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mercoledì 20 giugno 2018

Nuove regole sulla privacy per il tuo sito web

Nuove regole sulla privacy per il tuo sito web

Nuove regole sulla privacy: 
ecco cosa cambia per il tuo sito web

Come mettere in regola rapidamente il tuo sito web con le nuove regole sulla privacy?

Scatta il 25 maggio 2018 il termine ultimo per mettersi in regola con le nuove normative, decise dal legislatore europeo, sulla privacy degli spazi web.

Non tutti hanno la certezza di essere in regola e, anche quando si sono mossi per risolvere la questione, resta addosso uno spiacevole dubbio.

Di solito, la privacy policy, una pagina scritta appositamente e inserita nel proprio dominio, compare sul fondo di un sito, di un blog, di un eCommerce, attraverso un box, generalmente rettangolare, dove il titolare dello spazio web fornisce agli utenti delle informazioni su se stesso, e su quelle altrui raccolte, finalità e modalità per cui queste notizie sono tracciate, tutti i soggetti coinvolti nel trattamento, le misure di sicurezza applicate e le modalità con cui è 
possibile verificare queste stesse informazioni.



Quando è obbligatoria la privacy policy?
La privacy policy è obbligatoria, pena pesanti sanzioni, quando il proprio dominio:

Raccoglie dati personali (e-mail, dati anagrafici ecc.).
Raccoglie dati per fini non esclusivamente personali.
Coinvolge un soggetto terzo (Facebook, Google, Youtube ecc.).


Cosa deve stabilire la privacy policy?
La privacy policy deve informare, gli utenti dello spazio web, con precisione su:

Quali sono i dati personali raccolti.
Quali modalità di tracciatura sono state utilizzate.
Quali finalità aveva la raccolta di tali dati.
Chi è il titolare di questa raccolta dati, il responsabile e
 l’eventuale rappresentante che è stato designato.
Chi sono tutti i soggetti coinvolti nella condivisione dei dati.


Quali sono le soluzioni ricercate per la privacy policy?
Le soluzioni che gli utenti della rete hanno individuato sono le più disparate: dal contattare un avvocato, fino a copiare le privacy policy di altri siti. Risposte che possono essere molto costose, quando ci si rivolge a un professionista, oppure molto approssimative, quando si copia il materiale altrui senza conoscerne nemmeno la fonte. Alcuni utenti si limitano a non fare nulla, optando per la soluzione dello struzzo: nascondere la testa sotto la sabbia.

In quest’ultimo caso, il rischio di incorrere nelle pesanti sanzioni stabilite per i trasgressori delle normative, è molto alto.



Prima possibile soluzione per la privacy policy
Se andiamo per esclusione, se non abbiamo un budget medio-alto per ricorrere a un libero professionista, se non vogliamo rischiare di copiare materiale proveniente da fonti incerte, una possibile soluzione è quella adottata da molti gestori di spazi web: Iubenda.

Si tratta di un’azienda italiana nata proprio per risolvere, velocemente, il problema relativo alla privacy policy. Per farlo, è sufficiente elencare a Iubenda le informazioni necessarie per la creazione del banner (una lista che l’azienda in questione fornirà, al momento della scelta, tramite le FAQ, un blog e un servizio di assistenza clienti).

La scelta di creare una privacy policy tramite il servizio Iubenda è automatizzata ed ha un costo annuale contenuto. Altrimenti è possibile consultare il loro servizio legale, con un costo che, naturalmente, tende a salire. Per un periodo iniziale è possibile utilizzare questo servizio in maniera gratuita e decidere, successivamente, se affidarsi a Iubenda con l’acquisto di una delle opzioni offerte.



Seconda possibile soluzione per la privacy policy
Una seconda soluzione per l’informativa da scrivere è la scelta autonoma. Occorre armarsi di molta pazienza, attenzione e conoscere alla perfezione la natura tecnica del proprio dominio web. I punti essenziali da riportare sono:

Tipo di informazioni dell’utente raccolte. È meglio spiegare anche la ragione per cui queste informazioni sono raccolte.
Come sono archiviate le informazioni raccolte. Il nome del provider, il tipo di software utilizzato ecc.
Se e con chi queste informazioni sono condivise, compresa la possibilità, da parte dell’utente, di negare questa condivisione.
Specificare quali sono le terze parti (Facebook, Google ecc.) con cui condividi le informazioni e spiegarne la ragione.
Includere una informativa sui cookies.
Includere una limitazione di responsabilità.


