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giovedì 26 giugno 2014

Bilancio della stagione 2013/2014: l'allenatore

Ancora una volta, tocca ripetere buona parte dei concetti espressi giusto un anno fa: l'Atletico Madrid è Diego Pablo Simeone. Punto.
Lasciate perdere gli innumerevoli articoli comparsi sulla stampa nostrana e tutti tesi a glorificare una società abile come non mai a costruire un progetto vincente con pochissimi soldi. In realtà, non esiste progetto, non esiste neppure una straordinaria abilità di mercato della coppia Caminero – Berta. Esiste solo l'incredibile capacità del Cholo di trasformare in giocatori duri e puri qualunque tipo di pedatore gli venga affidato. Basterebbe riguardare la rosa dei nomi di tre stagioni fa per accorgersi che il duo succitato non c'entra nulla: praticamente tutti i giocatori che hanno sfiorato la duplice impresa c'erano già e quasi tutti quelli che sono arrivati negli ultimi tre anni non hanno praticamente lasciato traccia.
Quindi, meriti assoluti, totali, di Simeone, per la cui continuità sulla panchina dei colchoneros dobbiamo pregare notte e giorno a oltranza.

Aggiungo una piccola parentesi sul mercato in svolgimento: molti vogliono abbandonare l'Atletico, convinti di non poter ottenere di più in questa squadra e di poter spuntare ingaggi faraonici altrove. Concordo con la società (e con Simeone, io credo): se arriva qualcuno disposto a pagare l'intera clausola di rescissione, che se ne vadano, perchè chi non è motivato non serve alla causa. Però, ed ecco il punto, costoro sono sicuri che andranno bene? Che il loro valore  non abbia nulla a che vedere col fatto di avere un allenatore come il Cholo? Che, cioè, in un'altra squadra, con un altro allenatore, renderebbero allo stesso livello? Io non ne sono affatto convinto; anzi ho l'impressione che molti tra quelli che se ne sono andati tendano a sopravvalutarsi. Contenti loro...

Tornando all'argomento di questo post, bisogna dare atto a Simeone di essere bravissimo non solo a sfruttare al massimo le qualità dei propri giocatori, ma anche e soprattutto a mascherarne i difetti (appunto...) con un sistema di gioco molto organizzato, basato sul mutuo soccorso e sulla coesione tra reparti. Questa sua abilità ha generato una squadra praticamente inarrestabile fino a dicembre, mese dopo il quale il livello fisico e di gioco si è abbassato e solo raramente è ritornato ai fasti di inizio stagione. Alle difficoltà della seconda parte della stagione hanno supplito la forza mentale e la coesione del gruppo, oltre che le giocate di strategia, altro grande marchio di fabbrica del Cholo, che ai tempi del Doblete aveva sicuramente interiorizzato l'importanza delle reti su palla inattiva. Era dai tempi di Antic, infatti, che i biancorossi non avevano schemi precisi per calci d'angolo e punizioni, mentre con Simeone ogni aspetto del gioco è organizzato nei minimi dettagli. Quest'ultimo aspetto ha ovviamente generato non solo una grande forza difensiva, ma anche una grande fiducia del gruppo nelle proprie capacità di risolvere le partite anche nei momenti di maggiore difficoltà, una fiducia così grande da aver portato più volte i biancorossi non solo a sconfiggere avversari di cui avevano subito il gioco per lunghi tratti, ma anche a battere squadre sulla carta notevolmente superiori.

Esistono dunque, in questo paesaggio idilliaco, elementi di debolezza?
Ovviamente sì. E purtroppo coincidono con i punti di forza del progetto cholista, di cui sono l'altra faccia della medaglia.
Fondamentalmente la questione è molto semplice: si esige dai giocatori una tale concentrazione e una tale aggressività che molti non riescono ad adattarsi al meccanismo. O meglio, che non è possibile adattarsi al tipo di gioco voluto dal Cholo se non dopo molte partite, partite che però le riserve non riescono a giocare perchè il loro inserimento preclude il funzionamento del meccanismo nel suo complesso.
Il nucleo che ha giocato le 61 partite della stagione scorsa è stato di 14 giocatori, non di più. Tutti gli altri hanno giocato spezzoni o partite nelle quali hanno finito per non rendere quanto ci si aspettava.
Ovverosia il Cholo ha affrontato tutta la stagione con un nucleo ristretto di giocatori, in parte perchè le riserve non erano di gran livello, in parte perchè le sue stesse scelte hanno impedito loro di crescere e migliorarsi.
La filosofia del partido a partido richiede il massimo ogni volta, ma le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: l'Atletico ha finito la stagione sulle ginocchia e ha rischiato di perdere sia il campionato che la Champions'. D'altra parte, chissà se i colchoneros sarebbero arrivati a un passo dallo storico doblete se il Cholo avesse applicato un'altra strategia. Le rare volte infatti che Simeone ha derogato dal suo principio-guida (spesso senza ammetterlo apertamente), l'Atletico ha giocato le sue peggiori partite.

Si è così creata una contraddizione insanabile: se è vero che buona parte della colpa è addebitabile alla società, che a causa delle gestioni scellerate degli anni scorsi non ha soldi per comprare giocatori di valore, è costretta a vendere i pezzi pregiati e di conseguenza può fornire all'allenatore solo pochi ricambi e spesso non all'altezza, dall'altra parte abbiamo un allenatore che ha chiesto espressamente un gruppo di 21 giocatori e, quando ha indicato i rinforzi del mercato invernale, non è sembrato azzeccare le scelte, oltre a non permettere alle riserve e ai giovani di crescere.
Che ne è stato infatti dei giovani all'Atletico, quest'anno? Molti sono andati in prestito senza aver quasi mai giocato, altri sono rimasti per non giocare mai. Si può crescere, in questo modo? I Mondiali dimostrano, per esempio, che Gimenez è un signor giocatore, pronto per certi palcoscenici, almeno come “dodicesimo”. Manquillo non ha mai demeritato; Saul è stato eccezionale nel Rayo, Oliver ha fatto bene nel Villareal.
Il solo Koke è diventato titolare dei colchoneros.
Per parlare di giocatori già affermati, Alderweireld ha evidenziato un buon livello, sia con noi che ai Mondiali.
A fallire sono stati anzi i giocatori richiesti o approvati da Simeone: Sosa, Diego, Cebolla Rodriguez.

Quindi, in conclusione, al Cholo non posso che confermare il 9,5 dello scorso anno: ha rigenerato l'Atletico e ne ha fatto non solo una squadra, ma anche una società di calcio. E anche se sono convinto che la proprietà ostacoli, più che agevolare, il suo lavoro, non posso che segnalare la contraddizione che vedo: Simeone è anche causa delle difficoltà ad emergere e della mediocrità (solo presunta?) di alcuni componenti della rosa.

lunedì 16 giugno 2014

Bilancio della stagione 2013/2014: l'attacco


Diego Costa, 9,5: 27 gol in 35 partite di Liga, 8 in 9 match di Champions'. Numeri di una stagione straordinaria, nella quale ha dimostrato di poter egregiamente sostituire Falcao, al punto da diventare il crack della stagione europea. Già l'anno scorso si era messo così in luce da fare ombra al colombiano, ma quest'anno è stato quasi perfetto. Ha segnato in tutti i modi, anche se si è distinto nel tagliare in due le difese, incuneandosi a viva forza tra centrale e terzino avversari, e nello svariare su tutto il fronte d'attacco, sia verso l'esterno che verso l'interno. spirito di sacrificio, abilità nello svariare e nel tagliare in due le difese, tecnica (il gol in finale, ma non solo). Inoltre ha permesso alla squadra di guadagnare diversi rigori e una valanga di cartellini causati dalle maniere forti con le quali gli avversari hanno cercato (quasi sempre inutilmente) di fermarlo. In molte partite si è letteralmente caricato la squadra sulle spalle e l'ha trascinata alla vittoria. A impedire che la sua stagione fosse perfetta hanno contribuito alcuni fattori: prima di tutto, la sua tecnica non perfetta (anche se efficace in velocità), che lo ha portato a sbagliare diversi rigori; poi un certo egoismo, particolarmente evidente nei momenti di calo fisico, quando, invece di giocare per gli altri, si intestardiva nel tenere la palla tra i piedi e nel tirare sempre e comunque. Stendo un velo pietoso sulla tragicommedia del viaggio a Belgrado per curarsi con la placenta di cavalla...

