.... e sono nove. :-((
Uffa, perché non ho poteri medianici?
Un bacio ovunque tu sia, tanto lo sai che io e Alessiettuccettina ti pensiamo sempre.
Byee byeeee!!!!
@->---
:-**
Cris
martedì 30 marzo 2010
venerdì 26 marzo 2010
Tabbybambolina
La mia Tababambolina
Ecco l'amorino mio, la mia sbandolina, la mia cioppolinpola, la mia bambolina tra le bamboline.
Ebbene sì, adesso è il periodo bambolinesco; la piccina indove va ad accucciarsi per cercare quieto riposo? Fra le bamboline e l'attrezzatura del naturalista.
Va bene cippi frillina mia, sbamboleggia quanto ti pare e fai tanti sogni d'oro pieni di topini che cercano di scappar via dalla tua morsa felina di belva feroce. E' feroce vero? ^___^
Meeeoooowwww
Luce naturale
Luce artificiale
P.S.: in questo periodo il blog e la sottoscritta, ma soprattutto la sottoscritta, si stanno prendendo una pausa dovuta ad attacco acuto di fancazzismo molto probabilmente contagioso!
Ritornerò!
mercoledì 3 marzo 2010
I cuddureddi delle zie!
Ed eccomi qua a magnificare e cercare di descrivere in che modo ho preparato questi dolcetti che a me piacciono tanto e che, fino al mio ultimo viaggio in Sicilia dalle zie, non sapevo affatto come si preparassero. Li ho chiamati "delle zie" perché questa è la ricetta che le mie zie mi hanno passato e i "cuddureddi" (o collorelle in italiano) loro li preparano così.
E allora lor signori s'assettassero e prestassero attenzione perché i dolcini sono buoni a vedersi, a mangiarsi ma lunghi assai a farsi.
Iniziamo dagli ingredienti:
per circa un chilo di prodotto finito occorrono:
per il ripieno
1/2 kg. di miele di zagara, mi raccomando di zagara (ossia fiori d'arancio) che le mie zie sono state categoriche. Più che altro perché il miele stesso dà sia un buon sapore che un buon "odore"
200 gr. di semolino
100 gr. di mandorle tostate e tritate
1 bicchiere d'acqua
per la pasta
400 gr. di farina bianca
un pezzetto di burro (125 gr.)
1 bicchiere d'acqua non colmo
Si inizia il giorno prima con la preparazione del ripieno.
Si pelano le mandorle, si fanno tostare leggermente in forno e poi si tritano fino a formare una granella non molto fine.
In una capace pentola versare il miele e l'acqua e cominciare a far sciogliere il miele, rimestando con una "miscola" (il cucchiaio) di legno. Quando tutto il composto comincia a sobbollire (blob, blob, blob) versare il semolino a pioggia e continuare a rimestare. Quando il pappone sì preparato si stacca dalla pentola, ossia quando il semolino comincia a rapprendersi, spegnere il fuoco, continuare a mescolare e versare le mandorle tritate. Amalgamare con forza tutto il composto e poi metterlo in un piatto in cui avrete versato un po' di olio, poco, per non far attaccare il pappone alla ceramica. Lasciare riposare fino al giorno dopo.
(ecco il pappone, un po' sfocato ma sempre pappone!)
L'indomani si prepara la pasta in siffatto modo: farina a mo' di fontana, versarvi il burro che non sia freddo ma a temperatura ambiente così si lavora meglio, manipolare per bene il tutto e quando burro e farina si saranno ben amalgamate, aggiungere il bicchiere d'acqua e cominciare a lavorare il tutto sino a formare una palla di pasta. Indi si procede alla creazione dei cuddureddi! Si prende un pochino di ripieno, lo si modella a salsicciotto e poi lo si lavora come se dovessimo preparare degli gnocchi. Il risultato sono una serie di vermoni grandi quanto un dito che, mano a mano che si preparano, vanno messi da parte ma non lasciati per tanto tempo all'aria.
Iniziamo dagli ingredienti:
per circa un chilo di prodotto finito occorrono:
per il ripieno
1/2 kg. di miele di zagara, mi raccomando di zagara (ossia fiori d'arancio) che le mie zie sono state categoriche. Più che altro perché il miele stesso dà sia un buon sapore che un buon "odore"
200 gr. di semolino
100 gr. di mandorle tostate e tritate
1 bicchiere d'acqua
per la pasta
400 gr. di farina bianca
un pezzetto di burro (125 gr.)
1 bicchiere d'acqua non colmo
Si inizia il giorno prima con la preparazione del ripieno.
Si pelano le mandorle, si fanno tostare leggermente in forno e poi si tritano fino a formare una granella non molto fine.
In una capace pentola versare il miele e l'acqua e cominciare a far sciogliere il miele, rimestando con una "miscola" (il cucchiaio) di legno. Quando tutto il composto comincia a sobbollire (blob, blob, blob) versare il semolino a pioggia e continuare a rimestare. Quando il pappone sì preparato si stacca dalla pentola, ossia quando il semolino comincia a rapprendersi, spegnere il fuoco, continuare a mescolare e versare le mandorle tritate. Amalgamare con forza tutto il composto e poi metterlo in un piatto in cui avrete versato un po' di olio, poco, per non far attaccare il pappone alla ceramica. Lasciare riposare fino al giorno dopo.
(ecco il pappone, un po' sfocato ma sempre pappone!)
L'indomani si prepara la pasta in siffatto modo: farina a mo' di fontana, versarvi il burro che non sia freddo ma a temperatura ambiente così si lavora meglio, manipolare per bene il tutto e quando burro e farina si saranno ben amalgamate, aggiungere il bicchiere d'acqua e cominciare a lavorare il tutto sino a formare una palla di pasta. Indi si procede alla creazione dei cuddureddi! Si prende un pochino di ripieno, lo si modella a salsicciotto e poi lo si lavora come se dovessimo preparare degli gnocchi. Il risultato sono una serie di vermoni grandi quanto un dito che, mano a mano che si preparano, vanno messi da parte ma non lasciati per tanto tempo all'aria.
