Forse non tutti sanno che (e forse ai più non gliene frega giustamente niente) che, in alcuni momenti dell’anno noi (a volte io da solo, sigh) si viaggia molto.
Se da un lato è bello perché si conoscono posti nuovi spesso belli, genti nuove spesso simpatiche, si conoscono anche trattorie nuove nelle quali si mette alla prova il nostro discernimento nel comprendere (da ignoranti quali siamo) cosa è tradizione e cosa innovazione nella cultura culinaria locale.
Non c’è dubbio che se è vero che la materia prima parla di mari e terre (disponibilità = tradizione) è nell’accoppiarsi degli elementi nella fucina alchemica dei tegami che si rivela (e rileva) la capacità innovativa, la giovinezza di un popolo, la capacità di ampliare il futuro.
Questo naturalmente vale per i paesi ricchi, dove c’è la possibilità, il lusso di scegliere di ingozzarsi fino a morirne o (semplicemente?) rifiutarlo anche qui fino a morirne.
Nel terzo mondo l’obesità è eccezionale e l’anoressia praticamente sconosciuta.
Ma c’è un altro indicatore dello sviluppo culturale di un popolo, di una città: il numero e/o la dimensione delle librerie.
In quasi ogni tappa, se il tempo ce lo consente, ci infiliamo in una libreria e ci vagabondiamo osservando, rispetto alle nostre consuete, la distribuzione dei libri, il risalto (o l’omissione) nell’esporre novità, classici, generi diversi.
Credetemi, si impara molto sulla “costituzione”, sulle aspirazioni, sulle abitudini degli autoctoni.
Recentemente a Forlì ne abbiamo visitata una ampia e bella sul corso principale, in assoluta assonanza ai nostri gusti (tutto è soggettivo!), ricca di generi diversi ben rappresentati, con un occhio attento alle novità (non solo l’onnipresente Wilbur Smith) ed ai gusti (eh, eh, eh), tra le decine di libri di cucina et similibus c’era veramente da perdersi ma non solo tra quelli.
Mentre Ciccina comprava “La cucina di Bahia ovvero il libro di cucina di Pedro Archanjo e Le merende di dona Flor” di Jorge Amado e Palma Jorge Amado (figlia) io mi sono perso, per esempio, sul un tavolo dedicato esclusivamente alla riedizione di
Maigret de gli Adelphi.
C’erano praticamente tutti i volumi usciti sinora. Credo siano più di cinquanta rispetto ai 76 scritti da Simenon. Personalmente ne ho 47 in varie edizioni (di cui alcuni doppioni), compreso quelli di Mondadori con il dorso telato (da 200 £) comprati usati sulle bancarelle di Portalba a Napoli. Comprenderete bene (e giustificherete) la mia immersione total body in quei libri. Purtroppo, non essendo un bibliofilo ma un divoratore, dei titoli posseduti ne ricordo solo alcuni e, spesso, li confondo con quelli che desidero acquistare e che memorizzo in quel colabrodo della mia mente. D’altra parte il vizio di incellofanare i libri, seppure garantisce di comprare libri intonsi, impedisce agli smemorati una rapida scorsa chiarificatrice.
La naturale conseguenza è che spesso compro gli stessi libri più volte.
Insomma, per farvela breve, ne compro tre la cui lettura ho rimandata sino a pochi giorni fa, quando gli impegni di lavoro si sono momentaneamente diradati, e sono riuscito, di nuovo, a giungere al momento del temporaneo congedo non tanto stanco da non riuscire ad aprire un libro e leggere qualche pagina.
Il primo, “
Il cavallante della Providence”, è andato bene, non l’avevo letto, ma mi ha lasciato una puntina di insoddisfazione in quanto, pur disegnando in modo efficace la psicologia dei personaggi (ovviamente in particolare dell’assassino/a) entra, a mio gusto, tardi nell’atmosfera e si sperde un po’ per fratte.
L’ho finito stanotte mentre aspettavo le dolci pulzelle (mie figlie) che rientravano dal crazy Saturday Night party che si svolge in questa città ogni week end.
Che devo fare? Loro sono grandi (20 e 17) ma io, come un cane pastore, se non sono a casa dormo male.
Stamane (un po’ rinco per avere fatto tardi, molto tardi) mi alzo e, mentre Ciccina (l’anima bella) prepara il caffè elenco le cose che dovremmo fare visto che è domenica: cambio di stagione (urgentissimo), terrazzo (pulire, tagliare, legare, concimare, affrontare cocciniglia e afidi imperanti, urgentissimo), cucinare per pranzo (moderatamente urgente), fare bucato (urgentissimo), pulire qualcosa o qualcuno (urgentissimo: la ns. polacchina è in ospedale perchè ha mangiato le cozze crude, ma ti pare a te che qualcuno a Napoli mangia ancora le cozze crude?).