Villa 6,5: inizia di buona lena, svolgendo un gran lavoro tattico per gli inserimenti dei compagni, ma progressivamente si spegne e si rivela un corpo estraneo alla squadra, tanto da spingere Simeone a cercare soluzioni alternative per arrivare alla porta avversaria. Ha comunque segnato 13 reti in Liga, ma il suo contributo di reti si concentra quasi interamente nel periodo novembrino. Da lì in poi, anche buone gare, ma una allergia costante alla rete avversaria: il grande match di Champions' col Barça può essere considerato lo zenit di questa tendenza, mentre l'orrore contro il Malaga il nadir. Alla fine, un acquisto poco incisivo e decisamente azzardato, per il quale non ho mai condiviso l'entusiasmo del Calderon (ricordate i 25.000 alla presentazione ufficiale?): quello che avrebbe potuto rivelarsi un'ottima riserva non ha quasi mai brillato da titolare.

Adrian, 4,5: per il secondo anno consecutivo un vero disastro. Abulico ed evanescente, non si è schiodato dalla panchina per buona parte della stagione. La buona partita col Barcellona al Calderon e il gol a Stamford Bridge sono due piccole perle in un mare di delusione infinita.

Leo Baptistao, 5: ha giocato poco, ma si è raramente distinto. Un gol allo Zenit e poi la costante impressione che corresse a vuoto e con scarsa consapevolezza tattica.

sabato 14 giugno 2014

Bilancio della stagione 2013/2014: il centrocampo


Arda Turan, 7,5: anche quest'anno si è mostrato scostante e ha alternato dettagli di pregio a lunghe pause. Non ricordo prestazioni di altissimo livello per tutti i novanta minuti, se si escludono l'andata in Liga con il Barcellona e il ritorno col Chelsea. Memorabile anche l'assist per Koke nel 2-2 contro il Real, al termine di un'azione bellissima. Nel mezzo, però, molta indolenza e la solita pausa tra dicembre e marzo. È praticamente l'unico giocatore di fantasia della rosa, senza il quale il gioco ristagna tra un geometrismo non sempre efficace, soprattutto quando non è supportato da una condizione atletica straripante, e le soluzioni a palla inattiva. Però non è né un trascinatore, né un solista: funziona in un complesso che si muove armonicamente, ma raramente è in grado di accendere la luce nei momenti di difficoltà. Inoltre, pur applicandosi nella copertura, non sempre è presente e lucido (a Milano, per dire, in coppia con Insua è stato disastroso).

Gabi, 10: cuore di capitano, è stato eccezionale per tutta la stagione. Non ricordo partite sbagliate o sbavature: sempre lucido, presente, efficace. Con tutti i suoi limiti, è riuscito a infilare una stagione perfetta, rivelandosi la mente dell'organizzazione difensiva dell'Atletico, con la sua straordinaria abilità nel guidare i movimenti di copertura di tutta la squadra (che vedremo in dettaglio in un prossimo post). Quando la squadra non girava, ha sostenuto, spesso da solo, tutto il peso del centrocampo, distribuendo il gioco con i suoi lanci lunghi, lui che regista non è affatto. Ottimo anche nei calci piazzati, che spesso si sono trasformati in assist decisivi per i compagni e hanno fruttato moltissimi punti.

Koke, 9: questa è stata la stagione della consacrazione, nella quale si è rivelato come straordinaria mezzala a tutto campo, abile nel gioco tra le linee e micidiale negli assist. Simeone ha più volte detto di vederlo, in futuro, come mediano, ruolo ricoperto in gioventù, ma di fatto raramente lo abbiamo visto in quella posizione. Ha avuto un calo tra dicembre e marzo, come molti compagni, ma ha veramente sempre dato tutto in campo. L'unico vero difetto, se vogliamo, è anche quello che gli impedirà di essere titolare in nazionale: sa fare tutto, ma non è specializzato né fenomenale in nulla, né nella fantasia dei passaggi, nè in interdizione, né in regia.

Raul Garcia, 8,5: l'anno scorso l'avevo qualificato come la più grande delusione della stagione, ma quest'anno ha veramente impresso il suo sigillo sulla grandissima stagione dei colchoneros, conquistando finalmente il pubblico del Calderon. Paradossalmente, ma non troppo, sfruttando proprio la propria limitatezza, emblema massimo di una squadra che sa esattamente cosa è in grado di fare e cosa no e gioca in modo da nascondere i propri difetti. Come è noto, il problema è sempre stato definirne il ruolo: non è un regista, né un centrocampista continuo nell'inserirsi in avanti; non ama fare il mediano di rottura, ma non è in grado di giocare da trequartista, visto che non possiede né visione di gioco né creatività, è piuttosto lento e non sa saltare l'uomo. Quest'anno però Simeone lo ha utilizzato come vero e proprio dodicesimo, ruolo a cui pare destinato per le sue carenze, avanzandolo di qualche metro come seconda punta-centrocampista d'assalto (non saprei neppure come definirlo, in realtà). E qui è esploso: inserimenti, tiri da fuori, una velenosa abilità nello sfruttare i rimpalli, colpi di testa, grande sacrificio in copertura, persino qualche assist. I suoi gol sono stati preziosissimi per vincere partite che parevano inchiodate sullo 0-0 (ne ricordo due: Getafe e Valencia); il suo lavoro d'appoggio ha scardinato la difesa del Barça in Champions'. Inoltre non sono mancati gol di pregevolissima fattura (uno fantastico contro il Porto). Insomma, un vero e proprio apriscatole, sempre pronto e sempre utile, tranne nel derby di andata di Coppa del Re, quando, costretto dal Cholo a un ruolo non suo, ha clamorosamente fallito (come tutti, del resto). Rimane la certezza che non possa essere titolare fisso, ma un jolly per tutte le occasioni, a patto di essere messo in condizione di fare le (poche) cose che sa fare.

Tiago, 7,5: rispetto all'anno scorso ha giocato molto di più e ha spesso brillato per le sue qualità tecniche e tattiche. Si è confermato non velocissimo, ma molto più mobile della scorsa liga e decisamente abile nel prendere in mano il gioco dei colchoneros, giocando tra l'altro da “centromediano metodista”: spesso dietro Gabi, a supporto della coppia difensiva, ma anche in impostazione, con numerose puntate in avanti a sostegno dell'attacco, pur dimostrando ancora una volta di non essere un regista. Insomma una sorta di mezzala a tutto campo, capace di chiudere e impostare con la stessa facilità. Non sono comunque state tutte rose e fiori: nella prima parte della stagione ha giocato con poco nerbo, salendo di tono solo col nuovo anno solare. La partita monumentale contro il Barcellona ne ha confermato, paradossalmente, pregi e difetti: essenziale quando si tratta di elevare il (povero) tasso tecnico del centrocampo, purchè la sfida non sia al calor bianco e quindi gli avversari siano poco aggressivi. Due errori micidiali nella finale di Champions'

Mario Suarez, 5: ancora una volta, ha iniziato benissimo, con un'ottima prestazione in Supercoppa, e si è spento progressivamente. Pare abbonato alle buone prestazioni solo in diretta televisiva: per il resto, il solito scarso filtro, la solita difficoltà nei passaggi e nel prendersi una qualunque responsabilità nell'impostare. Nei fatti, dà sempre la sgradevole impressione di non sapere mai cosa fare del pallone e di necessitare costantemente una guida. Un errore gravissimo nel disimpegno ci è costato il 2-2 di Ronaldo nel derby del Calderon.

