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giovedì 12 gennaio 2012

Considerazioni mediche - parte prima

Dopo la meravigliosa avventura delle Northern Lights, il nuovo anno ha portato alla sottoscritta una bella tonsillite giusto per passare in relax il week-end lungo della Befana. Beh, ogni tanto si deve pure fare la parte del paziente, e questi 2-3 giorni tra letto e divano a mo' di bradipo mi hanno dato modo di riflettere su un po' di cose. Forse ne verrà fuori un post un po' sconnesso, e con molta probabilità attirerà le ire di qualcuno, ma tant'è.
Riflettevo un po' sui malanni di stagione, raffreddori e influenza. Che notoriamente sono causati da virus trasmessi da persona a persona, e se ne vanno da soli portando solo un po' di pazienza... 
Cosa abbastanza divertente, sembra che in Italia esista anche un'altra causa di raffreddore e influenza, del tutto sconosciuta al popolo svedese (e probabilmente anche al Resto del Mondo): il "colpo d'aria". Non solo un po' di tempo fa avevo letto un articolo piuttosto divertente a riguardo che trovate qui, e che supporta la mia teoria, ma posso anche confermare che tra i moltissimi pazienti raffreddati/influenzati che ho visto in Svezia per lavoro, nessuno ha mai fatto dato la colpa al famigerato "colpo d'aria" come causa dei propri mali, mentre tutti i conoscenti/amici/parenti raffreddati in Italia ne erano stati funestamente colpiti almeno una volta. Mah. 
La seconda riflessione è sull'uso degli antibiotici in Italia. Hai la bronchite ? Vai con l'antibiotico. Un raffreddore con mal di gola che non passa da 5 giorni ? Giù di antibiotico. Bambini inclusi. E che sia possibilmente l'antibiotico più nuovo, più efficace, più potente. Non so se gli italiani si ammalino più frequentemente di infezioni batteriche (per intenderci, quelle che l'antibiotico lo richiedono davvero), ma di certo consumano molti più antibiotici dei vichinghi. Molti anni fa mi ero presa una tonsillite (sì ancora quella) e mi era stato prescritto un antibiotico di ultimissima generazione, appena uscito sul mercato: la tonsillite naturalmente mi passò, ma era veramente necessario ? Ovvero, perchè non risparmiarsi le armi pesanti per le infezioni che veramente lo richiedono ? Non c'è da stupirsi poi che l'Italia sia uno dei Paesi europei con i più grossi problemi di infezioni da batteri multiresistenti...

E non si tratta solo di antibiotici. Qui l'uso dei farmaci in generale è molto limitato, segue linee guida stringenti e i farmaci da banco sono molto limitati. In Italia è una giungla: pillole contro ogni disturbo possibile e immaginabile (disturbi intestinali in cima alla lista: ma gli italiani ne soffrono davvero di più ?), vitamine/integratori/fermenti lattici,  e chi più ne ha più ne metta...
La terza riflessione è sulla facilità con cui in Italia ci si possono procurare i farmaci (antibiotici, ma anche molte altre cose che dovrebbero essere coperte da ricetta) - se si conosce il farmacista (ovviamente non sono tutti così condiscendenti, per fortuna, ma buona parte sì), o anche se non lo si conosce (più raramente, ma è capitato anche alla sottoscritta che all'epoca non era aveva ancora finito l'università). Per gli antibiotici, ma vale anche per altri preparati, la parola magica è "me l'hanno prescritto varie volte in passato": si paga di più ma si ha quello che si vuole, senza dover fare il giro dal medico (tanto, a che serve ? C'è tutto su internet e per fare una diagnosi di sinusite che ci vuole ? E poi dal medico c'è la coda...). 
Ancora: le visite domiciliari. Qui sono una rarità riservata a casi veramente gravi (leggi: ultra-anziani che non possono spostarsi in nessun modo). Ma in Italia: hai il mal di gola e la febbre a 38°C? Visita domiciliare ! E ci mancherebbe! D'altra parte è impensabile prendere un po' di paracetamolo e andare in ambulatorio a farsi vedere: si potrebbe prendere un ulteriore colpo d'aria e peggiorare la situazione, poi sì che ci vuole di sicuro l'antibiotico per poter guarire, e poi le vitamine e i fermenti lattici per riprendersi dalla cura antibiotica...

