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mercoledì 6 giugno 2018

Nuova bufera su Facebook

Nuova bufera su Facebook

Mentre Facebook cercava di diventare il servizio di social media dominante nel mondo, ha raggiunto accordi che consentono ai produttori di telefoni e altri dispositivi di accedere a una grande quantità di informazioni personali degli utenti. Lo rivela il New York Times.

Facebook ha raggiunto partenariati per la condivisione dei dati con almeno 60 produttori di dispositivi - tra cui Apple, Amazon, BlackBerry, Microsoft e Samsung - nell'ultimo decennio, a cominciare dalle applicazioni di Facebook erano ampiamente disponibili sugli smartphone. Le offerte hanno consentito a Facebook di espandere la propria portata e consentire ai produttori di dispositivi di offrire ai clienti funzionalità popolari del social network, quali messaggi, pulsanti e rubriche.

Ma i partenariati, la cui portata non è stata precedentemente segnalata, sollevano preoccupazioni circa la tutela della privacy della società e la conformità con il decreto di consenso del 2011 della Federal Trade Commission. Facebook ha consentito al dispositivo di accedere ai dati degli amici degli utenti senza il loro esplicito consenso, anche dopo aver dichiarato che non avrebbe più condiviso tali informazioni con gli estranei. Alcuni creatori di dispositivi potevano recuperare informazioni personali anche da amici degli utenti che ritenevano di aver vietato qualsiasi condivisione.



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Scopri se sei stato spiato e i tuoi dati venduti ad aziende, in totale disprezzo della privacy, e magari fai causa, grazie al Codacons. In queste ore Facebook ha diffuso il link attraverso il quale gli iscritti al social network possono verificare se i propri dati e quelli dei propri amici siano stati utilizzati da Cambridge Analytica. Lo ricorda il Codacons che lo definisce “un passo fondamentale ai fini della class action promossa dal Codacons negli Stati Uniti a tutela degli utenti italiani”.
ECCO IL LINK PER SCOPRIRLO E FARE CAUSA.



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venerdì 23 marzo 2018

L’Europa si muove sulla Web Tax


La Commissione ha presentato un piano per obbligare
 le grandi società di Internet a pagare le tasse dove realizzano i profitti.

La Commissione Europea ha presentato oggi il suo piano per creare una tassa europea sui guadagni delle grande aziende di internet, soprattutto Google, Amazon, Facebook e Apple (a volte indicate con l’acronimo GAFA). La nuova imposta – qui potete leggerne i dettagli – prevede un’aliquota del 3 per cento da pagare sul fatturato, che dovrebbe generare 5 miliardi di euro di entrate aggiuntive. Il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici ha detto che «l’attuale vuoto legislativo ha creato un buco nelle entrate fiscale degli stati membri dell’Unione», a cui la nuova imposta vuole rimediare. L’annuncio della Commissione arriva in un momento delicato in particolare per Facebook, criticata e sotto indagine per il caso Cambridge Analytica, e per le grandi società del settore digitale in generale, accusate di essere riuscite a pagare sempre meno tasse nel corso dell’ultimo decennio.

Politici ed esperti sostengono da tempo che l’elusione fiscale, specialmente quella delle grandi società digitali, sia un problema da risolvere. Secondo uno studio del Parlamento europeo, queste società eludono ogni anno al fisco europeo circa 70 miliardi di euro. La Commissione europea ha stimato che le grandi società del digitale paghino in media il 9,5 per cento di tasse sui loro profitti, contro una media del 23,3 per cento pagata dalle altre società.

La nuova imposta, dovesse entrare in vigore, riguarderà tutte le società con un fatturato globale superiore ai 750 milioni di euro e un fatturato generato nell’Unione Europea pari almeno a 50 milioni di euro. La “web tax” europea viene definita una misura “temporanea”, nel documento della Commissione. Sarà applicata nell’attesa di una soluzione a lungo termine al problema: un nuovo meccanismo fiscale che obblighi le grandi società del digitale a registrare i profitti e pagare le tasse nel paese dove questi sono effettivamente generati e non in paesi terzi, scelti per la loro bassa imposizione fiscale. Questa seconda misura, una volta messa a punto, sostituirà l’imposta sul fatturato al 3 per cento. Prima di entrare in vigore entrambe le misure dovranno essere approvate dal Parlamento europeo e, all’unanimità, dai governi dell’Unione riuniti nel Consiglio dell’Unione Europea (quindi dovranno votare a favore anche Irlanda e Lussemburgo, due paesi con imposizione fiscale molto bassa e che hanno approfittato di questa situazione).

L’elusione fiscale, cioè utilizzare cavilli e altre tecniche per pagare meno tasse, è un problema particolarmente forte con le società digitali. Dato che il loro business sostanzialmente “immateriale” (non hanno bisogno di grandi capannoni con migliaia di operai, ma possono vendere i loro servizi in tutto il mondo) è relativamente facile eludere il fisco, per esempio registrando i loro guadagni in un paese dove le imposte sono basse ma portando avanti il loro business anche nei paesi con imposte più alte. Tutte le imprese possono usare simili strumenti di “elusione fiscale”, ma per le imprese digitali è più facile grazie alla particolarità dei prodotti che vendono.