Altre soluzioni per la privacy policy
Tutto qui? No. Il web è un mare di opportunità e differenti scelte, più o meno affidabili. Esistono infatti altre soluzioni (e ogni giorno ne nascono di nuove), utilizzate da spazi web che si sono indirizzati verso servizi internazionali, alternativi all’italiana Iubenda e alla scelta autonoma.

C’è Privacy Policy Online, che richiede l’inserimento dell’URL e alcune informazioni base sul proprio dominio, per generare una privacy policy automatizzata e specifica.
C’è Free Privacy Policy.com, che necessita di una compilazione dati molto più dettagliata.
C’è poi la soluzione offerta da TermsFeed, che propone un generatore gratuito facilmente personalizzabile.
WordPress, invece, attraverso l’utilizzo di uno specifico plugin, permette il collegamento alle sue pagine legali, generando facilmente un’informativa privacy di base.


La privacy policy è un punto di arrivo?
La privacy policy che dovrà essere in regola, come termine ultimo, entro il 25 maggio 2018 non sarà un punto di arrivo definitivo, ma un’informativa che potrebbe essere modificata in seguito, con nuovi accorgimenti e direttive. La privacy policy rappresenta perciò un punto di partenza a cui tutti devono uniformarsi, rimanendo però aggiornati su possibili variazioni future.
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mercoledì 6 giugno 2018

Facebook condivisi Dati con 4 aziende Cinesi

Facebook è gratis ma il Guadagno siamo NOI

Non si placano le polemiche su Facebook.
 Dopo quanto rivelato sugli accordi sottoscritti dal social network con decine di produttori di telefonini e di altri dispositivi elettronici, con relativa condivisione di alcuni dati degli utenti, il quotidiano newyorchese ritorna sulla vicenda. L'azienda fondata da Mark Zuckerberg, ha accordi di condivisione dei dati che risalgono al 2010 con almeno quattro produttori cinesi, compreso un gigante dell'elettronica che ha uno stretto rapporto con il governo di Pechino. Le aziende in questione sono la Huawei, elencata dall'intelligence Usa tra le minacce per la sicurezza nazionale, la Lenovo, Oppo e Tcl. Rappresentanti di Facebook, in un'intervista al quotidiano, hanno riferito che l'accordo con la Huawei verrà interrotto entro la fine di questa settimana.

GLI ACCORDI - Gli accordi con i produttori di telefoni e dispositivi elettronici, che comprendono aziende quali Amazon, Apple, Blackberry e Samsung furono lanciati nel 2007 per spingere gli utenti ad accedere al social network attraverso i propri dispositivi, prima che l'app Facebook per dispositivi mobili fosse messa a punto. Gli accordi consentirono ai produttori di telefoni di fornire sui propri dispositivi caratteristiche simili a Facebook, come rubriche degli amici, 
pulsanti "mi piace" e aggiornamenti di stato.

LE ACCUSE - Ma i partenariati, la cui portata non è stata precedentemente segnalata, sollevano preoccupazioni circa la tutela della privacy della società e la conformità con il decreto di consenso del 2011 della Federal Trade Commission. Facebook ha consentito ai dispositivi di accedere ai dati degli amici degli utenti senza il loro esplicito consenso, anche dopo aver dichiarato che non avrebbe più condiviso tali informazioni con gli estranei. Alcuni creatori di dispositivi potevano recuperare informazioni personali anche da amici degli utenti che ritenevano di aver vietato qualsiasi condivisione, ha rilevato The New York Times.

HUAWEI - In una nota ufficiale Huawei precisa che "come tutti i principali produttori di smartphone, ha lavorato insieme a Facebook per rendere i suoi servizi maggiormente fruibili da parte degli utenti. Huawei non ha mai raccolto né archiviato alcun dato degli utenti di Facebook".

