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Costruzione 238: Copertura in ardesia (1) - gli abbadini

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Uno dei prossimi post dovrò dedicarlo di nuovo a fare una panoramica sull'avanzamento dei lavori. Intanto perché i nuovi lettori (sempre che ce ne siano) si facciano un'idea generale del "cantiere", e poi perché mi sono avanzate un po' di foto già pronte per essere pubblicate ma di difficile collocazione, riferendosi agli elementi più diversi. Comunque, per questa volta continuerò ad illustrare la costruzione del corpo d'angolo dell'edificio concentrandomi sul completamento della copertura.


La millenaria tradizione costruttiva genovese (e ligure in generale) vuole che le coperture siano realizzate con lastre di ardesia più o meno quadrate, chiamate abbadini. Da non confondersi con gli abbaini, che pure giocano sullo stesso campo (il tetto), ma che sono elementi del tutto diversi (e infatti il correttore automatico mi segnala abbadini come errore, non essendo evidentemente istruito sulla terminologia architettonica zeneize - altro errore).

In parole povere: la copertura ad abbadini prevede la sovrapposizione di lastre di ardesia della misura media di 50x50cm per 5mm di spessore. Detta sovrapposizione, in ambito genovese è detta "tripla" in quanto ogni lastra risulta coperta per due terzi dalle file successive, come si vede nell'immagine qui accanto.

Ormai da tempo tengo da parte una serie di tavolette di ardesia molto sottili (poco più di 1 millimetro) acquistate per pochi spiccioli da una ditta ligure che si dedica alla produzione di oggetti in questa pietra. Le lastre dovranno essere ulteriormente assottigliate per adattarsi alla scala, ma questo sarà più semplice dopo il taglio dei pezzi. Certamente dovrò cercare un compromesso tra il realismo e la resa tecnica, perché rispettando le proporzioni corrette le tessere finali risulterebbero troppo fragili.

In conseguenza di questo, un primo compromesso devo trovarlo per quanto riguarda la composizione, che dopo aver effettuato qualche test passa da tripla a doppia. La sovrapposizione di tre lastre, infatti, darebbe come risultato uno spessore eccessivo rispetto a quello di un tetto normale.

Per la produzione degli abbadini a partire dalle lastre di ardesia inizio disegnando a matita un reticolo con una maglia di circa 13mm. Vado a occhio, quindi non tutte le tessere sono perfettamente quadrate e comunque andranno rifinite una a una prima della posa.


Successivamente ripasso il reticolo con il disco diamantato del Dremel, incidendo il profilo delle tessere senza tagliare la lastra in tutto il suo spessore. Per eseguire un taglio dritto utilizzo come guida un listello di ardesia, già che con il righello metallico salterebbero scintille ovunque.



Una volta terminata l'incisione procedo al distacco delle tessere per strisce, aiutandomi con lo stesso listello per fare leva ed evitare la rottura irregolare dei pezzi. Qualche vittima c'è lo stesso, ma in generale l'ardesia già parzialmente incisa si spezza regolarmente lungo le linee prestabilite.


Le tessere la cui misura è inferiore a quella utile per essere usate come abbadini vengono messe da parte e torneranno utili per riempire gli angoli lungo la linea di displuvio.



Tutte le altre vanno ancora rifilate lungo i bordi e assottigliate sfregandole sulla solita carta abrasiva a grana grossa. Un lavoro di pazienza che però dà ottimi risultati e serve pure ad evitare la crescita eccessiva delle unghie.




Non ho ancora realizzato abbastanza tessere da coprire tutto il tetto, ma alla lunga il lavoro risulta un po' monotono e ho voglia di iniziare a collocare i miei abbadini. Decido quindi di passare alla fase successiva, che però necessita di qualche intervento preliminare.

Sul tavolato ancora intonso, traccio a matita la linea lungo la quale dovrò collocare le strutture di sostegno per il muretto d'attico. La copertura infatti presenterà anche questa caratteristica, tipica della maggior parte dei tetti genovesi, e che ha la funzione di evitare la caduta troppo impetuosa delle acque piovane lungo tutto il perimetro (ricordo per chi non lo sapesse che nel '300 le case non erano dotate di grondaie metalliche, cosa che apparirà in tempi più moderni).