domenica 3 aprile 2011

Gli affetti per chi vive all'estero

Emigrare in un altro Paese: una scelta che implica oltre a tante altre cose, anche una piccola dose di coraggio, per il fatto di lasciare la propria "zona di comfort" e la vicinanza della famiglia e degli amici più stretti  ed approdare in un luogo "estraneo" dove è necessario ricreare la propria casa, tanto materialmente quanto emotivamente. 
E quando la quotidianità scorre liscia e senza problemi, la sensazione di essere in un altro posto non si fa sentire molto; ma quando qualcosa esce dagli schemi, quando succede un piccolo o un grande imprevisto che va a turbare la routine di tutti i giorni, ecco, allora si apprezzano ancora di più certe cose: la persona che ha deciso insieme a te di condividere la propria vita e quest'avventura e che non si lascia spaventare dalle circostanze, che è sempre un punto di riferimento solido in qualsiasi angolo del mondo, che non ti fa mai sentire sola qualsiasi cosa succeda; e poi gli amici del posto, di lunga o nuova data, che ricreano l'affetto e il calore di casa. Tutto questo - insieme all'amore di chi è rimasto in Italia e viene a farci visita scaldandoci il cuore - non ha veramente prezzo. 

venerdì 19 novembre 2010

Quest'Italia dolceamara

Il nostro breve soggiorno a Milano ci ha fatto vivere quello che per molti stranieri è la Dolce Vita, il sogno italiano: la sensazione di trovarsi sempre al centro degli eventi, in una città che offre tutto il possibile per ogni gusto, dove si puo' mangiare bene, vestirsi alla moda, frequentare locali famosi, magari incontrare personaggi noti, assistere ad eventi esclusivi. Insomma, dove è possibile sentirsi alla ribalta, vivere in prima persona la vita pulsante di un Paese ricco di fascino che sembra un set cinematografico. Ecco: sentirsi protagonisti, magari anche un po' famosi ed ammirati, riuscire ad avere i propri dieci minuti di visibilità, o almeno riuscire ad annusarne il dolce profumo. E' questo secondo me lo spirito che anima l'Italia di oggi e che alla fine ogni straniero un po' ci invidia: negli altri Paesi, cosi' misurati, politically correct e impeccabilmente gestiti come orologi svizzeri manca il batticuore, manca lo spettacolo, manca il pathos. Questa è l'Italia del sogno, della vacanza, o dei pochi fortunati che si possono permettere questa Dolce Vita a tempo pieno.

C'è poi un'altra Italia, quella delle persone che lavorano duro tutti i giorni, e nella quale siamo cresciuti anche noi, distante anni luce da quel mondo dorato. E nel giro di un paio d'ore di treno siamo stati catapultati in quest'altra Italia, nel Nord-Est lavoratore, alluvionato, umido, triste. Questa non è l'Italia dei sogni, qui ci si rimbocca le maniche e si vanno a prendere i sacchetti di sabbia per proteggere le case dalla piena incombente, si respira e si percepisce ovunque l'odore dell'umido e del fango, si rivedono i propri cari che nel mezzo di una notte di novembre hanno visto i ricordi di tanti anni di vita fluttuare nella melma marrone, si buttano a quintali libri ed oggetti della propria infanzia ed adolescenza (forse prima o poi sarebbe stato il momento di farlo comunque, ma questa circostanza ha un che di catartico).

Ecco: è bene non dimenticare che c'è anche questa Italia, quella che all'estero nessuno conosce, quella che è ignorata da molti anche in Patria, quella dove l'organizzazione è assente e niente sembra funzionare, quella che la Dolce Vita non lo è mai stata. E fa bene tornare: perchè, seppur lontani, anche noi ci siamo, non abbiamo dimenticato da dove veniamo, le nostre radici ed i nostri affetti piu' cari sono ancora qui. Il nostro desiderio, in fondo in fondo, sarebbe che questa Italia diventasse un po' migliore, un po' piu' simile al posto dove abitiamo ora. Ma probabilmente è utopia: in ogni spettacolo - perchè l'Italia è come la scena di un'opera - sia il lato cupo che quello brillante devono essere rappresentati. Altrimenti la piéce non ha successo.

lunedì 9 agosto 2010

Non solo scienza...