Facebook è gratis ma il Guadagno siamo NOI

Controlla il tuo Profilo 
Scopri se sei stato spiato e i tuoi dati venduti ad aziende, in totale disprezzo della privacy, e magari fai causa, grazie al Codacons. In queste ore Facebook ha diffuso il link attraverso il quale gli iscritti al social network possono verificare se i propri dati e quelli dei propri amici siano stati utilizzati da Cambridge Analytica. Lo ricorda il Codacons che lo definisce “un passo fondamentale ai fini della class action promossa dal Codacons negli Stati Uniti a tutela degli utenti italiani”.
ECCO IL LINK PER SCOPRIRLO E FARE CAUSA.


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mercoledì 9 novembre 2016

Privacy Online



Il più grande produttore di software per la sicurezza digitale dell'Unione Europea, rende noti i risultati di un nuovo studio sulla privacy online condotto a ottobre 2016 su 1000 utenti di social media del Regno Unito, secondo cui un incoraggiante 68% degli intervistati ha già adottato importanti misure per proteggere il proprio profilo online. Il 75 % crede invece che la riservatezza sia più importante della popolarità sui social network, mentre il 53 % degli intervistati verifica periodicamente le impostazioni della privacy degli account che usa. 

Questi risultati evidenziano un enorme cambiamento nel modo di considerare la privacy online da parte degli utenti Internet britannici e dimostra che le recenti violazioni di alto profilo di fatto hanno avuto un impatto positivo facendo crescere la consapevolezza di quanto siano importanti la riservatezza e la sicurezza informatica. 

Altri risultati dello studio hanno rivelato che il 72% degli intervistati non consente agli sconosciuti di vedere i post e le foto caricati sui social media, e il 68% riconosce che condividere la propria posizione su Facebook o Twitter può essere rischioso.

Altri risultati rassicuranti mostrati dallo studio rivelano che il 62% delle persone non utilizzano la stessa password per più account, ben l’81% ha dichiarato che le password che utilizzano non sono in alcun modo relative alla loro vita personale (compleanni o anniversari), mentre il 69% degli intervistati ha rivelato che non fornisce i dettagli della propria carta di credito al telefono quando acquista dei beni di consumo.


È interessante notare che lo studio ha mostrato una forte differenza tra i due sessi, con le donne che si dimostrano più attente alla salvaguardia della propria privacy rispetto agli uomini, in differenti settori. 
Per esempio, oltre un uomo su dieci ha ammesso che per lui la popolarità sui social media è più 
importante della privacy, mentre per le donne questo dato cala fino al 6%. Inoltre il 36% degli uomini non hai mai fatto nulla per proteggere la propria privacy online, rispetto al solo 29% delle donne. Se un uomo su dieci non ha mai verificato le impostazioni della privacy sui propri account social media, le donne si attestano al 5%. Lo studio ha anche mostrato che il 39% degli uomini non sa o non si interessa al problema di sicurezza legato ai tag, mentre per le donne questa percentuale scende al 26%.


Secondo gli esperti di ESET, anche se i risultati dello studio mostrano che molte persone stanno 
iniziando a prendere in seria considerazione la propria privacy, è importante non sottovalutare il fatto che ci sono ancora un numero consistente di utenti che non se ne curano, e che potrebbero essere seriamente a rischio. Per questo è importante per loro iniziare dare maggior peso alla riservatezza e alla sicurezza online, prima che sia troppo tardi. Ciò include alcuni semplici passaggi come usare password 
differenti per tutti gli account online e aggiornare le impostazioni della privacy sui profili dei social media, così da non rendere pubblici post e foto. 

Si consiglia anche di effettuare delle ricerche online per verificare quali informazioni personali sono pubblicamente visibili su Internet e, se si trova qualcosa che desta preoccupazione, allora è il caso di rimuoverla. Inoltre si consiglia di installare una valida soluzione di sicurezza che funzionerà da prima linea di difesa contro tutte le minacce online. 