Il comportamento di Google in Italia è un buon esempio di come funzionano questi meccanismi. L’Ufficio parlamentare di bilancio italiano ha calcolato che nel 2015 Google ha fatturato 637 milioni di euro da clienti italiani. Di questi, 67 milioni sono stati fatturati da Google Italia mentre altri 570 sono stati fatturati da Google Ireland, la società madre di tutte le operazioni di Google in Europa. Soltanto i redditi della prima sono tassati in Italia, anche se entrambe le società hanno fornito servizi e prodotti a clienti italiani che li hanno utilizzati in Italia.

Questa divisione tra Google Italia e Google Ireland è soltanto un aspetto del complesso sistema utilizzato da Google per risparmiare sulle tasse. Il primo passaggio è mantenere basso il fatturato della società che ha sede nel paese ad alta tassazione (Google Italia, in questo caso) e riversare invece ricavi e profitti nella società che si trova nel paese a bassa tassazione (Irlanda). Google Ireland versa a sua volta buona parte degli incassi alla holding di Google nei Paesi Bassi, che in un ennesimo passaggio li versa a sua volta a Google Ireland Holding, che possiede il diritto esclusivo dell’uso del marchio Google in tutti i paesi esclusi gli Stati Uniti. Grazie a questo sistema, che sfrutta le legislazioni favorevoli alle imprese di vari paesi europei, Google può minimizzare – legalmente – la quantità di tasse pagate nel continente.

Secondo le istituzioni internazionali che si sono occupate del fenomeno, il modo migliore per limitare l’elusione fiscale è un accordo internazionale o europeo. Questi accordi però non sono facili da raggiungere, principalmente a causa dell’opposizione di quei paesi con regimi fiscali vantaggiosi che traggono un guadagno da questa situazione. Diversi paesi europei hanno provato a fermare l’elusione fiscale in maniera unilaterale, approvando varie forme di “web tax”. I risultati, però, non sempre sono stati all’altezza delle aspettative. La materia è infatti molto complessa e le iniziative dei singoli paesi rischiano di essere inefficaci o in conflitto con i trattati internazionali. Il Parlamento italiano aveva già approvato una “web tax” nel 2014, ma la legge venne abrogata prima di entrare in vigore. Una seconda “web tax” è stata approvata l’anno scorso e dovrebbe entrare in vigore dal 2019.


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Secondo una ricerca del Financial Times, 
le dieci più grandi società al mondo per valore di borsa 
oggi pagano quasi il 10 per cento in meno rispetto a dieci anni fa...






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sabato 17 marzo 2018

Sul Dark Web la nostra identità vale 1.200 Dollari


Tutto ha un prezzo sul dark web 

La tua identità online potrebbe valere circa 1,200 dollari. Questa è la cifra che emerge secondo una nuovissima ricerca sulla vendita illecita di informazioni personali rubate dal dark web.  Anche se non sorprende sapere che le informazioni riguardanti le carta di credito sono tra le più scambiate, è una novità apprendere che i truffatori stanno hackerando anche account Uber, Airbnb e Netflix e li vendono per non più di 10  dollari ciascuno. Un account Facebook può valere 5 dollari, quello Netflix 8 euro, il profilo di Apple tra quelli con più valore, 15 dollari. Fino ad arrivare al massimo del profilo PayPal, l'app di trasferimento di soldi, quotato in media 250 dollari. 


È il valore dei nostri dati sul dark web, il web sommerso dove si vendono anche droga e armi. A stilare una classifica è la società Top10VPN.com, secondo cui la somma dei dati di tutti i servizi a cui siamo iscritti - dai social network ai profili per il commercio elettronico tipo Amazon o eBay a quelli per la consegna del cibo - possono valere in totale 1.200 dollari al mercato nero del web. Il sito ha analizzato i principali mercati del dark web, come Dream, Point e Wall Street Market, e ha stilato un vero e proprio listino di ciascun tipo di account venduto, 
affiancato dal relativo prezzo medio d'acquisto.


 Il prezzo di ciascun tipo di profilo - spiega il sito - varia a seconda di un numero di fattori come i soldi disponibili nei conti, la facilità di accesso alle informazioni 
e la capacità di dirottare l'account per truffe e altri usi. 


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Pratiche Commerciali Sleali, la Francia fa Causa a Google e Apple


Il ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire,
 ha annunciato che lo Stato citerà in giudizio i giganti tecnologici americani, Apple e Google, per "pratiche commerciali sleali" 
e ha aggiunto che la sanzione potrebbe ammontare a "diversi milioni di euro".   "Io credo in un'economia fondata sulla giustizia e porterò Google e Apple davanti al tribunale di Parigi per pratiche commerciali sleali", ha reso noto intervistato dall'emittente RTL. 

