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lunedì 20 agosto 2018

La Bestia di Matteo Salvini

Intervista a un ex hacker e spin doctor digitale,   che ci parla della strategia comunicativa della Lega, dell’affaire Cambridge Analytica,   del business dei falsi profili twitter, del Gdpr, Facebook


Intervista a un ex hacker e spin doctor digitale,
 che ci parla della strategia comunicativa della Lega, dell’affaire Cambridge Analytica, 
del business dei falsi profili twitter, del Gdpr, Facebook e molto altro

Alessandro Orlowski è seduto a un tavolino di un bar di Barcellona. Nato a Parma nel 1967, vive in Spagna da 20 anni. Ex regista di spot e videoclip negli anni ’90 e grande appassionato di informatica, è stato uno dei primi e più influenti hacker italiani. Fin da prima dell’arrivo dei social network, ha lavorato sulle connessioni digitali tra gli individui, per sviluppare campagne virali. Negli anni ha condotto numerose campagne in Rete, come quella per denunciare l’evasione fiscale del Vaticano o i gruppi estremisti negli Stati Uniti e in Europa. Oggi fa lo spin doctor digitale: ha creato Water on Mars, startup di comunicazione digitale tra le più innovative, e guidato il team social risultato fondamentale per condurre il liberale Kuczynski alla presidenza del Perù. Ci accomodiamo, e cominciamo a parlare con lui di politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario (e inquietante) lavoro che sta realizzando online.

Che evoluzione ha avuto negli anni il concetto di “rete social”?
Nasce nei primi anni ’80 con le BBS, le Bulletin Boards System, antesignane dei blog e delle chat. La prima rete sociale, però, è stata Friendster nel 2002, che raggiunse circa 3 milioni di utenti. A seguire l’amatissima (da parte mia) MySpace: narra una leggenda nerd che fu creata in 10 giorni di programmazione. Il primo a usare le reti social per fini elettorali è stato Barack Obama nel 2008.

Oggi in Italia chi è il politico che maneggia meglio questi strumenti?
In tal senso la Lega ha lavorato molto bene, durante l’ultima campagna elettorale. Ha creato un sistema che controlla le reti social di Salvini e analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati, e che tipo di persone hanno interagito. In questo modo possono modi care la loro strategia attraverso la propaganda. Un esempio: pubblicano un post su Facebook in cui si parla di immigrazione, e il maggior numero di commenti è “i migranti ci tolgono il lavoro”? Il successivo post rafforzerà questa paura. I dirigenti leghisti hanno chiamato questo software La Bestia.

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

Quando nasce La Bestia?
Dalle mie informazioni nasce dal team di SistemaIntranet di Mantova, ossia dalla mente di Luca Morisi, socio di maggioranza dell’azienda, e Andrea Paganella. Morisi è lo spin doctor digital della Lega, di fatto il responsabile della comunicazione di Salvini. La Bestia è stata ideata a fine 2014, e finalizzata nel 2016. All’inizio si trattava di un semplice tool di monitoraggio e sentiment. Poi si è raffinato, con l’analisi dei post di Facebook e Twitter e la sinergia con la mailing list.

Come funziona l’analisi dei dati, su cui si basa la strategia?
Diciamo che a livello di dati non buttano via nulla: tutto viene analizzato per stabilire la strategia futura, assieme alla società di sondaggi SWG e a Voices From the Blogs (azienda di Big Data Analysis, ndr). I loro report, su tutti quelli del professore Enzo Risso, sono analizzati attentamente dal team della Lega, composto da Iva Garibaldi, Alessandro Panza, Giancarlo Giorgetti, Alessio Colzani, Armando Siri e altri.

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

La Bestia differenzia il suo operato a seconda dei social, 
per rendere immutata l’efficacia di Salvini in base allo strumento?
Per chi si occupa di marketing e propaganda online, è normale adattare la comunicazione ai differenti social. Twitter è l’ufficio stampa, e influenza maggiormente i giornalisti. Su Facebook ti puoi permettere un maggiore storytelling. È interessante vedere come, inserendo nelle mailing list i video di Facebook, la Lega crei una sinergia con la base poco attiva sui social: la raggiunge via mail, e aumenta così visualizzazioni e condivisioni.

La Bestia di Matteo Salvini


Operano legalmente?
Camminano su un filo molto sottile. Il problema riguarda la gestione dei dati. Hanno creato, per esempio, un concorso che si chiama “Vinci Salvini” (poche settimane prima del voto, ndr). Ti dovevi registrare al gioco online e quanti più contenuti pubblicavi a tema Lega, maggiori erano le possibilità di incontrare Salvini. È stato un successo. Il problema è che non sappiamo come siano stati gestiti i dati. A chi venivano affidati? A Salvini? Alla Lega? A una società privata?