LEGGI ANCHE
VITTIME ON LINE
http://cipiri4.blogspot.it/2016/11/vittime-di-cybercrime.html

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martedì 19 novembre 2013

Facebook: allarme privacy, è una bufala



Facebook: 

allarme privacy

 è una bufala

Tra gli status dei vostri amici vi sarà capitato di leggere un messaggio su una fantomatica “Graphic App” e sul rischio che comporterebbe per la privacy dei vostri contenuti. Non ci cascate, è la solita “catena di Sant’Antonio”. Ogni tanto, su Facebook, spunta un nuovo allarme. Gli allarmi spaventano, soprattutto quando sono legati alla privacy dei nostri contenuti, ma non sempre sono giustificati. Il messaggio che circola in questi giorni e che ti sarà probabilmente capitato di vedere tra gli status dei tuoi amici riguarda una nuova funzione del social network, che – in realtà – non è neanche ancora disponibile in Italia.

La panzana che gira

Ecco il testo che in tanti stanno diffondendo sulla loro bacheca: “Importante per i miei contatti.Chiedo un favore a coloro che stanno nella lista dei miei contatti di facebook. FB ha cambiato ancora una volta la sua configurazione della privacy! A causa della nuova “graphic app” qualunque persona in FB può vedere le tue foto, i tuoi “mi piace”, i tuoi commenti. Terrò questo messaggio sulla mia bacheca per due settimane e, per favore, una volta fatto ciò che ti chiedo qui di seguito, commenta “FATTO”. Quelli di voi che non facciano diventare privata la mia informazione nei confronti degli altri saranno cancellati dalla lista dei miei amici. Voglio tenere privati i miei rapporti con te. Voglio pubblicare foto di familiari e amici senza che gli estranei vi abbiano accesso; questo succede quando i miei amici cliccano “mi piace” o aggiungono commenti: automaticamente i loro amici possono vedere anche i nostri messaggi. Purtroppo non possiamo cambiare noi stessi questa configurazione perché FB l’ha configurata così. Ma tu lo puoi fare! Dunque: colloca il puntatore del mouse sul mio nome, senza cliccare; apparirà una finestra. Ora muovi il mouse su “Amici”, sempre senza cliccare, poi clicca su “impostazioni” e apparirà una lista. Togli la spunta a “avvenimenti importanti” e “commenti a mi piace”. In questo modo, la mia attività tra me e i miei amici e familiari non diventerà pubblica. Infine copia e incolla questa nota sulla tua bacheca (copia-incolla, non condividere). Quando lo vedrò pubblicato sulla tua bacheca, farò la stessa operazione nei confronti del tuo profilo. Grazie”

 Perché è un falso

Il messaggio che avete appena letto è una traduzione - neanche perfetta - di un avviso fasullo in lingua inglese. La cosiddetta “graphic app” non esiste, ciò a cui si riferisce il termine è, con buona probabilità, la “Graph Search” (o, in italiano, “ricerca tra le connessioni”) che, per ora, è disponibile solo per chi usa facebook in inglese americano. Di cosa si tratta? È una funzione che permette di fare delle ricerche mirate tra i contenuti caricati sul social network. Come puoi leggere nella pagina relativa alla privacy della Graph Search se, ad esempio, cercherai “Foto di Tokyo”, tra i risultati ti appariranno le foto dei tuoi amici a Tokyo e condivise con te, nonché gli scatti di altri utenti, condivisi come “pubblici”.

A cosa si dovrà stare attenti

In generale possiamo stare abbastanza tranquilli: è sempre l’utente a decidere la visibilità dei propri contenuti e - quindi - a stabilire se farli vedere a tutti, solo ai propri amici o a nessuno (per vedere come fare vai sulla relativa pagina di Facebook). L’unica cosa a cui si dovrà stare attenti - quando si inizierà ad usare il “Graph Search” - è ciò che si pubblica sul diario di un’altra persona, perché in quel caso è quella persona a decidere la privacy della sua bacheca e - di conseguenza - del contenuto che voi avete postato.