 L'accusa: termini contrattuali "abusivi" Parigi intende punire quelli che ha definito termini contrattuali "abusivi" imposti dai giganti della tecnologia alle startup e agli sviluppatori. Le Maire ha spiegato alla radio di Rtl di essere stato informato che Apple e Alphabet Google hanno imposto unilateralmente i prezzi e le modifiche del contratto agli sviluppatori che vendono software su Google Play e sull'App Store di Apple. "Per quanto potenti siano, Google e Apple non possono trattare le nostre startup e i nostri sviluppatori come fanno", ha detto Le Maire. L'autorità francese contro le frodi ai consumatori, la Dgccrf, ha confermato in una successiva dichiarazione di aver iniziato un'azione legale contro i due gruppi tecnologici statunitensi. La replica di Google "Con oltre 1000 download al secondo, Google Play è un ottimo strumento per gli sviluppatori Europei di app, piccoli e grandi, inclusi molti in Francia, per distribuire le loro app a persone di tutto il mondo. Abbiamo collaborato con la Dgccrf (Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes) su molti temi negli ultimi anni, incluso Google Play.  Riteniamo che i nostri termini rispettino le leggi francesi e sosterremo il nostro caso in tribunale".

 La replica di Apple "Siamo orgogliosi di avere costruito relazioni solide con decine di migliaia di sviluppatori in Francia, che hanno guadagnato 1 miliardo sull’App Store. Molti di questi talentuosi sviluppatori hanno dato vita alle loro aziende con 1 o 2 persone e hanno realizzato il loro sogno, vedendo aumentare i loro team che offrono app agli utenti di 155 nazioni. Questo è stato possibile grazie all’investimento Apple in iOS, negli strumenti per sviluppatori e nell’App Store. Apple ha sempre insistito sulla privacy e sicurezza dell’utente e non ha accesso alle transazioni con app terze parti. Non vediamo l’ora di raccontare la nostra versione alle corti francesi e chiarire questo fraintendimento. Nel frattempo, continueremo ad aiutare gli sviluppatori francesi a realizzare i propri sogni e assistere gli studenti francesi nell’apprendimento della programmazione
 offrendo il nostro programma di coding". 

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lunedì 18 dicembre 2017

Da Apple a Facebook : Tanti Affari, poche Tasse.



Ricchi nel Mondo ma Poveri in Italia

I giganti del web beffano le tasse.


Da Apple a Facebook: nel 2016 versati in tutto solo 11,7 milioni. Una media azienda italiana paga di più rispetto all'insieme delle imprese new economy. Roma vuole un'imposta Ue.

Tanti affari, poche tasse. I colossi del web continuano a macinare fatturato e profitti in Italia ma al fisco tricolore lasciano solo le briciole. La moral suasion della Procura di Milano - che ha "convinto" Google e Apple a patteggiare il versamento di 624 milioni di imposte arretrate - non è servita a molto. Il gioco delle tre tavolette erariali (incasso i soldi nel Belpaese ma registro i ricavi in Irlanda, Lussemburgo, Olanda o nel Delaware, dove le aliquote sono low-cost) continua. E il Tesoro resta come sempre a bocca asciutta.

Facebook, Apple, Amazon, Airbnb, Twitter e Tripadvisor - aziende che fanno girare qualche miliardo l'anno nella penisola - hanno versato in tutto nel 2016 all'Agenzia delle entrate 11,7 milioni di euro. La stessa somma, per dire, pagata dalla sola Piaggio. Cinque milioni in meno dell'assegno staccato dalla Fila, che di mestiere fa matite, gessetti e pastelli (tutta roba old economy) e alla voce ricavi è ferma a 422 milioni. Google Italy ha iscritto a bilancio tasse per 42,7 milioni. Ma si tratta di un'illusione ottica: la cifra corrisponde alla rata concordata con il Fisco tricolore per sanare i peccati del passato, mentre la quota relativa al 2016
 è una frazione minima di questo tesoretto.

Tutto regolare? Sì, assicurano i diretti interessati, abilissimi a sfruttare la competizione fiscale tra nazioni mettendo su residenza legale dove si pagano meno balzelli. Il caso di Facebook - passato ai raggi X dall'Ufficio parlamentare di bilancio - è esemplare: il social di Mark Zuckerberg ha venduto nel 2015 in Italia servizi - in particolare pubblicità - per 224,6 milioni, calcola lo studio presentato in Senato. Quei soldi però non sono mai entrati nel mirino dell'Agenzia delle entrate di casa nostra. Facebook li ha fatti sparire incassandoli virtualmente - miracoli dell'era digitale - a Dublino per sfruttare i saldi dell'erario irlandese. La filiale italiana ha contabilizzato solo i servizi amministrativi e logistici garantiti alla casa madre (7 milioncini di euro nel 2015, 9,3 lo scorso anno) e ha versato a Roma una tassa simbolica: 203mila euro nel 2015, 267mila l'anno scorso, più o meno quanto paga un negozio ben avviato nel centro della capitale.