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

C’è qualche legame con lo scandalo Cambridge Analytica
 in questo utilizzo “disinvolto” dei dati personali?
Difficile rispondere. Circolano voci in merito all’apertura di una sede di Cambridge Analytica a Roma poco prima delle elezioni italiane, progetto abortito in seguito allo scandalo che ha coinvolto la società britannica. Un partito italiano, non si sa quale, avrebbe richiesto i suoi servizi. È noto che la Lega volesse parlare con Steve Bannon (figura chiave dell’alt-right americana, fondamentale nell’elezione di Donald Trump, ndr) in quel periodo, incontro poi avvenuto in seguito.

La destra – più o meno estrema – sta vincendo la battaglia della comunicazione digital? 
Si muovono meglio dei partiti tradizionali, che non sono riusciti a evolversi. Lo dimostra Bannon, e pure Salvini, che a 45 anni è un super millennial: ha vissuto il calcio balilla, la televisione, Space Invaders e le reti social.

Vedi analogie tra la strategia social di Donald Trump e quella di Salvini?
Salvini ha sempre guardato con attenzione a Trump. Entrambi fanno la cosa più semplice: trovare un nemico comune. E gli sta funzionando molto bene. Nel nuovo governo si sono suddivisi le responsabilità: al M5S è toccato il lavoro, con la forte macchina propagandistica gestita dalla Casaleggio Associati, alla Lega la sicurezza e l’orgoglio nazionale, gestiti da Morisi e amici.

Sta pagando, non c’è che dire.
La totale disinformazione e frotte di like su post propagandistici e falsi – per esempio l’annuncio della consegna di 12 motovedette alla Guardia costiera libica (a fine giugno, ndr) – portano a quello che si definisce vanity KPI: l’elettore rimane soddisfatto nel condividere post che hanno migliaia di like, e quindi affermano le loro convinzioni. Consiglio la lettura di The Thrill of Political Hating di Arthur Brooks.

Esiste una sorta di meme war all’italiana? 
Le meme war non esistono. Ci possono essere contenuti in forma di meme per denigrare i competitor e inquinare i motori di ricerca. Ricordiamoci anni fa, quando su Google scrivevi il cognome “Berlusconi” e il motore di ricerca ti suggeriva “mafioso”: fu un esempio di manipolazione dell’algoritmo di Google. Lo stesso sta succedendo in questi giorni: se scrivete la parola “idiot” e fate “ricerca immagini”, compaiono solo foto di Trump.

Come è stata finanziata l’attività delle reti social della Lega?
La Lega voleva creare una fondazione solo per ricevere i soldi delle donazioni, al fine di poter tenere in piedi le reti social senza passare per i conti in rosso del partito. Il partito è gravato da debiti e scandali finanziari (a luglio il tribunale di Genova ha confermato la richiesta di confisca di 49 milioni di euro dalle casse del partito, ndr). Le leggi italiane lasciano ampio margine: permettono di ricevere micro- donazioni, senza doverle rendere pubbliche. È una forma completamente legale. In ogni caso, potresti chiederlo direttamente a Luca Morisi (Morisi non ha risposto ai tentativi di contatto)

Hanno ricevuto finanziamenti dall’estero? 
Recentemente l’Espresso ha raccontato che alcune donazioni al partito provengono da associazioni come Italia-Russia e Lombardia- Russia, vicine alla Lega. D’altra parte, sono stati i russi a inventare il concetto di hybrid war. Il generale Gerasimov ha teorizzato che le guerre moderne non si devono combattere con le armi, ma con la propaganda e l’hacking.

Un sistema come La Bestia alimenta la creazione di notizie false?
Non direi che ci sia un rapporto diretto tra le due cose, ma sicuramente c’è un rapporto tra La Bestia e il bias dei post che pubblicano. Come ha spiegato lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, di fronte a una notizia online la nostra mente si avvale di metodi di giudizio molto rapidi che, grazie alla soddisfazione che dà trovare conferma nei nostri pregiudizi, spesso porta a risposte sbagliate e illogiche, ossia biased.

Salvini lavora su questo bias?
Lo fa il suo team, e anche quello del M5S: amplificare notizie semi-veritiere, viralizzandole e facendole diventare cultura condivisa, che viene confermata sia dalla fonte considerata carismaticamente onesta e affidabile, sia dal numero di condivisioni che la rendono in quel modo difficilmente contestabile. Vai tu a convincere del contrario 18mila utenti che hanno condiviso un post di dubbia veridicità! Una delle figure chiave delle fake news della Lega è stato e forse ancora è il napoletano Marco Mignogna, che gestiva il sito di Noi con Salvini, oltre a una ventina di portali pro-Salvini, pro-M5S e pro-Putin (nel novembre 2017 si è occupato del caso il NYT, ndr).