 Istruzioni errate

Il messaggio che gira ultimamente non solo lancia un allarme ingiustificato, ma dà istruzioni scorrette: le operazioni indicate hanno come unico risultato quello di modificare le impostazioni relative a ciò che l’utente stesso vede nella sua bacheca, riferito a quel particolare amico. Se “togli la spunta a avvenimenti importanti e a commenti a mi piace”, come suggerito, sarai solo tu a non poter più vedere tra le tue notizie questi eventi relativi al tuo amico.

da -  http://www.altroconsumo.it/
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leggi anche 


NON AFFIDARTI A DEI CIARLATANI GIOCA  LE TUE CARTE 

http://maucas.altervista.org/imago_carte.html

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LA FOTO


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mercoledì 30 gennaio 2013

Reati perseguibili su Facebook


CheckBlackList, pagina creata e gestita da professionisti nel settore dell'Informatica, ci offre un elenco esaustivo dei reati che possono essere perseguiti su Facebook:

Premessa

Qualunque attività effettuata su Internet (e di conseguenza anche su Facebook) è registrata sui siti in cui viene eseguita (da un minimo di 3 mesi a un massimo di 2 anni, in funzione della legislazione dello Stato di origine del gestore), e l'autore è, generalmente, SEMPRE rintracciabile da parte degli organi di controllo preposti (Polizia Postale, Carabinieri, Guardia di Finanza) e a seguito di un ordine di procedura da parte dell'Autorità Giudiziaria.

Sinteticamente (e per semplificare) vi sono due tipologie di reati consumabili:

1 - Utilizzo di Facebook per intenti illeciti

In questo caso, il social network è un semplice mezzo da utilizzare per ottenere qualcosa. Sono considerati reati e punibili le seguenti azioni:

invio di materiale pubblicitario non autorizzato (spamming)
raccolta e l'utilizzo indebito di dati personali, attività espressamente vietate dal T.U. sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003)
utilizzo dei contatti per trasmettere volutamente virus informatici (art. 615-quinquies)
utilizzo dei contatti per acquisire abusivamente codici di accesso per violare sistemi informatici (art. 615-quater)
scambio di immagini pedopornografiche che integra gli estremi del reato ad es. di cessione di materiale pedopornografico (art. 600-ter)
inviare messaggi di propaganda politica, di incitamento all'odio e alla discriminazione razziale

2 - Utilizzo di Facebook per comunicare con altri utenti (in modo "sbagliato")

Alcuni reati più comuni, che se perpetrati a voce possono passare quasi inosservati, su Facebook assumono delle caratteristiche che risultano sanzionabili d'ufficio, anche in assenza di una denuncia da parte dell'interessato.

Diffamazione

Il reato, punito dall'art. 595 c.p. con pene, nella forma aggravata, fino a 3 anni di reclusione (con annesso diritto al risarcimento nei confronti della parte lesa), prevede l'inserimento di frasi offensive (battute "pesanti"), notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o comunque la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, anche potenziali, sulla reputazione della persona ritratta.

Sostituzione di persona e usurpazione di titoli e onori

La Cassazione, nel 2007, ha ritenuto che rientri in tale reato il comportamento di chi crea un falso account di posta elettronica, intrattenendo corrispondenze informatiche con altre persone e spacciandosi per persona diversa (quindi come su FB). Anche se per integrare il reato di cui all'art. 494 c.p. è necessario il fine di conseguire un vantaggio o recare un danno, tali requisiti sono intesi in modo molto ampio, come non comprensivi solamente di vantaggi e/o danni di tipo economico ed è molto facile ravvisarli nei casi concreti. E' reato quindi (anche su Facebook) spacciarsi per persona diversa, o utilizzare marchi, simboli o loghi per rappresentare ciò che non si è, o trarre comunque in inganno altri utenti sulla propria professione.

Si potrebbe configurare (?) anche il caso previsto dall'art 613 (Stato di incapacità procurato mediante violenza), in fase di integrazione (bis-ter) dove si sta discutendo in questi termini: "La fattispecie è descritta come il comportamento di colui che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, .... pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione, utilizzando tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione, che possono far uso unicamente sia di mezzi di carattere esclusivamente psicologico sia di mezzi materiali." (Disegno di Legge - Resoconto sommario n. 171 del 08/06/2010).