Lo stesso giochino, in fotocopia, lo fanno tutti i giganti hi-tech. Apple triangola sull'Irlanda i soldi incassati grazie ad iPhone & C. in Italia, come Twitter. Amazon ha scelto fino a poco tempo fa il Lussemburgo. Il pedaggio pagato all'erario tricolore da Airbnb nel 2016 grazie a questi giochi di prestigio fiscali è ammontato a 62mila euro. Meno ancora ha sborsato Trip Advisor, ferma a 12.594 euro, 
più o meno le imposte versate da un impiegato.

Italia ed Europa stanno scervellandosi da tempo su come costringere Google & C. a pagare le tasse come fanno tutti i comuni mortali (o quasi). Il metodo più efficace si è rivelato finora quello della minaccia di cause legali, come dimostrano i pentimenti a scoppio ritardato di Google e Apple nel nostro paese. La Procura di Milano, non a caso, ha aperto un fascicolo anche su Amazon - accusata di aver evaso 130 milioni - e su Facebook. La Francia avrebbe appena chiesto 600 milioni a Microsoft e la Ue ha multato l'Ir-landa per 13 miliardi (Dublino ha fatto ricorso) per le agevolazioni fiscali ad Apple.

Le iniziative spot però - comprese le web-tax annacquate all'italiana o la minaccia di una cedolare secca fatta dal Tesoro tricolore - sono poco efficaci, come dimostrano le aliquote fiscali "bonsai" (tra il 3 e il 6% dei profitti) pagate dai colossi digitali sulle loro attività internazionali. Italia, Francia, Spagna e Germania hanno deciso così di rompere gli indugi e già al consiglio europeo del prossimo 15 settembre a Tallin potrebbero presentare un primo piano per arrivare a una tassazione digitale comune nella Ue. L'obiettivo è far pagare le imposte dove si crea valore, i metodi sono ancora da stabilire. Sul tavolo c'è l'esempio di Londra che ha varato un prelievo del 25% sui "profitti trasferiti", chiamato non a caso Google Tax. Se fosse applicato oggi in Italia, il carico fiscale di Mountain View nel nostro paese salirebbe a circa 130 milioni l'anno, quello di Facebook attorno ai 50. Un altro modello è quello dell'India che tassa del 6% tutte le acquisizioni di prodotti e servizi all'estero e online fatti nel paese. L'America (per ora) fa resistenza e si è schierata al fianco dei suoi campioni hi-tech, mettendosi di traverso su questi interventi. La caccia al tesoro fiscale dei giganti del web è appena iniziata.
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mercoledì 27 aprile 2016

Quanto durano i prodotti della Apple



Quanto durano davvero i prodotti della Apple
Obsolescenza programmata? Sistemi operativi da cambiare apposta? Dopo una denuncia che rivela il 
malcontento dei consumatori, l’azienda fondata da Steve Jobs risponde
Scenari futuri: dove ritorna - inquietante - il termine "obsolescenza programmata". 
Volete un esempio? 

La stessa Apple dichiara che, per i dispositivi che hanno un sistema come IOS e watchOS” come 
l’iPhone, calcola una durata di vita approssimativa di circa tre anni. Le modalità di un eventuale riciclo non sono meglio specificate, ma la spirale consumistica nella quale siamo sempre più invischiati non promette nulla di buono. Ma è veramente quello che vogliamo?

Di sicuro, non sono come le lavatrici tedesche degli anni ’60, destinate a durare anche dopo la fine del Sistema Solare. Anzi: secondo molti, i device della Apple (e non solo) sarebbero progettati apposta per smettere di funzionare in un momento preciso. È la cosiddetta “obsolescenza programmata”, metodo furbissimo per costringere il consumatore a continuare a comprare, una volta che ormai si è fidelizzato (o meglio, assuefatto), i prodotti della stessa marca. Un iPhone può costare più o meno la stessa cifra ma, a differenza dei diamanti, non è per sempre. La domanda esatta allora è: per quanto?

Sembra che la risposta (ancorché sia vera) sia arrivata. E la fornisce la stessa Apple in un servizio di 
FAQ in cui compaiono le domande che tutti, prima o poi, si sono posti. E cui le aziende, di solito, 
preferiscono non rispondere. Del resto, i clienti si erano stancati. All’inizio dell’anno è stata depositata una denuncia per pubblicità ingannevole proprio su questo argomento. La Apple renderebbe l’iPhone 4S obsoleto apposta attraverso l’aggiornamento di IOS 9.

Per l’iPhone, spiega la stessa casa produttrice, si calcola una durata di vita approssimativa di circa tre 
anni (cioè, spiega, “per i dispositivi che hanno un sistema come IOS e watchOS”), mentre per i 
computer, cioè i Mac, se ne calcolano quattro (“i dispositivi funzionanti con OS X e tvOS). E poi? Be’, o lo si tiene per ricordo oppure – e sarebbe meglio – lo si ricicla.