Quanto di ciò che hai detto fin qui vale anche per il Movimento 5 Stelle?
Non c’è dubbio che dietro al M5S ci sia una buona azienda di marketing politico. La loro propaganda è più decentralizzata rispetto a quella della Lega, tutta controllata da Morisi. Creano piccole reti, appoggiandosi agli attivisti “grillini” e risparmiando così denaro. Non
pagano per rendere virali i post di Grillo o di Di Battista. Anche se oggi, con il M5S al governo, la strategia è in parte cambiata.

Quanto influisce l’attività di trolling sul dibattito politico?
Dipende dal contesto politico e dal Paese, in alcuni casi può essere molto violenta. Per creare account su Twitter esiste un software acquistabile online, che ti permette di generarne mille in tre ore, ognuno con foto e nome distinto. Parliamo di account verificati con un numero di cellulare: c’è un servizio russo che, per 10 centesimi, te ne fornisce uno appositamente. Con 300 o 400 euro puoi crearti in un pomeriggio un migliaio di account Twitter verificati. A quel punto puoi avviare un tweet bombing, cambiando la percezione di una notizia. È semplice e costa poco.

Ci sono conferme sull’esistenza di una rete di troll leghisti?
Non è facile rispondere, perché ci sono diverse tipologie di reti troll, organiche o artificiali. A volte distinguere le due senza tool specializzati è quasi impossibile. Per esempio, le reti di troll formate da persone reali spesso si auto-organizzano, sapendo benissimo che un utente singolo può avere due o più account social sullo stesso network. È normale vedere un utente pro-Lega o pro-M5S gestire anche cinque account con nomi diversi: cento persone in un gruppo segreto di Facebook o su un canale Telegram, con cinque account ciascuno, fanno 500 troll pronti ad attaccare, e scoraggiare utenti standard a un confronto politico.

Esistono quindi reti costruite ad hoc? 
Una di queste botnet è stata smantellata da un gruppo di hacker italiani sei mesi fa: era collegata a una società romana che gestiva una rete di 3mila account Twitter, collegati a un migliaio di account Facebook. Non mi stupirei se un team gestito da Morisi avesse automatizzato e controllasse qualche centinaio o migliaio di account. Qualcosa di simile era già nelle loro mani, con un sistema di tweet automatici su diversi account (documentato da diverse fonti giornalistiche lo scorso gennaio, ndr). L’unica pecca del loro team è la sicurezza informatica, come si è potuto notare dal leak delle informazioni del loro server, avvenuto all’inizio di quest’anno.

Cosa sappiamo sul “gonfiamento” dei numeri social di Salvini?
Abbiamo notato alcune discrepanze, ma in questo momento di grande successo mediatico di Salvini non sono più rilevanti. Abbiamo scoperto alcune botnet di Twitter nate contemporaneamente che, dopo pochi giorni e nello stesso momento, hanno seguito tutte l’account ufficiale di Salvini. La relazione con il suo account era il fatto che supportavano account di estrema destra in Europa, quindi attribuibili a persone vicine a Voice of Europe e gruppi simili, legati a Steve Bannon, come #Altright o #DefendEurope. La pratica di creare fake account è comune: solo pochi giorni fa Twitter ne ha cancellati alcuni milioni.

C’è un modo per riparare simili storture?
C’è poco da fare. In seguito allo scandalo Cambridge Analytica, Facebook ha colpito tutti, impedendo ai ricercatori di studiare questi fenomeni. Le cose non sono cambiate, anzi. Anche a seguito dell’adozione del GDPR (il regolamento sulla protezione dei dati personali, ndr) nei prossimi anni vedremo come si raffineranno le campagne politiche online: sarebbe utile avere leggi che impongano maggior trasparenza su come funzionano le reti social e, naturalmente, maggiore tutela per i cittadini, in particolare per quanto riguarda i propri big data.



"Se questo è un ministro",   polemica social per il selfie di Salvini ai funerali di Stato a Genova.

"Se questo è un ministro", 
polemica social per il selfie di Salvini ai funerali di Stato a Genova...



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lunedì 18 dicembre 2017

Da Apple a Facebook : Tanti Affari, poche Tasse.



Ricchi nel Mondo ma Poveri in Italia

I giganti del web beffano le tasse.


Da Apple a Facebook: nel 2016 versati in tutto solo 11,7 milioni. Una media azienda italiana paga di più rispetto all'insieme delle imprese new economy. Roma vuole un'imposta Ue.

Tanti affari, poche tasse. I colossi del web continuano a macinare fatturato e profitti in Italia ma al fisco tricolore lasciano solo le briciole. La moral suasion della Procura di Milano - che ha "convinto" Google e Apple a patteggiare il versamento di 624 milioni di imposte arretrate - non è servita a molto. Il gioco delle tre tavolette erariali (incasso i soldi nel Belpaese ma registro i ricavi in Irlanda, Lussemburgo, Olanda o nel Delaware, dove le aliquote sono low-cost) continua. E il Tesoro resta come sempre a bocca asciutta.