Essendo sola ho dovuto alternare preparazione dei vermoni e preparazione della pasta che dovrà essere così lavorata. La si stende con la macchina per fare la sfoglia. Occorre fare delle sfoglie non molto sottili, ma neanche tanto spesse, regolatevi! Una volta preparata una sfoglia, si adagia su di un lato il vermone di ripieno cercando di ricoprirlo tutto. Attenzione!!! La sfoglia non dovrà essere impiegata tutta per ricoprire un solo vermone, altrimenti non vi basta per fare tutti i dolcini. Come spiegarlo... bisogna solo che il vermone sia ricoperto da uno strato di pasta largo quanto il vermone stesso. In questo modo più vermoni possono essere ricoperti da una sola sfoglia. E' chiaro il concetto? Orsù, ricoperti in siffatto modo, si taglia la pasta eccedente con un coltello e poi si comincia a lavorare il vermone ricoperto come se dovessimo ancora preparare degli gnocchi. Vedrete che ripieno e pasta cominceranno ad allungarsi ma attenzione: fate in modo che non risultino sottilissimi e che la pasta non si assottigli troppo. Regolatevi (reprise).
Fatto ciò, tagliate il vermone in tanti piccoli vermini che andrete ad unire in modo da formare una ciambellina che andrete a decorare con taglietti sparsi utilizzando delle forbici e delle pinzette! Mi raccomando: pulizia di forbici e pinzette (meglio se nuove o mai usate). Io le ho messe a bollire e poi sterilizzate su fuoco per poterle usare poi sulla pasta.
Li vedete i taglietti e i pizzicotti sulla pasta?
Nel frattempo, accendete il forno a 180-190°, mettete su una teglia della carta forno e mano mano che preparate i cuddureddi metteteli in forno per una decina di minuti. Io li ho cotti lasciando il forno aperto per paura che bruciassero troppo. Il punto giusto di cottura si determina nel momento in cui i cuddureddi cominceranno a scurirsi, ma non troppo, alla base e la pasta diventa leggermente duretta. Dalle foto si arguisce che i cuddureddi non devono "colorarsi", non devono diventare bruniti ma rimanere di un candido color panna.
Proseguite nel confezionamento di tali dolcetti e buona fortuna perché a me son servite in tutto 3 ore per produrre Kg 1.2 di cuddureddi, come da foto allegate. Certo, con le zie è stata tutta un'altra cosa
Tali dolcetti si conservano abbastanza bene per almeno una settimana, se messi in un apposito contenitore e al chiuso e sono buonissimi sia a colazione che come snack, che come antidepressivo. Parmi ricordare che possono essere preparati anche con altro tipo di ripieno, con il mosto se non erro, ma secondo me ci si potrebbe sbizzarrire alquanto.
Buona mangiata!
Addendum: risentendo le zie, e spiegando loro quanto fatto, mi è stato fatto notare che mi sono dimenticata un altro ingrediente essenziale per il ripieno: la buccia di un mandarino grattugiata!!!!
lunedì 1 marzo 2010
Tabatuga è maggiorenne!
Ordunque,
se devo da' retta al libretto sanitario della piccina,
se devo da' retta a quanto mi è stato detto dai figli della precedente proprietaria,
se devo da' retta agli amici della precedente proprietaria,
se devo da' retta a quanto anche il veterinario ci ha confermato,
se devo da' retta ar fatto che la piccina non compie più balzi stratosferici ma, anzi, per salire sul letto o sulla poltrona le abbiamo "costruito" delle scalette con i libri e con una valigia che non usiamo più e che lei usa come gratta unghie, oggi la piccola di casa compie
18 anni!!!!!
BUON COMPLEANNO TABATUGA!
Altre fotine della piccina con lo sguardo da belva assassina... nooooo, è un'amorina coccolina, sempre pronta a farti nasi nasi e a svegliarti alle quattro di notte con la zampina perché je devi da riempì la ciotolina.... amorinaaa-piccolinaaaa! Ho aggravato il mio rimbambimento! ^__^
Ecco la micia, terrore del quartiere ... ma non troppo! Meeeooowww
bè, la prima foto ve la pijate sfocata perché eravamo entrambe troppo impegnate "nell'estasi delle coccole!"
Io affetta da "tremor", ché la foto è venuta nu poco sfocata, e Tabatuga perplessa
l'amorina dorme dopo le fatiche della pappa
Amorino vieni da me che ti inondo di coccolineeeeee!
Nasi nasi a tutti!
giovedì 4 febbraio 2010
Come in una bolla
Ecco come mi sento da quando sono tornata dalla Sicilia.
Quattro giorni di relax, di dolce far niente, in compagnia degli zii e basta, con il naturalista rimasto a casa a far da cat sitter alla micina-vomitina che ha pensato bene di ammalarsi proprio alla vigilia della nostra partenza, che poi è divenuta solo mia perché solo io ci sono andata.
Che esperienza strana! La prima volta che vado dai parenti siculi "da sola"!!!!
Prima sempre con i genitori e la sorella, poi con il naturalista e ora solo io. Boh?