Programma Riuso & Riciclo Apple per iPhone, iPad e Mac

Non tutti di voi sapranno che Apple già da qualche anno ha avviato, anche in Italia, il programma di 
riuso & riciclo per iPhone, iPad e Mac.
Ma in cosa consiste il suddetto programma Apple ? Portando il nostro vecchio dispositivo, iPhone, iPad o Mac che sia potremo ricevere uno sconto oppure potremo spedirlo 
e ricevere un importo pari al suo valore.

Entrando sulla pagina del Programma Riuso & Riciclo Apple potremo 
decide se effettuare una stima 
online del nostro dispositivo oppure cercare l’Apple Store più vicino
 a noi convenzionato per effettuare tale stima.
Se ci dovessimo recare in Apple Store per ricevere una valutazione del nostro dispositivo riceveremo 
uno sconto immediato sull’acquisto di un nuovo dispositivo. Tra le note Apple è riportato che “non tutti i dispositivi danno diritto a ricevere uno sconto” e che “l’offerta potrebbe non essere disponibile in tutti gli Store” di conseguenza è consigliato cercare lo store giusto.
Per quanto riguarda la stima online tutto è più semplice, in quanto basterà seguire alcuni step, i quali vi chiedono di descrivere le condizioni del vostro terminale, per ricevere o una carta regalo Apple Store, una sorta di buono quindi, oppure direttamente l’accredito dei soldi sul vostro conto bancario.
Apple ha anche aggiunto una sezione distaccata, Smartphone, che vi permetterà di effettuare una 
permuta anche di dispositivi al di fuori di Apple.
La domanda a questo punto sorge spontanea, ma quanto valuterà Apple il nostro dispositivo? E, le 
valutazioni sono fedeli al prezzo di mercato di un dispositivo di seconda mano?
Noi abbiamo effettuato un preventivo su un nostro i Device per voi.
Il dispositivo che ipoteticamente vorremmo vendere ad Apple è proprio un iPhone 5S da 32 GB Nero, in perfette condizioni, con normali segni di usura.
La valutazione? Ben €165 con Carta Regalo Apple Store. 
Decisamente deluso sulla valutazione effettuata.
Però non scoraggiatevi cari utenti, ci viene in soccorso un servizio che si appoggia al noto sito 
BuyDifferent. TrenDevice vi permetterà di vendere il vostro iPhone o iPad 
e di ricevere il pagamento in denaro.
Effettuando la valutazione con questo nuovo sito la valutazione è più accettabile, circa €100 in meno o giù di lì rispetto alla vendita tra privati però è lecito se considerato
 la vendita instantanea al sito internet.
Il prezzo di questo nuovo preventivo è di €330 (nel mio caso senza scatola e con una piccola 
ammaccatura che non rientra tra i normali segni di usura).
In definitiva, non vi consiglio di utilizzare il Programma di Uso & Riciclo Apple ma bensì TrenDevice che offre delle valutazione più a portata di tasca.


Gli smartphone usati valgono oro. Parola di Apple
Riciclo e tutela ambientale possono diventare un business milionario.  Apple recupera tonnellate di 
metalli preziosi dagli iPhone rottamati consegnati dai clienti. A partire da 35 milioni di euro di oro.

Riciclare i prodotti dismessi invece che lasciarli marcire nelle discariche non è solo un dovere nei 
confronti del pianeta, è anche una buona pratica che può valere milioni di dollari. Per averne conferma basta chiedere a Apple, che nel 2015 ha recuperato dagli iPhone e dagli iPad “rottamati” dai propri clienti quasi una tonnellata di oro, per un valore complessivo di circa 40 milioni di dollari (35,3 milioni di euro).

I numeri del riciclo di Apple sono impressionanti: nei 12 mesi del 2015 l’azienda di Cupertino ha trattato oltre 28.000 tonnellate di materiale grezzo dalle quali ha estratto, oltre all’oro, 1.300 tonnelate di rame per un valore di 6,4 milioni di dollari 
e 2.000 tonnellate di alluminio per altri 3,2 milioni di dollari.

Lo scorso marzo l’azienda ha presentato al pubblico Liam, il robot che lavora sulle linee di 
disassemblaggio degli iPhone 6:  in pochi istanti è in grado di smontare uno smartphone e di separare 
le componenti riciclabili da quelle destinate alla distruzione.