Quelli che nei tetti reali sono paletti di ferro inseriti nella muratura per ancorare il muretto, nel mio caso saranno vecchi chiodi senza testa, incollati all'interno di fori realizzati con il mini-trapano.





Bene, finalmente è giunto il momento di iniziare la posa! E qui arriva il bello...

Sarà l'emozione del momento, sarà che non avevo la documentazione sotto gli occhi o che mentre lavoravo stavo ascoltando qualche podcast particolarmente interessante... Fatto sta che dopo tanta teoria, appena passo alla posa pratica commetto subito il primo errore. Il colmo è che quando mi accorgo che c'è qualcosa che non va, riesco a rimediare (nel modo che vedremo) ma non capisco realmente dove sta il problema. Me ne accorgerò soltanto mesi dopo, rielaborando le foto scattate durante la costruzione,. A quel punto sarà davvero troppo tardi per intervenire, anche perché il tetto è quasi finito e nonostante questa svista il risultato è più che buono.

Ma andiamo con ordine. Ecco qui di seguito la posa dei primi abbadini perimetrali.






Notate qualcosa di strano? Sembra tutto a posto, vero?
Però, se andate a rivedere lo schema in apertura di questo post, vedrete che le lastre della prima fila dovrebbero essere più piccole delle successive, che vanno a coprirle interamente in modo che ogni porzione del tetto sia protetto da tre strati di ardesia. In questo caso gli strati sarebbero due, ma con la prima fila collocata in questo modo il bordo del tetto risulta coperto da un'unica lastra, almeno nella metà inferiore.


Questo crea un problema di resistenza, in quanto il bordo, che è una delle parti che più esposte e facilmente soggette a usura, risulta decisamente fragile. Si crea però anche un problema pratico durante la posa, perché essendo la prima lastra aderente al tavolato, non segue la stessa diagonale delle successive, che avranno una pendenza leggermente minore.

Bene. Me ne accorgo quasi subito e "risolvo" rapidamente il problema sollevando la prima striscia (fortunatamente la colla è ancora fresca) ed inserendo tra l'ardesia e il tavolato un fil di ferro sottile che poi ritirerò a lavoro concluso.


Questo effettivamente corregge l'inclinazione degli abbadini, ma non risolve l'errore di base.
Potrei ancora inserire delle tessere più piccole al di sotto della prima fila, ma come ho detto, sul momento non riesco a mettere a fuoco la causa precisa di questa irregolarità. Vorrà dire che, come in altre occasioni, farò tesoro della lezione appresa e la metterò in pratica nella copertura del terzo piano, che sarà molto più estesa di questa. Nel frattempo, non faccio parola della faccenda con il committente e spero che il bordo non ceda alla prima grandinata.



Tutto sommato, da qui in poi la posa procede decisa. Stavo per scrivere "spedita" ma in realtà per coprire tutta la superficie ci vogliono parecchie ore di lavoro, distribuite su più giornate. Inoltre, come prova inequivocabile della mia curiosità e della fretta che ho di vedere l'effetto finale, inizio a collocare la terza striscia ancora prima di finire la seconda. Un'assoluta mancanza di professionalità.


Ah, brutta cosa la fretta.

Ora ad esempio, potrei caricare il resto delle foto (che sono già pronte) e mostrarvi subito il risultato finale del lavoro. Ma poi dove va a finire il gusto dell'attesa? Invece direi che chiudo qui questo post e vi do appuntamento al prossimo tra una settimana, un mese o magari un anno.



Se intanto volete dare un'occhiata allo stato attuale della Domus e seguire le fasi di lavorazione, vi consiglio di seguirla su Facebook o su Instagram, dove le anteprime e i "dietro le quinte" non mancano mai. E se oltre a dare un'occhiata volete partecipare attivamente al progetto, da qualche settimana avete la possibilità di diventare "mecenati" della Domus tramite la piattaforma di Patreon. Con una sottoscrizione di 2$ (1,77€) potete scaricarvi ogni mese il contenuto di questo ed altri articoli in comodi file .pdf (in italiano, spagnolo e inglese) e vedere il vostro nome - con eventuale link - sul Patron's Wall insieme a quello degli altri mecenati.

Ci sono anche altre novità in cantiere, ma di queste ne parleremo più avanti. Ricordate, la fretta è cattiva consigliera (e ne avete appena avuto una prova!).

