MOLTEPLICITÀ e DISSOLUZIONE
Lo dico per l’ennesima volta: la filosofia del pensiero plurale non ha niente a che fare con il relativismo e
con lo scetticismo, che considera veri e propri obbrobri. Il suo linguaggio combina sapientemente
narrativa e filosofia.
Ed è essenzialmente imperniata sul logos e sulle scienze.
È rifiuto nonviolento di ogni forma di Monismo
(autoritarismo, tifoserie, integralismi, monoteismi,
atteggiamenti ossessivo-compulsivi e tutto ciò che è riconducibile all’unità), come pure della Molteplicità
(caos, disordine, spaesamento, degrado, nichilismo).
Se in passato mi sono apertamente schierato contro i monismi, negli ultimi anni la mia riflessione –
come quella di moltissimi altri studiosi, e mi sovviene Nicholas Carr, Derrick de Kerckhove, Manfred
Spitzer – si è concentrata sui moltiplicismi e in particolare sui danni psico-fisici e sociali che procura la
“rete di grandezza mondiale”.
Qualcuno dice: “Non è internet in se stesso il problema. Non è la tecnologia, ma, come per ogni cosa,
l’uso che se ne fa”.
Il Secolo della tecnologia inconsapevole
Intanto, una considerazione doverosa che vale da premessa: il Novecento è stato terribile da tutti i punti
di vista – guerre, atrocità, campi di concentramento, droga, suicidi, miseria, malattie – ma ha visto
anche lo sviluppo impressionante delle scienze che un tempo venivano chiamate “naturali”. Grazie
soprattutto alle tecnologie, i laboratori, da semplici luoghi di indagine e studio, si sono trasformati in veri
e propri congegni di osservazione con la stringente riduzione del campo dell’ipotesi e della congettura.
Cosmologia, fisica, chimica, tanto per citarne alcune, hanno rimodellato la vita dei cittadini, i quali,
neanche il tempo di uscire dalle macerie della seconda guerra mondiale che si ritrovano catapultati nel
programma di sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Neanche il tempo di meditare, verrebbe da dire, che
già l’informatica bussa alle porte della post-modernità e spinge l’uomo a rivolgere il suo sguardo oltre il
presente e oltre i confini dello spazio. Neanche il tempo di rimuovere le sacche di analfabetismo e di
ineguaglianze che, nonostante l’industrializzazione, o addirittura a causa di essa, assillavano le nostre
conclamate civiltà, che in un attimo, con la bacchetta magica del mouse senza fili, ci hanno costretti a
improvvisarci narratori, giornalisti, fotografi, comunicatori.
Allora, storditi dall’euforia che genera un like, sospinti dalla brama di guadagnarsi una fittizia e
demenziale celebrità, rapiti dal desiderio di far numero nel web e, in sostanza, catturati dalla rete senza
capirci nulla, come quando si decolla in aereo e ci si risveglia direttamente all’arrivo, siamo rifluiti
direttamente sulla battigia boccheggianti come merluzzi. E tra breve sui banchi del mercato saremo
recisi a metà e cucinati in padella.
I cosiddetti nativi digitali – i nostri giovani adolescenti cioè – sono inzuppati fino al midollo di dispositivi elettronici.
A loro sembra essere un mondo naturale. Accettano il dittatore, si genuflettono al comando
degli algoritmi di YouTube, Facebook, Twitter e Istagram.
Noi cinquantenni stralunati e obesi non abbiamo avuto né la forza né l’opportunità di ribellarci; e
adesso, già in agonia per effetto delle normali avversità del mondo, attendiamo la Nera Signora con lo
smartphone sotto al cuscino, come un tempo Ufo Robot.
Internet ha sbriciolato modi di vivere legati a terra, aria, fuoco e acqua. Ha smantellato le tradizioni. Ha
polverizzato consuetudini, amicizie, amori, collaborazioni. Ha infranto sogni. Si è impossessato della
nostra mente e ha iniettato un veleno micidiale
nel nostro sistema nervoso.
Quale uso se ne fa ?
E gli illustri buontemponi ci vengono a dire che è l’uso che giornalmente se ne fa il vero problema.
Davvero? E quale sarebbe l’uso corretto dei social? Riguarda il tempo di utilizzo? La fascia oraria?