Facebook, Apple, Amazon, Airbnb, Twitter e Tripadvisor - aziende che fanno girare qualche miliardo l'anno nella penisola - hanno versato in tutto nel 2016 all'Agenzia delle entrate 11,7 milioni di euro. La stessa somma, per dire, pagata dalla sola Piaggio. Cinque milioni in meno dell'assegno staccato dalla Fila, che di mestiere fa matite, gessetti e pastelli (tutta roba old economy) e alla voce ricavi è ferma a 422 milioni. Google Italy ha iscritto a bilancio tasse per 42,7 milioni. Ma si tratta di un'illusione ottica: la cifra corrisponde alla rata concordata con il Fisco tricolore per sanare i peccati del passato, mentre la quota relativa al 2016
 è una frazione minima di questo tesoretto.

Tutto regolare? Sì, assicurano i diretti interessati, abilissimi a sfruttare la competizione fiscale tra nazioni mettendo su residenza legale dove si pagano meno balzelli. Il caso di Facebook - passato ai raggi X dall'Ufficio parlamentare di bilancio - è esemplare: il social di Mark Zuckerberg ha venduto nel 2015 in Italia servizi - in particolare pubblicità - per 224,6 milioni, calcola lo studio presentato in Senato. Quei soldi però non sono mai entrati nel mirino dell'Agenzia delle entrate di casa nostra. Facebook li ha fatti sparire incassandoli virtualmente - miracoli dell'era digitale - a Dublino per sfruttare i saldi dell'erario irlandese. La filiale italiana ha contabilizzato solo i servizi amministrativi e logistici garantiti alla casa madre (7 milioncini di euro nel 2015, 9,3 lo scorso anno) e ha versato a Roma una tassa simbolica: 203mila euro nel 2015, 267mila l'anno scorso, più o meno quanto paga un negozio ben avviato nel centro della capitale.

Lo stesso giochino, in fotocopia, lo fanno tutti i giganti hi-tech. Apple triangola sull'Irlanda i soldi incassati grazie ad iPhone & C. in Italia, come Twitter. Amazon ha scelto fino a poco tempo fa il Lussemburgo. Il pedaggio pagato all'erario tricolore da Airbnb nel 2016 grazie a questi giochi di prestigio fiscali è ammontato a 62mila euro. Meno ancora ha sborsato Trip Advisor, ferma a 12.594 euro, 
più o meno le imposte versate da un impiegato.

Italia ed Europa stanno scervellandosi da tempo su come costringere Google & C. a pagare le tasse come fanno tutti i comuni mortali (o quasi). Il metodo più efficace si è rivelato finora quello della minaccia di cause legali, come dimostrano i pentimenti a scoppio ritardato di Google e Apple nel nostro paese. La Procura di Milano, non a caso, ha aperto un fascicolo anche su Amazon - accusata di aver evaso 130 milioni - e su Facebook. La Francia avrebbe appena chiesto 600 milioni a Microsoft e la Ue ha multato l'Ir-landa per 13 miliardi (Dublino ha fatto ricorso) per le agevolazioni fiscali ad Apple.

Le iniziative spot però - comprese le web-tax annacquate all'italiana o la minaccia di una cedolare secca fatta dal Tesoro tricolore - sono poco efficaci, come dimostrano le aliquote fiscali "bonsai" (tra il 3 e il 6% dei profitti) pagate dai colossi digitali sulle loro attività internazionali. Italia, Francia, Spagna e Germania hanno deciso così di rompere gli indugi e già al consiglio europeo del prossimo 15 settembre a Tallin potrebbero presentare un primo piano per arrivare a una tassazione digitale comune nella Ue. L'obiettivo è far pagare le imposte dove si crea valore, i metodi sono ancora da stabilire. Sul tavolo c'è l'esempio di Londra che ha varato un prelievo del 25% sui "profitti trasferiti", chiamato non a caso Google Tax. Se fosse applicato oggi in Italia, il carico fiscale di Mountain View nel nostro paese salirebbe a circa 130 milioni l'anno, quello di Facebook attorno ai 50. Un altro modello è quello dell'India che tassa del 6% tutte le acquisizioni di prodotti e servizi all'estero e online fatti nel paese. L'America (per ora) fa resistenza e si è schierata al fianco dei suoi campioni hi-tech, mettendosi di traverso su questi interventi. La caccia al tesoro fiscale dei giganti del web è appena iniziata.
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lunedì 26 giugno 2017

La SCHIAVITÙ dal WEB




 MOLTEPLICITÀ e DISSOLUZIONE

Lo dico per l’ennesima volta: la filosofia del pensiero plurale non ha niente a che fare con il relativismo e 
con lo scetticismo, che considera veri e propri obbrobri. Il suo linguaggio combina sapientemente 
narrativa e filosofia. 
Ed è essenzialmente imperniata sul logos e sulle scienze.

