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martedì 29 maggio 2007

Richiedi la tua EnoCard compilando l’apposito form

Maggio dei Monumenti a Napoli 2007

“Come ogni anno, anche questa primavera vedrà protagonista Napoli città d’arte nei week-end che vanno dal 27 aprile al 27 maggio 2007, la città partenopea sarà teatro di manifestazioni culturali e di eventi ad alto contenuto artistico. Monumenti e collezioni private, che normalmente restano chiusi durante l’anno, saranno accessibili e visitabili, in taluni casi anche gratuitamente.
Passeggiate tematiche nel centro storico ed itinerari selezionati integreranno il già vasto calendario di appuntamenti.”

La XIII edizione del Maggio dei Monumenti ha per tema conduttore: I Misteri di Napoli, Esoterismo, leggende, superstizioni, riti scaramantici, culto dei morti!

Caspiterina!

Inoltre richiedendo la Enocard tramite Internet potrai partecipare in prima persona al grande evento multimediale che si terrà a Napoli, presso la Grotta di Seiano dal 26 maggio al 3 giugno 2007. La Grotta di Seiano, luogo simbolo di una Napoli antica e moderna è, nell'immaginario collettivo, luogo che rappresenta un insieme di bellezza e paura, buio e luce…palestra del sommo poeta dell'antichità Publio Marone Virgilio.
La card, oltre a rappresentare il gadget dell’evento dà diritto all’ingresso gratuito alla Mostra/Installazione e offre ai possessori il concerto di Peter Schwalm, sabato 26 maggio, presso l´Odeon del sito archeologico fino ad esaurimento posti.

Per prenotare la Enocard, basta iscriversi compilando l’apposito form presente su questo sito:
http://www.brianenofornaples.com/index.php

O perBacco, Bacchino!

Che modernità e che vini che ci saranno!?! Sicuramente campani, per Bacco!
Quasi quasi informo anche Violacea così la conosciamo.

Detto, fatto! Il sabato è combinato, così Ciccina non potrà più dire che non usciamo mai.
Ci iscriviamo.
Perfetto.
Certo questo Peter Schwalm non è che lo conosciamo proprio bene (ah, beata ignoranza) ma non è certo la solita musica (ed è già qualcosa).

Tra l’altro l’evento ci regala la possibilità di rivedere il complesso archeologico del Pausilypon romano del I secolo a.c. che ha un grandioso accesso con la Grotta di Seiano. Si tratta di un tunnel artificiale che, traforando la collina di Posillipo, congiunge Coroglio con la Gaiola, in pratica dopo 800 m. di percorso sfocia in un’area archeologica con un Anfiteatro da 2000 posti e un perfetto Odeon (per le rappresentazioni più intime) in ottimo stato di conservazione. Inoltre si affaccia su un tratto di mare bellissimo da fare invidia ai migliori panorami di Capri!
Un posto suggestivo e incantato.
Vedi qui, quo e qua.

Com’è, come non è, il sabato passa potando il legno secco delle rose (io), legando rampicanti (io), strappando erbacce (io), concimando le piante (io), trapiantando le nuove spezie (io), buttando il veleno (antiparassitario) (io), riempiendo 5 sacchetti di rifiuti organici (io), scopando e lavando a terra tutto il terrazzo (io), innaffiando (sempre io) mentre Ciccina è fuori a vendere e comprare moto e le ragazze lo sa solo iddio.
Ciccillo potete vedere da soli cosa ha fatto tutto il giorno.



Quando fa così lo odio.

Giunta la sera ci chiediamo se mangiare qualcosa prima di andare al concerto ma prevale la tesi light perché con il vino ci sarà sicuramente companatico! Segue un breve dibattito su come raggiungere Coroglio, strada stretta e accidentata che non consente facile parcheggio (ma dove è facile il parcheggio a Napoli?).
Deciso, andiamo con la moto di Ciccina (la polisportiva).
E via, con caschi (quello di Ciccina ha le orecchie posticce dell’orso Ciccione attaccate sopra) e giacchini, guida Ciccina (io non so neanche metterla in moto la moto).
Fino a Posillipo tutto bene poi prima buca.
Dico “Umff” per l’insaccata. Grida lei all’indietro: “Che c’è?”.
“Niente”.
Seconda buca: “Auch!”
Lei: “Come hai detto?”
“Niente, niente.”
Terza buca, si sbullona la cervicale e: “CRIBBIO!”
Lei: “Allora?”
“ALLORA CHE?” faccio io con il collo incriccato.
E anche un po’ aggressivo.
Lei: “che succede?”
Io: “niente, niente, non ti preoccupare.”
“Sto cercando di evitarle (le buche).”
L’omissione mi dichiara che sa bene cosa sta succedendo.
Si sente in colpa e forse non sta facendo tutto quello che potrebbe fare per evitarle le buche (visto? Io non ometto).
Alla fine si giunge in qualche modo.
Scendo dalla moto dolorante e intorpidito e ci avviamo alla fila.



