lunedì 28 febbraio 2011
Il sale alla vaniglia
Di sicuro vi starete chiedendo cosa avete fatto di male per trovarvi innanzi all'ennesimo post sul sale alla vaniglia. Non preoccupatevi, non avete combinato nulla!
Ho solo deciso di riparlare della cosa per due motivi:
1. per chiarezza, dato che nel 90% dei dolci che propongo cito sempre 'sto benendetto sale (così almeno è la volta buona che ci intendiamo per davvero!);
2. perchè trovo che il metodo che utilizzo per farlo sia decisamente economico, ecologico, ecotutto...insomma turbofigo!
Infatti, contrariamente a quanto ho letto in giro, io uso solo gli scarti della vaniglia (ovvero i bacelli già grattati a dovere) con il vantaggio di non dover gettare una parte del frutto dalle grandi potenzialità e senza dover "sprecare" i preziosi semi che contiene con una preparazione "povera" come il sale (che tra l'altro ne richiederebbe una quantità industriale).
Insomma, rigorosamente ad occhio, questo è quello che faccio:
Sale alla vaniglia
sale grosso
stecche di vaniglia "vuote" e asciutte
Per prima cosa, taglio col coltello le stecche di vaniglia a piccoli pezzi, poi le infilo dentro un frullatore cercando di sminuzzarle il più possibile.
Quando ho ottenuto un composto ben triturato, aggiungo anche il sale grosso e vado con un ultimo breve giro di frullatore.
Mi piace che la consistenza rimanga un po' grossolana (tipo un fior di sale) e quindi tengo bene sotto controllo l'ultima frullata. Naturalmente, qualora preferiste una grana più fine, non dovete fare altro che frullare più a lungo.
Di solito faccio quest'operazione ogni volta che mi ritrovo con una stecca utilizzata (non aspetto che si secchi ma la frullo subito così il sale si insaporisce per bene).
Spero che questo metodo possa tornarvi utile!
Quanto dura?
Considerato che il sale è il miglior conservante che esista, credo che questa preparazione farà in tempo a seppellirmi...
Dove lo uso?
Nei dolci, dove si richiede il famoso "pizzico di sale", sulle verdure (io lo apprezzo in particolare con zucca, pomodori o cipolle) oppure con i crostacei e naturalmente...largo alla fantasia!
mercoledì 1 ottobre 2008
La Variante dalmata
No, non ha niente a che fare con la Variante Sultano. Il nome, assegnatogli dal creatore del vasetto che vedete sullo sfondo (cioè, il mio papino!), sta letteralmente ad indicare che si tratta di una versione (variante, appunto) dalmata (che utilizza, cioè, prodotti della Dalmazia) del pesto ligure.
Così, sull'onda del concorso indetto da Fiordisale, ho pensato di presentarvi questa leccornia del papino, che tanto mi ha deliziata quest'estate.
La ricetta è semplice: prendete la valigia, ficcateci dentro due costumi da bagno, un paio di magliette e altrettanti pantaloncini e recatevi sulla magnifica isola croata di Cres.
Sbarcate col traghetto, annusate i profumi nell'aria, maturate l'idea che ci possa essere della salvia, informatevi e scoprite che l'isola ne è piena (e che in tutto il mondo, solo qui si produce il miele di salvia), armatevi di sacchettino e andate a raccoglierne un po'.
Durante il tragitto, guardatevi attorno e scoprite che l'isola è abitata solo da capre e pecore (niente mucche). Recatevi in un paesino di 23 abitanti, contrattate con una vecchina vestita di nero l'acquisto di uno dei suoi preziosissimi formaggi fatti in casa, fatevi derubare ma col sorriso sulla bocca (pensate quanto tempo ci è voluto per la povera vecchina per rincorrere le pecore in mezzo ai campi e mungerle a mano).
Al ritorno, fate caso alla vegetazione e, una volta notati tutti quei rigogliosi ulivi, domandatevi della possibile esistenza di un olio.
Fate quindi rotta verso una qualsiasi porta aperta del paesino principale, bussate con discrezione e acquistate un litro d'olio dal sapore deciso, vendutovi dentro una vecchia bottiglia di Coca cola.
Già che ci siete, fate un salto al mercato nella piazzetta centrale, quello sotto al portico veneziano, dove alla sera espongono i giovani artisti, e fate scorta delle noci appena raccolte e vendute già prive di guscio.
Poi tornate a casa, prendete in mano la vostra ricetta di pesto ligure e sostituite il basilico con la salvia, il parmigiano col pecorino, l'olio ligure con l'olio croato, i pinoli con le noci e iniziate a pestare il tutto con l'aggiunta di uno spicchio d'aglio.
Dopo pochi minuti, sarete pronti per gustare la Variante dalmata come condimento per una pasta o per un risotto (magari con le pere).
Naturalmente se non potete fare tutto questo, potete servirvi dei medesimi ingredienti italiani, ma non sarà mai la stessa cosa...
venerdì 18 aprile 2008
Limoni confit
Sono un classico della cucina marocchina e possono essere usati sia nelle preparazioni dolci che salate.
Ho già avuto modo di utilizzarne la scorza (che è la parte solitamente più usata) nei frollini al limone e lavanda, ma li trovo particolarmente adatti anche per tutte le cotture al sale.
Per qualche ricetta sfiziosa, guardate qui, qui, qui, qui, qui e ancora qui.