Cristian Rodriguez, 5: la sua stagione è stata assolutamente incolore. Prima riserva “pura” (stante Raul Garcia come ibrido titolare-riserva) raramente ha lasciato il proprio sigillo sulla partita. Non lo ricordo praticamente mai andare via di forza sulla fascia, movimento che l'anno scorso gli riusciva abbastanza, né supportare il gioco dei compagni. Ad un certo momento, invece di moltiplicare i propri sforzi per farsi valere, ha detto chiaro che voleva andar via. Verrà accontentato e nessuno di noi rimpiangerà la sua mancanza di senso tattico.

Sosa, 6,5: arrivato in inverno su precisa richiesta del Cholo, non ha dato quello che ci si aspettava. Alcuni buoni dettagli, soprattutto su calci piazzati, ma anche una costante sensazione di estraneità rispetto ai meccanismi di gioco della squadra. In finale col Real è stato praticamente inutile e non ha svolto il compito che gli era stato assegnato, tenere la palla lontano dalla nostra area.

Diego 5: la più grossa delusione della stagione. Richiesto per due anni dal Cholo è finalmente arrivato e non ha apportato praticamente nulla. I suoi difetti sono noti, ne ho parlato a lungo e non starò a ripetermi. Quello che osservo che non si sono visti neppure i suoi pregi e che probabilmente non è arrivato a Madrid con la stessa voglia che aveva avuto nella prima tappa: d'altra parte molte cose sono cambiate nel frattempo e la sua colpa (e credo anche del Cholo...) è stato non averle capite. Di positivo, ricordo solo la prestazione con la Real Sociedad, il gol straordinario ma casuale a Barcellona e la partita col Valladolid, quando le praterie sconfinate lasciategli dai derelitti pucellani lo hanno esaltato. Alla fretta assurda di metterlo in campo imputo il disastro del Bernabeu in Coppa del Re, invece.

Guilavogui, 5,5: ha giocato pochissimo prima di ritornare (in prestito) al Saint Etienne, mostrando alcuni dettagli di pregio ma nel complesso dando l'impressione di non essere mai veramente in sintonia con i compagni. Ci ha messo una discreta volontà di proporre gioco, ma è sempre parso leggermente sfasato rispetto ai compagni: sempre troppo avanti o troppo indietro nei movimenti e nelle proposte di gioco. Tecnicamente mi è parso un po' grezzo, anche se con notevoli margini di miglioramento. Forte fisicamente, è comunque parso in difficoltà anche sul piano atletico, anche perchè è arrivato alla fine del mercato estivo e non ha compiuto la preparazione coi compagni. La vera questione in realtà è se abbia mai voluto integrarsi nell'Atletico, non solo nel gioco ma anche nello spogliatoio e nell'ambiente: diverse sue dichiarazioni paiono suggerire una risposta negativa, con l'aggravante che non sembra entusiasta di tornare dal prestito per giocare con noi la prossima stagione. E se ti scoccia giocare nella squadra campione di Spagna e vicecampione d'Europa, forse è meglio che tu te ne vada.

Oliver Torres, 6,5: una vera perla, capace di inventare giocate magnifiche. Tuttavia non è ancora pronto per il gioco del Cholo, che richiede una forza fisica e mentale che il ragazzino ancora non ha. Molta sofferenza, quindi, nel rispettare le indicazioni tattiche e il carico fisico del gioco colchonero. Nel Villareal, in prestito, ha fatto decisamente meglio. Ha comunque segnato il suo primo gol in prima squadra contro il Betis.

domenica 8 giugno 2014

Bilancio della stagione 2013/2014: la difesa


Courtois, 9,5: la sua stagione è stata impressionante, all'insegna di una continuità di rendimento incredibile. Di fatto ricordo solo pochissime partite macchiate da errori (contro l'Espanyol e l'Athletic). In generale la fama della straordinaria difesa dei colchoneros è dovuta alle sue grandissime parate, con le quali ha supplito ad ogni sbavatura dei compagni. Portiere vecchio stampo (nel senso che preferisce rimanere tra i pali), è tuttavia coraggioso nelle uscite e abile nella scelta del tempo dell'intervento in qualunque situazione. Impressionante la reattività su tiri da vicino e deviazioni dell'ultimo secondo. Inoltre se la cava bene con i piedi e più di una volta l'azione è ripartita da lui: per dire, un portiere che riunisce la migliore tradizione classica del ruolo con le qualità che la modernità impone. Ciò che ha più impressionato è stata la tenacia con la quale ha progressivamente curato i propri piccoli difetti. A mio parere è il miglior portiere del mondo, o comunque tra i primi cinque.

Aranzubia, 5: pochissime partite e la complessiva impressione che non fosse affatto un granchè. Negli occhi rimangono la buona partita col Porto (quando parò un rigore) e il disastro con l'Almeria (due errori marchiani e due gol incassati: difficile fare peggio).

Godin, 9: la sua stagione migliore, quella nella quale è stato, semplicemente, monumentale. I suoi difetti (una certa scarsa reattività, i cali di concentrazione e i gravi errori nel controllo di palla, causa di diversi rigori negli anni scorsi) sembrano scomparsi. Anzi ha mostrato grande esplosività, notevole senso dell'anticipo, grande abilità nella marcatura e un notevole senso del gol sui calci piazzati. Memorabili i suoi gol di testa contro Barcellona e Real nelle ultime due partite dei colchoneros. In alcune partite (cito a memoria contro l'Espanyol e a Pamplona) è stato invece esitante e insicuro, sempre in assenza di Miranda: di fatto conferma di essere scudiero del brasiliano, con il quale rende al meglio.

Miranda, 9: anche per lui una stagione mostruosa, che ne ha evidenziato i pregi: grande senso della posizione, ottimo anticipo, lancio lungo preciso e buona visione di gioco. Ha confermato di essere molto bravo di testa, sia nella propria area che in quella altrui: anche quest'anno, soprattutto su calcio d'angolo, diversi gol pesanti sono arrivati così, su tutti quello contro l'Elche nelle ultime giornate. Ricordo una sola partita veramente sbagliata, l'andata contro il Levante. La seconda stagione ad alto livello lo ha reso, infine, appetito dalle grandi d'Europa, col rischio che possa andarsene.

Filipe, 8,5: decisamente più continuo dell'anno scorso, si è distinto non solo per la potenza delle proprie incursioni, ma anche per il grande lavoro difensivo, non solo sul piano dei recuperi ma anche nel presidio dell'area e nella marcatura. Ottimi i suoi cross, deliziose alcune combinazioni sulla fascia con Arda. Difetta nel tiro: si contano pochissimi tentativi a rete. Anche per lui, qualche sbavatura, nella terza di Liga contro la Real Sociedad e poi alla terzultima col Levante.

Juanfran, 7,5: ha iniziato l'anno così come aveva concluso quello scorso, timido e impacciato. All'inizio spingeva pochissimo e ciò nonostante infilava una serie impressionante di sbavature difensive (col Barcellona in Supercoppa, a San Sebastian, a Vienna... e potrei andare avanti), poi è progressivamente cresciuto e ha cominciato a dipanare assist e percussioni in quantità industriale. Abilissimo soprattutto nel giocare al di là dell'avversario come sponda per le conclusioni in area dei compagni, come a Stamford Bridge. Resta comunque l'anello debole di una difesa fortissima, anche se non invulnerabile come è stato scritto.

Alderweireld, 6,5: centrale di scuola Ajax, arrivato in cambio di Demichelis, ha mostrato buone qualità e mi attendo che acquisti sempre più spazio tra i colchoneros. Disastroso contro l'Espanyol, è poi migliorato fino a segnare il gol decisivo contro il Malaga, su calcio d'angolo come nella miglior tradizione dei centrali biancorossi. Deve comunque crescere, perchè è apparso poco reattivo sul breve e non fortissimo in marcatura: una sorta di clone di Miranda, con cui condivide anche una certa abilità nell'impostare, la mancanza di grande velocità e un'interpretazione del ruolo basata più sulla posizione e sull'anticipo che non sull'esplosività.