Ci lasciano entrare a piccoli gruppi per percorrere lo splendido tunnel semibuio allietati da incursioni sonore inquietanti e rarefatte tanto che verso la metà il gruppo si sgrana e cominciano i sorpassi. I giovani allungano il passo seminando il resto del gruppo. Noi manteniamo la posizione a fatica, solo perché siamo abbastanza allenati. 800 metri in salita in 11 minuti netti.
Non male.
La suggestione continua alla fine del tunnel dove tutta l’area degli scavi è illuminata con candele a terra. Ci si vede poco ma è bello.
Ci guardiamo intorno cercando qualcuno da salutare.
Niente, che strano?! In genere incontriamo sempre qualche amico, ma questa è gente mai vista.
Boh!?
Cerco con lo sguardo le istallazioni, niente.
I chioschi, niente.
I box, niente.
Le roulotte, niente.
Le botti, niente.
Mi risolvo a chiedere ad un indaffarato omino arancione (protezione civile, non buddista) dove sono i rinfreschi.
Mi guarda interrogativo.
Mi chiedo cosa ci sia da guardare e da non capire.
Gli mostro la Enocard e chiedo: “Allora dove è l’evento?”
Mi guarda stupito ed esclama: “ma è questo l’evento!” e fa un gesto vago ad indicare tutta l’area e una platea di seggiole.
Tra me e me penso di aver incontrato un rincoglionito poi mi calmo e mi dico che lui è addetto alla sicurezza mica alla cultura?
Insomma, in preda a foschi presagi, mi giro, rigiro e raggiro tra un odeon e un anfiteatro, tra un dirupo e una staccionata, niente.
Non c’è niente, neanche un bar.
Il nulla solidificato.
Sconvolto afferro il Protettore Civile di Napoli per il bavero e gli urlo: “e la toilette, dov’è la toilette????”
“All’ingresso.” E si allontana un pò seccato.
Ventidue minuti per una pipì. Troppi. Lo spettacolo sta per cominciare.
Un uomo invisibile fa “scià, scìà, prova” e comincia a ringraziarci di essere intervenuti a questa serata voluta da Braian Ino e dedicata a Napoli.
Mi cominciano a ronzare le orecchie, mi dico che è la cervicale.
Ciccina preoccupata mi fa sedere tenendomi per il braccio.
Invisible Man continua: “…questi i fondamenti del progetto voluto dal curatore e che Brian Eno ha sposato per Napoli, a suo vedere città fortemente simbolica dalle infinite possibilità.”
Braian Ino, Brian Eno, Enocard che si pronuncia Inocard.
Non ci posso credere (ah, maledetta ignoranza).
Ciccina comprende e abbozza da gran signora (poco interessata essendo quasi astemia), l’esperto di vini sono io. E ho detto tutto.
Incomincia l’evento.
Shhhhh!
Sul palco un signore con un basso, un giovanotto o una signorina (non so, non vedo bene) che guarda un maxi-mini-schermo o un mini-maxi-schermo (cioè uno schermo che dovrebbe essere maxi ma per la distanza è mini), una biondina che guarda una specie di tastiera e Tonino il verdummaro di vico Freddo a Santa Maria, giuro che è lui!
Tonino ha davanti a se tre tastiere di computer e altrettanti monitor.
Li guarda per un po’ con una concentrazione degna di Giorgio Cagnotto prima dell’oro dalla piattaforma dei 10 metri.