Questa vacanza-studio in terra lappone, oltre ad avere uno scopo principale (il corso di studi spaziali) e uno scopo secondario (esplorazione della zona, anche in vista del prossimo viaggio invernale a caccia di aurore boreali), si sta rivelando interessante anche per i rapporti interpersonali e sta diventando spunto per qualche riflessione "antropologica". Ovvero: che cosa accomuna 35 persone che scelgono di fare questo corso ? E come socializzano tra di loro ? 
La risposta ovvia alla prima domanda sarebbe che la maggioranza dei partecipanti è rappresentata da studenti di ingegneria aerospaziale, i quali naturalmente sono interessati alla materia. Questa appunto è la riflessione più superficiale. Il corso in realtà (e grazie al cielo) è molto poco tecnico rispetto ad un qualsiasi corso di ingegneria o di fisica/meccanica del volo, ed in sé non dà "punti di vantaggio" per l'accesso ad eventuali altri corsi. 
La caratteristica comune di tutti i partecipanti è invece la curiosità, non solo nei confronti della materia principale, ma del "pacchetto-corso" in generale: curiosità di fare qualcosa che si discosti dal "solito" (insomma, 3 settimane nella Lapponia svedese non sono quanto di più comune ci sia per passare il mese di agosto), di saperne di più (oltre alle mere nozioni di fisica qui ne stiamo sentendo di tutti i colori, dalle aurore boreali, alla storia di Kiruna, e molto altro), di sentire più punti di vista (con più di 10 nazionalità diverse sarebbe strano il contrario), di sognare al di là di quella che è la realtà a portata di mano qui ed ora (e qui, l'argomento "esplorazione spaziale" lascia ampio spazio alla fantasia...). Insomma si tratta soprattutto di persone aperte e curiose, e in generale socievoli e predisposte al lavoro di gruppo. Eh sì, perché una parte della valutazione finale si baserà su un progetto di gruppo, e i gruppetti che si sono formati non sono assolutamente mononazionali.
E' poi interessante scoprire giorno per giorno queste persone attraverso le piccole cose, come per esempio i pranzi e le chiacchierate in comune: dal folto gruppo di portoghesi che la sera cucina delizie del palato e rallegra l'atmosfera con il calore mediterraneo, ai nordeuropei che non tengono molto in considerazione la questione culinaria - gli inglesi che già dal primo giorno hanno acquistato fish and chips surgelati a quintalate e subito sono stati attratti dall'offerta alcolica del Systembolaget, il pallidissimo finlandese che mangia unicamente (dal giorno in cui ha messo piede a Kiruna) fiskbullar in scatoletta che apre sempre con il coltellino svizzero appeso alla cintura e beve dalla borraccia anch'essa appesa alla cintura dall'altra parte, l'olandese che invece è abbonato - ogni santo giorno - al pane e Nutella per pranzo (!!!). 
E poi i meticolosi, silenziosi e riservati russi che cercano di spremere ogni goccia di scienza da questo corso sapendo che è per loro un'opportunità da cui trarre il massimo, l'indiano i cui ragionamenti sanno molto di spirituale e molto poco di pratico, gli organizzatissimi scandinavi con matlåda di ordinanza e incrollabile predilezione per il "möte" organizzativo preliminare a qualsiasi attività, e la mia ormai affiatatissima compagna di avventura velata che al di là di ogni possibile pregiudizio si è rivelata oltremodo piena di interessi ed iniziativa, lungimirante e di aperte vedute (alla faccia della questione religiosa...).