Manquillo, 6,5: ha giocato poco, prima di infortunarsi, ma ha convinto quasi sempre. Di fatto, ricordo solo una prestazione negativa, a Vallecas. Appare più abile in avanti che non nella fase difensiva, ma le qualità per crescere anche in questo ambito non gli mancano.

Insua, 3: una autentica sciagura. Appena accettabile in avanti, è stato disastroso in almeno due occasioni, a Milano (quando ogni azione del Milan è nata nella sua zona) e nel derby di coppa perso 3-0 (è stato letteralmente distrutto da Jesé). La fase della stagione in cui ha sostituito Filipe ha coinciso con la flessione dei colchoneros e, a mio giudizio, parte della responsabilità è chiaramente sua. Ribadisco la mia modesta opinione: 3,5 milioni buttati via.

Gimenez, sv: giovanissimo, ha giocato una sola partita, peraltro bene. Troppo poco però per potergli dare un voto o esprimere un giudizio articolato.


martedì 20 maggio 2014

Barcellona – Atletico Madrid 1-1: iiiCampeones!!!


Me siento mejor con problemas
que cuando las cosas están tranquilas”
Diego Pablo Simeone


Maggio 1996. In ritiro a Los Angeles de San Rafael, i giocatori dell'Atletico faticano a dormire, inseguiti fin dentro le loro stanze da un figuro che ripete loro in continuazione: “O ganamos o morimos ganando”. La litania proseguirà, raccontano, anche sull'autobus che porta i colchoneros alla decisiva sfida per il titolo contro l'Albacete. La partita finirà 2-0 e a segnare il primo gol, con un fragoroso colpo di testa su punizione dalla trequarti, sarà proprio il losco figuro, al secolo Diego Pablo Simeone.


Diciotto anni dopo, in piena isteria pre-Barcellona, un solo uomo sparge tranquillità e ottimismo tra la fila scorate dei giocatori e dei tifosi biancorossi. Sempre lui: Diego Pablo Simeone. Nelle sue parole, solo la gioia di giocarsi tutta la stagione in due gare secche, contro le due rivali storiche.


In campo, in effetti, nessuna paura. L'Atletico ha cominciato bene, imbrigliando gli avversari, pressando alto e dimostrando di poter controllare abbastanza agilmente la partita. Però, siccome siamo quello che siamo e non possiamo semplicemente vincere, alla nostra partita mancava l'ospite più affezionato, quello che non manca mai, neppure quando si cerca in tutti i modi di evitarlo: la Sfortuna.
Quindici minuti e Diego Costa, su uno scatto, si ferma e fa segno di non poter continuare. Altri sette minuti e Arda Turan, dopo un normalissimo scontro di gioco, si accascia e chiede la sostituzione.
Ventidue minuti di gioco e le due punte di diamante dei colchoneros sono costrette ad abbandonare il campo. Sono due gran brutti colpi, di quelli che stroncherebbero un bisonte.


L'Atletico, in realtà, non pare particolarmente scosso dalla mala sorte: sa che basta un pareggio e che sta giocando bene. Sa che la partita può essere condotta in porto comunque: molte volte, nel corso della stagione, è uscito indenne da situazioni ben peggiori. Per di più, gli avversari giocano lentissimi, ruminando un pallone di cui non sanno cosa fare. Qualche tiro da lontano, qualche cross senza un vero costrutto.
La partita è in perfetto equilibrio. È il momento giusto, dunque, per subire il terzo terribile colpo della Sorte: Alexis Sanchez raccoglie un pallone controllato da Messi e scaglia una folgore imprendibile nella porta biancorossa. Un tiro fantastico, va detto, ma di quelli che riescono una volta sola nella vita (e ovviamente contro l'Atletico, ça va sans dire...).




Avevamo buttato via la partita […], provai quel
terribile sentimento che avevo già provato da piccolo:
odiavo l'Arsenal, e il club era un fardello che non
riuscivo più a sopportare, ma di cui non sarei mai e poi
mai riuscito a liberarmi. […] mi sedetti, troppo stordito
dal dolore e dalla rabbia e dalla frustrazione e dall'
autocommiserazione per restare in piedi”
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


A quel punto, in pieno sbandamento, l'Atletico è stato a un passo dal tracollo: un altro gol, e le gazzette si sarebbero riempite di elogi alla resurrezione blaugrana. O almeno così credo, perchè di quella mezz'ora non ho nessuna memoria.
Dietro a un velo di lacrime, non riuscivo a pensare ad altro che al dolore di veder svanire il traguardo proprio all'ultimo, dopo averlo corteggiato e assaporato a lungo. Non vedevo lo schermo, non udivo la telecronaca. Buio. Buio totale e lacrime di rabbia e scoramento.
Il calcio è così, pensavo. La vita è così, pensavo. Una squadra scesa in campo senza capo né coda, arrivata all'ultima spiaggia senza neppure bene sapere perchè, guidata da un allenatore inconsapevole, piena di giocatori scoppiati che andavano avanti a forza di inerzia, rischiava di vincere un campionato immeritato. E noi, noi che questo campionato ce lo eravamo sudato e guadagnato con la fatica e il lavoro, noi avremmo dovuto cedere le armi. Dov'è il merito, nella vita, se non c'è neppure nel calcio? A cosa servono anni di sacrifici, se poi basta un colpo fortunato a far pendere la Bilancia dalla parte di chi, ricco e viziato, non ha fatto nulla per meritarsi regali dalla Sorte?
Possibile che debba sempre andare a finire così, con l'Atletico? Possibile che ogni traguardo debba essere da noi meritato non una, ma due o forse anche tre volte? Non sarebbe, ogni tanto, rilassante vincere in maniera netta, chiara e immediata fin da subito?




Ma poi Alan Sunderland mise il piede sul pallone,
lo infilò dentro, proprio nella porta di fronte a noi,
e io non gridai «Sì» o «Gol» o uno di quei versi che
normalmente mi salgono dalla gola in questi momenti,
ma solo «AAAARRRRGGGGHHHH», un rumore che
nasceva da gioia assoluta e incredulità, e improvvisamente
ci furono di nuovo persone sulle gradinate di cemento,
ma stavano saltando una sull'altra, con gli occhi fuori dalle
orbite e impazzite”
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


Stavo per chiudere tutto e andarmene altrove, qualunque cosa questo potesse significare, quando David Villa ha colpito il palo, subito in avvio di secondo tempo. Non ricordo l'azione, ma solo l'urlo del telecronista, che è penetrato, strato dopo strato, nel mio dolore, si è fatto strada tra le mie lacrime e mi ha riportato piano piano alla realtà.
Allora ho rimesso a fuoco la vista e ho visto che mia figlia, questo piccolo frugoletto cui ho fatto per mesi un lavaggio del cervello che neanche nelle peggiori dittature e che aveva passato giorni e giorni a girare per casa cantando “Aleti! Aleti!”, aveva messo sul tavolo, accanto al computer, il suo ciuccio dell'Atletico.
Doveva essere entrata mentre ero obnubilato dal dolore. D'istinto, ha fatto un gesto che non potevo non intendere come una promessa di Speranza.
Allora mi sono vergognato di me stesso, di essermi fatto vedere così. “È questo che farebbe il Cholo?”, ho pensato. “O piuttosto non combatterebbe con tutto se stesso, perchè si perde solo dopo la fine, non prima?”.
Ho guardato lo schermo e ho visto Gabi dirigersi verso la bandierina del corner. Parabola arcuata, salto di qualcuno in mezzo all'area e... la mia mente non voleva crederci... la palla era DENTRO!!!... Godin veniva travolto dai compagni!!!... ma accade veramente???... sta accadendo veramente???... è 1-1, è 1-1!!!!!! Lo diceva il Cholo!!!... Lo diceva!!!...