E comincia.
Se i suoni ascoltati nel tunnel erano rarefatti, questi invece sono iterativi e ripetitivi.
Sono legati ad immagini che vanno e vengono, per lo più in bianco e nero.
Naturalmente suoni elettronici, un po’ freddi e distaccati, volutamente senza armonia.
Impossibili da fischiettare, tanto per capirci.
Sullo schermo compaiono immagini prima geometriche poi con una ripresa a pelo d’acqua di mare agitato, rollio.
Comincio a sentirmi lo stomaco e penso di aver fatto bene a non mangiare.
Ad ogni pausa ti viene da battere le mani per festeggiare la fine, ma non si sa se è finita sul serio ed ho paura della figuraccia.
Mi rannicchio sulla sedia impilabile in vera plastica. Mammina mia che scomoda che è.
Tonino, il verdummaro di vico Freddo a Santa Maria, imperversa saltando da un pc all’altro.
Non capisco se le note le sceglie a caso improvvisando o c’è una logica (a me sfuggente).
Ogni sette minuti si sveglia l’uomo con il basso e spara 2 arpeggi.
Non capisco se le note le sceglie a caso improvvisando o c’è una logica (a me sfuggente).
Ogni 12 minuti si veglia la biondina e fa qualcosa che non capisco su un attrezzo inusitato.
Non capisco se le note le sceglie a caso improvvisando o c’è una logica (a me sfuggente).
Il giovanotto o la signorina (non so, non vedo bene) continua a guardare il maxi-mini-schermo (o mini-maxi-schermo che dir si voglia). Anche qui: Caso o necessità?
L’umidità sale dal mare e ci attanaglia nonostante i giacchini.
Dopo trenta minuti (30) finisce il primo pezzo. Lo capisco dagli applausi e dagli ululati entusiasti.
Improvvisamente mi sento vecchio, disadattato come in una poesia di Alda Merini.
Ciccina mi guarda perplessa, legame empatico.
Comincia il secondo pezzo, gli ululati scemano (eh, eh, eh).
Shhhhhh!
Più o meno come prima, forse con una parvenza di ritmo per la comparsa di una batteria elettronica, of course, che non si capisce chi la suona. Tonino? La biondina?
Le immagini (sempre in bianco e nero) diventano verticali con un effetto illusorio di palazzi che “salgono” a cui, dopo un po’, si aggiungono nuvole che “scendono”, beccheggio.
Boccheggio.
Ciccina poggia il capino sulla mia spalla e si incastra perfettamente nel mio torcicollo. Mi rannicchio ulteriormente sulla sedia e piego la testa sui suoi capelli.
Li annuso soddisfatto, profumano da farmi rilassare.
Per due minuti esatti penso ad un impegno di lavoro della settimana prossima. Poi, forse la fame, mi ricorda che devo scrivere le ricette per il blog: quelle della grande cena.
Le conto, riso, 4 variazioni 4 di melanzane e pesce e il dolce di Pippotto, mammina bella 6 ricettuzze!
Poi la nuova sezione da inaugurare: CondiVisioni (Visioni di Condimenti) in cui riproduco le Vostre ricette, si proprio le VOSTRE!!!!!
Ho già fatte e fotografate la ciambella di carote degli Scriba, il pollo ai semi di papavero di Glo, l’esperimento n° X (che numero?, quando torno vado a vedere) di Lory, il flan di cipolle di Cavoletto, poi i fagiolini per Max ecc. ecc.
Tante altre sono ancora da fare!
Ma non è quello il problema, il problema è scriverci quattro sciocchezzuole vicino per raccontarvele sorridendo un pò. E per quello ci vuole tempo. Che ora non ho.
Allora mi avvilisco un po’ e la mente comincia a vagare lontano per evadere gli impegni, mi ricordo di quando andai a prendere mio fratellino malato a Fai della Paganella in meno di due giorni. Con l’auto di mio padre e con il mio amico/fratello che ora vive in USA.
Al ritorno mia madre mise mio fratello (quello vero, non l’amico) a letto e cucinò le linguine con i peperoncini verdi e pomodoro, alle 6 del pomeriggio. E chi le dimentica più le linguine con i peperoncini e il ritorno degli eroi!
Anche gli spaghetti alla Procidana si fanno con i peperoncini verdi però tagliati ad anellini e aggiunti al soffritto alla fine. E vogliono le alici fresche.
Mmmmhhh! Mi balena un’idea…
Quasi quasi…



Linguine, peperoncini e cozze!
Ma si! I peperoncini verdi li ho comprati e domani prendo le cozze.
Quindi si potrebbero fare con circa 1 chilo di cozze che pulisco e sbollento coperte a fuoco vivo, poi le svalvo e conservo l’acquetta di cottura.
Dopo lavo, asciugo bene e friggo in olio evo (per forza evo e dopo capisco il perché) i peperoncini verdi ma prima ne metto da parte una 15na per il sughetto. Man mano che friggo butto i peperoncini fatti (e per fatti intendo ancora verdi, mi raccomando che non devono dorare!) in una busta del pane (senza briciole) e aggiungo un po’ di sale.
Sacrifico quasi tutto l’olio del fritto ma ne conservo un velo che copre la padella dove butto 2 spicchi d’aglio e una punta di peperoncino (non è obbligatorio ma a me piace).
Mi seguite nel ragionamento?
Appena dorano li tolgo e aggiungo un mezzo chilo abbondante di pomodorini perini tagliati a metà (o schiattati come si dice da noi), li cuocio a fuoco vivace per … ma direi 6-7 minuti. Non di più perché sono buoni freschi.
Metto i peperoncini in un piatto fondo e aggiungo la salsa e tanto basilico ma conservo 4-5 cucchiai di salsa nella padella per dopo. Insieme ad una mozzarella di bufala faranno la loro figura.



