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lunedì 15 maggio 2017

A PUGNI CONTRO IL RAZZISMO





Tratte da Magazzini Inesistenti, alcune considerazioni su Hurricane da Desire di Bob Dylan e Jack Johnson di Miles Davis.

A pugni contro il razzismo – di Mr. Hyde


L’attacco del violino in Hurricane di Bob Dylan è l’inizio di un racconto di rabbia e tristezza: è come quando vedi passare qualcuno, veloce e risoluto, e gli chiedi: “Dove cazzo vai?” e quello, senza fermarsi né girarsi a guardare “Seguimi, te lo dirò strada facendo”. Un po’ come succede nelle parole di quella canzone degli Osibisa“Woyaya”“We are going, Heaven knows where we are going, We will know we’re there”Hurricane, al secolo Rubin Carter, è un pugile che ha visto consumarsi la vita in prigione, accusato di omicidi non commessi, ingiustamente e certamente per il colore della sua pelle. La canzone di Bob Dylan (scritta a quattro mani con Jacques Levy) è contenuta nello stupendo “Desire”,  pubblicato dalla Columbia nel 1976.
“Ora tutti quei criminali in giacca e cravatta / sono liberi di bere Martini e guardare il sole sorgere /
mentre Rubin siede come Budda in una cella di pochi metri / un innocente in un inferno vivente. /
Questa è la storia di Hurricane / ma non sarà finita finché non riabiliteranno il suo nome /
e gli ridaranno indietro gli anni che ha perduto / Lo misero in galera ma un tempo sarebbe potuto diventare / campione del mondo”.
Un manifesto contro il razzismo e in generale anche sugli errori di una giustizia in quel caso (e non solo) ingiusta. Un altro pugile, il primo afro-americano che nel 1908 si aggiudica il titolo mondiale dei pesi massimi, Jack Johnson (1878-1946), non avrebbe mai immaginato che negli anni 60-70 sarebbe diventato un eroe del riscatto dei neri americani. Nell’ambito degli hard boppers i temi dell’orgoglio razziale e della reazione alle leggi contro gli americani di colore, erano molto sentiti, ed anche Miles Davis che, fra l’altro, negli anni 50 aveva frequentato il mondo della boxe, si era regolarmente allenato nel periodo in cui viveva a New York ed era amico di Sugar Ray Robinson. con quest’album dedicato al pugile volle rendere nota la sua posizione. Infatti nel 1970 per la Columbia pubblicò “A Tribute to Jack Johnson” che conteneva  la soundtrack registrata in studio come colonna sonora del documentario sulla vita del pugile. Prendere a pugni le discriminazioni razziali, in un momento in cui grandi uomini come Malcom X (nel 1965) e Martin Luther King nel (1968) venivano assassinati brutalmente. Ritornando all’album, è costituito da due brani: Right off, che prende forma a partire dalla base creata da John McLaughlin, seguita dal basso di Michael Henderson e Billy Cobham alla batteria, su  cui a turno improvvisano Miles Davis alla tromba, Steve Grossman al sax soprano e Herbie Hancock all’organo elettrico; e Yesternow, registrato in parte con la prima line up e successivamente con la sezione ritmica formata da Dave Holland al basso e Jack DeJohnette alla batteria, mentre a McLaughlin viene affiancato un altro chitarrista, Sonny Sharrock,  Chik Corea sostituisce Hancock alle tastiere ed al posto del soprano  Grosmann c’è il clarino di Bernie Maupin. Le modalità con cui si registrano i brani sono un po’ come in “Bitches Brew”, con una minore presenza di strumenti ed un ambiente sonoro meno denso, più essenziale, caratterizzato da una sezione ritmica incessante e potente. Nella fase di editing Teo Macero interviene in maniera decisiva mettendo in risalto gli strumenti nel momento dell’assolo e creando una dinamica che dà  all’ascoltatore la sensazione di muoversi dentro l’ensemble. Aggiunge tra un vuoto e l’altro dei take tratti da “In A silent way” che partono da lontano come frammenti che prendono forma per un momento e poi scompaiono. Un album pieno di forza e di intensa drammaticità, un urlo contro il razzismo – perché la musica serve anche a questo -. Ai tempi d’oggi quei criminali in giacca e cravatta” sono ancora e più di ieri “liberi di bere Martini e guardare il sole sorgere” dai loro grattacieli e niente è cambiato sul fronte dell’anti-razzismo. E’ davanti ai nostri occhi. Bruschi passi indietro per la Democrazia americanaNulla è cambiato, anzi, qualcosa è peggiorato da quel triste 22 novembre 1963, quando Jacqueline Kennedy vide volare via il cervello e le idee di “pace, libertà e democrazia” del marito John Fitzgerald, trucidato da entità invisibili la cui parola d’ordine era ed  è:  “Ogni presidente buono è quello ammazzato”.