In compenso ho potuto approfondire meglio l'arte della sartoria grazie alla sorella di papà, la zia sarta, che mi ha cucito una borsetta prendendo a modello una semplice borsina di stoffa che aveva: le è bastato dare uno sguardo alla borsina, vedere come era stata cucita, come era stata inserita la fodera e via, è partita a razzo, con la stoffa che avevo portato perché pensavo di cucire io la borsetta, sotto la sua supervisione, e invece ^__^. Spinta da brama cucereccia la zia ha cominciato a farmi vedere come fare il modello, come tagliare, come mettere al meglio l'imbastitura, come controllare le cuciture e come fare i segni per indicare il punto mediano della stoffa. Poi, non paga di ciò, mi ha spiegato e fatto vedere come fare il sopraffilo e intanto le sue mani si muovevano spedite sulla stoffa e io rimanevo a bocca aperta perché sembrava che l'ago vivesse di vita propria. Poi via, a fare l'impuntura con una macchina da cucire a pedali "Diamant" che apparteneva a sua suocera (è una macchina dei primi del '900) e la macchina filava via che era una bellezza! In neanche mezzo pomeriggio mi ha montato, imbastito e cucito la borsetta completa di fodera e bottoncino di chiusura. Io però l'ho aiutata togliendo i fili dell'imbastitura, eh! ^___^
Il bello è che poi mi ha anche detto: "Che strano, non avevo mai cucito borsette; abiti da sposa, camicie, vestiti, pantaloni, cappotti, giacche, mantelle, persino mutande, ma borsette ..." ed era tutta contenta.
Sottolineo che la zia in questione ha superato i settanta e cuce da quanto aveva dieci anni: non c'è storia! :-(((
E infatti sempre la zia cucitrice mi ha anche insegnato ad accorciare i pantaloni (che già accorciavo, ma non con la sua perizia) e come applicare una vezzosa strisciolina di stoffa alla base per renderli più "frou frou". Qui però sono riuscita almeno ad imbastire la strisciolinia di stoffa!!!!
Ho potuto anche approfondire l'arte culinaria, sempre grazie alla zia sarta e ad un'altra zia, tessitrice/sarta, preparando insieme a loro le collorelle, ciambelline ripiene di miele di zagara, semolino, buccia di mandarino grattugiata e mandorle tritate - ma c'è anche la variante con il mosto, gnam - e ricoperte da una semplice pasta fatta con farina, burro, zucchero e acqua, che tocca assaggiarle per comprendere quanto siano buone. A breve descrizione dettagliata delle collorelle (o "cuddureddi" - sembra più sardo che siculo). Quando le abbiamo preparate mi sembrava di rivivere la scena del film "La banda degli onesti", con Totò, Peppino e Giacomo Furia, nella quale i tre protagonisti si mettono a stampare i soldi falsi. Ecco, io e le mie zie "stampavamo" dolcini: e una stirava la pasta, e l'altra metteva il ripieno, e l'altra dava forma alle collorelle, meglio di una catena di montaggio. In un'ora e un quarto circa abbiamo preparato un chilo di dolcini che, ovviamente, sono finiti appena sbarcati in continente: tra me, il naturalista e alcuni amici che hanno avuto la fortuna di assaggiarli, praticamente in due giorni non ne sono rimasti più! ^O^
Ho avuto modo anche di visitare l'Archivio storico del comune di Grammichele, il paesino di nascita papà, a pianta esagonale fatto costruire dal principe Carlo Maria Carafa dopo il terremoto del gennaio 1693 che distrusse la cittadina di Occhiolà, e dove vivono ancora i fratelli del mio papino, la zia sarta e lo zio professore con la moglie sarta/tessitrice.
Grazie al lavoro delle archiviste ho potuto ricostruire in parte (solo per linea diretta al momento) l'albero genealogico della mia famiglia paterna risalendo addirittura alla fine del '700! Per me, archivista anch'io, è stata una piacevole sorpresa trovare in un paesino sì piccino, un piccolo archivio ben organizzato e gestito con competenza da persone che credono fermamente in ciò che fanno e nell'importanza di tenere in buono stato la memoria storica di una comunità.
Sì, è stata proprio una bella vacanza: e ho pure festeggiato il mio genetliaco in Trinacria! :-))
Zaludos!
domenica 24 gennaio 2010
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(immagine tratta dal sito http://www.flickr.com/photos/officialavatarmovie/4054081733/in/photostream, tutti i diritti riservati)
Per descriverlo rimando alla citazione fantozziana del film "La corazzata Potëmkin", però i paesaggi: per Eywa, che paesaggi! Le foreste e le montagne volanti! ^__^
E le citazioni da film, una su tutte Apocalipse now e l'odore del napalm (bè, l'odore non c'era ma gli elicotteri sì!).
(immagine tratta dal sito http://www.flickr.com/photos/officialavatarmovie/3841035755/in/photostream, tutti i diritti riservati)
E il 3D non è che mi entusiasmi particolarmente: sembra di vedere quei libri per bimbi che si aprono e ti vien fuori in tre dimensioni, appunto, la storia che si sta leggendo... non so se mi sono spiegata!
E i Na'vi (la popolazione in blu alta tre metri, simile ai Watussi) si salutano tutti con "Ti vedo", ma a me con quegli occhialini a montatura nera distribuiti all'entrata della sala, bah, credo mi siano partite un po' di diottrie! Però i paesaggi! ^__^
Ecco le montagne volanti
(immagini tratte dal sito http://www.flickr.com/photos/officialavatarmovie/4054823306/in/photostream, tutti i diritti riservati)
Salutammo, anzi no... vi vedo! :-)
domenica 17 gennaio 2010
In Bitinia e ritorno - 3a parte
(Veduta di Bursa dal monte Uludağ)
Ed è anche l'ultima di questo viaggio in terra turca iniziato a fine settembre, conclusosi agli inizi di ottobre ma il cui racconto ha avuto una gestazione che non finiva più. E infatti non sono riuscita a finirlo entro la fine dell'anno. Pazienza, godetevi ora il resto, rilassatevi, gustatevi la bevanda o la merenda che più vi aggrada e venite con me in terra di Bitinia per scoprire cosa è accaduto verso il termine della nostra permanenza in suolo turco: dove eravamo rimasti?