Nel frattempo spunta il sole dopo diversi giorni di pioggia e Ciccina, atletica e sportiva com’è, non perde occasione, chiama un’amica e, in tutina (se ingrassa un altro chilo gliela nascondo, giuro) e scarpette, parte alla volta di Posillipo lasciandomi davanti ad una caffettiera ormai fredda. Solo, in tenuta notturna (vi assicuro, non è uno spettacolo edificante), con le figlie dormienti.
Vigliacca.
E magari vuole pure mangiare all’una.
Scendo presto a fare la spesa (qui si fa la spesa anche di domenica, per fortuna) per non affrontare gente. Purtroppo fa caldo e non posso mettere il cappotto sul pigiama allora mi lavo e vesto alla svelta (insomma non sembro proprio mister Dior).
Tappa unica il pescivendolo, lo guardo, ricambia, osservo i calamari grandi e belli, un po’ rosati, mi osserva con disprezzo, accarezzo con gli occhi le spigole greche lucide, sottecchia beffardo, mi allargo a destra verso la bacinella delle seppie, sorride soddisfatto, le indico e: “Me ne da un chiletto (da noi è tutto un vezzeggiativo) ben pulite?”
“Cumm’e vulite fa [Come le volete cucinare]?”
Domanda ovvia, imbarazzo gelido.
Come le voglio fare?
Mi viene in mente in una folgore, a spezzatino! Ma come glielo spiego?
Per favore le tagliate a parallelepipedi di 2 x 0,5 x 1 cm?
Non ce la faccio: “Ad anelli.” È un buon compromesso.
“E u nivure u bbulìt (e il nero lo volete [NB: la sacca del nero è un mio diritto essendo compresa nel prezzo in quanto le seppie sono pesate prima della pulitura])?”
“No grazie.”
Perdo punti (FdZ freme nell’aere internettiano per il mancato utilizzo del sacchetto ma a me il nero fa schifo).
Tecnocrati.com mi cancella dal rank.
“Quacch’ata cosa [Gradite altro]?” “No grazie. Anzi forse si, le cozze [belle, grandi, spagnole o adriatiche?] sono stabulate?”
Non perde tempo a rispondere: “Quante ne bbulìt?”
Mi svacco subito: “Un chiletto, [ci riprovo] ben pulite”.
“Dottò, e cozzeche ve pulit vuie”.
Me ne da 2 chili perché uno non serve a niente (questioni di sfrido, mi convince).
Pazienza.
Rientro rapido, strisciando sotto i portoni, nell’ombra del rifugio domestico tra i miei libri e fornelli accoglienti.
Scartoccio il pesce sul top Aiko, le cozze le metto a spurgare nel lavandino e riempio d’acqua, butto un po’ di sale grosso (è solo un intervento psicologico perché se sono stabulate non serve e se non sono stabulate non serve lo stesso, ma che vuoi fare?).
Guardo avvilito le seppie tagliate ad anelli.
Che fare [disse uno più grande di me]?
Riaccattorcio le seppie, mi dico che è presto, c’è tempo e le metto in frigo, in basso al ripiano della carne. Dopo vediamo.
Preparo un caffettino kimbo_oro (per le grandi occasioni).
Le figlie continuano a dormire. Ciccina continua a correre verso Posillipo.
Fa caldo, sul terrazzo l’aria è bella e il caffè non è venuto mica male.
Corsetta in camera a prendere il secondo libro di Maigret “
Liberty bar” –Bar (della) Libertà- traduco dotto e mammolo.
Mmmmh, intrigante il titolo.
Sorseggio il caffè, accendo una sigaretta, pregusto e scartoccio.
Leggendo il risvolto di prima apprendo che l’amico George tra il 1931 e il ’72 ha pubblicato la bellezza di 76 romanzi e 26 racconti con il commissario Maigret. Perbacco! Mi faccio due conti aiutato dalla caffeina e dalla nicotina: 1,85 romanzi e 0,34 racconti/anno solo per Maigret per 41 anni consecutivi. E poi ci sono gli altri romanzi (belli anche quelli).
E io che mi lamento che non ce la faccio a postare una ricetta alla settimana!
Questo è stato scritto e pubblicato nel 1932, dunque uno dei primi!
Un romanzo di formazione (?).
Il risvolto racconta che il famoso commissario è ad Antibes, nella splendida Costa Azzurra di quegli anni, per indagare sulla morte di un uomo che gli somiglia stranamente!
Caspiterina!