Thomas superò la difesa, da solo, e l'Arsenal ebbe
una possibilità di vincere il Campionato. […] e anche
allora scoprii che mi stavo trattenendo, memore dei
recenti errori rimanevo chiuso in un temprato scetticismo,
pensando, be', se non altro ci siamo andati vicini,
invece di pensare: per favore Michael, per favore Michael,
per favore mettila dentro, Dio fa che segni. E poi era lì
che faceva capriole, e io ero lungo disteso per terra,
e tutti in salotto saltavano sopra di me.
Diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


A questo punto, vorrei dirvi di aver riacquisito tutta la granitica certezza che deriva dal Cholismo. Sarebbe bello, eh? Ma invece no.
Certo, ho stretto in mano il ciuccio comperato a Madrid e ho cullato in me la sicurezza nascosta che ormai era fatta, che dopo un Segno così non ci poteva essere sconfitta; ma in realtà sobbalzavo ogni volta che il Barcellona usciva dalla propria area. Il che vuol dire quasi sempre, visto che i colchoneros, dopo la vibrante fiammata dei primi quindici minuti del secondo tempo, ritornavano pian piano a essere schiacciati nella propria metà campo.
Stanchi, i nostri resistevano come potevano contro un Barça più velleitario che efficace: Miranda giocava come un dio greco, Godin lottava come un Ciclope, mentre Filipe e Sosa cercavano in tutti i modi di imbastire contropiedi, Gabi e Koke correvano per venti e Tiago ci metteva l'anima.


I minuti passavano e i nostri avversari, benchè padroni del campo, non creavano pericoli.
Perfetto, se non ci fosse stato quel fastidioso precedente nel primo tempo... però ora avevo il ciuccio e la Speranza, pensavo. E se subiamo un gol proprio all'ultimo minuto? Sì, ma ho il ciuccio... O magari proprio adesso, durante i minuti di recupero? Sì, ma c'è il ciuccio... O no? Ma certo!!! Certo!!!
Ed ecco il FISCHIO FINALE!!!
E i nostri eroi che si abbracciano.
E mia figlia che magicamente mi riappare accanto e guarda un po' stranita le mie lacrime di gioia.
Diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.




Saber perder es mucho más difícil que saber ganar. Por eso,
el triunfo de los que han perdido mucho es un tesoro más
dulce, más intenso, más heroico y duradero que cualquier otro.
La tenacidad, la lealtad, la perseverancia, la fortaleza
imprescindible para resistir la tentación de abandonar,
de desertar, de unirse a la corriente del favorito,
forja la voluntad, endurece la piel y acoraza el espíritu.
Enseña a apreciar la diferencia entre el verbo ser y el
verbo estar. Entre el verbo creer y el verbo comprar.
Entre la razón y los sentimientos. Entre la arrogancia y
el orgullo legítimo. Y, sobre todo, entre el valor y el precio.
Yo lo sé porque mi corazón, que es rojo, es también rojiblanco.


E ora, cosa resta? 
 
Gioia, gioia infinita.
Come saprete, non credevo in questo titolo, mi sembrava impossibile. E poi ne avevo già vissute tante, di delusioni, da non poterle neppure enumerare...
Però ora mi volto indietro e questo titolo mi pare il più bello, il più MIO. Se penso alle ultime tre Ligas vinte, mi sembra inevitabile: nel 1977 avevo un anno e neppure sapevo dell'esistenza dell'Atletico; nel 1996 internet era ancora in embrione e ricordo di aver visto una decina di partite al massimo su Koper-Capodistria (con l'Albacete c'ero, oh, se c'ero...). Ma qui, qui io ci sono stato: 56 partite su 61 non sono uno scherzo, no? E ben due dal vivo...
1996 – 2014: diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.


Leggo le parole di Almudena Grandes, tifosa biancorossa da sempre, e mi commuovo. E penso: questa volta c'ero veramente, non solo attraverso qualche partita alla TV e la spasmodica attesa dei risultati sul Guerin Sportivo.


Alzo lo sguardo sulle foto dei miei eroi dell'adolescenza appesi alla parete, Futre, Baltazar, Manolo, Schuster, Kiko, Caminero e tutti gli altri. E penso: ragazzi, scusate, ma questi qui vi hanno superato. Anche perchè io c'ero, e scusate se è poco.


Guardo le foto dei trionfi degli anni 50, 60 e 70 e mi accorgo che, di là, mia figlia canta da minuti e minuti “Diego Godin! Diego Godin! Diego Godin!” al modo del Frente Atletico. E penso: ragazzi, scusate, ma questa è storia vissuta, non letta sui libri.


E allora gioia, gioia infinita...


sabato 17 maggio 2014

domenica 11 maggio 2014

Atletico Madrid – Malaga 1-1: senza parole


Vi dico la verità, se la partita fosse finita con una sconfitta, come a un certo punto temevo, non avrei scritto nulla. Ovverosia, avrei mantenuto fede al titolo che trovate qui sopra, distrutto dall'estenuante piega che sembra aver preso il nostro finale di stagione.
Mancava così poco e quel poco non si è concretizzato. E ora si fa concreta la possibilità che un tale spreco di occasioni favorevoli possa essere punito sul filo di lana.
Ci sono molte cose che vorrei scrivere e al contempo nessuna, perchè la rabbia è tanta e mi viene la tentazione di lasciare perdere tutto, di nascondermi e fare ogni sforzo possibile pur di non sapere come andrà a finire.
Spero quindi vorrete perdonarmi se questa non sarà una cronaca, perchè non ne ho proprio voglia.


Continuo a pensare a quanto scrisse anni fa Nick Hornby in “Febbre a 90” a proposito del club che diviene un peso intollerabile, da cui vorresti liberarti ma di cui ti rendi conto di non poter più fare a meno. Sono diciotto anni che aspetto questo titolo e, francamente, non ne posso più: credo dunque di essere giustificato se ho un momento di sconforto.
La mia idea non cambia e il Barcellona sembra darmi ragione, però non posso fare a meno di considerare la possibilità che la partita del Camp Nou possa andare in maniera sfavorevole per noi: basterebbe un guizzo di Messi, un paio di parate di Pinto, una nostra traversa.
A questo punto, l'imponderabile potrebbe avere la meglio sul merito...

Cosa posso dire, dunque, che non sappiate già anche voi?
Che trovo intollerabile il modo in cui David Villa sbaglia gol già fatti? Se quello è il massimo a cui può arrivare, allora è un compito che potrei svolgere anch'io e a un decimo della cifra che riceve come stipendio.
Che non capisco come facciano i nostri avversari, pur difendendosi in undici, ad arrivare nella nostra area molto più velocemente e con più uomini di quanto riusciamo a fare noi?
Che non mi capacito di come sia possibile prendere gol così stupidi come quello di oggi?


So solo che ci tocca un'altra settimana di passione. E che l'unica cosa che possiamo fare è pensare che tutto questo sia solo un articolato disegno volto a farci apprezzare ancora di più il successo che verrà.


mercoledì 7 maggio 2014

Levante – Atletico Madrid 2-0: per noi il solito, grazie!

Se si esclude il campionato del Doblete e quello del 1977, non uno dei titoli nazionali vinti dall'Atletico è stato conquistato prima dell'ultima giornata. Tutti i campionati vinti tra il 1940 e il 1977 riportano vantaggi esigui, uno o due punti, sulle inseguitrici. Nessuno, tranne quello del 1996, è mai stato vinto al Calderon. Nessuno, senza sofferenze infinite fino all'ultimo.
Non sorprende affatto, quindi, che proprio nel momento in cui dovevano piazzare il penultimo colpo, i colchoneros siano caduti. E in un modo molto più netto di quanto forse non dica il risultato, anche se questa è una mia opinione che so poco condivisa su forum e giornali.

