Visualizzazione post con etichetta 2007. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 2007. Mostra tutti i post

giovedì 24 dicembre 2015

Beyond the (Italian) boundaries - Post rock vol. 13 (Mario Bertoncini/Mario Nascimbene/Walter Branchi & Mauro Bortolotti)

Mario Bertoncini
Indice generale/General index

Auguro a chiunque segua il blog un Natale e un 2016 sereni

Mario Bertoncini - Arpe eolie (2007; recordings 1973-1974). Co-fondatore di Nuova Consonanza (1959; era l’associazione nata per promuovere l’avanguardia italiana), assieme a Macchi, Evangelisti, Bortolotti; fra gli altri. Arpe eolie è un capolavoro (in cui è sfruttata, appunto, l’arpa eolia, le cui vibrazioni sono originate dal vento) di cui Bertoncini è esecutore e artefice assoluto. Echi remotissimi e avvolgenti, e sempre minacciati dalla casualità, come una fiamma mossa dalle correnti più capricciose, tengono in scacco estatico l’ascoltatore. Inevitabile.

Mario Nascimbene - Atti degli Apostoli (2004; recordings 1969). Mario Nascimbene fu autore di numerose colonne sonore, ancora da valutare. Al sottoscritto egli è caro soprattutto per la collaborazione con Roberto Rossellini; con il Rossellini televisivo, magnifico e tardo, in cui la ricostruzione storica accurata, l’ansia divulgativa e la calda empatia delle immagini vanno di pari passo. Di tale collaborazione è rintracciabile, per ora, solo la presente testimonianza ove si ritrovano parte dei dialoghi dello sceneggiato, a detrimento della musica vera e propria. Ma non è un ostacolo all’apprezzamento, anzi: il delicato tema iniziale, sottolineato in modo indimenticabile dal flauto di Severino Gazzelloni, si costituisce subito quale sfondo sonoro e morale del disco (ricco di eccellenti spunti etnici), e va a fondersi perfettamente al testo; in tal modo Nascimbene rende alla perfezione la Stimmung del quinto Vangelo: qui lo smarrimento per la morte del Cristo e la mestizia convivono con un fervore spirituale incrollabile e la viva speranza per un mondo ulteriore che renda giustizia all’iniquità di questo. Da sentire il disco, da vedere lo sceneggiato; bruti astenersi.

Mauro Bortolotti/Walter Branchi - Paesaggi intravisti (1987). Walter Branchi è una delle colonne del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza; Bortolotti fu allievo di Pietro Grossi, pioniere dell’elettronica italiana, co-fondatore di Nuova Consonanza (l’associazione, non il gruppo) e scheggia ideologica dei Corsi Estivi di Darmstadt (Internationale Ferienkurse für Neue Musik, Darmstadt), untori primi della scena sperimentale europea. Paesaggi intravisti consta di due lunghe tracce: inserti dialogati, concretismi, ambient, elettronica convivono in un flusso sonoro accattivante, felicissimo. Lo consiglio, ovviamente. In più, sotto i video dei primi due dischi (su youtube non esistono video dei Paesaggi), aggiungo un imperdibile documentario tedesco (di Theo Gallehr) sul Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza.

Per il download: basta cliccare sul titolo, spuntare la casella e cliccare nuovamente, stavolta sul simbolo universale del download (下載 in cinese) e il tutto si avvierà automaticamente.

mercoledì 12 giugno 2013

Beyond the boundaries - Post rock vol. 4 (Nadja) 1^ parte/2^ parte


Dietro il moniker Nadja, si nasconde, come si è visto, il geniale multistrumentista Aidan Baker (Nadja è palindromo del nome di battesimo del canadese). La produzione del duo (al Nostro si aggiunge, alla voce e al basso, la compagna Leah Buckareff) assomma, a tutt'oggi, a più di sessanta lavori, fra CD, Ep, ri-registrazioni con bonus tracks, split con bei nomi dell'avanguardia internazionale (Black Boned Angel, Fear Falls Burning, Atavist, fra i tanti).
Nonostante il diluvio sonoro (raggiunto in poco più di dieci anni), e le ritenutezze stilistiche proprie del genere, una sorta di epico shoegaze-doom, la qualità delle opere, sorprendentemente, rimane sempre alta, tanto che, a proposito del duo, il giudizio si può ritenere acquisito: sono tra i capifila indiscussi del post rock degli anni Duemila.
Due dei lavori maggiori sono già stati recensiti (Radiance of shadows dal sottoscritto, lo stesso Radiance e Thaumogenesis dal buon Webbatici); ho trascelto, dagli anni 2002-2010, i lavori ritenuti più rappresentativi (a parte gli split che esamineremo in seguito). 
Oltre al quartetto da tenere sotto orecchio anche Guilted by the sun e Truth becomes death.