Ci siete?
Io si, e mi lecco i baffi perché al pizzetto non ci arrivo ancora. Il contorno è fatto, se dio vuole (e perché non dovrebbe?).
Ora veniamo a noi e riprendiamo la salsa e la rimettiamo a fuoco vivo aggiungendo il sugo delle cozze bollite (ben filtrato ma che ve lo dico a fare…), direi, così a occhio (pardon, a memoria) 3-4 cucchiai, cioè a parità di salsa anzi meno e lascio andare mescolando con la cucchiarella. Il sugo perde il rosso e si arancia un po’. Va bene così, non vi preoccupate, è tutto calcolato.
Scegliamo la pasta.
È questo il vero problema! I peperoncini chiamano le languide linguine mentre le cozze implorano i vermicelli, duri e belli.
Che fare?
Ma, non so bene. Forse prevale il ritorno degli eroi.
Scelgo le linguine. Siete d’accordo?
Allora calo la pasta nell’acqua salata bollente (e con un cucchiaio di olio per non fare attaccare le linguine), 80 gr. a testa, va bene?
La salsetta, nel frattempo che rifletto e calo, si rapprende (che non è una cosa cattiva detta per un sugo), ci butto i rimanenti peperoncini tagliati ad anelli e le cozze sgusciate.
Scolo la pasta al dente, spadello per 2-3 minuti, aggiungo basilico e prezzemolo (si, tutti e due) e servo, che ne dite? Qualche cozza in più e fa da piatto unico.



“Flat?”
“Flat? Ti senti bene?”
“UHU!”
Non posso muovermi. Sono paralizzato.
“Flat, è finito, stanno andando via tutti.”
Sono indeciso se ho una tetraparesi spastica o una paralisi flaccida.
Forse quest’ultima è più credibile.
“AAAGRH, ho una paralisi flaccida, non riesco a muovermi.”
Mi hanno scollato in tre dalla seggiola di plastica. Uno era l’omino arancione.
Sorrideva soddisfatto.
Credo di essere uno dei pochi uomini al mondo capace di avere tre (3) mal di schiena contemporaneamente: alla cervicale (tra sesta e settima), alla scapola destra (apice supero mediale), e al passaggio dalla vertebra dorsale a quella lombare.
Al ritorno nel tunnel camminavo come uno zombie (per capirci).
Un bambino mi ha visto e si è messo a piangere.
Sorridevo soddisfatto.
Domenica si resta a casa.

Art performed by my little Daughter at Sunday morning (waiting for lunch)

