31 agosto 2011

una mia amica mi ha raccontato questa favola ...

>>C'era una volta In un paese lontano lontano,
>>Una bellissima principessa,
>>Indipendente e sicura di sè
>>
>>Incontrò una rana mentre stava seduta
>>Contemplando argomenti ecologici
>>Sulle sponde di un laghetto incontaminato
>>In un prato verde vicino al suo castello.
>>
>>La rana le saltò in grembo
>>E disse "Elegante Signora,
>>io ero un bel principe
>>finchè una strega cattiva
>>non mi fece un incantesimo.
>>
>>Un bacio da te, comunque,
>>ed io ritornerò ad essere
>>il bel principe che sono.
>>
>>E poi, dolcezza, noi ci potremo sposare
>>E mettere su casa nel tuo castello insieme a mia madre.
>>Dove tu potrai cucinare per me
>>Lavare I miei vestiti
>>Portare nel tuo grembo I miei figli
>>Ed esserne per sempre grata."
>>
>>Quella sera
>>Mentre la principessa cenava beatamente
>>Con zampe di rana saltate in padella
>>Con un vino bianco
>>Ed una salsa di cipolle
>>Ridacchiava a pensava tra sè: Col cazzo.
>



buon rientro ^-^

17 agosto 2011

DIRETTAMENTE DAL BLOG - LO STRETTO INDISPENSABILE - per me , questo post è perfetto, peccato nn riesca a mettere in pratica praticamente nulla... ma mi sembra DOVEROSO, visto che , nel mondo dei blog, nn essere l'unica a soffrire di questa malattia, condividerlo con voi. sicuramente tra voi ci sarà qualcuno che riuscirà a guarirne.

Lasciar morire di fame il rancore.
Ho tanti difetti, sicuramente molti di più di quanti ne appaiano su questo blog, ma anche qualche pregio non del tutto naturale ma acquistato dall’aver ascoltato qualche maestro di vita di un certo calibro. E di questi pregi non genetici qualcuno è così prezioso che spero davvero di riuscirlo a lasciare in eredità ai miei figli perché penso sia una delle chiavi della mia vita sostanzialmente serena e felice. Lo segno qui, in questo post di metà Agosto che rimarrà disperso e poco frequentato, perché ultimamente sono stata testimone di tensioni e infelicità dovute a situazioni familiari e lavorative molto complesse, in cui è difficile davvero dare completamente ragione all’una o all’altra parte, e anche se sembra banale scriverlo e ricordarselo e ripeterlo e riprovarci e ricominciare può essere un inizio di soluzione.

Guardando dall’esterno certe dinamiche mi chiedo spesso come sia possibile soffrire così tanto per una parola sbagliata, un’incomprensione, un atteggiamento di giudizio di terzi. E’ capitato e capita di continuo anche a me ma ormai ho una reazione abbastanza allenata, massimo un po’ di broncio che mi concedo per la forma, a volte neanche quello.

Poi provo a lasciar morire di fame il rancore, non lo nutro, non ripenso a quanto è successo, o ci provo, a volte cerco di giustificarlo o almeno di passarci oltre, di non alimentare l’astio che ne conseguirebbe. Mi ripeto che i giudizi offrono quasi sempre più informazioni relative alla persona che li emette che al fatto di per sé e mi permettono di conoscerla meglio, di fare dei passi avanti nella comprensione del suo carattere. Un’osservazione di un conoscente sul mio modo di essere genitore c’entra più con la sua idea di maternità o paternità che con me, così come un commento sul mio modo di vestire o su quanto scrivo riguarda in gran parte la visione modaiola del mio censore o quello che chiede alla lettura di un mio testo.

Quando questo mi è particolarmente difficile, cerco di ignorare persino quello che so già dei difetti di chi mi sta di fronte, ripeto ad oltranza che devo vedere nuovo il mio prossimo, con occhi diversi. Questa è una trovata di Chiara Lubich, a volte funziona, a volte no, ma il tentativo già è utile per ricaricarmi e cominciare a vendicarmi con un sorriso umoristico sulla vicenda appena trascorsa. Mi è piaciuto moltissimo quello che raccontava Kelle Hampton in un post di qualche giorno fa. Che al primo commento negativo sul suo blog ha reagito distribuendo commenti positivi anonimi su altri blog che leggeva. Che vendetta elegante, tanto di cappello. Vendicarsi di ogni piccolo sgarbo, inevitabile nelle convivenze, con tanta grazia ed eleganza sarà il mio motto per questo mese.

Avrei mille ragioni per agire così, filosofiche, religiose, umanistiche, ma dato che questo è un blog sulla semplicità nella vita ne esemplifico solo una. Il rancore prende tanto posto e non porta nessun reale vantaggio. Attaccarsi al proprio rancore, all’effetto che su di noi hanno le azioni degli altri (che non siano illegali o fisicamente dannose) ci toglie spazio, energia, opportunità di essere felici, di amare. Trattenere queste emozioni con la sola soddisfazione di essere nel giusto, rimuginarci per provare di essere stati vilipesi, di attaccarle al quadro forzatamente parziale che ci facciamo di qualcuno cancellando ogni traccia di positivo, è come avere un mazzo di rose leggermente passate e metterle in un vaso a testa in giù, per rimirarne le spine. Uno spreco, a mio avviso.