Corrasion (2003). Uno dei primi lavori e già lo stile è affinato: brontosauri sonori, basso pulsante, detumescenze, stasi, riprese ancor più ciclopiche. Il rumore di fondo dell'universo. Conflagrazioni stellari, annientamenti, nascite di nuove galassie, vengono scandite dal basso continuo di Buckareff e dalla drum machine di Baker, veri regolatori della vita stessa di questo cosmo musicale. Non mancano accenni più spiccatamente doom (You're as dust) o meditativi (l'inizio di Corrasion).

Bodycage (2005). Tre pezzi per circa cinquanta minuti; un classico imperdibile, Clynodactil (21'45''), maestoso come il dispiegarsi dell'anima stessa dell'universo.

Touched (2007; re-recorded). Assieme a Radiance of shadows forse il capolavoro dei canadesi; questa è la versione accresciuta dell'omonimo del 2003 (da ascoltare anche quella: alcuni la preferiscono); Mutagen e Flowers of flesh sono gli ennesimi tour de force in cui possiamo udire il respiro stesso del divenire. Musica per sciamani. 

Desire in uneasiness (2008). Per la prima volta i Nadja si muniscono di un vero batterista (Jacob Thiesen). Si perde il fascino avvolgente dei primi lavori, ma le progressioni divengono dei bulldozer spaventevoli. Eccellente Uneasy desire

giovedì 16 agosto 2012

Grouper - Cover the windows and the walls (2007)

Grouper non è altri che Liz Harris, all'incrocio fra la psichedelia onirica e dilatata di Azalia Snail, Elisabeth Fraser e il paradisiaco incanto di Ashera. La Harris non ha, di certo, il talento melodico di Snail e tende, pericolosamente, alla monocromia: tutte le sue composizioni sono nenie angeliche e tremolanti, aeree e sfumate; solo una volta si sfiora la cupezza (You never come), con un suono più largo e solenne; il tono predominante, invece, è estasiato, melanconico e liquido. Le modulazioni da sirena di Harris sarebbe state perfette nelle scene conclusive del Wild blue yonder di Werner Herzog. Nel film del tedesco, una fantasia fantascientifica, una missione spaziale esplora gli abissi interstellari alla ricerca d'un nuovo mondo abitabile: la Terra, infatti, sta morendo. Gli astronauti trovano un pianeta perfetto, con mari estesi e nuovi esseri viventi: le commoventi riprese finali, sottomarine, svelano una fauna brulicante, dalla vita semplice e miracolosa, resa incantata, rallentata e sognante dal filtro diafano delle acque e dai giochi di luce dei riflettori degli esploratori. Tale scoperta, tuttavia, sarà inutile: al loro ritorno gli astronauti troveranno la Terra spopolata, e riconsegnata (una benedizione?) all'imperio della Natura*.
Per finire: tali lavori possono risultare, per qualcuno, noiosi. Si fa per dire. La noia è un sentimento nobile, da usare per la disperazione metafisica. Noia, in tali casi volgari, significa insofferenza. Quasi impossibile** usarla come parametro estetico: essa esprime, infatti, nel migliore dei casi, la nostra incapacità a rapportarsi con materiali diversi dall'ordinario; nel peggiore significa o scarsa preparazione oppure, quasi sempre, un ottundersi del gusto, reso tale dalla frequentazione con pietanze da dozzina. Un teppista futurista (poco tempo fa ancora alla moda) scrisse addirittura un florilegio di critiche cinematografiche basato sulle sue insofferenze (e non voglio ricordarne il nome, anzi voglio dimenticarlo). Come diceva PPP: “Quanta stupidità … che bolgia di stupidità!”.

* Il film è più complesso: la narrazione è fatta da un alieno caduto sulla Terra.
** Non nel caso di Nietzsche a cui fremevano le gambe quando ascoltava musiche non di suo gusto. 

giovedì 1 dicembre 2011

Baroness - First and Second (2004-2005)/Red album (2007)