mercoledì 9 maggio 2007

La prima sensazione fu di essere in vacanza con seppie, carciofi e cozze

fior di peperoncino

Forse non tutti sanno che (e forse ai più non gliene frega giustamente niente) che, in alcuni momenti dell’anno noi (a volte io da solo, sigh) si viaggia molto.
Se da un lato è bello perché si conoscono posti nuovi spesso belli, genti nuove spesso simpatiche, si conoscono anche trattorie nuove nelle quali si mette alla prova il nostro discernimento nel comprendere (da ignoranti quali siamo) cosa è tradizione e cosa innovazione nella cultura culinaria locale.
Non c’è dubbio che se è vero che la materia prima parla di mari e terre (disponibilità = tradizione) è nell’accoppiarsi degli elementi nella fucina alchemica dei tegami che si rivela (e rileva) la capacità innovativa, la giovinezza di un popolo, la capacità di ampliare il futuro.
Questo naturalmente vale per i paesi ricchi, dove c’è la possibilità, il lusso di scegliere di ingozzarsi fino a morirne o (semplicemente?) rifiutarlo anche qui fino a morirne.
Nel terzo mondo l’obesità è eccezionale e l’anoressia praticamente sconosciuta.
Ma c’è un altro indicatore dello sviluppo culturale di un popolo, di una città: il numero e/o la dimensione delle librerie.
In quasi ogni tappa, se il tempo ce lo consente, ci infiliamo in una libreria e ci vagabondiamo osservando, rispetto alle nostre consuete, la distribuzione dei libri, il risalto (o l’omissione) nell’esporre novità, classici, generi diversi.
Credetemi, si impara molto sulla “costituzione”, sulle aspirazioni, sulle abitudini degli autoctoni.
Recentemente a Forlì ne abbiamo visitata una ampia e bella sul corso principale, in assoluta assonanza ai nostri gusti (tutto è soggettivo!), ricca di generi diversi ben rappresentati, con un occhio attento alle novità (non solo l’onnipresente Wilbur Smith) ed ai gusti (eh, eh, eh), tra le decine di libri di cucina et similibus c’era veramente da perdersi ma non solo tra quelli.
Mentre Ciccina comprava “La cucina di Bahia ovvero il libro di cucina di Pedro Archanjo e Le merende di dona Flor” di Jorge Amado e Palma Jorge Amado (figlia) io mi sono perso, per esempio, sul un tavolo dedicato esclusivamente alla riedizione di Maigret de gli Adelphi.
C’erano praticamente tutti i volumi usciti sinora. Credo siano più di cinquanta rispetto ai 76 scritti da Simenon. Personalmente ne ho 47 in varie edizioni (di cui alcuni doppioni), compreso quelli di Mondadori con il dorso telato (da 200 £) comprati usati sulle bancarelle di Portalba a Napoli. Comprenderete bene (e giustificherete) la mia immersione total body in quei libri. Purtroppo, non essendo un bibliofilo ma un divoratore, dei titoli posseduti ne ricordo solo alcuni e, spesso, li confondo con quelli che desidero acquistare e che memorizzo in quel colabrodo della mia mente. D’altra parte il vizio di incellofanare i libri, seppure garantisce di comprare libri intonsi, impedisce agli smemorati una rapida scorsa chiarificatrice.
La naturale conseguenza è che spesso compro gli stessi libri più volte.
Insomma, per farvela breve, ne compro tre la cui lettura ho rimandata sino a pochi giorni fa, quando gli impegni di lavoro si sono momentaneamente diradati, e sono riuscito, di nuovo, a giungere al momento del temporaneo congedo non tanto stanco da non riuscire ad aprire un libro e leggere qualche pagina.
Il primo, “Il cavallante della Providence”, è andato bene, non l’avevo letto, ma mi ha lasciato una puntina di insoddisfazione in quanto, pur disegnando in modo efficace la psicologia dei personaggi (ovviamente in particolare dell’assassino/a) entra, a mio gusto, tardi nell’atmosfera e si sperde un po’ per fratte.
L’ho finito stanotte mentre aspettavo le dolci pulzelle (mie figlie) che rientravano dal crazy Saturday Night party che si svolge in questa città ogni week end.
Che devo fare? Loro sono grandi (20 e 17) ma io, come un cane pastore, se non sono a casa dormo male.
Stamane (un po’ rinco per avere fatto tardi, molto tardi) mi alzo e, mentre Ciccina (l’anima bella) prepara il caffè elenco le cose che dovremmo fare visto che è domenica: cambio di stagione (urgentissimo), terrazzo (pulire, tagliare, legare, concimare, affrontare cocciniglia e afidi imperanti, urgentissimo), cucinare per pranzo (moderatamente urgente), fare bucato (urgentissimo), pulire qualcosa o qualcuno (urgentissimo: la ns. polacchina è in ospedale perchè ha mangiato le cozze crude, ma ti pare a te che qualcuno a Napoli mangia ancora le cozze crude?).