D'altra parte, che la partita contro un Levante ormai matematicamente salvo fosse una mera formalità lo credevano solo gli ingenui: tra le due squadre ci sono vecchie ruggini (leggetevi le cronache delle partite scorse), così come dissidi mai sopiti esistono tra l'allenatore dei rossoblù Caparros e la tifoseria dell'Atletico, a causa di frasi non carine pronunciate dal signore in questione quando allenava l'Athletic Bilbao.
Infatti la partita è stata dura, con il solito corollario di interventi da codice penale, promesse di regolamenti di conti, insulti, spintoni e chi più ne ha più ne metta.
Ho avuto l'impressione, tra l'altro, che i colchoneros si siano presentati non concentratissimi alla sfida, in parte perchè stanchi dopo Londra e in parte perchè ormai convinti che il più fosse fatto (atteggiamento in fin dei conti comprensibile anche in professionisti di questo livello). Impressione confermata  dalle curiose parole di Simeone a fine gara, quando l'argentino ha ricordato a tutti che certe sconfitte fanno bene.
Ora, ribadisco: la sconfitta è meritata. Certamente le due reti sono venute su autogol (causato da un Filipe Luis comunque clamorosamente fuori posto in occasione del calcio d'angolo e quindi, nei fatti, colpevole) e su un disastroso contropiede avvenuto nel momento in cui i colchoneros erano tutti protesi in avanti alla ricerca del pareggio che, col senno del poi, sarebbe stato benedetto. Certamente i colchoneros hanno creato occasioni da rete e hanno avuto la sventura di trovare sulla loro strada un signor portiere. Però per tutto il primo tempo non hanno fatto quasi nulla (un difetto che ormai segnaliamo da un po' e che, ripeto, non ci possiamo assolutamente permettere) e per buona parte del secondo si sono limitati a gettare in area inutili palloni dalla trequarti, arrivando raramente sul fondo e quasi mai creando azioni pulite e ben organizzate. Il Levante, con una disposizione accorta e una notevole efficacia nel pressing e nei raddoppi sul portatore di palla, ci ha dominato abbastanza agevolmente.
Inutile dire che, da settimane, il gioco si è fatto estemporaneo, quasi tutto  affidato alle sgroppate di Diego Costa, almeno negli incontri di medio lignaggio, con il brasiliano costretto a intercettare palloni volanti e a combattere in forte inferiorità numerica.

D'altra parte, cosa possiamo rimproverare a questi ragazzi? Alla fine saranno la squadra spagnola che avrà giocato più partite nella stagione, 61, affrontate con una rosa esigua, di fatto 13-14 elementi. Una squadra di buon livello ha tenuto testa e messo in fila, in Spagna e in Europa, avversari ben più potenti e tecnici.
Comunque vada, sarà stata una stagione di cui essere orgogliosi.
Quanto al fatto che possa anche diventare straordinaria, nulla è ancora perduto.

Vi mostro ora il tabellone delle possibilità nella Liga, pubblicato ieri da SkySports (con la partita di Valladolid ancora da giocare) quando mancano due giornate al termine:



Atletico Madrid 88, giocate 36
Barcellona 85, giocate 36
Real Madrid 83, giocate 35
nella Liga, a parità di punti, contano gli scontri diretti

Recupero (7 maggio):
Valladolid-Real Madrid

37ª giornata:
Atletico Madrid-Malaga
Celta Vigo-Real Madrid
Elche-Barcellona

38ª giornata:
Barcellona-Atletico Madrid
Real Madrid-Espanyol

L'Atletico Madrid è campione se:
- Nelle ultime due partite colleziona 4 punti. Se battesse il Malaga nel prossimo turno, Simeone si presenterebbe al Camp Nou con due risultati su tre a disposizione.
- Colleziona due punti nelle ultime due partite, il Barcellona non batte l'Elche e il Real Madrid fa 7 punti nelle tre partite che deve giocare: l'Atletico chiuderebbe a 90, a pari con il Real, vincendo la Liga per lo scontro diretto dell'andata.

Il Barcellona è campione se:
- Batte l'Elche e l'Atletico e il Real non vince una delle prossime tre partite. Collezionando 6 punti, il Barcellona arriverebbe a quota 91, a pari con l'Atletico (se la squadra di Simeone battesse il Malaga) e vincerebbe per scontri diretti (pareggio all'andata e vittoria al ritorno).

Il Real Madrid è campione se:
- Vince le prossime tre partite, arrivando a quota 92, e l'Atletico Madrid non fa più di tre punti nelle ultime due partite. Il Barcellona, battendo l'Atletico all'ultima di campionato, potrebbe, per ipotesi, consegnare il titolo ad Ancelotti.
- Colleziona sette punti nelle ultime tre partite, l'Atletico ne fa solo 1 e il Barcellona non batte l'Elche.


Ora, come vedete le possibilità e le combinazioni sono parecchie.

Tuttavia, c'è un filo rosso che le lega tutte: il Real vince solo se mantiene almeno un punto di vantaggio sul Barcellona, situazione che possiamo ipotizzare supponendo che batterà il Valladolid quasi sicuramente.
Aggiungo anzi che, proprio in considerazione di questo fatto, è stato un bene che non abbia perso col Valencia, perchè un arrivo a pari punti di tutte e tre le contendenti avrebbe dato il titolo ai blaugrana.
Così invece, col Real davanti al Barcellona, una vittoria degli uomini di Martino contro di noi consegnerebbe alla Casa Blanca la Liga.

Quindi il discorso è così strutturato, a parer mio: dobbiamo vincere col Malaga e sperare che il Real mantenga il punto di vantaggio sul Barça (l'ipotesi che le due possano perdere o pareggiare neanche la calcolo). In quel caso, davvero un Barcellona che battendoci potrebbe solo affiancarci ma darebbe la possibilità di un triplete storico a un Real vittorioso con l'Espanyol si dannerebbe l'anima per sconfiggerci? Ne dubito fortemente.
Sono sensazioni, badate bene, perchè può succedere di tutto: però mi pare proprio che sia l'ipotesi più probabile; magari non molto sportiva, ma certo quella che ha più possibilità di realizzarsi.

Guarda la Sintesi-video della partita

domenica 27 aprile 2014

Valencia – Atletico Madrid 0-1: la vittoria prima di tutto


Uno dei cardini del Cholismo è la vittoria. Sempre. Comunque. Anche al limite del regolamento. Anche ben oltre il limite del bel gioco.
Considerato tutto ciò, non ci possiamo aspettare belle partite, da qui alla fine della stagione, anche perchè ormai la stanchezza si fa sentire. Tanto più che tecnici ben più celebrati di Simeone non si vergognano affatto di presentarsi a una semifinale di Champions' con nove giocatori costantemente dietro la linea della palla, secondo un copione che si può definire “catenaccio” solo con molta generosità, considerando che il modulo all'italiana presuppone anche il contropiede (Mourinho se ne sarà dimenticato?). Tanto più che belle partite dei biancorossi se ne sono viste, anche se lo spettacolo non è certo una priorità sulle rive del Manzanares. Inoltre non si può certo dire che Simeone non abbia cercato in più occasioni di alzare il tasso tecnico della squadra, facendo perno su Arda e Koke, puntando a Diego e Sosa (e pazienza se il loro apporto è stato decisamente mediocre...), schierando appena poteva Tiago.
Tuttavia, credo che a tutto ci sia un limite. E quel limite è, senza ombra di dubbio, il rischio, che certamente in una partita di calcio, soprattutto contro un avversario di buon livello, è sempre presente, ma che non può essere ingigantito da una condotta di gara sconsiderata.
Come si può qualificare, infatti, il brutto vizio dei biancorossi di difendersi ammassati in area e buttando in avanti palloni su palloni senza una logica? Come può definirsi il fallo senza senso che ha portato alla sacrosanta espulsione di Juanfran, intervenuto in maniera rovinosa su un Piatti che aveva ancora due dei nostri davanti a sé?