In ogni caso, al di là delle differenze ed abitudini nazionali, sono persone che pensano in modo aperto e positivo. E io che ero scettica temendo un'interminabile noia in compagnia di pischelli ventenni...

venerdì 9 aprile 2010

Fika a colazione: l’Italia è questo e altro

Eccoci qui, quasi alla fine della nostra vacanza: dopo una Pasqua trascorsa in compagnia dei nostri cari e con gli amici svedesi, e una Pasquetta al lago, con sole e clima davvero primaverile, tra una paio di giorni ce ne torneremo in Svezia.
Anna e Martin, alla loro prima esperienza in Veneto, hanno avuto modo di vivere in prima persona la vita quotidiana in una qualsiasi famiglia italiana, con i suoi lati anche buffi e particolari: qualche perplessità per la colazione dolce (“ma qui si fa fika a colazione ???”) che comunque sembrano aver apprezzato, per l’abitudine di non togliersi le scarpe in casa, per la facilità con cui si aquistano - e bevono - alcolici, e non da ultimo per la combinazione di molto charme e basso costo di un aperitivo al bar, con stuzzichini vari e il sole ormai estivo che scalda il viso. E ancora: la bellezza dei paesaggi e dell’arte, la vicinanza di mari e monti (dal B&B dove abbiamo pernottato la notte di Pasquetta si potevano vedere contemporaneamente Prealpi ed Appennini, nonché ammirare la pianura tra sconfinate distese di alberi di pesco e kiwi e altrettanti numerosi vigneti).
Ma hanno avuto anche modo di sperimentare la folla con la confusione che ne deriva, il traffico estremo, l’inquinamento di aria e acqua, i prezzi spesso gonfiati in alcuni settori, il gran numero di venditori ambulanti stranieri dalla dubbia regolarità, i racconti delle vicissitudini politiche italiote… insomma anche i lati poco attraenti che magari non colpiscono immediatamente il turista frettoloso che non pensa alla differenza tra visitare un Paese per vacanza e invece sceglierlo come propria residenza.
Ed è questo, alla fine, che volevamo far vedere loro: un’Italia non per turisti, non quella idilliaca di “Drömmen om Italien”, ma quella della gente che ci lavora, che ci vive, con i suoi lati positivi e quelli negativi.
E a noi, che effetto ha fatto tornare indietro ancora una volta ? Personalmente un po’ di nostalgia per la gente che conosciamo, per il clima (ormai qui in Veneto le temperature hanno toccato i 20°C, mentre in Svezia le massime sono attorno ai 10°C) con la natura che è ormai in piena esplosione primaverile, e per il cibo, con tutte le possibili variazioni e specialità da regione a regione, da città a città, da borgo a borgo. Ma il capitolo nostalgia è breve e finisce qui.
Insomma, contenti della vacanza, ce ne torniamo a casa nostra, dove ci aspettano nuovi progetti e nuove avventure, e possiamo in questo momento dire: “borta bra, men hemma bäst”, ovvero in da qualche altra parte si sta bene, ma a casa propria (in Svezia) si sta meglio.

domenica 28 febbraio 2010

Voci di dissenso

Ancora prima del nostro trasferimento in Svezia, quando avevamo iniziato a manifestare la nostra intenzione di lasciare l'Italia, ci siamo spesso confrontati con le opinioni contrarie di chi ci è vicino. Se in generale non è facile emigrare (sia dal punto di vista "mentale" che da quello meramente "pratico"), tanto meno lo è farlo contro il parere di chi sta più a cuore, e intuire che qualcuno sia in qualche modo "scontento" della nostra scelta non è esattamente una bella sensazione.

A più riprese, prima della nostra partenza, si è discusso, in un modo o nell'altro, di come poterci far desistere dal nostro proposito di andarcene, con l'elogio degli aspetti positivi del vivere in Italia (relativa vicinanza dei genitori, casa di proprietà, lavoro fisso nel caso di Gabriele, clima, cibo, e bla bla bla) e con la proposta di poco realistiche alternative per risolvere i problemi che ci hanno portato all'emigrazione. Anche ora che siamo qui, e che raccontiamo a voce e sul blog quello che ci accade più o meno ogni giorno, ogni evento spiacevole, finora davvero raro e banale, che ci accade viene largamente discusso e la conclusione di ogni simile discorso è così riassumibile: "sembra che le cose lì non stiano andando proprio bene (e tra parentesi forse sarebbe stato meglio che ve foste rimasti in Italia, lì di questi problemi non ne avreste avuto)". Certo: ne avremmo avuti di ben altri e di ben più importanti che prendere una multa di 30 euro o di pensare come convincere l'IKEA a emettere una fattura per una sedia da lavoro. E, per soddisfare la curiosità di tutti, qui in realtà le cose in generale vanno decisamente bene e la nostra qualità di vita è migliorata sensibilmente rispetto a quando eravamo in Italia.