È rifiuto nonviolento di ogni forma di Monismo
 (autoritarismo, tifoserie, integralismi, monoteismi, 
atteggiamenti ossessivo-compulsivi e tutto ciò che è riconducibile all’unità), come pure della Molteplicità 
(caos, disordine, spaesamento, degrado, nichilismo).

Se in passato mi sono apertamente schierato contro i monismi, negli ultimi anni la mia riflessione – 
come quella di moltissimi altri studiosi, e mi sovviene Nicholas Carr, Derrick de Kerckhove, Manfred 
Spitzer – si è concentrata sui moltiplicismi e in particolare sui danni psico-fisici e sociali che procura la 
“rete di grandezza mondiale”.

Qualcuno dice: “Non è internet in se stesso il problema. Non è la tecnologia, ma, come per ogni cosa, 
l’uso che se ne fa”.

Il Secolo della tecnologia inconsapevole

Intanto, una considerazione doverosa che vale da premessa: il Novecento è stato terribile da tutti i punti 
di vista – guerre, atrocità, campi di concentramento, droga, suicidi, miseria, malattie – ma ha visto 
anche lo sviluppo impressionante delle scienze che un tempo venivano chiamate “naturali”. Grazie 
soprattutto alle tecnologie, i laboratori, da semplici luoghi di indagine e studio, si sono trasformati in veri 
e propri congegni di osservazione con la stringente riduzione del campo dell’ipotesi e della congettura. 

Cosmologia, fisica, chimica, tanto per citarne alcune, hanno rimodellato la vita dei cittadini, i quali, 
neanche il tempo di uscire dalle macerie della seconda guerra mondiale che si ritrovano catapultati nel 
programma di sviluppo dell’intelligenza artificiale. 
Neanche il tempo di meditare, verrebbe da dire, che 
già l’informatica bussa alle porte della post-modernità e spinge l’uomo a rivolgere il suo sguardo oltre il 
presente e oltre i confini dello spazio. Neanche il tempo di rimuovere le sacche di analfabetismo e di 
ineguaglianze che, nonostante l’industrializzazione, o addirittura a causa di essa, assillavano le nostre 
conclamate civiltà, che in un attimo, con la bacchetta magica del mouse senza fili, ci hanno costretti a 
improvvisarci narratori, giornalisti, fotografi, comunicatori.

Allora, storditi dall’euforia che genera un like, sospinti dalla brama di guadagnarsi una fittizia e 
demenziale celebrità, rapiti dal desiderio di far numero nel web e, in sostanza, catturati dalla rete senza 
capirci nulla, come quando si decolla in aereo e ci si risveglia direttamente all’arrivo, siamo rifluiti 
direttamente sulla battigia boccheggianti come merluzzi. E tra breve sui banchi del mercato saremo 
recisi a metà e cucinati in padella.

I cosiddetti nativi digitali – i nostri giovani adolescenti cioè – sono inzuppati fino al midollo di dispositivi elettronici. 
A loro sembra essere un mondo naturale. Accettano il dittatore, si genuflettono al comando 
degli algoritmi di YouTube, Facebook, Twitter e Istagram.

Noi cinquantenni stralunati e obesi non abbiamo avuto né la forza né l’opportunità di ribellarci; e 
adesso, già in agonia per effetto delle normali avversità del mondo, attendiamo la Nera Signora con lo 
smartphone sotto al cuscino, come un tempo Ufo Robot.

Internet ha sbriciolato modi di vivere legati a terra, aria, fuoco e acqua. Ha smantellato le tradizioni. Ha 
polverizzato consuetudini, amicizie, amori, collaborazioni. Ha infranto sogni. Si è impossessato della 
nostra mente e ha iniettato un veleno micidiale
 nel nostro sistema nervoso.

Quale uso se ne fa ?

E gli illustri buontemponi ci vengono a dire che è l’uso che giornalmente se ne fa il vero problema. 

Davvero? E quale sarebbe l’uso corretto dei social? Riguarda il tempo di utilizzo? La fascia oraria? 
Per esempio, è scorretto restare su Facebook per due ore di fila? Oppure è scorretto postare poesie al mattino? 
E i commenti? Si possono fare dopo cena? 
E quelli stizzosi, sono permessi dopo una partita di calcio? 
Quanto dev’essere lungo un post? 
E un commento al commento di un commento? 
E illecito aggiungere i propri contatti nei gruppi? 
È lecito condividere nudi di donna allo scopo di raccattare 
consensi? Quali parole vanno bandite? Quali sono le parole dell’offesa, quelle dell’adulazione, quelle 
della diffamazione? Quale tono è quello giusto? E chi, a tono, risponde all’offesa, è scusabile? È 
giustificato reagire con veemenza? E bannare qualcuno dopo due scambi verbali in chat è un’azione 
morale? In quale circostanza è ammesso disinteressarsi delle notifiche, dimenticarsi di rispondere subito 
al “Ci 6?”? come diavolo si usano i social? È noto che il regolamento di Facebook è un misero 
ineffabile. Si preoccupano di tanto in tanto di bloccare alcune funzioni, ma chi ci capisce niente!? Sono 
banditi contenuti pedo-pornografico, ma in che senso vengono sanzionati? Razzismi, ingiurie, 
corbellerie, sfoghi personali sembrano dominare la scena quotidiana delle più sconce bacheche. Ma si 
provi pure a segnalare… In fondo, esistono i razzisti? Chi sa dimostrare ai complottisti che la terra non è 
piatta? Che in passato non dominavano gli Anunnaki?