Nella prolusione a Gli assassini della Rue Morgue, in cui viene presentato l'investigatore par excellence, Auguste Dupin, Edgar Allan Poe teorizza la superiorità del gioco della dama rispetto a quello degli scacchi; nel gioco degli scacchi, infatti, essendo “i pezzi dotati di movimenti diversi e bizzarri e di valori diversi e variabili, quello che è soltanto complessità … vien preso per profondità … Nel gioco della dama, al contrario, nel quale la mossa è una sola e non subisce che poche variazioni, le probabilità di inavvertenze sono minori e l'attenzione del giocatore [è] relativamente libera, per cui i vantaggi riportati da questo o da quel contendente si ottengono grazie ad una perspicacia superiore”. In altre parole il giocatore di dama, con un numero ristretto di permutazioni, deve necessariamente rivelare una sagacia maggiore dello scacchista che, inevitabilmente, non può controllare l'altissimo numero di disposizioni possibili; nella dama i giocatori, in virtù del numero di mosse limitate, non possono fare affidamento sulla concentrazione e sulla memoria (richiesta dagli scacchi), ma bensì ad “un abile mossa dovuta a uno sforzo potente della mente”, forse un tranello ordito grazie ad una superiore finezza psicologica.
Allo stesso modo non è possibile che, in campo musicale, si scambi certo complesso sperimentalismo o certa cacofonia deliberata (scacchi) per profonda innovatività e si trascuri e svaluti a priori il manierismo di alcuni autori (la dama) solo perché ritenuti derivativi, già sentiti o semplicemente ossequiosi ad una tradizione?
Nei tre album* dei Baroness (provenienti dalla Georgia e capitanati dal ruggente chitarrista John Baizley) si trovano i più vari spunti ed echeggiamenti (stoner, x-core**, hard rock classico …); non mancano tocchi thrash metal; né vengono risparmiati brevi strumentali acustici d'alleggerimento à la Black Sabbath o incedere da ipertecnici guitar heroes. Niente di nuovo, come detto, ma il centone funziona grazie allo smagliante lavoro di Baizley che, rimaneggiando frusto materiale dejà entendu, riesce a distillare tre opere notevoli e a rivitalizzare i vari generi citati. Non vi è in questo la maggior gloria del giocatore di dama di Poe? Vision, Grad, Wanderlust, Aleph alcune delle punte creative.
Se i Baroness avessero costruito un paio di pezzi davvero mainstream sarebbero da tempo su MTV e Rolling Stone, indecisi su come investire i numerosi sacchi di dobloni e talleri raccolti.
              
* In First and second si raccolgono i primi due EP.
** La x sta per grind, hard, post

lunedì 8 agosto 2011

Nadja - Radiance of shadows (2007)

Il 6 Agosto 1945, un Lunedì, e il successivo Giovedì 9, le due città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki e i loro duecentomila abitanti vennero vaporizzati da due ordigni atomici, Little boy e Fat man, sganciati rispettivamente dai bombardieri statunitensi Enola Gay e dal Boeing B-29 Superfortress.
Il fisico americano Robert Oppenheimer (1904-1967), direttore scientifico del Progetto Manhattan di armamento nucleare, poche settimane prima, di fronte all’enormità delle conseguenze della propria ricerca, aveva dichiarato: “Ora io sono diventato Morte, il distruttore di mondi”*. La sentenza, tratta dal Bhagavad Gītā, il sostrato teologico più rilevante dell’induismo, fornirà ai Nadja materiale per uno dei capolavori doom-shoegaze del decennio passato.
Nato come progetto solista del canadese Aidan Baker (voce, chitarra, tastiere), Nadja si arricchì di un secondo membro, Leah Buckareff (voce, basso), per le esibizioni dal vivo. Gruppo sin troppo prolifico, nel 2007 diede alla luce i suoi migliori lavori, Thaumogenesis, Guilted by the sun e, appunto, Radiance of shadows.
Quest’ultimo si articola in tre possenti composizioni (rispettivamente 23, 27, 29 minuti circa).
La prima traccia, Now I am become death the destroyer of worlds, inizia lentamente, a simulare l’arrivo della morte dal chiaro cielo agostano; viene quindi scandita dal pesante incedere degli strumenti (i colpi di un destino ineluttabile) per poi rallentare nuovamente: l’attesa prima della deflagrazione; quindi l’epifania atomica vera e propria risolta musicalmente con un clamoroso scrosciare chitarristico che sembra allargarsi all'universo tutto**. 
I have tested the fire inside your mouth è una canzone d’amore ("I have tested the fire inside your mouth/I have turned beneath the touch of your tongue/I am blinded by the radiance of your eyes/I am turned to dust by the heat of your breath, sospirano i quattro versi), ben presto stravolta da vaste distorsioni e da ininterrotte praterie chitarristiche poi sviluppate in un crescendo stordente, che i Nadja intermezzano, tuttavia (come in Now I am become) con accorti rallentamenti.
Anche Radiance of shadows si struttura con flebili accordi di chitarra (una dichiarazione d’amore alla Cronenberg prima maniera***) interrotti ex abrupto da accensioni sonore devastanti; ed anche qui una cacofonia quasi insostenibile occupa la seconda parte del brano per sciogliersi nel tema iniziale. 
Una certa ripetitività compositiva, seppur abile (si alternano momenti di stasi, ritmiche marziali ed amplissime distese elettriche) viene riscattata dalla forza debordante dell’esecuzione che, specialmente nella prima traccia, assurge ad altezze quasi titaniche.

* La frase esatta: “Se la brillantezza di mille soli bruciassero in un istante nel cielo, quello sarebbe come lo splendore dell’Unico … Sono diventato morte, il distruttore di mondi”. Sulla morte dal cielo rimandiamo ancora a Sven Lindqvist, A history of bombing, 1999 (tit.it., Sei morto! Il secolo delle bombe, 2001)
** Lo schema si ripete tre volte nell’arco dei circa ventiquattro minuti
*** Già comparsa in un EP del 2003

**** “Reduced to subatomic particles/Leeching thru your skin/I scrawl my initials/In your DNA and change you/As you change me".