Diciamo la verità, anche se può essere fastidiosa e poco in linea con il nostro desiderio di autocelebrazione: torniamo da Valencia con una vittoria decisamente fortunata, anche se non immeritata. Ancora una volta abbiamo messo in mostra tutti i nostri difetti e i nostri pregi, senza risparmiare ai tifosi alcun tipo di emozione.
I ragazzi di Simeone sono stati bravissimi, ancora una volta, a sfruttare l'unico vero errore degli avversari, un'uscita avventata di Guaita punita con un colpo di testa “alla cieca” dell'immarcescibile Raul Garcia su cross di Gabi.
Fino ad allora, però, non avevano fatto granchè, se non controllare la gara come se ci potesse bastare un pareggio, dopo aver penato i primi dieci minuti (altro classico...), soffocando piano piano un Valencia che, grazie agli dei del calcio, non ha attaccanti degni di questo nome.
Poi, nel secondo tempo, nonostante fossimo nella situazione per noi più comoda, quella di poter gestire il vantaggio e colpire in contropiede, per diverse fasi della gara non abbiamo saputo fare né l'uno né l'altro. È bastato che il Valencia ammassasse mezzepunte e giocatori offensivi uno sull'altro perchè i biancorossi perdessero la testa, col corollario di orrori che chiunque abbia assistito a una di queste fasi conosce bene: nessun pressing sul portatore di palla, centrocampisti schiacciati sulla linea dei sedici metri, difensori ostacolati dai propri compagni e costretti a lunghi lanci finalizzati al nulla, Diego Costa costretto a sfiancarsi correndo qua e là senza costrutto alcuno, visto che raramente arriva sulla palla e ancor meno riesce a tenerla, in quelle condizioni, palloni che sibilavano accanto ai pali di Courtois, cercando la deviazione sfortunata di qualche difensore.
Intanto il povero Simeone, in panchina, faceva grandi gesti per spingere i suoi a rialzare il baricentro e a giocare la palla, ma niente da fare: ci sono momenti in cui i colchoneros paiono preda di chissà quale forma di paura che li spinge a ingigantire avversari tutto sommato quasi sempre modesti. È la famosa Manzanite, ricordate? In casi come questi si suole dare la colpa all'allenatore, ma qui davvero Simeone non c'entra: la fase peggiore, nei venticinque minuti centrali del secondo tempo si è verificata proprio mentre inseriva uno dopo l'altro Arda e Sosa, cioè giocatori deputati a tenere la palla, e mentre si sbracciava come un ossesso per invitare i propri calciatori a giocare più in avanti e a pressare già i difensori e i mediani avversari.
Niente da fare, neppure passando al 4-5-1, neppure chiedendo a Diego Costa di abbassarsi in fase di non possesso. Poi, all'improvviso, i colchoneros hanno ripreso a fare quello che avevano fatto per tutto il primo tempo, ovverosia controllare l'avversario già a partire dalla sua trequarti, di fatto costringendolo a girare lontano dalla propria area.
Segno inequivocabile che non mancavano certo le capacità, ma la volontà: che sia una sorta di pigrizia mentale, questo sedersi sul vantaggio minimo che ultimamente ci ha preso? Che derivi dalla consapevolezza di una notevole forza difensiva? (Sulla quale io non sono completamente d'accordo, l'ho scritto più volte: le sbavature e le debolezze ci sono, altrochè). Certo influisce il desiderio più o meno conscio di preservare le forze in vista del traguardo, ma non c'è bisogno di ribadire (o sì?) che ancora non abbiamo vinto niente e che questa tendenza a non chiudere le partite potrebbe costarci cara.
I due errori di Diego Costa, tanto per dire, sono imperdonabili anche dopo una vittoria, figurarsi cosa avremmo potuto dire nel caso di un pareggio artigliato in qualche modo dal Valencia, che si è rivelato squadra modesta seppur volitiva. Esattamente il tipo di squadra cui ascriverei i nostri prossimi avversari, ovverosia il Levante e il Malaga. Perciò, cari ragazzi, vi prego, vi preghiamo tutti, fate un piccolo sforzo in più, perchè partite così fanno perdere a chiunque vi guardi almeno dieci anni di vita...


Note positive
Tiago: ancora una buona prestazione, anche e soprattutto sul paino del ritmo. Corre, tampona, imposta e sembra non risentire dell'età, risultando un tassello fondamentale proprio ora che Koke e Arda sembrano statici e privi di fantasia.
Miranda: come ho detto, non è che il Valencia lì davanti presenti chissà che fenomeni (anzi...), tuttavia non perde mai la concentrazione e il sangue freddo, neppure quando compagni decisamente più in difficoltà lo ostacolano in tutti i modi. Naturalmente, la lode va divisa con Godin, anche se non in parti esattamente uguali: è lui il cervello della retroguardia; l'uruguaiano è il mero esecutore.


Note negative
Diego Costa: presentarsi due volte solo davanti al portiere e perdere l'attimo è imperdonabile. Certo, si sbatte, corre e si sacrifica (ma meno e con meno intelligenza tattica di prima...), ma il suo lavoro è segnare; o meglio, nel contesto tattico e atletico di quest'ultima fase, capitalizzare ogni benchè minima occasione. E oggi ha toppato alla grande.
Juanfran: ho già commentato prima il suo fallo, stupido, gratuito e pericoloso. Salterà la gara col Levante, lasciando spazio ad Alderweireld e al... vuoto in panchina: valeva davvero la pena?




Valencia: Guaita; Pereira, Ricardo Costa, Mathieu; Gayà; Javi Fuego, Dani Parejo (Vargas, m.53); Barragán (Feghouli, m.62), Jonas (Fede, m.80), Piatti; y Paco Alcácer.

Atlético de Madrid: Courtois 6,5; Juanfran 4,5, Miranda 7,5, Godín 7, Filipe Luis 6,5; Tiago 7,5, Gabi 7; Koke 6,5, Raúl García 7 (Sosa, m.68 5,5)(Alderweireld, m.91 sv); Villa 5 (Arda Turan, m.58 6) y Diego Costa 4,5.


Árbitro: Undiano Mallenco. Expulsó, con roja directa, al atlético Juanfran Torres (m.90). Amonestó a Jonas, Javi Fuego y Vargas, Godín. .
Gol: 0-1, m.42: Raúl García.
Mestalla, unos 50.000 espectadores. Se guardó un minuto de silencio por el exentrenador del Barcelona, Tito Vilanova, fallecido el pasado viernes.


lunedì 21 aprile 2014

Atletico Madrid – Elche 2-0: l'importanza di saper usare la testa


Se guardiamo al risultato, allora la partita del Venerdì Santo ci ha regalato notevoli soddisfazioni: manca un incontro in meno e il nostro vantaggio sui diretti inseguitori rimane intatto; non si è fatto male nessuno in vista della semifinale di Champions' e, soprattutto, siamo a sole tre vittorie da quel titolo che, dal 1996, non abbiamo mai neppure sfiorato e che, anche solo due mesi fa, pareva fantascienza.
Però... ecco il Però.
Usciti dalla logica del risultato, non rimane poi molto, se non la constatazione di una condizione fisica buona.