Ecce Fb!

Molteplicità e dissoluzione della vita reale

È una balla megagalattica quella che solitamente passa per “grande utilità” dei social: che cioè sono 
occasioni per uscire dall’isolamento, stringere amicizie, condividere idee, scambiare quattro chiacchiere…

Certamente, si possono passare delle ore a postare, chattare e condividere idee. Ma si tratta di 
esperienze fulminee, di rapporti virtuali che durano poche ore, del tipo: polvere erano polvere 
ritorneranno. Capita di conoscere, dopo mesi di chat, la persona. Dal vivo. Bingo! Era meglio quando si 
chattava. Manca la magia, la curiosità, la meraviglia, il mistero, il desiderio… nella realtà! E si finisce, a 
un tavolino del bar, per chattare sotto sotto con altre prede… pur avendo di fronte quella gran fxxa… conosciuta nel web!

Il senso del limite non esiste più. 
Questo contribuisce a peggiorare le cose.

Ma se i siti di bufale hanno milioni di visualizzazioni non è solo colpa vostra. Se diventano virali quei 
video demenziali di adolescenti che sfidano la morte sui cornicioni non è solo colpa vostra. Se 
dominano l’anarchia, l’ignoranza e il razzismo… non è solo colpa dei vostri banalissimi “Mi piace”. Come 
non è solo colpa dei gestori di questi servizi – Facebook, Google, Microsoft – colossi miliardari che per 
perpetuare se stessi sono costretti a calpestare i valori umani (ammesso che ve ne siano rimasti), 
corrompendo ogni riferimento morale. Vivono grazie al nostro spaesamento. Si nutrono di caos.

Nel web si oscilla dall’Uno ai Molti senza mai cogliere la pluralità. Il web incatena gli utenti. Li 
schiavizza. Li disumanizza. Lo scombussolamento dei rapporti interpersonali inflitto dall’iper-connessione è spaventoso: 
costringe a seguire, in tutte le ore del giorno, 
le idee e le emozioni di tutti. 

Senza nessuna empatia, tuttavia.

Se non correremo prontamente ai ripari, prima impazziremo, 
poi ci estingueremo.

Occorrerebbe riscoprire il senso del limite. 
Le scuole dovrebbero farsene carico. Ma se si continua a 
propinare Dante, Petrarca e Boccaccio… e per giunta con Wikipedia… siamo freschi!

Qualcuno dice: “basterebbe una sana censura per rimuovere contenuti disinformativi, diffamatori, distorsivi”. 
Chissà. Non mi pronuncio. 
Sarebbe sicuramente una panacea… se fossimo nella 
Repubblica di Platone. Ma purtroppo una città ideale non esiste: il controllo finirebbe nelle mani delle 
élites, e dal paradiso mancato del totalitarismo digitale si risalirebbe all’inferno del totalitarismo politico.

Evviva l’Uno!
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giovedì 2 ottobre 2014

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mercoledì 2 aprile 2014

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domenica 9 marzo 2014

Come Cancellarsi Da Internet



Potreste rinunciare a Internet? Potreste rinunciare alla vostra presenza sul web, cancellando per sempre ogni vostra traccia? Probabilmente per alcuni la risposta è negativa. Altri, invece, da tempo cercano un decalogo per poter "sparire" dal cyberspazio e poter tornare in un tranquillo anonimato digitale.

Per soddisfare questo desiderio, dopo soprattutto i recenti rapporti che rivelano come molte aziende rubino informazioni e dati degli utenti e a seguito di numerose denunce di oversharing sui social media, una società di web hosting ha creato una guida in nove punti su come sparire dal web completamente.


Disattivazione, rimozione di link dai risultati di ricerca e di se stessi da varie liste: questi i primi interventi da compiere. E per le persone che preferiscono semplicemente rimanere nascosti, la guida fornisce anche consigli su come utilizzare Internet in modo anonimo.

"I social media hanno reso la vita di tutti un libro aperto, un po' troppo in alcuni casi. Per tutti coloro che sono preoccupati che le loro informazioni personali potrebbero potenzialmente costare loro posti di lavoro e relazioni, la decisione di 'staccare la spina' è sempre più attraente" dicono da WhoIsHostingThis, la società con sede a Londra.