Ah, sì; finita la conferenza sui rospi e affini, finito il nostro giro in solitaria nei dintorni del Bafa Golü, ecco che la mattina del 5 ottobre, alle 7.30, partiamo dal Club Natura Oliva per riportare la macchina a Kuşadası, ove arriviamo circa un'ora dopo. Dal Sea Light Hotel, punto di incontro per il rilascio della macchina, ci facciam portare via taxi alla stazione dei bus a lunga percorrenza per poter prendere l'autobus di linea che ci porterà a Bursa. La stazione degli autobus ha una marea di linee e decidere quale scegliere è un'impresa, ma il fido tassista che ci ha accompagnato (e che per tutto il viaggio dall'hotel alla stazione degli autobus ha cercato vanamente di convincerci che lui poteva portarci a Bursa per la modica cifra di 200 lire turche - quasi cento euro) ci indirizza subito verso la compagnia nomata Kamil Koç. Ce piace. Facciamo il biglietto (parmi ricordare intorno a una cinquantina di lire turche in due) e ci chiedono pure il nome e cognome perché i biglietti sono nominativi e permettono la "riservazione" del posto sul pullmann: accipicchia.
Alle 10.00, ora locale, si parte. Le valigie nel vano bagagli, noi passeggeri nel vano passeggeri e via verso una nuova avventura che durerà sette ore O___o
Eh sì. Il viaggio da Kuşadası a Bursa tanto dura, ma almeno è stato scorrevole, con delle soste pipì che ci han permesso di riprendere fiato, con lo steward di bordo che passava in corridoio chiedendoti (in turco ovviamente) se volevi tè o caffè o acqua e consegnandoti anche un pacchetto di dolcetti. Capperi che servizio!
Quasi giunti alla méta agognata, ecco che viene effettuata un'ultima sosta alla stazione di servizio della compagnia con cui viaggiavamo; è una stazione extra lusso con area toilette veramente tenuta bene, area self service veramente ben fornita e area dolciumi-giocattoli-giornali anch'essa ben equipaggiata: sorbole! "Nel mentre che" noi sostavamo, due alacri addetti della compagnia, armati di tubo dell'acqua e spazzolone attaccato al tubo, lavavano il nostro pullmann togliendo sporco e "stanchezza" dalle pareti dell'automedonte. Capperi che servizio! (reprise). In marcia nuovamente e dopo un'ora e mezza circa ecco che la nostra méta si palesa: Bursa, con il capannone dell'Ikea vicino alla stazione degli autobus: ah, la globalizzazione.
(si vede l'Ikea in lontananza?)
(si vede l'Ikea in lontananza?)
Scesi dal pullmann il viaggio non era ancora finito perchè dovevamo giungere alla méta finale che era il villaggio ottomano di Çumalıkısık con il suo albergo: il Mavi Bonciuk! Eh, sembra facile a dirsi. Fortunatamente il naturalista aveva con sè le istruzioni per arrivare all'albergo fornitegli dalla proprietaria e scritte sia in inglese che in turco, ma a chi chiedere informazioni? Guarda, rimira: la stazione degli autobus l'è veramente grossa, tanta gente, tante compagnie, dove andare? O guarda, c'è un poliziotto, chiediamo a lui. Nè lenti nè zoppi, ci siamo diretti verso colui che ci avrebbe aiutato a dirimerci nel pantano delle indicazioni scritte soltanto in turco (ma li morta'!). Il poliziotto ha preso talmente in carico la nostra pena, perchè ormai eravamo sfranti per il viaggio e per il peso delle valigie, che ci ha scortato verso l'autobus che doveva portarci a una fermata ben precisa da cui, poi, avremmo dovuto prendere un dolmuş che ci avrebbe portato al paesello con l'alberghetto. Dopo aver istruito ben bene l'autista dell'autobus dicendogli dove doveva farci scendere (benedette le indicazioni in turco che aveva con sè il naturalista) ci saluta e mentre l'autobus sta per partire l'autista comincia a gridare a tutti i presenti sull'autobus che "turistas ingles ..." e poi non abbiamo capito nulla ma penso che volesse informare tutto l'orbe autobussacqueo che noi due dovevamo scendere a una fermata prestabilita e che quindi, se lui non se lo fosse ricordato, che se lo ricordassero i passeggeri! Ma che gentile. Inizia il viaggio sull'autobus n. 92 che subito si riempie e resterà sì pieno fino a quando noi non scendiamo, ossia almeno una buona mezz'ora dopo che siamo partiti dalla stazione degli autobus. Panf, panf. Io già cominciavo a sentirmi una profuga dispersa, con le valigie da portare ma soprattutto con il "poster" del convegno che dava più impiccio che altro. Uffi! Quando giungiamo alla fermata stabilita (l'autista si ricorda e grida "turistas ingles ... bla bla bla", facendoci segno di scendere) siamo aiutati da altre persone scese con noi le quali quando sentono che dobbiamo andare a Çumalıkısık ci indicano la fermata del dolmuş, a pochi metri da quella dove siamo scesi; combinazione il dolmuş per il paesello passa proprio in quel momento ma: aspetta! E' stracolmo! Naturalista, forse nun je la famo a salicce, prendiam.... "salta su!" Presa dal naturalista e aiutata da un gentile omino che sale con noi vengo sbattuta contro le signore in piedi che affollavano il dolmuş (e vi assicuro che basta poco per affollare questo mini autobussino) e via, verso il paesello. E cerca de mette bene er poster, assicurete che lo zaino che hai sulle spalle nun spiaccichi quarcuno, forse è meglio se lo togli, controlla che la valigia rimanga in posizione eretta e non si sfragni contro i piedi di qualcun'altro ... insomma, il viaggio continua nel dolmuş ma anche in questo caso sembra non finire mai. Ma come? scendono tutti, possibile che il paesello ancora latiti? Il paesello è proprio al capolinea e infatti noi due siamo stati gli ultimi a scendere: Ah grazie! (non ci hanno neanche fatto pagare la corsa intera: una lira turca invece di due, mah?). Ma la pensione? Eh, seguite i cartelli, andate avanti che nel paesino ottomano le macchine non possono circolare, le strade sono fatte di ciottoli e la pensioncina te la devi cercare da te con tutto l'armamentario in spalla: ma porc.... vabbè, segui le scarne indicazioni, trascina la valigia, trascina lo zaino, trascina 'sta cippa di poster. Ad un tratto sentiamo "Hoşgeldiniz" ossia "benvenuti" pronunciato da una signora anziana intabarrata che passeggiava per le viuzze del paese insieme ad un'altra signora intabarrata. Ah grazie! "Gentile signora, ma il Mavi Bonciuk unne cappero è?" "Più avanti", ce lo dice facendoci segno di avanzare indomiti, e avanziamo. Insomma, dopo una decina di minuti di camminata per il paesello (qui le foto per rendersi conto di come stanno messe le strade)
arriviamo alla méta agognata e finalmente possiamo RIPOSAREEEEE!!!