Ecco, io penso che la percezione di come si vive in Italia al giorno d'oggi da parte di chi è già fuori dal mondo del lavoro e non vive più i problemi quotidiani di una giovane famiglia sia abbastanza diversa da come l'Italia l'abbiamo vissuta noi ultimamente. Chi ha vissuto la propria giovinezza e vita lavorativa negli anni 60-70-80, quando il mercato del lavoro "tirava", quando si viveva bene con uno stipendio medio in una famiglia di 4 persone, quando a 30 anni e con poco più di una decina di anni di lavoro ci si comprava la casa senza indebitarsi per la vita, quando ci si poteva permettere di offrire ai propri figli un'educazione scolastica di qualità e una serie di attività alternative (studi musicali, sport, ecc.), ecco chi ha vissuto in questi anni probabilmente fa fatica a capire come l'Italia di oggi sia cambiata e come, crisi o non crisi, sia molto difficile permettersi di offrire ai futuri figli almeno quello che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori (e non solo materialmente, ma anche in termini di valori nella società italiana d'oggi).

E da qui la seconda critica che spesso ci è stata rivolta, più o meno velatamente: "perchè, con le vostre capacità e le vostre idee, non rimanete e cercate di cambiare l'Italia partendo dal vostro piccolo ?" Grazie della fiducia, ma al di là di essere onesti e fare del proprio meglio sul lavoro e nella vita di tutti i giorni (cosa che già applicavamo), che senso ha lottare contro i mulini a vento senza speranza alcuna di cambiare un sistema corrotto dai vertici fino alla base, finendo per esaurirsi e "non vivere" ? A mio avviso, meglio andarsene: d'altra parte continueremo a dire la nostra (se a qualcuno interessa) su questo blog, e con il nostro voto dall'estero possiamo sempre esprimere la nostra opinione su quelli che vorremmo fossero i cambiamenti nella nostra Italia (ammesso che la nostra opinione valga ancora qualcosa).

Per farci tornare non servono riconoscimenti teorici, articoli su giornali più o meno diffusi, o la fama. Serve un cambiamento vero, di quello che si tocca con mano e nella vita di tutti giorni. E finchè questo non accadrà, spiacenti, ce ne staremo qui, e cercheremo di realizzare tutti i nostri sogni, la vita in fin dei conti è una sola.

domenica 10 gennaio 2010

Ritorno in Italia

Eccoci qui, nell'umida pianura padano-veneta, con uno sbalzo termico di circa 30°C da quando siamo partiti ieri mattina da casa. Eh sì, perchè quando abbiamo messo il naso fuori casa alle 4.15 del mattino per salire sul taxi che ci avrebbe portato in stazione, la colonnina di mercurio segnava -24°C ! E dopo un'attesa di 20 minuti alla fermata del Flygbuss, abbiamo iniziato la tratta bus+aereo+A4 che finalmente ci ha portato in terra italica, dove ci aspettava il diluvio universale e una temperatura di 6°C. All'arrivo la sensazione, almeno per quanto mi riguarda, è stata quella di completo spaesamento: troppo umido, troppa gente, troppo traffico, addirittura mi sembrava che mio padre (notoriamente morigerato al volante) guidasse come un pazzo da quante macchine gli stavano vicino. E questo dopo soli 6 mesi di Svezia. Non mi immagino come potevano sentirsi gli emigranti che 40 anni fa andarono in Australia o nelle America e tornarono in Italia 10 o 20 anni dopo essere partiti trovando del tutto cambiato ciò che avevano lasciato...
Con il nostro arrivo in Italia è iniziata una serrata lista di impegni che ci lascerà poco tempo per oziare: a parte le visite a parenti, amici ed ex-colleghi, anche qualche incombenza burocratica (la Brontolina dovrà essere "sbattezzata" in Italia e "ribattezzata" con targa svedese - dettagli seguiranno a breve sulla già complicata vicenda) ma soprattutto la tanto agognata vacanzina sciistica sulle Dolomiti che i nostri amici svedesi ci invidiano particolarmente.
Sarà stata la stanchezza e lo scombussolamento del viaggio, o il pensiero di tutte le cose che dovremo fare il questi giorni, ma il tornare nella nostra ormai ex-casa in terra padovana mi ha messo un po' di tristezza: non pentimento per essercene andati - perchè mai come ora siamo convinti di aver fatto la scelta giusta - ma una sorta di malinconia che trasuda dai muri e dagli oggetti di una casa che si è amata, a cui sono legati tantissimi ricordi che passano attraverso la mente ad uno ad uno, limpidi come fossero ieri e carichi di sensazioni, profumi e musiche, dal primo giorno in cui in quest'appartamento siamo stati in due a quando in due abbiamo chiuso la porta dietro di noi per partire con la macchina carica alla volta della nostra nuova avventura.