Art. 494 Sostituzione di persona

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino a un anno.

Art. 498 Usurpazione di titoli o di onori

Chiunque abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico, è punito con la multa da lire duecentomila a due milioni. Alla stessa pena soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente. La condanna importa la pubblicazione della sentenza.
Offese a una confessione religiosa

Il reato di Vilipendio della religione dello Stato è stato modificato (2000). Ecco gli articoli del Codice di Procedura Penale che trattano l'argomento:

Art. 402 Vilipendio della religione dello Stato

[Il 13 Novembre 2000 La corte costituzionale nella sentenza numero 508 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 402 del codice penale (Vilipendio della religione dello Stato). Il Testo riportava: "Chiunque pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un anno"].

Art. 403 Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone

Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.

Art. 404 Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose

Chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all'esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. (...)"


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lunedì 8 ottobre 2012

Divieto di cookies senza autorizzazione


Divieto di cookies senza autorizzazione: nessuno rispetta la nuova norma

Con le modifiche introdotte di recente al codice della privacy, l’archiviazione automatica di cookies nel computer dell’utente di Internet non può avvenire senza l’espressa autorizzazione di questi: tuttavia la nuova normativa viene ancora ignorata dalle aziende che offrono servizi online.

I cookies sono piccoli files di testo che si installano automaticamente dentro i computer durante la navigazione in rete e racchiudono le preferenze della navigazione stessa e i gusti del netizen. Tali dati, appetibilissimi per chi svolge vendite online, vengono poi sfruttati per vari scopi commerciali come l’invio di newsletter o la mostra di banner pubblicitari.

Già la Comunità Europa aveva introdotto l’obbligo della previa informativa e autorizzazione dell’utente al tracciamento dei propri spostamenti sul web a partire dallo scorso 25 maggio. Una rivoluzione copernicana della privacy su internet che, tuttavia, al momento, i gestori dei siti sembrano poco intenzionati a rispettare. Sebbene ai fini dell’espressione del consenso possano essere utilizzate specifiche configurazioni di programmi informatici o dispositivi di facile e chiaro utilizzo, alcun avviso ancora compare nelle videate di chi si connette a qualsiasi url.

La ricorrente giustificazione – troppo spesso impiegata nella realtà materiale – di incapacità ad adeguare nel breve periodo l’enorme mole di siti web, aziende ed enti governativi ci sembra, in questo ambiente, di scarso appiglio, posta la facilità di programmazione e aggiornamento dei codici. Prova ne è il fatto che anche un adempimento semplice come quello dell’obbligatoria indicazione della partita IVA in homepage per tutti i siti che producono reddito di impresa non viene ancora rispettato da tutti. Il che la dice lunga sull’osservanza delle norme del diritto in Internet.

Non c’è in realtà alcuna volontà di agire in modo limpido e trasparente nei confronti degli utenti: un po’ forse perché l’incontrollata fobia del controllo generale, da parte di un Grande Fratello del marketing, si è diffusa anche tra i navigatori più sprovveduti e leggeri. Subordinare il tracciamento degli utenti al loro stesso consenso potrebbe voler dire la drastica riduzione dei dati personali da trattare e vendere per finalità pubblicitarie. Con buona pace del vero business che regge più della metà delle attività sul web.
La pubblicità sarà anche l’anima del commercio, ma in Internet ne è anche il corpo!

Sarebbe dunque ora che l’Autorità Garante per la privacy si svegli e proceda ad effettuare i dovuti accertamenti per imprimere un nuovo corso alla trasparenza su Internet, in devozione dei suoi stessi utenti. Utenti che, oggi, vengono trattati massivamente, senza alcun rispetto della privacy.



 http://www.avvocatoandreani.it/notizie-giuridiche/visualizza.asp?divieto-di-cookies-senza-autorizzazione-nessuno-rispetta-la-nuova-norma-7801f530c78e98754989f54cb158cdbf