La struttura della pensione è stata ricavata da una vecchia casa ottomana ma il posto è veramente carino e il cibo gustoso anzichenò. Bene! La giornata è trascorsa tutta in viaggio e l'indomani ci attende un'altra avventura. Avventura che si dipana lungo il crinale della montagna che sovrasta Bursa, il monte Uludağ ("montagna possente") conosciuto anche con il nome di "Olimpo della Misia", derivante dal nome della regione storica in cui si trova, la Misia, in senso stretto, o, se la prendiamo in senso estensivo, la Bitinia. La città di Bursa, infatti, nell'antichità era conosciuta con il nome di Prusa ad Olympos. Il monte è luogo di vacanza invernale per chi ama sciare e si può salire ai suoi impianti e alla cima grazie a una teleferica, ma noi, ah! noi non siamo rammolliti e bolliti e preferiamo andare a piedi e godere della bellezza della natura ("Ma a me me fanno male i piedi!" - "Cammina che ti fa bene!" - Sigh!)
E allora iniziamo l'ascesa a questo monte ricco in ciliegi e, soprattutto, castagni. La giornata, in pratica, è trascorsa girovagando per i boschi, incontrando locali che andavano - o venivano - dai loro appezzamenti di terra posti lungo buona parte del sentiero che portava in cima alla montagna; incontrando taglialegna che facevano il loro duro mestiere unitamente a delle "taglialegna" donne che per stazza e conformazione facciale nulla avevano da invidiare ai loro colleghi maschi ... mizzica :-O
Gente forte e silenziosa che manco ti saluta quando passi, ti squadra e basta e tu ti senti un attimo a disagio, ma è un attimo eh! ^__^
L'ascesa al monte è stata tranquilla grazie a un sentiero ben segnato e ben battuto dai contadini che in alcuni punti hanno delle piccole aree coltivate a mele, lamponi, ciliegie... gnam! Ma il piatto forte erano le castagne. A ogni passo una castagna, no due, no tre, no tutto er castagnaro! E io nel mio piccolo, a fine giornata ho riportato giù a valle almeno un mezzo chilo di castagne.
La sera a cena nel ristorantino della pensione, molto caratteristico non solo perchè ricoperto al suo interno interamente di legno, ma perchè vi era una zona nella quale potevi stare seduto su dei cuscini e mangiare praticamente quasi per terra. Nota bene: in tutte le case e soprattutto nelle zone dove ci sono tappeti ci si toglie le scarpe quindi ... controllate i calzini e lavatevi bene i piedi. Noi infatti, nelle stanze da letto poste al piano superiore della pensione, dovevamo lasciare le nostre scarpe in fondo alle scale e salire o con le calze che avevamo indosso o con delle ciabatte fornite dalla pensione che, però, erano già state usate dagli ospiti precedenti. Fate vobis. ^__^
Il giorno dopo, invece, Bursa ci attendeva in tutto il suo splendore. Viene chiamata la città verde non solo per il verde botanico che la circonda e che inframmezza anche la città grazie alla presenza di numerosi giardini, ma anche perché notevole è la presenza di molti monumenti costruiti utilizzando smalti verdi. E' anche conosciuta per la produzione del cotone e della seta e se capitate nel bazaar vi assicuro che vi sbizzarrirete non poco!
Per la storia della città rimando a questo link, per l'avventura vissuta da noi continuate a leggere il resoconto ^__^.
Poichè ormai siamo avvezzi a muoverci come i locali, altro non abbiam fatto che prendere il dolmuş che ci ha portato quasi al centro della città. Da qui abbiamo iniziato la nostra scarpinata che ci ha portato a visitare: la moschea della Muradiye, costruita attorno al 1426-27, con a fianco il cimitero in cui si trovano 11 mausolei che accolgono le spoglie del sultano Murat II e di membri della famiglia imperiale. Le tombe reali, o di personalità importanti per le quali si costruisce un mausoleo, sono sempre rivestite di un panno verde (il colore dell'Islam poichè il verde rappresenta il paradiso) e per identificare le sepolture maschili da quelle femminili è semplice: su quelle maschili svetta sempre un turbante, su quelle femminili non c'è nulla.
Il cimitero della Muradyie
Il cimitero della Muradyie
Proseguendo per la Altıparmak Caddesi abbiamo costeggiato il mausoleo di Orhan e di Osman, per finire nella cittadella (Hisar) per godere del panorama e fermarci a prendere un gelato e una "bibbita" perché le condizioni climatiche volgevano al caldo abbastanza afoso. Ripartiti per la nostra visita siamo giunti in Atatürk Caddesi dove si trovano la Ulu Cami (cami in turco significa moschea) e la Orhan Cami e da lì il topino nel formaggio che era in me si è sbizzarrito poichè proprio vicino alla Ulu Cami c'è il bazaar che sembra non finire mai per quanto è lungo, lungo, lungo e anche nuovo. Consiglio una visita perchè ci si passeggia bene e ci si compra anche bene.