"Anche se può sembrare impossibile mantenere la vostra vita privata il più privata possibile, la verità è che si può scomparire dal web con un piccolo sforzo e con un po' di dedizione" Ci sono un certo numero di siti che possono aiutare gli utenti a eliminare le loro informazioni, come ad esempio DeleteMe e JustDelete.me. Tuttavia, per le persone che vogliono fare il lavoro manualmente potranno eseguire le operazioni passo passo affidandosi alle infografiche realizzate da WhoIsHostingThis.

Nove passi: il primo passo consiste del disattivare gli account Facebook, Twitter, Google+ e LinkedIn. Nella seconda fase si consiglia agli utenti di rintracciare se stessi sui motori di ricerca. Questa semplice operazione può rivelare la registrazione su un sito che magari abbiamo utilizzato in passato e di cui non ci serviamo più, ma sul quale continuiamo a "esistere".

Il terzo passo comporta il caricamento di informazioni false sugli account che non possono essere eliminati. La fase quattro consiste nel cancellarsi dalla mailing list tramite e-mail in una casella di posta elettronica e la cartella di posta indesiderata come punto di partenza. Se durante la ricerca del proprio nome su Google gli utenti trovano vari link che includono informazioni su di loro, possono chiedere al motore di ricerca di rimuoverli. Google, infatti, ha uno strumento di rimozione della Url. Tuttavia Google non è obbligata a rimuovere i collegamenti, soprattutto se il sito su quale sono pubblicate le informazione è di proprietà o intestato a un'altra società.

In questo caso sarà meglio contattare direttamente il sito web chiedendo di rimuovere tutti i riferimenti. Operazione ostica che richiede molto impegno, ma è un passo obbligato se si desidera sparire dal web. I due passaggi finali consistono nel contattare le compagnie telefoniche e le directory on-line, chiedendo di non apparire negli elenchi prima di eliminare ogni indirizzo e-mail. Al fine di mantenere l'anonimato ritrovato, è necessario imparare ad utilizzare gli account fittizi. "La scomparsa da internet non è per tutti. Ma se ci tenete sul serio alla vostra privacy, alla sicurezza e alla vostra reputazione, prendetevi il tempo e la briga di rendervi invisibili".

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lunedì 4 novembre 2013

NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE


LE NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE NELLA SOCIETA' CHE CAMBIA

L'argomento non è frivolo, come potrebbe sembrare in apparenza, ma è particolarmente significativo ed ha portato a cambiamenti davvero epocali nei rapporti tra le persone. Stiamo parlando del nuovo modo di comunicare che, grazie allo sviluppo tecnologico, ha trasformato e continua a cambiare la nostra società. Internet, telefoni cellulari, social media hanno riscritto le tradizionali regole della comunicazione generando, in tutti gli ambiti, nuovi linguaggi e nuovi sistemi di relazione sociale. Nel contesto lavorativo lo strumento portante è l'e-mail, ormai abitualmente utilizzata anche grazie alla cosiddetta posta certificata (PEC) che ha preso il posto della carta bollata. Il suo utilizzo è prevalente nella gestione dei curriculum vitae, dei preventivi, delle attività promozionali e dell'organizzazione interna. E' invece meno diffuso quando si vuole comunicare l'interruzione di un rapporto di lavoro, dove affianca la classica "raccomandata" postale e la comunicazione diretta. La "vecchia" lettera resiste inoltre per i solleciti dei pagamenti insieme alle chiamate telefoniche ed all'invio di fax. In ogni caso, l'evoluzione del modo di fare impresa è costante, legato a filo doppio alle nuove tecnologie, utili ed efficaci per innovare, per sviluppare un modello commerciale e per confrontarsi su scenari globalizzati. L'utilità del web è ormai indiscussa anche per diffondere molteplici iniziative. Basti pensare che una campagna sociale su internet può mobilitare migliaia di persone od alla possibilità di monitorare anche i processi elettorali. Insomma muoversi in modo creativo e disinvolto in rete appare sempre più come un requisito essenziale. Anche nel settore agricolo si vanno sempre più diffondendo i siti web : una vetrina che permette all'azienda non solo di presentare la propria struttura, ma anche di vendere on line i propri prodotti.

L'affermazione delle nuove tecnologie e dei nuovi media ha portato però le maggiori modificazioni soprattutto sul piano delle relazioni amicali. L'elemento di novità è rappresentato dall'uso degli SMS e soprattutto dei social network , protagonisti di un nuovo spazio pubblico di incontro, di confronto e di dibattito: strumenti che non sostituiscono, ma sicuramente integrano le altre forme di comunicazione. Si tratta di una vera rivoluzione, un enorme e continuo scambio di conoscenze, idee ed esperienze che sta modificando i comportamenti dei singoli individui. L'Eures, Istituto di ricerche economiche e sociali, ha indagato nella popolazione scoprendo che proprio i social network sono divenuti uno strumento abituale , soprattutto nella sfera amicale e tra i più giovani, per aggiornarsi e per confrontarsi su questioni di attualità, politica e cultura.
 Il più popolare è facebook insieme a You Tube. Seguono Messanger, Skype e Twitter: relazioni che hanno sostituito quelle esercitate con la tradizionale posta cartacea, che risulta ormai sostanzialmente assente come strumento abituale nelle comunicazioni, se non per uno spazio residuale negli annunci di nascita o matrimoni.