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martedì 9 febbraio 2016

Apple a Napoli per Lavoro o per il Fisco



Apple a Napoli, un “piatto di lenticchie” per 500 milioni di sconto fiscale
A prima vista sembrava il riscatto dell’Italia, e del sud in particolare. E invece la realtà, forse, è diversa: la multinazionale dell’innovazione ha dei conti in sospeso con il nostro fisco e questo è un modo per cominciare a metterli a posto

Diciamocela tutta: in giorni in cui il crollo in borsa di Montepaschi autorizzava ogni cassandra a vaticinare i più foschi presagi - armageddon finanziari, corse agli sportelli stile Mary Poppins, eurocrati in grisaglia in picchiata su Roma come in un quadro di Magritte - questa cosa della Apple che ha deciso di insediare in Italia il suo centro di ricerca sulle app ci ha messo un po' tutti di buon umore. La Apple. In Italia. A Napoli, poi.

E insomma, eravamo già pronti a issare il tricolore sul balcone, ad assumere la posa tipica da guascone di Rignano e per spernacchiare come nelle barzellette i francesi altezzosi, gli austeri tedeschi e l'Eurogruppo tutto. Non eravamo gli analfabeti digitali, quelli con la connessione internet più lenta di un treno regionale? Ebbene, siamo stati prescelti dall'azienda più innovativa del mondo. Tze.

Sarà il gufo che alberga in noi, ma presto lo stupore e l'orgoglio hanno ceduto il passo alla diffidenza. In effetti, siamo analfabeti digitali. E, a dire il vero, la nostra connessione internet è tra le più lente d'Europa. Allora, perché Apple ha insediato il suo centro di ricerca sulle app in Italia, a Napoli? Peraltro, questo investimento a quanto ammonterebbe? A quante persone darebbe lavoro? Non si sa.

Però si sanno altre cose. Ad esempio, che la Apple doveva al fisco italiano qualcosa come 880 milioni di euro di mancati pagamenti Ires, a causa di quella che in gergo tecnico si chiama “estero-vestizione” - vendo in Italia, fatturo in Irlanda, per i profani. Che lo scorso 30 novembre si è accordata col fisco italiano per pagarne solamente 318. E che l'Italia è l'unico Paese europeo che ha accettato un concordato fiscale con la multinazionale americana, abbandonando ogni pretesa nei suoi confronti.

A pensar male si fa peccato, certo. Ma il dubbio che quello di Apple sia stato un cadeau generosamente concesso al Paese che ha messo una pietra sopra alle furbate fiscali made in Cupertino viene. La speranza è che quel che centro di ricerca possa diventare davvero un importante vettore di sviluppo in una città che ha ne ha bisogno come l'aria e che non sia invece un “piatto di lenticchie” buono a farci titoli di giornale per un paio di giorni. Anche perché pare che alla Troika, le lenticchie, non piacciano granché.

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MULTINAZIONALI E LO SCONTO FISCALE

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giovedì 21 gennaio 2016

Multinazionali hanno ricevuto un maxisconto sulle tasse



La Apple ha ricevuto un maxisconto sulle tasse, quelle stesse tasse che sono l'incubo di ogni cittadino italiano diventano dei maxisconti per le multinazionali .

Apple Italia doveva al fisco 880 milioni di euro, a seguito dell'evasione fiscale sull'IRES dal 2008 al 
2013 , la multinazionale ha ricevuto uno sconto del 63.86% sul dovuto e forse verserà (attenzione non ha ancora versato...) SOLO 318 milioni di euro al fisco italiano.

È bastato per l'azienda dichiarare che prodotti venduti nel nostro paese sono stati invece venduti in 
Irlanda, dove la tassazione è bassissima (si pensi che la corporate tax sugli utili è di solo il 12.5%).

Stesso sconto per aziende quali Google, Mediolanum, Amazon, Western Digital.

Per la prima su 800 milioni di euro evasi ne vengono chiesti solo 150, con un maxisconto del 81.25%, alla seconda, la banca italiana del gruppo Fininvest al posto dei 506 milioni di euro dovuti, ne pagherà solo 143, ossia uno sconto del 71.74%.

Ovviamente molto diverso è il trattamento per il piccolo imprenditore: se viene scoperto un reddito non dichiarato e il contribuente accetta un accordo bonario, pagherebbe comunque tra tasse e sanzioni il 133% dell'importo.
Se non dovesse accettare l'accordo, il fisco lo perseguirebbe per fargli pagare dal 200% al 300% 
dell'evasione accertata. Altro che sconti...
Insomma i piccoli artigiani italiani soffocano ma le multinazionali gongolano.

PS.
Ciliegina sulla torta: a difendere la multinazionale della mela nell'accusa di evasione fiscale, una 
persona che avrebbe dovuto difendere invece i cittadini da chi ruba loro i soldi: l'avvocato Paola 
Severino ex ministro della giustizia del governo Monti.



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domenica 9 giugno 2013

LINKS: I 1000 miliardi rubati dalle multinazionali‏



Apple, una delle aziende più ricche, in pratica ha pagato 0 dollari di tasse sui 78 miliardi guadagnati in questi anni mettendo in piedi una serie di scatole cinesi in paesi a una bassa tassazione e mandando i profitti all’estero. Questo genere di evasione fiscale permette alle aziende multinazionali di avere un enorme vantaggio sulle aziende nazionali di minore dimensione. Si tratta di una pratica che ha un impatto negativo sul mercato, la democrazia e la stabilità economica. 