Un (forse) ex agente segreto australiano, riservato, misterioso, duro in apparenza ma bonario, in cerca di una vita tranquilla (come lui, capisco).
William Brown (così si chiamava l’australiano) viveva con due megere (figlia sguaiata amante e madre volgare parassita) ma aveva una doppia vita: frequentava di nascosto “la casa dove non si parla mai del passato”. Il Liberty bar (dal risvolto:
estremo rifugio di chi ne ha viste di tutti i colori e aspira solo all’oblio. Desiderio che forse cova anche in Maigret)!
Oh poffarbacco!
Mi metto più comodo con due cuscini (uno alla schiena e uno sotto le gambe).
Continuo dal risvolto di copertina:
nell’atmosfera languida della costa Azzurra, il commissario giunge a dubitare di se stesso e della voglia di risolvere il caso.Ma stiamo esagerando?!
Forse che l’innocenza del colpevole o la colpevolezza degli innocenti lo ferisce al cuore morale?
Un vago senso di colpa balugina anche alla mia mente.
Guardo le piante impidocchiate.
Mi dico solo un capitolo.
Traduzione di Ida Sassi.Capitolo 1: il morto e le sue donne.
Incipit: La prima sensazione fu di essere in vacanza.
L’ho letto! Cribbio. Mannaggia al cellofan e a chi l’ha inventato!
E mo?
Leggo un altro po’.
Ricordo e non ricordo.
Vaghe reminiscenze di una storia bella.
Decido che non ricordo.
…
E rigirava meccanicamente fra le mani la fotografia di quel Brown che aveva la faccia tosta di assomigliargli.Tic tac
Capitolo 2: parlatemi di Brown…
“Che cosa faceva di sera Brown?”
…
Allora il commissario entrò nel Liberty bar.Tic tac
Capitolo 3: la figlioccia di William
Il bar era vuoto.
…
“Lei mi fa venire in mente William… quello era il suo posto… Anche lui quando mangiava posava la pipa vicino al piatto… Aveva le spalle come le sue… Sa che lei gli assomiglia?”. Si limitò ad asciugarsi gli occhi, senza piangere.Tic tac
Capitolo 4: la genziana
Era l’ora rosata, ambigua, in cui l’umidità del tramonto si dilegua nella frescura della notte che si avvicina.
…
“Per favore, mi fa portare una bottiglia d’acqua?” chiese, avviandosi su per le scale.Cribbio, ho dimenticato l’acqua minerale!!!!!!!!!!!!!!!!!
Che ore sono? Tardi, sono le 12.
Ricompattiamoci e salviamo il salvabile.
Nell’ordine:
via il libro;
svegliare le ragazze;
pulire le cozze;
cuocere le seppie;
fare il bucato;
pulire casa;
mettere mano al terrazzo.
Impossibile.
Riproviamo:
via il libro;
mettere a fare il bucato (da un idea di pulito);
passare la scopa elettrica (senza andare tanto per il sottile);
scopare il terrazzo (idem);
pulire le cozze (obbligatorio);
mettere a fare le seppie (necessario);
svegliare le ragazze (il più tardi possibile così non intralciano).
Possibile.
Esecuzione:
Per 4 personcine a modo (loro).
Con una spazzola di metallo grattate bene (e velocemente) le valve delle cozze eliminando alghette e denti di cane. Per i denti di cane potete usare un coltello.
Strappate, tirando verso la punta, lo strepponcino con cui si attaccano ai filari e ponetele in una pentola coperta a fuoco vivo senza acqua o altro. Girate ogni tanto per facilitare l’apertura.
Quando saranno aperte, scartate senza dubbi quelle poche rimaste chiuse (non sono buone).
Dei 2 chili, prendetene mezzo (kg) e sgusciatele in una piccola zuppiera, aggiungete un po’ di acqua di cottura dopo averla filtrata (colino + strofinaccio) e copritele.
Avviate la lavatrice a 30° gradi per non sbagliare.
Passate l’aspirapolvere nell’ingresso, corridoio e disimpegno pranzo.
Andate a portare il libro sul comodino.
Capitolo 5: il funerale di William Brown
Il sole già dava alla testa e, mentre nelle strade tutte le imposte erano ancora chiuse e i marciapiedi deserti, nella piazza del mercato la vita pigra e serena era cominciata da un pezzo.
…
Maigret si mise ad aspettarlo sotto un lampione, con le mani in tasca, la pipa tra i denti e l’aria scontrosa.Posate il libro chiuso sul comodino. E non siate scontrosi.
Uscite dalla stanza e giurate di non rientrare più fino a dopopranzo.
Prendete un chilo di seppie tagliate ad anelli e decidete cosa farne.
Guardate bene in frigo cosa c’è.