Nel frattempo spunta il sole dopo diversi giorni di pioggia e Ciccina, atletica e sportiva com’è, non perde occasione, chiama un’amica e, in tutina (se ingrassa un altro chilo gliela nascondo, giuro) e scarpette, parte alla volta di Posillipo lasciandomi davanti ad una caffettiera ormai fredda. Solo, in tenuta notturna (vi assicuro, non è uno spettacolo edificante), con le figlie dormienti.
Vigliacca.
E magari vuole pure mangiare all’una.
Scendo presto a fare la spesa (qui si fa la spesa anche di domenica, per fortuna) per non affrontare gente. Purtroppo fa caldo e non posso mettere il cappotto sul pigiama allora mi lavo e vesto alla svelta (insomma non sembro proprio mister Dior).
Tappa unica il pescivendolo, lo guardo, ricambia, osservo i calamari grandi e belli, un po’ rosati, mi osserva con disprezzo, accarezzo con gli occhi le spigole greche lucide, sottecchia beffardo, mi allargo a destra verso la bacinella delle seppie, sorride soddisfatto, le indico e: “Me ne da un chiletto (da noi è tutto un vezzeggiativo) ben pulite?”
“Cumm’e vulite fa [Come le volete cucinare]?”
Domanda ovvia, imbarazzo gelido.
Come le voglio fare?
Mi viene in mente in una folgore, a spezzatino! Ma come glielo spiego?
Per favore le tagliate a parallelepipedi di 2 x 0,5 x 1 cm?
Non ce la faccio: “Ad anelli.” È un buon compromesso.
“E u nivure u bbulìt (e il nero lo volete [NB: la sacca del nero è un mio diritto essendo compresa nel prezzo in quanto le seppie sono pesate prima della pulitura])?”
“No grazie.”
Perdo punti (FdZ freme nell’aere internettiano per il mancato utilizzo del sacchetto ma a me il nero fa schifo).
Tecnocrati.com mi cancella dal rank.
“Quacch’ata cosa [Gradite altro]?” “No grazie. Anzi forse si, le cozze [belle, grandi, spagnole o adriatiche?] sono stabulate?”
Non perde tempo a rispondere: “Quante ne bbulìt?”
Mi svacco subito: “Un chiletto, [ci riprovo] ben pulite”.
“Dottò, e cozzeche ve pulit vuie”.
Me ne da 2 chili perché uno non serve a niente (questioni di sfrido, mi convince).
Pazienza.
Rientro rapido, strisciando sotto i portoni, nell’ombra del rifugio domestico tra i miei libri e fornelli accoglienti.
Scartoccio il pesce sul top Aiko, le cozze le metto a spurgare nel lavandino e riempio d’acqua, butto un po’ di sale grosso (è solo un intervento psicologico perché se sono stabulate non serve e se non sono stabulate non serve lo stesso, ma che vuoi fare?).
Guardo avvilito le seppie tagliate ad anelli.
Che fare [disse uno più grande di me]?
Riaccattorcio le seppie, mi dico che è presto, c’è tempo e le metto in frigo, in basso al ripiano della carne. Dopo vediamo.
Preparo un caffettino kimbo_oro (per le grandi occasioni).
Le figlie continuano a dormire. Ciccina continua a correre verso Posillipo.
Fa caldo, sul terrazzo l’aria è bella e il caffè non è venuto mica male.
Corsetta in camera a prendere il secondo libro di Maigret “Liberty bar” –Bar (della) Libertà- traduco dotto e mammolo.
Mmmmh, intrigante il titolo.
Sorseggio il caffè, accendo una sigaretta, pregusto e scartoccio.
Leggendo il risvolto di prima apprendo che l’amico George tra il 1931 e il ’72 ha pubblicato la bellezza di 76 romanzi e 26 racconti con il commissario Maigret. Perbacco! Mi faccio due conti aiutato dalla caffeina e dalla nicotina: 1,85 romanzi e 0,34 racconti/anno solo per Maigret per 41 anni consecutivi. E poi ci sono gli altri romanzi (belli anche quelli).
E io che mi lamento che non ce la faccio a postare una ricetta alla settimana!
Questo è stato scritto e pubblicato nel 1932, dunque uno dei primi!
Un romanzo di formazione (?).
Il risvolto racconta che il famoso commissario è ad Antibes, nella splendida Costa Azzurra di quegli anni, per indagare sulla morte di un uomo che gli somiglia stranamente!
Caspiterina!
Un (forse) ex agente segreto australiano, riservato, misterioso, duro in apparenza ma bonario, in cerca di una vita tranquilla (come lui, capisco).
William Brown (così si chiamava l’australiano) viveva con due megere (figlia sguaiata amante e madre volgare parassita) ma aveva una doppia vita: frequentava di nascosto “la casa dove non si parla mai del passato”. Il Liberty bar (dal risvolto: estremo rifugio di chi ne ha viste di tutti i colori e aspira solo all’oblio. Desiderio che forse cova anche in Maigret)!
Oh poffarbacco!
Mi metto più comodo con due cuscini (uno alla schiena e uno sotto le gambe).
Continuo dal risvolto di copertina: nell’atmosfera languida della costa Azzurra, il commissario giunge a dubitare di se stesso e della voglia di risolvere il caso.
Ma stiamo esagerando?!
Forse che l’innocenza del colpevole o la colpevolezza degli innocenti lo ferisce al cuore morale?
Un vago senso di colpa balugina anche alla mia mente.
Guardo le piante impidocchiate.
Mi dico solo un capitolo.