Se vedemmo!

MATERIALI:
ardesia, colla bianca, chiodi in ferro, fil di ferro (provvisorio)
STRUMENTI:
tenaglie, pinzette, carta abrasiva, matita, righello, Dremel con disco da taglio e punta diamantata
MISURE (in mm):
abbadini: 13x13x1







Pietre famose 3/4: Genova

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Ed eccomi pronto ad inserire nella muratura della Domus qualche altra pietruzza di nobile provenienza.
Dopo Ubeda e Roncole Verdi, è la volta di Genova, che finalmente apporta alla Domus un po' di materiale "autentico". Così come una bambolina voodoo va sempre accompagnata da un oggetto appartenente alla "vittima", anche la Domus in miniatura contiene al suo interno un pezzo del soggetto originale...

Il primo dei due inserti di questo post è speciale per almeno due motivi: proviene da una struttura antica già esistente all'epoca in cui è ipotizzata la costruzione della Domus, ovvero la metà del XIV secolo. Inoltre, rappresenta il materiale reale con il quale sarebbe costruito l'intero edificio se fosse storicamente esistito. Si tratta della famosa pietra di promontorio che veniva estratta dalle cave situate su Capo di Faro (sulla cui punta, unico pezzo superstite di tutto il promontorio, sorge ancora la lanterna).

Rispetto all'ardesia che ho usato per la costruzione del mio modello, questo calcare presenta una fondamentale differenza cromatica: non ha infatti i riflessi bluastri che mi dà l'ardesia quando la luce non è quella calda solare (anche se dalla foto qui accanto sembrerebbe il contrario). D'altra parte, però, l'ardesia è decisamente più facile da tagliare e lavorare anche in piccola scala.

La pietra è stata raccolta a breve distanza dalla chiesa dei Santi Cosma e Damiano, una delle più antiche di Genova. Dietro il coro della chiesa vi è un antico passaggio voltato il cui muro in pietra va lentamente perdendo pezzi e che qualche vicino usa come posteggio coperto per la propria moto. E' stato sufficiente passare un paio di volte da quelle parti aguzzando la vista a caccia di un frammento già staccato...
Non lo dico solo per difendermi da eventuali denunce, ma perché le cose sono andate proprio così!
Ecco qua sotto il vicolo in uno scatto ripreso da Google street view.


La seconda pietra proviene invece da un'area che si trova sempre in provincia di Genova ma che non ha nulla a che vedere con la città in sé: il monte Caucaso, un'altura dell'appennino ligure sulla cui cima sorge un piccolo rifugio al quale mi sono recato in una recente escursione.
Il sentiero per raggiungerlo attraversa uno splendido bosco di faggi, che in quella giornata piovosa di tarda estate offriva uno spettacolo degno della migliore ambientazione fantasy. Mentre scrutavo tra gli alberi immersi nella nebbia, convinto che da un momento all'altro sarebbe spuntato un elfo dei boschi o qualche altro essere fatato, ho raccolto dal sentiero una pietra dalla forma piatta e regolare, pensando che avrebbe potuto apportare un tocco magico alla mia costruzione...


Entrambe le pietre sono state tagliate ed inserite nel paramento esterno della torre. Quella cittadina, dalla quale ho ricavato diversi blocchi, è stata collocata proprio sopra al paletto della catena e delimita l'angolo sinistro del perimetro. Per gli spigoli della torre infatti sono sempre alla ricerca di pietre che presentino spigoli netti a 90° e superfici regolari.

La pietra del Caucaso, di colore decisamente diverso, è inserita in posizione più interna, direttamente a contatto con le altre. Oltre alla provenienza geograficamente simile, questa è la ragione principale per cui ho deciso di accorpare queste due pietre in un unico post.


Successivamente ho collocato altri pezzi delle stesse pietre in posizioni più elevate, avendo ancora a disposizione diversi frammenti dalla forma assai appetibile per le ragioni sopra esposte.


Uno prosegue lo spigolo laterale, creando così una porzione di torre interamente genovese. Gli altri blocchi "caucasici" invece, grazie alla loro forma piatta e sottile, faranno da soglia al portoncino che si aprirà poco più in alto al centro della torre.