Questo è il bazaar coperto nel settore riservato agli "scarpari". Ogni bazaar ha un settore proprio così vi ritroverete a passeggiare per lunghi viali ove troverete solo scarpe, in altri solo abiti, in altri solo prodotti per la casa, in altri solo cibo e così via. Almeno se hai le idee chiare sai già dove andare!
Quest'altra foto, invece, mostra il bazaar all'aperto. La copertura nuova che si vede sullo sfondo va avanti per parecchie centinaia di metri, ma veramente per parecchio, sembrava non finisse più! O___o
Questo è il bazaar coperto nel settore riservato agli "scarpari". Ogni bazaar ha un settore proprio così vi ritroverete a passeggiare per lunghi viali ove troverete solo scarpe, in altri solo abiti, in altri solo prodotti per la casa, in altri solo cibo e così via. Almeno se hai le idee chiare sai già dove andare!
Quest'altra foto, invece, mostra il bazaar all'aperto. La copertura nuova che si vede sullo sfondo va avanti per parecchie centinaia di metri, ma veramente per parecchio, sembrava non finisse più! O___o
Ma riprendiamo la visita giungendo finalmente alla Yesil Cami ossia la moschea verde, il cui nome deriva dalla sala di preghiera rivestita di piastrelle di maiolica verde azzurra: molto suggestiva e bella da vedere. Opposta alla Yesil Cami c'è lo Yesil Türbe ossia il mausoleo verde che accoglie le spoglie di Maometto I e dei suoi tre figli.
Ecco come si presentano i due monumenti:
Arrivati a questo punto della visita, compiuta interamente a piedi (ahiaaaa) nun je la famo più e decidiamo di tornare in albergo riprendendo la metropolitana (Bursaray) e poi il dolmuş per Çumalıkısık, tanto ormai ... Che giornatona! Ma ne valeva la pena perchè Bursa, o per lo meno i suoi monumenti principali, può essere visitata comodamente a piedi. Certo, poi la sera.... ahiaaaaa!
Serata tranquilla in pensione e giretto serale per la cittadina che non offre svago alcuno e quindi se ne semo ritornati in camera anche perchè l'indomani ci attendeva: la grande traversata del mar di Marmara.
E già perchè se da Kuşadası a Bursa ci siamo andati via terra, da Bursa a Istanbul avremmo attraversato il mare. A pochi chilometri dall'antica Prusa, infatti, c'è il porto di Yalova da cui abbiamo preso, proprio cinque minuti prima che partisse, un "autobus del mare" (il Deniz Otobüsleri, i biglietti li avevamo comprati il giorno prima), che in due ore (viaggio tranquillo e sonnacchioso) ha percorso il tragitto marino che separa Bursa da Istanbul e per le undici già eravamo nell'antica Bisanzio.
L'interno dell'autobus del mare
Si vede che siamo a Istanbul? La Moschea Blu e AyaSofya si stagliano sullo sfondo
Haydarpasha, la stazione ferroviaria di Istanbul nella sponda asiatica
Aaaah! Che colori, che suoni, che caos! O__O
Aaaah! Che colori, che suoni, che caos! O__O
Prendiamo il metro di superficie da Kabataş fino a Sultanahmet, dove avevamo prenotato l'hotel Ararat. Quando giungiamo alla méta (sempre con le valigie, lo zaino e il poster del congresso dietro) ci dicono che la nostra stanza è l'unica che è stata colpita da una strana maledizione turcomanna per cui: l'idraulico non sa quando finirà il lavoro, il tecnico di non so cosa non sa quando finirà il lavoro e quindi ci mandano in un altro albergo distante una cinquantina di metri, dove pagheremmo la stessa cifra che avremmo pagato all'Ararat. No, nessun sovraprezzo. Va bene, annamo (a me eran già partite le trombe per questo inconveniente). Giunti all'hotel: ma, ma, ma ... ma che razza di hotel è? Bè, in confronto all'Ararat sembrava un hotel uscito direttamente da un film degli anni '50. E vabbè, se proprio non c'è altro, accontentiamoci, ma non dopo aver messo in croce con le mie trombe il santo_subito_naturalista che cercava di convicermi che era pur sempre un hotel dignitoso e soprattutto posto al centro della città, vicino ai monumenti più importanti e alle stazioni della metro e dei battelli che solcano il Bosforo. E vabbuò! Rimaniamo all'hotel Park.
Ma la giornata non è ancora finita. Dopo aver disfatto le valigie, esserci presi un attimo di tregua, decidiamo di andare a pranzo e poi via, al Bazaar delle spezie. Quanto me intriga 'sto bazaar, ci passerei ore e ore e ore. Ma non è che potevo monopolizzare tutto il tempo per me per cui, sì abbiamo fatto un bel giretto, comprato qualche spezia ma soprattutto l'hennè da dividere poi con le compagne _capellone_ di sventura quando sarei rientrata a Roma ^___^
Rientrati stanchi ma soddisfatti, ci siamo riassettati e poi via... da Hüsrev! E che d'è? Eeeehh, storia lunga è? In uno dei suoi primi viaggi in Turchia, quando ancora bazzicava la zona di Rize, il naturalista scoprì un ristorantino specializzato in "fagioli". Sì, proprio fagioli, cucinati in tutte le salse. Avuto questo imprinting fagiolesco non è più riuscito a riprendersi tanto che quando siamo andati a Rize, nel 2007, una puntatina in questo ristorante è stata fatta. Ma l'apoteosi, la goduria maxima per lui è stata quando ha saputo che tale ristorante, Hüsrevappunto, aveva aperto delle filiali anche a Istanbul, e che una di queste era raggiungibilissima con la metro che passava a Sultanahmet: ah, allora! ^___^
Ordunque, prima di uscire per la spedizione punitiva al bazaar delle spezie il mio delizioso consorte incarica la reception dell'albergo di prenotare due posti in detto ristorante, hai visto mai che fosse pieno, e poi, tutto contento e gioioso, al ritorno dal bazaar, si prepara per la missione "fagiolo".