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venerdì 5 agosto 2011

Nuovi strumenti per difendere la privacy su facebook



Nuovi strumenti
per difendere la privacy 
su facebook




Nuovi strumenti per difendere la privacy su facebook 

La violazione del Profilo facebook di Mark Zuckerberg, avvenuta pochi giorni fa, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, a proposito della privacy su facebook. Privacy che sembra continuare a fare acqua da tutte le parti.
Ora è possibile ottenere una maggiore protezione e un maggiore controllo del nostro Profilo.
Attraverso un'interfaccia semplice e intuitiva, BitDefender Safego tiene sotto controllo il livello della vostra privacy identificando le informazioni personali che sono visibili a occhi estranei.
Inoltre, Safego analizza la bacheca dell’utente, i messaggi pervenuti nella casella inbox e i commenti a caccia di link, video o immagini potenzialmente dannosi.
Con Safego l’utente potrà contare su:
● una migliore protezione della privacy, dato che l’applicazione provvederà ad avvisarlo qualora sia necessario modificare le impostazioni di Facebook per evitare che le informazioni personali restino alla mercé di chiunque;
● scansione automatica, che si attiva semplicemente cliccando sul bottone “Scan Now” e restituisce una schermata sullo stato della sicurezza;
● protezione costante dell’account, operativa anche quando l’utente non è loggato a Facebook® o ad altri social network;
● protezione estesa agli amici, grazie alla possibilità di avvisare i propri contatti sulla presenza di link infetti nei loro account.

per approfondire e installare l'applicazione

Catalin Cosoi, Responsabile del BitDefender Online Threat Lab dichiara:
“E’ chiaro che un gran numero di persone non ha la percezione di quante informazioni personali condivida con il mondo.
Safego rende semplice verificare cosa si condivide e quindi apportare le opportune modifiche.”
”Va detto, inoltre, che stiamo assistendo a un’impennata degli attacchi nei confronti degli utenti Facebook.
Attraverso l’impiego dell’avanzata tecnologia di rilevamento BitDefender, Safego aiuta a proteggere gli utenti da link malevoli e da altre minacce che si diffondono attraverso messaggi, post e video.”



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martedì 22 giugno 2010

Google: altre accuse di violazione della privacy

Davanti al Garante tedesco per la protezione dei dati, è arrivata l’ammissione da parte di Google di aver registrato “involontariamente” le attività in rete degli utenti di reti pubbliche Wi-Fi con le antenne delle sue auto, quelle che girano per le strade di tutto il mondo al fine di creare mappe fotografiche consultabili tramite Street View.



L’ammissione di Google suscita nuove perplessità circa la salvaguardia della riservatezza su internet. Google si è scusata, dichiarando di aver scoperto la “falla” solo dopo le indagini delle autorità tedesche, peraltro già contrarie a vedere scorrazzare per le strade le sue auto, che fotografano automobili, case e persone, ponendo seri dubbi sul rispetto della privacy.
A partire dal 2007, Google avrebbe così registrato frammenti di dati in 30 Paesi, per un totale di 600 GB, assicurando però di non aver memorizzato i dati delle reti protette da password.

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giovedì 20 maggio 2010

MySpace sfida Facebook sulla privacy


Quasi non se ne parla più, eppure MySpace, il social network di proprietà del magnate australiano delle telecomunicazioni Rupert Murdoch, ha ancora milioni di utilizzatori sparsi per tutta la Rete; per niente disposto ad arrendersi, il servizio sembra invece intenzionato a sfidare il concorrente di sempre.

Facebook è aspramente criticato per non essere un esempio da imitare in fatto di tutela della privacy? Allora MySpace sposterà la battaglia proprio su questo terreno, con un'inizativa che, nelle prossime settimane, dovrebbe semplificare la gestione dei dati personali da parte degli utenti.

Niente più setaggi complicati, niente più voci da decifrare prima di operare una scelta (temendo comunque e sempre di sbagliare); gli utilizzatori di MySpace potranno impostare il proprio profilo in modo che questo sia visibile a tutti, soltanto alle persone magiorenni o solo alle persone conosciute.

La politica di Facebook relativa alla privacy rimane invece ancora molto macchinosa, si pensi soltanto che che il social network più utilizzato della Rete prevede ben 170 diverse impostazioni relative alla gestione dei dati personali.


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