Queste strutture comunque sono ancora in costruzione, quindi le rivedremo in dettaglio più avanti...

Visto che siamo in tema, però, vorrei aggiungere a questo post un'immagine che non ha direttamente a che vedere con la Domus, ma che in qualche modo è ispirata ad essa. Si tratta di una pagina a fumetti che ho realizzato recentemente per Smack! Fiera del Fumetto di Genova che si svolgerà al porto antico i prossimi 25 e 26 aprile (dopodomani, quindi).

Buona lettura e... alla prossima pietra!







Domus ante litteram

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Recentemente ho fatto un po' d'ordine nell'armadio (o almeno ci ho provato) e rovistando tra i vecchi disegni del liceo è saltata fuori una bella sorpresa.
Questo studio, datato 1993, risale ad una lezione di disegno dal vero in piazza S.Matteo a Genova (ne ho parlato in questo post). In particolare, si tratta di un tentativo di ricostruzione dell'aspetto medievale di uno dei palazzi, quello di Domenicaccio Doria, il cui loggiato appare attualmente chiuso dalle tamponature rinascimentali.


Non ricordavo di avere realizzato questo disegno, peraltro rimasto incompiuto data la scarsità di tempo che dedicavamo a questo tipo di lezioni. Evidentemente però la mia idea di "ricostruire" i palazzi genovesi viene da molto lontano...




Progetto: Di montagne e torri medievali (una visita inattesa)

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Finora non ho speso molte parole per descrivere la progettazione della torre.
Questo è dovuto in parte al fatto che, al punto in cui mi trovo, la sua struttura risulta ancora inglobata nel resto dell'edificio ed è visibile dall'esterno solo una porzione del perimetro.
C'è però un'altra ragione, che ha a che vedere con la difficoltà di recuperare materiale specifico sulle torri medievali genovesi e sulla loro struttura interna.

Durante le mie ricerche in biblioteca ne ho trovato pochi accenni, con immagini riguardanti quasi esclusivamente torre Embriaci e privi di descrizioni o ricostruzioni strutturali. D'altra parte le poche torri medievali rimaste a Genova risultano inaccessibili, tranne quella di palazzo Ducale, che però presenta caratteristiche molto diverse dal mio progetto.

Oltre alla già citata torre Embriaci, a Genova è presente un'altra torre coeva e dalle caratteristiche molto simili, la cui esistenza è però sconosciuta ai più, sia per l'aspetto più "dimesso" a causa della mancaza di merlature, sia per la sua scarsa visibilità: la torre di palazzo Maruffi in via Canneto.

Si tratta forse dell'unico esempio ancora intatto in ambito genovese di domus magna con torre annessa, anche se lo stato in cui si trova l'edificio non è dei migliori.
Io la scoprii tempo fa durante una delle mie passeggiate per il centro e ne trovai tracce su internet per via di alcuni articoli che ne descrivevano il recente acquisto da parte di un privato. La torre infatti è accessibile solo tramite l'abitazione dell'ultimo piano, di cui è a tutti gli effetti un'estensione.
Nessuna possibilità quindi di visitarne l'interno, se non rivolgendosi direttamente al proprietario.

Spesso mi sono trovato a passarvi sotto alzando lo sguardo in cerca di qualche dettaglio rivelatore, ma a parte qualche foto scattata dal vicolo non ho mai avuto il coraggio di suonare al citofono per farmi aprire il portone.
Eh sì, sono timido, e temevo di risultare pure ridicolo nel tentativo di spiegare perché ero così interessato ad entrare in casa altrui.
"Ma prima o poi lo faccio davvero" pensavo...

In un'occasione mi trovai anche a commentare questo mio desiderio su un blog, la cui autrice è una grande appassionata di Genova e della sua storia, e aveva avuto pensieri molto simili passando sotto la suddetta torre.
Il blog si intitola "Dear Miss Fletcher" e leggendo questo suo post "gemello" potrete avere un altro punto di vista sulla nostra visita alla torre.
Sì, perché se Maometto non va alla montagna, magari è la montagna a raggiungerlo (sempre che lui lo desideri con sufficiente forza).
Il proverbio non recita esattamente così, ma i fatti provano che funziona lo stesso.