Insomma la connessione è diventata il nuovo paradigma della socialità, con oltre mezz'ora di tempo al giorno mediamente dedicata ad un social network ed una ventina di minuti alle chat. Ed internet piace sempre più agli italiani che lo considerano il mezzo di comunicazione più credibile, sfatando così un luogo comune che vedeva la rete frequentata fin dalle origini soprattutto da ragazzini. Al contrario a collegarsi sono persone di svariata età , anche se con una concentrazione nella fascia che va dai 25 ai 45 anni.

Intanto, sono sempre più maggioranza coloro che ritengono che grazie alla diffusione delle nuove tecnologie la qualità delle proprie comunicazioni sia aumentata: le ragioni sono diverse e le principali sono legate all'immediatezza, alla maggiore continuità, alla opportunità di disporre di un canale sempre aperto e di un interlocutore sempre reperibile. Per alcuni,poi, ci sono altri aspetti positivi, tra i quali la possibilità di selezionare i propri contatti, la creatività nello stile e nel linguaggio, i minori condizionamenti psicologici. Sull'altro fronte resiste, ma non si sa per quanto, una minoranza di persone che denuncia una minore partecipazione emotiva, il rischio di fraintendimenti, la perdita di sfumature e di spontaneità. Eppure questo nuovo modo di comunicare è entrato anche nella vita di coppia. E' vero che qui gli scambi diretti o le conversazioni telefoniche occupano ancora uno spazio importante, ma gli SMS continuano a scalare la comunicazione affettiva, mentre anche i sentimenti guardano sempre più attentamente alle opportunità offerte dai nuovi media, in particolare e-mail e social network. Sono invece le comunicazioni familiari che appaiono in controtendenza. Le più recenti indagini hanno rilevato che il "nuovo" fatica ad avanzare e la "tradizione" resta vincente. La vera competizione continua a giocarsi tra le conversazioni telefoniche, prevalenti nella maggior parte dei casi, e la comunicazione diretta. La famiglia, dunque, snobba i nuovi media: decisamente basso il ricorso abituale agli SMS, alle e-mail, ai social network. Per non parlare degli altri strumenti, quali la posta elettronica, le chat o le videochiamate. Qualche curiosità: in famiglia l'utilizzo del telefono, come abbiamo detto canale preferenziale, presenta le percentuali più alte per gli auguri di compleanno o di altre ricorrenze, per l'organizzazione di incontri conviviali, per annunciare matrimoni, nascite, decessi. La cornetta cede tuttavia il passo alla relazione personale diretta quando si tratta di comunicare la rottura di legami affettivi, di confrontarsi su questioni di attualità o su progetti, aspirazioni e speranze che trovano spesso negli incontri familiari una naturale occasione di confronto e di analisi.



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mercoledì 9 ottobre 2013

BLOG DI CIPIRI: Netanyahu e i jeans

Netanyahu e i jeans


Il premier israeliano deriso in tweet provenienti da Tehran. 
Attaccando il presidente Hassan Rowhani, aveva detto alla Bbc 
che i giovani iraniani non possono indossare jeans...
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sabato 25 maggio 2013

Twitter diventa più sicuro


Twitter diventa più sicuro grazie all’introduzione della doppia verifica. Ad annunciarlo è la società stessa sul proprio blog e ovviamente, sul profilo Twitter. Dopo diversi attacchi di pirateria, il portale di microblogging ha deciso di ovviare al problema con un sistema di autenticazione che invia ogni volta che ci si connette un codice al proprio cellulare.

COME FUNZIONA – La novità funziona in modo analogo a quello utilizzato da Google: dopo che l’utente ha eseguito l’accesso al sito, Twitter manda via sms un codice che deve essere inserito per completare il log-in. Il passaggio è richiesto ogni qual volta si esegue un accesso al sito. Chi lo desidera può attivare agevolmente la doppia verifica sulla pagina delle impostazioni di Twitter, basta avere un indirizzo email confermato e un numero di telefono verificato. Le app collegate al proprio profilo continueranno a funzionare senza problemi, solo per alcune ci sarà bisogno di inserire una password monouso disponibile nella pagina delle applicazioni di Twitter. Il sito ha messo online anche un video esplicativo per far capire meglio come si utilizza la nuova funzione; nel clip viene spiegato che bisogna andare nella pagina delle impostazioni del proprio account, spuntare la casella “Richiedi un codice di verifica all’accesso”, cliccare poi su “aggiungi un numero di telefono” e infine, inserire il codice a sei cifre che Twitter manda al proprio telefono cellulare via sms. .
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