Ho trovato il precedente post di Lajules, “IN DIFESA DEGLI HIPSTER” parecchio stimolante, a cominciare dalla sensazione di ignoranza che mi ha instillato. “Di cosa sta parlando la mia amica?" – mi sono chiesta - "Hipster? Non c’entravano qualcosa con Jack Kerouac, esistono ancora? Ci sarà anche da noi una polemica diffusa e codificata nei loro confronti di cui non mi ero accorta?”.
Mi scuso in anticipo con lei e con altri lettori se ripeterò le sue riflessioni senza accorgermene ma, capite, ho dovuto fare il percorso da capo.
Innanzitutto, per diradare un po’ le tenebre ho consultato la salvifica pagina di Wikipedia. Dopo un’introduzione sugli hipster degli anni Quaranta, la cosa si fa interessante. Al paragrafo “Evoluzione del termine negli anni novanta e duemila” la pagina avverte: “Il paragrafo è tremendamente non neutrale e necessita di un esteso lavoro di riscrittura, in primis eliminando totalmente il senso di ironia che appare fin troppo palese”. A quel punto, mi appare chiaro che la polemica sugli hipster esiste anche in Italia e precisamente in questi termini: “spesso non sono così anti-mainstream come vogliono far credere, finendo per omologarsi”. Chissà perché, penso, questa riflessione mi suona familiare.
Mi resta comunque il dubbio su chi diamine siano, se per caso non abitino al piano di sotto senza che io me ne sia accorta o siedano sui banchi di scuola in seconda fila, mentre interrogo. Continuo a leggere la partigiana descrizione di Wiki: “Il termine designa giovani, di classe medio-alta, istruiti e abitanti dei grandi centri urbani, che si interessano alla cultura alternativa […]. Amano appropriarsi dei codici delle generazioni precedenti, ammantandosi di un caratteristico stile rétro. Si servono in negozi di abiti usati, mangiano preferibilmente cibo biologico, meglio se coltivato localmente, sono vegetariani o vegani, preferiscono bere birra locale (o prodotta in proprio) e amano girare in bicicletta. Spesso lavorano nel mondo dell'arte, della musica e della moda…”
Distolgo gli occhi dallo schermo, sgomenta… Se è così, allora sono hipster la maggior parte dei miei amici, dei ragazzi che ammiro a scuola, della gente che ieri sera beveva con me la birra alla sagra di San Giacomo a Venezia! Orrore: forse sono un hipster anch’io, e i “norms” mi deridono da anni! Classe medio-alta a parte, si intende.
Un attimo prima che mi consegni al ridicolo, scrivendo fischi per fiaschi, Annucci mi viene in soccorso. Tecnologicamente limitata da un esilio in Sardegna, ella mi spiega pazientemente attraverso facebook che a Milano ne è pieno. Sono “figli di papà”, riccastri con gli occhiali spessi che girano in bici con il Mac sotto il braccio, tanto se gli cade i genitori glielo ricomprano, ultratrentenni dal look studiato e l’aria scostante, buoni solo a sentenziare sui gusti degli altri dall’alto dei loro costosissimi studi di designer. Insomma, una bella differenza con i miei amici che girano con il PC in bicicletta perché l’auto non se la possono permettere e alle soglie dei quaranta vivono in cinque in un appartamento. Poco a che vedere, forse, anche con i ventenni americani, accostabili piuttosto agli hippy delle generazioni precedenti, altrettanto benestanti, altrettanto inquieti nei confronti della società e, per molti, altrettanto irritanti ed oggetto di ironia. Scusabili in ogni caso, come osserva la Jules, dalla loro stessa giovinezza.
Secondo Annucci, se ho ben capito, i sedicenti liberi pensatori di sua conoscenza avrebbero invece due limiti che l’età della ragione non può scusare: la ricchezza ed il conformismo. D’accordo, forse sono degli insopportabili “nuovi fighetti”, ma sono dubbiosa su un giudizio così severo. Se fosse solo il conformismo a guidarli, inteso come l’accettazione fideistica di canoni estetici, morali e culturali in contrapposizione con quelli di altri gruppi sociali, sarebbe l’esatto contrario del libero pensiero. Io però un po’ di credito glielo darei. Dopo tutto, potrebbero spendere il denaro in auto di lusso e vestiti firmati, anziché nell’acquisto di cibi biologici e abiti usati. Inoltre, non è un merito utilizzare la libertà data dalla mancanza di pensieri sul modo di pagare le bollette, per compiere la scelta di vita di diventare vegani o di non usare l’auto in città? Si tratta di decisioni che richiedono un’attenzione, una fatica ed una consapevolezza che vanno bel oltre l’accettazione di un trend. Se un analogo sforzo di consapevolezza li portasse a concludere che possono condividere parecchi dei loro gusti ed idee con me, benché io non mi possa permettere il loro look costosissimo e i loro occhiali dalla montatura pesante (anche perché mi starebbe malissimo), sarebbe auspicabile.