Traduzione di Ida Sassi.

Capitolo 1: il morto e le sue donne.
Incipit: La prima sensazione fu di essere in vacanza.
L’ho letto! Cribbio. Mannaggia al cellofan e a chi l’ha inventato!
E mo?
Leggo un altro po’.
Ricordo e non ricordo.
Vaghe reminiscenze di una storia bella.
Decido che non ricordo.

E rigirava meccanicamente fra le mani la fotografia di quel Brown che aveva la faccia tosta di assomigliargli.


Tic tac

Capitolo 2: parlatemi di Brown…

“Che cosa faceva di sera Brown?”

Allora il commissario entrò nel Liberty bar.


Tic tac

Capitolo 3: la figlioccia di William

Il bar era vuoto.

“Lei mi fa venire in mente William… quello era il suo posto… Anche lui quando mangiava posava la pipa vicino al piatto… Aveva le spalle come le sue… Sa che lei gli assomiglia?”. Si limitò ad asciugarsi gli occhi, senza piangere.


Tic tac

Capitolo 4: la genziana
Era l’ora rosata, ambigua, in cui l’umidità del tramonto si dilegua nella frescura della notte che si avvicina.

“Per favore, mi fa portare una bottiglia d’acqua?” chiese, avviandosi su per le scale.


Cribbio, ho dimenticato l’acqua minerale!!!!!!!!!!!!!!!!!
Che ore sono? Tardi, sono le 12.
Ricompattiamoci e salviamo il salvabile.
Nell’ordine:
via il libro;
svegliare le ragazze;
pulire le cozze;
cuocere le seppie;
fare il bucato;
pulire casa;
mettere mano al terrazzo.
Impossibile.
Riproviamo:
via il libro;
mettere a fare il bucato (da un idea di pulito);
passare la scopa elettrica (senza andare tanto per il sottile);
scopare il terrazzo (idem);
pulire le cozze (obbligatorio);
mettere a fare le seppie (necessario);
svegliare le ragazze (il più tardi possibile così non intralciano).
Possibile.

Esecuzione:
Per 4 personcine a modo (loro).
Con una spazzola di metallo grattate bene (e velocemente) le valve delle cozze eliminando alghette e denti di cane. Per i denti di cane potete usare un coltello.
Strappate, tirando verso la punta, lo strepponcino con cui si attaccano ai filari e ponetele in una pentola coperta a fuoco vivo senza acqua o altro. Girate ogni tanto per facilitare l’apertura.
Quando saranno aperte, scartate senza dubbi quelle poche rimaste chiuse (non sono buone).
Dei 2 chili, prendetene mezzo (kg) e sgusciatele in una piccola zuppiera, aggiungete un po’ di acqua di cottura dopo averla filtrata (colino + strofinaccio) e copritele.
Avviate la lavatrice a 30° gradi per non sbagliare.
Passate l’aspirapolvere nell’ingresso, corridoio e disimpegno pranzo.
Andate a portare il libro sul comodino.

Capitolo 5: il funerale di William Brown
Il sole già dava alla testa e, mentre nelle strade tutte le imposte erano ancora chiuse e i marciapiedi deserti, nella piazza del mercato la vita pigra e serena era cominciata da un pezzo.

Maigret si mise ad aspettarlo sotto un lampione, con le mani in tasca, la pipa tra i denti e l’aria scontrosa.


Posate il libro chiuso sul comodino. E non siate scontrosi.
Uscite dalla stanza e giurate di non rientrare più fino a dopopranzo.
Prendete un chilo di seppie tagliate ad anelli e decidete cosa farne.
Guardate bene in frigo cosa c’è.
Cosa c’è?
Due carciofi comprati ieri.
Bene.
Prendetene atto, oggi si mangia:
Menu di domenica
Primi piatti
linguine con seppie, carciofi e cozze

Secondi a scelta
impepata di cozze

Contorni vari
insalata mista (in busta).

Dessert
no

Bene.
Alea iacta est (Giulio Cesare).

Tagliate le seppie a rettangolini/parallelepipedi di 2 x 0,5 x 1 cm (va bè, sto scherzando, tagliatele a pezzetti con una forbiciona). Mondate dalle foglie esterne i 2 carciofi, tagliateli a fette sottili (longitudinali), eliminate la barbetta (se c’è) e nell’attesa metteteli in acqua e limone (i carciofi).
In una padella capiente, tanto da poter ricevere al momento opportuno circa 400 gr. di linguine, mettete 4 cucchiai d’olio evo (uno per commensale), 2 spicchi di aglio mondati, peperoncino a piacere (direi a mezza forza, non troppo). Appena dorati, scartate aglio e peperoncino e buttateci le seppie a pezzi, fuoco medio.
Girate ogni tanto e quando dorano un po’, aggiungete i carciofi e fateli soffriggere.
Aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco bollente (lo stesso che servirete a tavola [ben fresco], evitate il Tavernello), fate evaporare, coprite e portate a cottura a fuoco dolce.