Cosa c’è?
Due carciofi comprati ieri.
Bene.
Prendetene atto, oggi si mangia:
Menu di domenicaPrimi piatti
linguine con seppie, carciofi e cozzeSecondi a scelta
impepata di cozze
Contorni vari
insalata mista (in busta).
Dessert
no
Bene.
Alea iacta est (Giulio Cesare).
Tagliate le seppie a rettangolini/parallelepipedi di 2 x 0,5 x 1 cm (va bè, sto scherzando, tagliatele a pezzetti con una forbiciona). Mondate dalle foglie esterne i 2 carciofi, tagliateli a fette sottili (longitudinali), eliminate la barbetta (se c’è) e nell’attesa metteteli in acqua e limone (i carciofi).
In una padella capiente, tanto da poter ricevere al momento opportuno circa 400 gr. di linguine, mettete 4 cucchiai d’olio evo (uno per commensale), 2 spicchi di aglio mondati, peperoncino a piacere (direi a mezza forza, non troppo). Appena dorati, scartate aglio e peperoncino e buttateci le seppie a pezzi, fuoco medio.
Girate ogni tanto e quando dorano un po’, aggiungete i carciofi e fateli soffriggere.
Aggiungete mezzo bicchiere di vino bianco bollente (lo stesso che servirete a tavola [ben fresco], evitate il Tavernello), fate evaporare, coprite e portate a cottura a fuoco dolce.
Correte a rifare il letto.
Uscite dalla camera da letto e non rientraci più fino a dopo pranzo.
Ammassate velocemente le foglie dietro il vaso grande del terrazzo.
Il tempo è poco (verità lapalissiana).
Svegliate le ragazze per evitare che arrivino a tavola con gli occhi cisposi.
Rifiutate di preparare la colazione e affermate con aria risoluta che ormai è ora di pranzo, e che Cribbio santo! La prossima volta si sveglino prima (attenti con l’uso del congiuntivo a quest’ora, potrebbero non capire).
Se necessario aggiungete un po’ di acqua delle cozze filtrata (come sopra) alle seppie e carciofi.
Mettete la pentola della pasta con tanta acqua sul fuoco grande.
Apparecchiate sul terrazzo per 4 persone.
La scodella di Ciccillo resta dentro (lui non merita).
Accogliete Ciccina che torna tutta sudata, meno di voi, dalla piacevole corsetta con un bacetto sulle goccioline del labbro superiore. Non fatevi vedere assolutamente mentre vi detergete la bocca.
Regolate il traffico di accesso al bagno disputato da due ragazze incazzate (è sempre così, non so perché) e dall’atleta olimpica.
In cucina, di nascosto, asciugatevi il sudore dalla fronte e sorridete, sorridete sempre.
Anche se siete soli, tanto per non perdere l’abitudine.
Con voce ferma, chiara e forte chiedete (alla casa): “Siete pronte? Butto la pasta?”
Restate calmi e soprattutto non raccogliete le provocazioni.
In fondo siete stati battezzati.
Appena bolle buttate le linguine (non nel cesso dove vorreste ma nell’acqua bollente e salata al momento del bollore).
Aggiungete un cucchiaio di olio nell’acqua (per non farle attaccare).
Girate la pasta ogni tanto.
Fate “Ohm” in espirazione e bevete un goccetto di bianco freddo per sdrammatizzare ma ricordate che l’alcolismo è la piaga domestica del terzo millennio e non si capisce perché.
Voi che lo capite non lo dite a nessuno perché tanto non vi crederebbero, ma che bella famiglia che siete!?
È inutile, i vostri hobbies sono la cucina e la lettura, siete un orso solitario, non c’è modo di evadere, non fate sport, a cinema dormite, “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Vi giungono urla belluine, avete paura che si facciano male.
Non drammatizzate oltre misura, fatevi un altro goccetto, in fondo sono sopravvissute sinora.
Date un calcetto amichevole a Ciccillo che continua a ronfare indifferente al cataclisma in atto nei servizi e annessi di questa casa.
Mi fa una rabbia.
Constatate le vostre colpe: avete sbagliato i tempi, tutti.
Ripetete “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Convincetevi che è vero.
Accendete sotto le seppie e carciofi e scolate le linguine al dente, buttatele nella padella e aggiungete le cozze sgusciate e, volendo, ancora un po’ di acqua di cottura (sempre filtrata ma che ve lo dico a fare?).
Fate i piatti, constatate che non avete, come al solito, fotografato gli ingredienti prima e nella rabbia potete solo documentare una padella mezza vuota.
Ma tant’è.
).
Scusatemi, ora ho il treno per Orvieto.
Alla prossima.