Per esempio, è scorretto restare su Facebook per due ore di fila? Oppure è scorretto postare poesie al mattino?
E i commenti? Si possono fare dopo cena?
E quelli stizzosi, sono permessi dopo una partita di calcio?
Quanto dev’essere lungo un post?
E un commento al commento di un commento?
E illecito aggiungere i propri contatti nei gruppi?
È lecito condividere nudi di donna allo scopo di raccattare
consensi? Quali parole vanno bandite? Quali sono le parole dell’offesa, quelle dell’adulazione, quelle
della diffamazione? Quale tono è quello giusto? E chi, a tono, risponde all’offesa, è scusabile? È
giustificato reagire con veemenza? E bannare qualcuno dopo due scambi verbali in chat è un’azione
morale? In quale circostanza è ammesso disinteressarsi delle notifiche, dimenticarsi di rispondere subito
al “Ci 6?”? come diavolo si usano i social? È noto che il regolamento di Facebook è un misero
ineffabile. Si preoccupano di tanto in tanto di bloccare alcune funzioni, ma chi ci capisce niente!? Sono
banditi contenuti pedo-pornografico, ma in che senso vengono sanzionati? Razzismi, ingiurie,
corbellerie, sfoghi personali sembrano dominare la scena quotidiana delle più sconce bacheche. Ma si
provi pure a segnalare… In fondo, esistono i razzisti? Chi sa dimostrare ai complottisti che la terra non è
piatta? Che in passato non dominavano gli Anunnaki?
Ecce Fb!
Molteplicità e dissoluzione della vita reale
È una balla megagalattica quella che solitamente passa per “grande utilità” dei social: che cioè sono
occasioni per uscire dall’isolamento, stringere amicizie, condividere idee, scambiare quattro chiacchiere…
Certamente, si possono passare delle ore a postare, chattare e condividere idee. Ma si tratta di
esperienze fulminee, di rapporti virtuali che durano poche ore, del tipo: polvere erano polvere
ritorneranno. Capita di conoscere, dopo mesi di chat, la persona. Dal vivo. Bingo! Era meglio quando si
chattava. Manca la magia, la curiosità, la meraviglia, il mistero, il desiderio… nella realtà! E si finisce, a
un tavolino del bar, per chattare sotto sotto con altre prede… pur avendo di fronte quella gran fxxa… conosciuta nel web!
Il senso del limite non esiste più.
Questo contribuisce a peggiorare le cose.
Ma se i siti di bufale hanno milioni di visualizzazioni non è solo colpa vostra. Se diventano virali quei
video demenziali di adolescenti che sfidano la morte sui cornicioni non è solo colpa vostra. Se
dominano l’anarchia, l’ignoranza e il razzismo… non è solo colpa dei vostri banalissimi “Mi piace”. Come
non è solo colpa dei gestori di questi servizi – Facebook, Google, Microsoft – colossi miliardari che per
perpetuare se stessi sono costretti a calpestare i valori umani (ammesso che ve ne siano rimasti),
corrompendo ogni riferimento morale. Vivono grazie al nostro spaesamento. Si nutrono di caos.
Nel web si oscilla dall’Uno ai Molti senza mai cogliere la pluralità. Il web incatena gli utenti. Li
schiavizza. Li disumanizza. Lo scombussolamento dei rapporti interpersonali inflitto dall’iper-connessione è spaventoso:
costringe a seguire, in tutte le ore del giorno,
le idee e le emozioni di tutti.
Senza nessuna empatia, tuttavia.
Se non correremo prontamente ai ripari, prima impazziremo,
poi ci estingueremo.
Occorrerebbe riscoprire il senso del limite.
Le scuole dovrebbero farsene carico. Ma se si continua a
propinare Dante, Petrarca e Boccaccio… e per giunta con Wikipedia… siamo freschi!
Qualcuno dice: “basterebbe una sana censura per rimuovere contenuti disinformativi, diffamatori, distorsivi”.
Chissà. Non mi pronuncio.
Sarebbe sicuramente una panacea… se fossimo nella
Repubblica di Platone. Ma purtroppo una città ideale non esiste: il controllo finirebbe nelle mani delle
élites, e dal paradiso mancato del totalitarismo digitale si risalirebbe all’inferno del totalitarismo politico.
Evviva l’Uno!
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COSA TI PORTA IL 2017 ?