In questo caso la montagna ha le fattezze della signora Paola, neo-proprietaria della suddetta torre, che capitando per caso sul blog di Miss Fletcher legge il mio commento e decide di rispondermi, invitando entrambi a casa sua.
Ricordo ancora lo stupore che provai il mattino dopo nel leggere il suo messaggio!
Al mio ritorno dalla Spagna riuscimmo a combinare un incontro e in un pomeriggio di primavera, armato di carta, penna e metro avvolgibile varcai finalmente quel portone in compagnia di Sabina (il vero nome di Miss Fletcher) e della disponibile Paola.



Dai rilievi e dalle numerose foto scattate in quelle due ore (e che pubblicherò in modo più organico e completo in un prossimo post) ricavai una prima bozza della torre, realizzata la sera stessa a memoria ancora fresca. E' tutto buttato giù ad occhio e senza troppi calcoli, dato che le mie misurazioni sono per forza di cose un po' approssimative.
Il risultato è comunque apprezzabile, anche per quanto riguarda il perimetro e lo spessore dei muri, che coincidono con quelli del mio progetto.

In particolare ho potuto verificare che la struttura interna è in legno e non in pietra e mattoni come erroneamente scritto su qualche articolo di giornale. Soltanto le prime rampe d'accesso sono in marmo, ma sono il risultato di modifiche apportate in epoche più recenti, probabilmente in coincidenza della tamponatura del loggiato del palazzo.



L'unico aspetto ancora incerto riguarda la struttura dei vari piani, che non so fino a che punto rispecchino quella originale.
L'attuale travettatura ricalca quella precedente, rimossa durante il recente restauro per via del suo cattivo stato. Per decenni infatti la torre è rimasta disabitata, trasformandosi in un'enorme colombaia, piena di escrementi e umidità.

Alcuni elementi però (ad esempio la posizione delle finestre o la disuguaglianza tra le altezze dei vari piani) farebbero pensare ad una diversa organizzazione interna. Quella attuale potrebbe essere il risultato di ristrutturazioni effettuate in epoche passate per rendere abitabile l'interno della torre, in origine pensata come struttura prettamente militare.

La mia ipotesi è che ai tempi della sua costruzione la torre presentasse una serie di rampe in legno addossate alle pareti, che salivano a spirale verso la sommità, alternate magari a ballatoi in corrispondenza delle finestre. Al centro di questa struttura restava uno spazio vuoto utile al posizionamento di un verricello e di una corda.
Qualcosa di simile quindi all'interno di torre degli Asinelli a Bologna, anche se su scala ridotta.
L'approvvigionamento di eventuali armi o pietre a chi si trovava sulla cima doveva essere rapido ed efficiente, mentre l'attuale disposizione renderebbe assai difficoltoso il trasporto anche solo di un cesto di frutta.
Si tratta ovviamente di semplici speculazioni, che proverò a studiare prima di procedere alla costruzione della mia Domus Tower.

Comunque, quel primo disegno è servito da base per la realizzazione di uno spaccato che riprende in modo abbastanza fedele lo stato attuale della torre, azzardando un'ipotesi restitutiva del suo aspetto primitivo (il discorso delle scale è venuto solo in seguito).


Al momento mi manca ancora uno studio dettagliato della merlatura e degli archetti pensili di cui probabilmente la torre era dotata e per i quali userò come modello torre Embriaci.
Proprio di quest'ultima torre ho potuto scattare una foto che credo mi tornerà molto utile, dato che il punto di vista elevato riduce le deformazioni prospettiche, inevitabili osservandola dal basso.


Ora l'ideale sarebbe organizzare una visitina all'interno di quella torre, che a causa delle sue travagliate vicende giudiziarie resta un gioiello intoccabile (anche se reso un po' opaco dall'incuria del tempo)...
Io getto l'esca. Se la montagna si è mossa una volta, chissà che non lo faccia di nuovo?

Note e ringraziamenti:
Le foto incluse in questo articolo sono state scattate nel mese di maggio 2012 durante la mia visita a torre Maruffi.
Grazie a Sabina per aver condiviso la mia scoperta, alla gentilissima Paola che ha acconsentito a far entrare due estranei un po' originali a casa sua e a Michele per i consigli architettonici e per essersi prestato come corriere (parte della futura torre è in quella scatola).




 
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