Prendiamo il tram di superfice (linea M1) e scendiamo alla fermata di ... capperi non ricordo, ma era dopo Fındıkaze, credo ... me pare... non so.
Era abbastanza presto, quasi le otto, e nel ristorante c'eravamo solo noi, un'altra coppia di turchi e un cameriere a nostra disposizione che già attendeva il nostro arrivo. Ma era tutto troppo bello per essere vero: in primis, nessuno in quel locale parlava inglese per cui abbiam dovuto dare fondo alle nostre poche parole di turco e all'ausilio del vocabolario per comprendere qualcosa, poi, maxima iniuria: non avevano la zuppa di fagioli! Ma come? Ce vengo apposta dall'Italia? E no, per quella giornata non era disponibile. Vabbè, già che ci siamo ordiniamo zuppa di lenticchie, bulgur, cetrioli in yogurt e come bevanda l'ayran! Molto buono, veramente molto buoooono. Prima di andare via, però, ci assicurano che la "fajiulada" ci sarà sabato e allora prenotiamo direttamente un'altra serata al Fagiolaro turco per sabato: sarà la resa dei conti finale! ^__^
OK, terminiamo la serata con una passeggiatina post prandiale per andare a prendere il tram due fermate oltre quella in cui siamo scesi e viaaaa verso l'albergo. Burp.
Il giorno dopo la giornata è tersa e cristallina e noi siamo pronti per effettuare il nostro giro sul Bosforo. I più attenti forse ricorderanno che tale giro l'abbiamo fatto già due anni fa, ma quella volta ci eravamo fermati nell'ameno paesino di Kanlıca e non eravamo arrivati fino alla punta estrema del Bosforo. Adesso, invece, je dovemo da' sotto, fino alla fine dobbiamo arrivare, e così facciamo. Quindi, via dal molo di Besiktas con il traghetto che parte alle dieci e arriva fino al villaggio di Anadolu Kavagi (sulla sponda orientale, ultima fermata del viaggio) all'estremità nord del Bosforo, intorno a mezzogiorno. Il viaggio sul Bosforo vi permetterà di vedere Ortakoy, il Dolmabace, il villaggetto dello yogurt, ossia Kanlica ma soprattutto le casine in legno che si affacciano sul mare e che sono uno spettacolo a vedersi.
All'estremità nord l'unica cosa da vedere sono i resti di un'antica fortezza denominata "dei genovesi" - va a sapere perché, eh? ^__^ - raggiungibile dal porto dopo una passeggiata di mezz'ora in salita, ma salita erta... panf, panf, panf. Mamma mia che pettata* La veduta però vale proprio la pena, tiè ammirate
Lo sbocco verso il Mar Nero... lo vedete laggiù il Mar Nero? ^___^
Altra visuale dello sbocco del Bosforo nel Mar Nero
fatta edificare dai bizantini e restaurata prima dai genovesi e poi dagli ottomani, non solo assolveva a una funzione difensiva ma era il principale punto di riscossione dei pedaggi per chi transitava da e per il Mar Nero! Wow! E la vista che si gode da lassù è veramente fantastica perchè è a perdita d'occhio: da una parte il Bosforo e dall'altra il Mar Nero.
I tempi però erano ristretti assai. Il traghetto che fa tale escursione, infatti, ha orari molto rigidi: si parte alle dieci dal molo di Beşiktaş, si arriva a mezzogiorno alla punta estrema - Anadolu Kavağı e si riparte che sono le due e trenta quasi le tre (parmi più le tre però). In questo modo per le cinque si è a Istanbul. Vi assicuro che fra scendere al porto, farsi la pettata*, rimirare le quattro pietre quattro che sono rimaste della fortezza, ridiscendere passando attraverso strategici ristorantini messi apposta per far rifocillare i turisti (vedi foto)
(Qui si vede il Bosforo e più in basso, ma molto più in basso, c'è il porto; si intravedono i ristorantini per turisti affamati dopo la salita verso la fortezza! ^__^)
giungere al porto dove ci sono altri ristorantini, rifocillarsi e poi riprendere il traghetto, in due ore e mezzo je la si fa! Giuro!