Ma tra pochi giorni i governi valuteranno un piano che renderebbe più difficile per le multinazionali e per gli individui evadere le tasse nascondendo i loro profitti all'estero e nei paradisi fiscali. 

Il piano obbligherebbe tutti i paesi a condividere le informazioni necessarie a capire dove si nascondono i capitali e richiederebbe di rivelare chi si cela dietro aziende “prestanome”. Se le trattative andranno in porto, il G8 potrebbe trovare un accordo su questi provvedimenti nel loro complesso già questo mese.

Raggiungiamo un milione di persone e Avaaz consegnerà la nostra richiesta ai leader e ai media nel bel mezzo dei negoziati: 

FIRMA ...
http://www.avaaz.org/it/g8_tax_havens_p/?bkBgnbb&v=25620 

LEGGI TUTTO ...

LINKS: I 1000 miliardi rubati dalle multinazionali‏: Tra pochi giorni i governi decideranno se  colpire la gigantesca evasione fiscale delle multinazionali, del valore di mille miliardi di ...

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giovedì 6 settembre 2012

Anonymous pubblica 1 milione ID Apple da laptop FBI

  
Anonymous pubblica 1 milione ID Apple da laptop FBI, il bureau nega

Il Federal Bureau of Investigation nega connessioni con i 12 milioni di ID Apple che Anonymous dichiara aver sottratto da un laptop di un agente FBI nel mese di marzo . Ne pubblica 1 milione .

Antefatto: Tre anni fa l'agente speciale Christopher Stangl era apparso in un video  invitando gli hackers ad aderire al Federal Bureau of Investigation, sottolineando quanto il loro contributo fosse più che mai necessario per combattere il cyber crimine.
La notte del 3 settembre, Anonymous e LulzSec, nell’ambito dell’operazione AntiSec,  hanno risposto alla chiamata ma non come l’FBI si sarebbe aspettato: hanno pubblicato 1 milione di numeri identificativi di dispositivi Apple (UDID) , sottrendoli proprio dal portatile di Stangl.
Hanno ritenuto di pubblicare un milione di queste stringhe su un totale di più di 12 milioni di ID contenuti nel file sottratto, come poi annunciato nel profilo twitter  @ AnonymousIRC .
L'accaduto  ha sollevato molte domande, non solo circa la sicurezza dei dispositivi federali, ma del motivo per cui un agente avrebbe dovuto portare avanti un database di identificatori Apple, identificativi che permettono di risalire a: nome e tipo del dispositivo, nome utente, numero di cellulare, indirizzi e anche dati delle carte di credito attraverso l’account ITunes  di iPhone e iPad.

Gli sviluppatori utilizzano l'UDID per tenere traccia dei comportamenti dell’utente utili per la profilazione pubblicitaria e per le compagnie che ricorrono a sistemi di geolocalizzazione, già lo scorso anno si era scoperto che Apple avrebbe trasmesso queste info a terze parti senza il consenso degli utenti. 
Anonymous spiega di aver pubblicato la lista, omettendo tutti i dati personali, per dimostrare agli utenti Apple la vulnerabilità dei loro dispositivi- il dispositivo FBI è stato violato per via di un bug generato da Java-  e che esiste un progetto di monitoraggio da parte dell’Fbi.
La violazione è avvenuta in Marzo, ma la scelta del periodo di pubblicazione coincide con l’attuale intento di Apple nella ricerca di alternative al sistema UDID, sistema profondamente inviso agli Anonymous .

 Le reazioni del Federal Bureau of Investigation: una decisamente negazionista  via Twitter:


E un ammorbidimento nel comunicato stampa :
Statement on Alleged Compromise of FBI Laptop Washington, D.C. September 04, 2012     •    FBI National Press Office (202) 324-3691

The FBI is aware of published reports alleging that an FBI laptop was compromised and private data regarding Apple UDIDs was exposed. At this time, there is no evidence indicating that an FBI laptop was compromised or that the FBI either sought or obtained this data.

( L’FBI è al corrente di un report pubblicato circa una presunta violazione di un nostro portatile e dei dati privati riguardanti UDID apple  . Al momento non ci sono prove che indichino una compromissione di un nostro portatile  o che lo stesso Fbi abbia mai richiesto o ottenuto tali dati).

Scritto da  Laura Elisa Rosato

http://www.you-ng.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=3359%3Aanonymous-pubblica-1-milione-id-apple-da-laptop-fbi-il-bureau-nega&Itemid=63 

Furto di Anonymous, che ‘ruba’ 12 milioni di profili di utenti Apple da un computer dell’Fbi. La notizia, diffusa su Internet con le solite modalità adottate dal gruppo hacker, è accompagnata dalle istruzioni per scaricare il database con 1 milione degli id sottratti. Secondo quanto dichiarato dagli Anonymous, il file originale NCFTA_iOS_devices_intel.csv ne conteneva però più di 12 milioni.

