno dei migliori lavori dello storico gruppo di Sheffield (fondato nel 1973). Richard H. Kirk, elettronica; Stephen Mallinder, voce, basso; Craig Watson, elettronica; John Clayton, percussioni.

giovedì 27 ottobre 2011

Sergius Golowin - Lord Krishna von Goloka (1973)


Eroe della controcultura svizzera (studioso delle culture marginali, fra cui quella zingara*, nonché di folclore ed esoterismo, protettore di Timothy Leary …), Golowin (1930-2006), prima che musicista, fu un colto cosmopolita in cui confluivano, in virtù della propria infanzia avventurosa e delle proprie ascendenze di sangue, le più varie suggestioni della cultura europea. Nato a Praga da genitori russi e svizzeri (lo scultore Alexander Golowin e la poetessa Alla von Steiger), a pochi anni d’età riparò assieme alla madre a Berna, separandosi dal padre, stabilitosi a Parigi. Tali vicissitudini lo accostano bizzarramente alla figura centrale dell’induismo, Krishna, che fu partorito segretamente (e nascosto al padre), vagò ramingo (si rifugiò a Goloka), ma visse serenamente, in una comunità di giovani pastori, l’amore per Radha (Golowin visse sulle Alpi svizzere con tre mogli – in una placida indifferenza fra anarchismo, socialismo e libertarismo bucolico). Non è, quindi, da scartare, da parte di Golowin, la voluta identificazione, dai ricaschi autobiografici, con la deità Krishna-Visnu.

Il disco rientra in una trilogia produttiva (ordita da Rolf Ulrich Kaiser) assieme a 7up (Ash Ra Tempel e Timothy Leary) e Tarot di Wegmüller, di cui è antecedente e di cui condivide parte della formazione**. Esso è articolato in tre pezzi, Der Reigen (16’57’’), Der Weisse Alm (6’09’’) e Die Hoch-Zeit (19’38’’) accompagnati dai recitativi di Golowin.

Diversamente da Tarot, Lord Krishna von Goloka preterisce i toni più scoperti da Kosmische Courier (anche se, a tratti, l’organo di Klaus Schulze riporta la barra verso quei lidi): le composizioni sono strutturate come lentissime distensioni, sottolineate da flauto, tastiere e chitarre acustiche, e somigliano a pacate e fluviali meditazioni. Ogni pezzo si prende tutto il tempo disponibile: non esistono qui forzature, non v’è l’urgenza, dettata dalla moda, di assecondare i gusti più triti del pubblico; mancano gli effetti più banali, la strofa ammiccante.
Può intuirsi che la musica germanica, in quel decennio mirabolante, scaturisse da una salda filosofia, teorica e di vita, nata dall’impasto fra la politica libertaria dei Settanta (influssi orientali inclusi) e un secolare retaggio culturale amante dei chiaroscuri, delle passioni ardenti, ma trattenute, di nostalgie ineffabili e, soprattutto, di un anelito alla totalità e di un disprezzo dei compromessi già identificati da Tacito.

Lord Krishna
, sotto le mentite spoglie d’una saga orientale, si dimostra l’ennesima concrezione sonora dell’anima di un popolo.


* Tali esperienze vissute con Wegmüller furono raccolte in Die Welt des Tarot.
** Jerry Berkers (basso, percussioni); Jurgen Dollase (tastiere, chitarra); Jorg Mierke (tastiere, chiatarra, percussioni, flauto); Klaus Schulze (batteria, chitarra, tastiere); Bernd Witthüser (chitarra, flauto, percussioni); Walter Westrupp (chitarra).

lunedì 17 ottobre 2011

Walter Wegmüller – Tarot (1973)


Questo disco è una sorta di Aleph della musica dei Settanta. La kosmische musik è solo la forma che riveste una delle più ardite operazioni di assimilazione e rielaborazione rock mai attuate sino ad allora (e che solo lo spirito onnicomprensivo tedesco poteva tentare); dal pop alla ballata all’avanguardia: ogni forma precedente, debitamente canonizzata, viene qui accolta e filtrata dalla sensibilità di una koiné artistica e culturale che, apparentemente legata alla contingenza (il fenomeno volgarmente chiamato krautrock), affonda invece nella sensibilità musicale dei popoli germanici.
Wegmüller, svizzero di origine, articola questo tour de force in ventidue pezzi (i ventidue arcani maggiori dei tarocchi*) e li accompagna coi propri recitativi stranianti sorretto da una formazione d’eccezione che, nell’iniziale Die Narr (Il matto, ovvero l’arcano dal numero zero) viene presentata con toni da vaudeville: Hartmut Enke, Manuel Gottsching e Rosi Muller dagli Ash Ra Tempel (chitarra; chitarra; cori), Jurgen Dollase, Jerry Berkers e Harold Grosskopf dai Wallenstein (tastiere; basso; batteria), il duo Walter Witthüser e Bernd Westrupp (chitarre, flauto; voce), Dieter Dierks dai Cosmic Jokers (cori) e Sua Eminenza Klaus Schulze alle tastiere. Le singole parti non prevaricano l’intera opera, anzi operano sia per forza d’accumulazione sia, vista la varietà dei toni, interagendo le une con le altre alla stregua di accorti accostamenti cromatici: solo riguardando a posteriori il disco, nella piena interezza e da una debita distanza, possiamo comprenderne la forza evocativa e la magnificenza.
Definire i vari episodi risulta, quindi, controproducente: vale solo come breve resoconto di un saliscendi musicale imperterrito. Der Magier risuona delle iniziali folate elettroniche di Faust IV poi si stabilizza sui colpi di coda dei sintetizzatori; Die Hohepriesterin, basata su semplici tappeti di tastiere e sulle cadenze ieratiche di Wegmüller (cui la lingua tedesca dona effetti arcani), sfuma nelle percussioni di Die Herrscherin, le cui risonanze etniche e i cui toni distesi ricordano i Popol Vuh. Con Der Herrscher si passa a toni pienamente rock mentre il successivo Der Hohepriester è una ballata per flauto e pianoforte che non stonerebbe come lato B dell’arcinota Angie (o il contrario); Der Gerechtigkeit materiato dal bordone delle tastiere e dalle percussioni rituali come nel capolavoro di Tony Conrad sfuma nella delicata ballata Der Weise (poi replicata in Der Zerstörung); Die Sterne-Der Mond-Die Sonne-Das Gericht formano un unico impalpabile episodio cosmico; non mancano il folk con accenni ispanici di Der Teufel, i magistrali crescendo space-rock alla Hawkwind (Der Wagen, Die Kraft, la finale Die Welt) e brani di raccordo come Die Entscheidug o Die Tod (basata su un semplice effetto sonoro), indispensabili per salvaguardare l’equilibrio del disco.
Non è casuale che tale opera si articoli secondo i ventidue arcani maggiori dei Tarocchi, quelli che simboleggiano la totalità e, se correttamente interpretati, la rendono intellegibile; allo stesso modo, secondo Wegmüller e i suoi apostoli, i diversi generi simboleggiano una musica universale a cui aspirare nello sforzo creativo. Prima ancora della considerazione estetica (comunque notevolissima), riconosciamo, pienamente, a Tarot questo anelito titanico.
 
* Sergius Golowin, anch’egli svizzero, e autore di un altro album storico con Klaus Schulze, fu folclorista e studioso dei tarocchi.