sabato 14 novembre 2009

America si, America no

Come qualcuno già saprà, è da parecchi anni che trascorriamo le nostre vacanze (e a volte vacanze/lavoro) negli USA, avendo totalizzato con quest'ultima esperienza 21 stati. E, non avendo solo girato il Paese ma avendo anche alcuni amici che abitano nel Midwest, a questo punto possiamo anche lasciarci andare ad alcune riflessioni (ovviamente personalissime) su questa America. E' il Paese che amiamo per i grandi spazi, l'orizzonte infinito, il senso di libertà che dà il viaggiare sulle sue highway e per le sue campagne, le meraviglie della sua natura e dei suoi paesaggi, la grande diversità degli stati che la compongono eppure il loro sentirsi un'unica nazione.
Ma non possiamo fare a meno anche di stupirci per molte cose che consiredereremmo impossibili in un Paese occidentale e "ricco": perchè l'America è un Paese ricco, no ?
Ad esempio, il grande numero di anziani (e con anziani intendo gente sicuramente sopra gli 80 anni) che ancora lavorano: cassiere ai supermercati, casellanti nelle poche autostrade a pagamento, portieri nei motel durante il turno di notte - neri, ispanici ma anche bianchi. Fa una certa tristezza pensare che per alcuni l'età della pensione non arriva mai semplicemente perchè non possono permetterselo (come non si possono permettere molte altre cose, ad esempio una casa decente invece della roulotte parcheggiata permanentemente in un "trailer park", le 4-5 settimane di ferie che per un lavoratore europeo sono sacrosante, oppure la sanità gratuita o quasi, ma non vogliamo entrare nel merito qui e ora).

Non si può fare a meno di notare, in generale, un certo egoismo di fondo, che è sì alla base dell'"imprenditorialità" all'americana, ma che a volte ci fa riflettere come chi abita qui sia ben poco sensibile a ciò che succede altrove. Come ben ha sintetizzato qualcuno in un adesivo applicato al posteriore del proprio SUV: "I want to keep my money, my freedom and my guns. You kan keep the "change" " Oltre al fatto di non aver certo votato Obama, il personaggio in questione non sembra molto attento ai problemi del mondo a cui lascerebbe volentieri solo le monetine...
E poi, il badare all'apparenza più che alla qualità e alla sostanza: questo si può davvero applicare a molte cose, qui. E' "meglio" chi è più grosso (che si tratti del pickup, della casa, del cartello pubblicitario, della temperatura dell'aria condizionata o dell'offerta di 4 pizze maxi + bibita al prezzo di una pizza normale sullo stesso menu: e allora perchè non strafogarsi ? ...). Poco importa che magari le colonne del portico della casa siano fatte di polistirolo e si stacchino malamente perchè la colla non tiene, che l'aria condizionata venga tenuta a 18 gradi anche quando fuori ce ne sono appena 20, che il pickup cilindrata 5.7 venga usato solo per il tragitto casa-Wal Mart, o che se si vuole fare in caffelatte il "latte in polvere" non contenga assolutamente nulla di caseario, ma solo una decina di sostanze che ne riproducono alla perfezione il gusto e il colore, magari anche meglio...
Insomma: l'America sì ci piace, ma solo per una vacanza: è il paese dei balocchi e dello zucchero filato, e come tale è bene prenderlo a piccole dosi per non farne indigestione. Ma viverci, questo no non farebbe per noi !