Ncfta è l’acronimo della National Cyber-Forensics & Training Alliance, cui partecipano l’Fbi e altri enti (tra cui l’Università della West Virginia) e che ha come scopo la condivisione e lo studio di informazioni confidenziali riguardanti il settore della sicurezza informatica. I dati contenuti nel file originale riguardano dispositivi iOS (iPad e iPhone) e comprendono il nome

del proprietario, il numero di telefono, indirizzo e altre informazioni personali compreso l’Udid, il codice identificativo univoco che permette di individuare i dispositivi Apple. I dati sarebbero stati sottratti lo scorso marzo dal computer portatile (di cui viene soecificato anche il modello, un Dell Vostro) di Christopher K. Stangl, un agente Fbi del Cyber Action Team.

L’intrusione nel computer dell’agente sarebbe stata effettuata sfruttando una vulnerabilità Java del suo notebook. Gli Udid, usati da Apple sui suoi dispositivi, erano finiti nell’occhio del ciclone qualche mese fa, quando il Wall Street Journal aveva sollevato pesanti dubbi sulla liceità di un sistema che potrebbe rappresentare una violazione della privacy degli utenti Apple. Recentemente la casa di Cupertino ha inviato segnali di un ripensamento sull’utilizzo dei codici identificativi. Da qualche tempo, infatti, sull’Apple Store vengono respinte tutte le app che utilizzano in qualche modo l’Udid. Ora il file con un milione di questi codici è stato pubblicato su otto siti differenti, con tanto di istruzioni per verificare che si tratti del file originale e la password per la decodifica. Gli hacker, però, hanno eliminato i dati personali riguardanti i proprietari dei dispositivi identificati. La pubblicazione di un milione degli id rinvenuti sarebbe infatti solo un atto dimostrativo per confermare la veridicità dei dati e attirare l’attenzione sul fatto che le autorità federali sono in possesso di dati personali riguardanti milioni di cittadini e che si ignora quale utilizzo ne facciano.
 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/04/furto-di-anonymous-rubati-12-milioni-di-profili-apple-da-computer-dellfbi/342423/

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mercoledì 5 settembre 2012

Apple in beneficenza 100 milioni di dollari

 

 

Apple cambia sotto Tim Cook: in beneficenza 100 milioni di dollari


Apple ha deciso di realizzare delle donazioni che, fino ad ora, hanno raggiunto quota 100 milioni di dollari.
Così, ha deciso Tim Cook, al timone dell’azienda di Cupertino, di dedicarsi anche alla beneficienza, contrariamente a quanto pensava Steve Jobs.

Le donazioni sono state effettuate in favore dell'ospedale della Stanford University e dell'organizzazione di aiuti degli stati africani, fondata da Bono degli U2.

leggi anche http://cipiri4.blogspot.it/2011/10/steve-jobs-addio.html

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mercoledì 4 marzo 2009

Apple rinnova i desktop, ma non i price point



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Importante rinnovo di gamma, che non concede molto nè al prezzo, nè al rinnovo estetico. Segno che il focus è tutto sui notebook?

Modifiche sugli iPhone: Apple vs EFF

MWC: Nokia sfida Apple con l'Ovi Store

Apple sorprende

Nella giornata di ieri, Apple ha presentato il rinnovo completo della sua gamma di Mac desktop, aggiornando dunque iMac, Mac mini e Mac Pro.

Per una volta, l'estetica non è al centro della proposta Apple, che sembra aver puntato di più sulle caratteristiche tecniche e sul prezzo. Non a caso, il modello di punta è rappresentato da un iMac da 24 pollici, con memoria e hard disk doppi rispetto alla generazione precedente di iMac da 20”, proposto a 1.499 dollari, esattamente lo stesso prezzo del corrispondente modello della famiglia a 20”.
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La gamma a 24”include altri due modelli a 1.199 e 2.199 dollari.

Proprio la scelta di non introdurre alcuna macchina con prezzo inferiore alla soglia psicologica dei 1.000 dollari viene guardata con molta attenzione dagli analisti, che vi leggono da un lato una indisponibilità da parte di Cupertino ad assecondare le richieste provenienti dal mercato consumer, sempre meno orientato sui prodotti dal price point considerato eccessivo, dall'altro la conferma che il desktop non è ormai focus per l'azienda, sempre più orientata verso l'area mobility.

Per il mercato business, Apple ha poi presentato un nuovo Mac Pro. Il rinnovo di gamma, per questa famiglia, si accompagna a un taglio di 300 dollari sull'entry price, fissato a 2.499 dollari.

Per quanto riguarda infine i Mac Mini, due sono le novità, da 6,5” x 6,5” x 2”, con processore grafico Nvida. Il prezzo resta invariato a 599 dollari.

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