Correte a rifare il letto.

Capitolo 6: l’amico imbarazzato
A Cannes, Maigret si dedicò per ore al grigio lavoro che di solito si affida a un ispettore. Ma aveva bisogno di darsi da fare, di agire, o quantomeno di illudersi di agire.

La porta del bar si aprì, cosa che succedeva piuttosto di rado: un cliente si appoggiò al bancone e girò la leva della slot-machine.

Uscite dalla camera da letto e non rientraci più fino a dopo pranzo.
Ammassate velocemente le foglie dietro il vaso grande del terrazzo.
Il tempo è poco (verità lapalissiana).
Svegliate le ragazze per evitare che arrivino a tavola con gli occhi cisposi.
Rifiutate di preparare la colazione e affermate con aria risoluta che ormai è ora di pranzo, e che Cribbio santo! La prossima volta si sveglino prima (attenti con l’uso del congiuntivo a quest’ora, potrebbero non capire).

Se necessario aggiungete un po’ di acqua delle cozze filtrata (come sopra) alle seppie e carciofi.
Mettete la pentola della pasta con tanta acqua sul fuoco grande.
Apparecchiate sul terrazzo per 4 persone.
La scodella di Ciccillo resta dentro (lui non merita).

Accogliete Ciccina che torna tutta sudata, meno di voi, dalla piacevole corsetta con un bacetto sulle goccioline del labbro superiore. Non fatevi vedere assolutamente mentre vi detergete la bocca.
Regolate il traffico di accesso al bagno disputato da due ragazze incazzate (è sempre così, non so perché) e dall’atleta olimpica.
In cucina, di nascosto, asciugatevi il sudore dalla fronte e sorridete, sorridete sempre.
Anche se siete soli, tanto per non perdere l’abitudine.
Magari arrivano quelli di “Scherzi a parte”?

Con voce ferma, chiara e forte chiedete (alla casa): “Siete pronte? Butto la pasta?”
Restate calmi e soprattutto non raccogliete le provocazioni.
In fondo siete stati battezzati.
Appena bolle buttate le linguine (non nel cesso dove vorreste ma nell’acqua bollente e salata al momento del bollore).
Aggiungete un cucchiaio di olio nell’acqua (per non farle attaccare).
Girate la pasta ogni tanto.
Fate “Ohm” in espirazione e bevete un goccetto di bianco freddo per sdrammatizzare ma ricordate che l’alcolismo è la piaga domestica del terzo millennio e non si capisce perché.
Voi che lo capite non lo dite a nessuno perché tanto non vi crederebbero, ma che bella famiglia che siete!?
È inutile, i vostri hobbies sono la cucina e la lettura, siete un orso solitario, non c’è modo di evadere, non fate sport, a cinema dormite, “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Vi giungono urla belluine, avete paura che si facciano male.
Non drammatizzate oltre misura, fatevi un altro goccetto, in fondo sono sopravvissute sinora.
Date un calcetto amichevole a Ciccillo che continua a ronfare indifferente al cataclisma in atto nei servizi e annessi di questa casa.
Mi fa una rabbia.
Constatate le vostre colpe: avete sbagliato i tempi, tutti.
Ripetete “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Convincetevi che è vero.
Accendete sotto le seppie e carciofi e scolate le linguine al dente, buttatele nella padella e aggiungete le cozze sgusciate e, volendo, ancora un po’ di acqua di cottura (sempre filtrata ma che ve lo dico a fare?).
Urlate come una belva indemoniata: “È pronto a tavola!”
Fate i piatti, constatate che non avete, come al solito, fotografato gli ingredienti prima e nella rabbia potete solo documentare una padella mezza vuota.
Ma tant’è.


Dopo pranzo scendete a prendere un caffè al Liberty bar (dal risvolto: estremo rifugio di chi ne ha viste di tutti i colori e aspira solo all’oblio).

Capitolo 7: “Soprattutto, non vogliamo grane!”
Infastidito, Maigret si alzò e andò personalmente nel bar per evitare qualche manovra da parte delle due donne.

“Soprattutto, non vogliamo grane!”.
Nella hall l’ispettore Boutigues stava bevendo un porto in compagnia del direttore. Bei bicchieri da degustazione, grandi, di cristallo intagliato! E la bottiglia a portata di mano!

PULCINELLA DI GIADA MORSILLO

Scusatemi, ora ho il treno per Orvieto.
Alla prossima.