E' una preparazione che si può fare sia tagliando i limoni (ben lavati e rigorosamente bio) a fette, sia tenendoli interi e incidendoli in quattro, riempiendo i tagli col sale.
Si fanno, banalmente, adagiando i limoni in un barattolo, comprimendoli un po' con il sale e aromi a piacere. Nel mio caso, ho aggiunto qualche foglia di alloro, del pepe di Tasmania e delle roselline del Marocco.
venerdì 28 marzo 2008
Sugar!
Qualche tempo fa, in pellegrinaggio nel mio negozio preferito mi sono fatta corrompere da un barattolino di sale alla lavanda. L'ho acquistato, sono tornata a casa e mi sono chiesta: "Perchè comprare un sale alla lavanda, quando avrei potuto farlo da me?".
Così, consapevole dell'acquisto stupido, ho cercato di espiare la colpa facendomi -per lo meno- lo zucchero alla lavanda, semplicemente inserendo dei fiori di lavanda essicati all'interno del barattolo dello Zefiro e dimenticandomene.
Così è stato per lo zucchero all'anice stellato. Quest'ultimo, però, ha anche avuto il piacere di rientrare nel cesto dei regali di Natale, ricevendo successi un po' alterni...
C'è infatti stato anche chi, davanti al barattolo elegantemente confezionato con la sua bella stella all'interno, mi ha chiesto: "Ma la bestia dentro, è compresa???"
E io: "E' un anice stellato!*@!"
"Ah, sembrava una zanzara..."
Davanti alla poesia di questo aneddoto, vi lascio, augurando a tutti un buon fine settimana (noi giretto in Toscana!)...
martedì 5 febbraio 2008
Breve excursus sul pepe
Non tutti sanno (io adesso faccio l'erudita...in realtà l'ho scoperto l'altro ieri!!!!), infatti, che pepe nero, verde, bianco e rosso, sono la stessa bacca presa in fasi diverse della sua vita.
Proviamo a fare un po' di chiarezza...
Il Piper Nigrum, originario delle foreste equatoriali dell'India sudoccidentale, ha foglie ovali, scure e lucide e fiorellini verdognoli che formano dei piccoli grappoli. Dai fiori si sviluppano minuscole bacche che, con la maturazione, passano dal verde, al giallino, al rosso.
Pepe verde: fresco e fruttato, è il primo che si raccoglie, quando le bacche sono ancora acerbe. Quello fresco, rarissimo, è il migliore; buono e più facile da trovare quello essicato. Da evitare, invece, quello in salamoia, poichè ha perso gran parte dei suoi profumi.
Pepe nero: il più intenso e armonioso, viene raccolto a metà maturazione e lasciato seccare al sole (che renderà la sua buccia scura e rugosa). Un pepe nero è tanto più buono quanto più è grossa la bacca.
I migliori provengono dal Kerala, dalla Malesia, da Sumatra e dal Camerun.
Pepe rosso: Fruttato e gentile, si coglie a completa maturazione e poi si essica. Rarissimo in Occidente (io non sono ancora riuscita a trovarlo!), viene dall'India del Sud.
Non va confuso con i profumati frutti del sudamericano pepe rosa, che infatti è un falso pepe e non ha nulla a che fare con la famiglia del Nigrum.
Pepe bianco: meno pungente del nero, si ricava da varietà con bacche particolarmente grosse, colte a completa maturazione, ammollate in acqua e sfregate per eliminarne la polpa che le ricopre. I semi si fanno essicare. I migliori sono quelli del Malabar e Penja (Camerun).
Spesso si sente parlare anche di pepe grigio che altro non è che una miscela di bianco e nero, volta a bilanciare l'aggressività del secondo con l'aroma delicato e fruttato del primo.
Ma esistono anche molti altri tipi di pepe! Vediamone alcuni:
Pepe lungo: dalla tipica forma a "pannocchietta", è cugino del Piper nigrum, poichè appartenente anch'esso al genere delle Piperacee. E' originario dell'Indonesia e presenta un'aroma vagamente dolce, dai toni caldi e pungenti.
Pepe di Tasmania: ricavato dalla pianta Tasmannia lanceolata (Tasmania, Australia), all'inizio è fresco e rimanda ai profumi dei frutti di bosco, poi sviluppa il piccante che persiste a lungo. Indispensabile nel "bush food", il cibo degli indigeni australiani, viene utilizzato da sempre con la carne di canguro e emù.
Pepe di Sichuan (o Sechuan): frutto di una pianta cinese, ha un gusto agrumato e stuzzica il palato con un gusto piccantino che pare quasi frizzante e provoca un leggerissimo effetto anestetizzante.
Cubebe: altro "cugino" del Nigrum, poichè appartenente anch'esso alla famiglia delle Piperacee, è noto sin dall'antichità per le sua proprietà afrodisiache (così, almeno, si dice...). Coltivato in Indonesia e nello Sri Lanka, ha un accentuato sentore resinoso, balsamico e fresco. E' poco piccante.
E i pepi non finiscono qui!
Spero, se non altro, di aver reso l'idea della vastità dell'offerta di Madre Natura in merito alle bacche nere rugose e sopratutto, mi auguro d'ora in poi, di provocare in voi la domanda "che tipo di pepe è?" ogni volta che in un ristorante prenderete in mano un macinino...