Giunti a Istanbul, altro giro per mercatiniiii! Tornati in albergo ci attendeva una sorpresa. Per chi non lo sapesse, Istanbul è una città per gatti: gatti ovunque e perunque hanno preso pacifico possesso della città. Bene, quando siamo tornati in albergo vediamo dei micini all'entrata fra cui un gattino nero molto giocoso e coccoloso. Io mi sciolgo e comincio a giocarci e così il naturalista. Passato un po' di tempo decidiamo che è tempo di ritirarci e saliamo in camera, ma non facciamo in tempo a chiudere la porta e poggiare a terra tutta la rumenta che avevamo con noi che sentiamo in corridoio un flebile miagolio. Ma non è che se semo sbagliati e viene da fuori? No, no, il miagolio prosegue. Apriamo la porta e chi ti vediamo in corridoio, proprio quasi davanti il nostro uscio? Il gattino nero immediatamente ribattezzato Karadeniz (ossia Mar Nero) che senza farsi pregare entra in stanza e da lì non si muoverà più se non dopo un'intensa ora di coccole e giochi che il micino si fa fare senza un lamento. Sul fronte coccole, poi, era un porcellone dato che andava in estasi felina appena accennavamo ai grattini sotto il mento. Ad un certo punto, ha puntato dritto alla porta, si è messo ad aspettare e quando l'abbiamo aperta, viaaa, verso la libertà. Ma pensa te! ^__^
Serata tranquilla per Istanbul e a nanna presto che l'indomani ci sarebbe stato un altro tour de force. Il naturalista, infatti, aveva predisposto la visita di una parte della cittadina e di alcuni monumenti che nei viaggi passati non avevamo ancora visitato. Va bene e quindi: ad AyaSofia ma non a visitare la ex chiesa bensì le tombe di alcuni sultani, delle loro mogli e dei loro figli e figlie. E' il complesso dell'ex battistero rimesso a posto da poco e visitabile "aggratise". Non ci facciam pregare ed entriamo ed effettivamente la visita vale la pena
Vale la pena soprattutto per la presenza di alcuni mici fra cui un micionzo coccolonzo (nella foto, il micio che fa lo gnorri)
che ad un certo punto, mentre il naturalista è seduto a studiare il da farsi, gli gira intorno e piano piano si abbarbica sul suo braccio per salire sulla sua spalla e rimanere in quella posa per un bel po':
non accenna affatto a scendere neanche se il naturalista si incammina o fa qualche foto! Diventiamo gli zimbelli, ma neanche tanto, degli addetti alla sicurezza che ci guardano ridendo e si divertono alle nostre spalle. Boh? Forse non avevamo mai visto il loro gattino fare simili scherzi? Scrivo "loro gattino" poiché quando io e il naturalista siamo usciti dal giardino del battistero, siamo, anzi, il naturalista è stato costretto ad "abbandonare" il micino che, tuttavia, è stato subito accudito da un addetto alla sicurezza che gli ha portato dell'acqua. Quindi il micio è il vero pascià del giardino delle tombe ottomane! ^__^
Ci siamo poi recati al Gran Bazaar dove però m'è presa l'angoscia da luogo troppo affollato e me ne sono andata via dopo poco tempo (e sì che però il bazaar delle spezie l'avevo affrontato bene). E allora via verso l'Università, un tempo sede di un ministero credo fosse quello della guerra
e verso l'acquedotto di Valente (iniziato da Costantino e fatto terminare dall'imperatore Valente nel 378 d.C.) che mi ha fatto sentire come se stessi a casa, qui a Roma perché, non scherzo, mi sembrava di stare all'Alessandrino dove l'acquedotto omonimo viene attraversato da una grande via (la Palmiro Togliatti). Qui a Istanbul la stessa cosa! ^__^
(Roma, Roma, Romaaaa, core de 'sta città ... ahem, no!)
La giornata, quindi, è continuata con visite a moschee e a zone di Istanbul poco battute dai turisti. Consiglio, nel caso si visiti uno dei bazaar, di andare oltre il bazaar coperto e proseguire e vedere anche i negozietti che sono al di fuori dei bazaar "istituzionali" perché si possono fare dei veri affari!
Rientrati un po' sfranti dal giro veniamo accolti ancora da Karadeniz che, nè lento e nè zoppo, ci segue fin su in camera e rimane anche stavolta con noi a giocare e farsi coccolare! Caro micino, chissà se alla nostra prossima visita bizantina ti ritroveremo! Ci prepariamo, però, ad affrontare la seconda visita da Husrev: è sabato e ci hanno promesso i fagioli. Si riprende la metro, si riscende alla fermata il cui nome adesso non ricordo, e al nostro ingresso "O salve, come state, tutto bene? Prego accomodatevi" (Tutto in turco, ovviamente, ma data l'intonazione e qualche parolina che conoscevamo il senso era quello). E i fagioli c'erano!!!! Sìììì, fajiulada per tutti, bè, no per me no perchè c'è la carne in mezzo, ma mi son difesa con una discreta zuppa di lenticchie e con una generosa insalata, il tutto accompagnato dall'immancabile, per me, bevanda ossia l'ayran!
Anche in questo caso, per digerire il tutto abbiamo fatto una passeggiatina serale, ripreso la metro, rientrati in albergo e ... via a preparare i bagagli perchè l'indomani, 11 ottobre, alle tre e mezzo di mattina ci veniva a prendere il minivan che ci portava in aeroporto: avevamo il volo per Roma alle 6.15 Yaawwwnnn!
E qui finisce l'avventura turca della Morrigan e del consorte naturalista. 15 giorni passati in un attimo ma che hanno lasciato dentro di me la voglia di ritornare in questo paese, di vedere nuovamente Istanbul ma di andare a scoprire anche nuovi posti. Non so perchè la Turchia mi fa questo effetto, non so se soffro di mal di Turchia, ma è un paese che ha lasciato dentro di me una sensazione come di già vissuto, come se conoscessi quei posti, ci fossi già stata. Insomma una sensazione di "eccomi, sono tornata a casa". Poi, per carità, anch'io mi faccio prendere dai cinque minuti, dalle cosiddette trombe, per cui non mi sta bene nulla, è tutto un disastro, ma dura poco perchè so che non dipende dai turchi o dal paese ma da me e da come affronto le situazioni.
Cari lettori, se siete giunti fino alla fine senza boccheggiare e senza essere caduti in catalessi vi ringrazio e spero che questi piccoli appunti, questi ricordi di viaggio possano risultare utili per un "vostro" viaggio nel paese della Sublime Porta.
Salutammo
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PETTATA - Sost.vo Sing. F. - Breve tratto di strada che aumenta la pendenza in maniera notevole, non sempre pedalabile. Simile alla greppiatina, ma la P. si distingue perché si trova generalmente sul percorso principale. Può essere anche asfaltata (sic!) – (dal Dizionario Gumasiano ^__^)
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