L'aspetto più sconcertante è stato l'atteggiamento con cui i biancorossi hanno giocato la prima frazione di gara. Di fatto, il primo tempo è stato buttato via: praticamente nessuna occasione da rete, il pallino del gioco lasciato per lunghi tratti agli avversari, diverse parate decisive di Courtois. Come ho già detto, è stato uno spettacolo sconcertante.
Il Cholo è intervenuto dopo venti minuti, passando da un cauto 4-4-2 a un più offensivo (almeno sulla carta) 4-2-3-1, ma la prestazione dei colchoneros è, se si può immaginarlo, persino peggiorata: Filipe veniva continuamente superato sul centrosinistra da Carles Gil, abile a inserirsi alle sue spalle, mentre in generale l'Elche giocava tra le linee e metteva spesso in inferiorità numerica i biancorossi. Non è la prima volta che l'Atletico si trova in simili difficoltà, ma finora ne era quasi sempre uscito con freddezza, sapendo capitalizzare il senso di falsa sicurezza che ne derivava per gli avversari. Invece, questa volta, niente: passaggi sbagliati, nessuna corsa senza palla, nessuno smarcamento, spesso neppure la capacità di uscire palla al piede dal pressing avversario. Intendiamoci, i nostri avversari sono stati bravi e attenti, ma sono e rimangono... l'Elche, cioè non esattamente uno squadrone.
La verità è che la formazione schierata all'inizio è stata clamorosamente sbagliata, come dimostrato anche dalla rapidità con cui Simeone ha effettuato tutte e tre le sostituzioni nel secondo tempo. Adrian è ormai l'ombra di se stesso e non sarà una prestazione decente contro il Barcellona a modificare la mia idea. Per di più, la sua posizione allora era stata quella di punta, cioè di sostituto testuale di Diego Costa, e non quella di ala di un centrocampo a quattro, ruolo per il quale non è portato, né ha la volontà. Forse peggio di lui ha fatto David Villa, che in settimana avrebbe dichiarato, tra l'altro, di voler rimanere un altro anno a Madrid: ottimo, se si riduce lo stipendio a un terzo, visto che ormai altro non è e non può essere che un rincalzo, se volete il grande vecchio da far partire dalla panchina e da tirare fuori dalla naftalina quando gli altri sono infortunati. Sono parole dure quelle che scrivo, ne convengo, ma ormai non riesco a vedere l'utilità di questi due per i colchoneros: da anni Adrian e da mesi l'asturiano non svolgono neppure il lavoro tattico che viene loro affidato, ma vagano smarriti per il campo.
L'orrendo tiro dal dischetto con cui Villa ha aperto il secondo tempo è forse il segno definitivo del tramonto del Guaje: di fronte a un portiere che si sposta così tanto lungo la linea di porta, bisogna solo mantenere una certa freddezza (la sua solita freddezza, aggiungo, per chi volesse dirmi che la faccio facile, dalla mia scrivania) e tirare dalla parte opposta. In fondo, ha fatto così anche Costa, che pure è tutt'altro che un rigorista impeccabile.


Con Diego Costa e Koke tutt'altro che brillanti e con i terzini particolarmente imprecisi, non sorprende che il gioco dei colchoneros fosse statico e involuto e che gli ilicitani riuscissero a controllare agilmente la partita.
Non appena Simeone ha dato spazio a Raul Garcia, Sosa e Diego, la partita è cambiata: molto più dinamico, l'Atletico ha schiacciato i rivali nella loro metacampo, pur continuando a omaggiarli di parecchi errori nei passaggi. In ogni caso, è apparso chiaro che il divario tra biancorossi e biancoverdi fosse molto più ampio di quanto fosse parso fino ad allora.
Tuttavia la situazione stava facendosi sempre più scomoda per i biancorossi, pressati dalla necessità di vincere e da un Calderon in spasmodica attesa. Niente sembrava avere sorte, dopo gli orrendi sprechi di cui i colchoneros si erano macchiati fino ad allora: un intero primo tempo e un rigore buttati via di solito si pagano salatissimi.
Proprio allora però, quando era ancora più necessario usare la testa, è apparso San Joao Miranda: su calcio d'angolo di Sosa, il brasiliano ha lasciato partire un terrificante colpo di testa a incrociare che ha sbriciolato le speranze degli ospiti.

Ancora una volta una giocata a palla inattiva ha permesso all'Atletico di passare in vantaggio e di mettersi nella situazione che maggiormente preferisce, vale a dire quella in cui controlla il gioco. Anche qui, tuttavia, devo rilevare un altro atteggiamento sconcertante: la tendenza, evidente nelle ultime partite, ad abbassare eccessivamente il proprio baricentro e a difendere a ridosso della propria linea di trequarti. Non è sempre stato così, è un fenomeno accentuato negli ultimi mesi e che, a parer mio, porta solo problemi: persino un Elche qualsiasi riesce a minacciare la porta colchonerra, con una opposizione così debole (e infatti gli ospiti qualche occasione l'hanno avuta, dopo il nostro gol); inoltre l'eccessiva lontananza dalla porta avversaria rende i colchoneros molto meno letali nel contropiede, che di fatto è affidato sempre e comunque solo alle sgroppate di Diego Costa, spesso lanciato in maniera approssimativa in un nugolo di avversari. Ci si affida quasi esclusivamente alla solidità dei due centrali e del portiere, ma mi pare che si dimentichi con troppa facilità che l'errore o la palla sporca possono sempre capitare. 
 
Insomma, difendere con le barricate un misero 1-0 è un rischio troppo grande. Certo, il rigore segnato da Costa ha modificato il risultato, ma alla fine non credo che il discorso cambi molto. 
 
Naturalmente, non sto certo predicando una condotta dissennata, sia chiaro. Sono ben conscio della situazione: mancano ormai pochissime partite e la benzina, per quanto presumibilmente più abbondante che per molti altri, non è infinita. Dico solo che vanificare tutto o una parte del lavoro fatto per scarsa intensità (il primo tempo di venerdì), per esagerata prudenza o per eccessiva imprecisione nei tiri o nei passaggi sarebbe un peccato mortale, dal quale dobbiamo guardarci con la stessa attenzione con cui ci guardiamo da un eccessivo sbilanciamento in avanti.




giovedì 10 aprile 2014

Atletico Madrid – Barcellona 1-0: Cholo Football Club


Venti minuti da sogno: una vera tempesta perfetta scatenata contro i blaugrana, subissati da un pressing forsennato, da triangolazioni meravigliose, da una furia fredda e stupenda che sembrava non dover finire mai.
O da infarto, l'altra faccia della medaglia: tre legni e una sola rete dopo aver annichilito la squadra che ha dominato l'Europa negli ultimi anni.
E settanta minuti di paura e speranza, tutti tesi a capire se ne saremmo usciti beffati o vincenti. Non importa quanto corressimo, non importa neppure quanto il Barcellona apparisse inconcludente e misero nella sterilità del suo gioco. I blaugrana sono così, capaci di sfiorare il gol del pareggio anche nelle serate peggiori, in virtù di un tasso tecnico ineguagliabile persino quando le sue stelle si mostrano tutte quante imbolsite e prive di mordente: Xavi, Messi, Neymar e Iniesta, davvero non saprei chi indicare come peggiore in campo, eppure in qualche occasione ci hanno veramente spaventato.
Simeone ha preparato la partita benissimo, puntando non solo sui raddoppi e sul pressing, sul rispetto assoluto delle distanze tra uomini e reparti, sulla saturazione degli spazi e sull'ostruzione delle linee di passaggio verso il centro (su una straordinaria fase difensiva, insomma), ma anche su un contropiede letale, affidato alla coppia Villa – Adrian, velocissima e molto mobile, soprattutto nel secondo, fortemente disposto al lavoro di sponda e a svariare per aprire spazi al centravanti. Sarebbe stata, proprio per questo copione tattico, la partita di Diego Costa, ma in realtà è diventata la partita dell'ennesimo coniglio estratto dal cappello del Cholo: Raul Garcia torre mobile. Il navarro, di cui abbiamo più volte parlato come di un giocatore limitato, ieri ha in parte smentito le nostre parole: ha presidiato la fascia e, soprattutto, non ha cercato di fare cose per le quali non è portato (inserirsi con grande velocità, visto che non ne ha), ma ha puntato tutto sul ricevere passaggi profondi dalle retrovie e favorire, giocando di sponda, gli inserimenti dei due attaccanti e dei terzini, sovrastando di testa gli avversari. Sulle percussioni centrali favorite dal gran lavoro del navarro il Barcellona è andato completamente in bambola, incapace di arginare la furia dei colchoneros.

Sulla fascia destra, ben visibile, la zona di influenza di Raul Garcia (fonte El Pais)

 
Poi, come è naturale, la partita si è pian piano livellata, con l'Atletico a difendersi in maniera ordinata e il Barça in teoria teso ad attaccare ma nella pratica dedito a un possesso palla sterile e controproducente. In alcuni momenti i biancorossi hanno rallentato troppo e abbassato eccessivamente il baricentro, arrivando a rischiare, ma nel complesso hanno retto molto bene il campo. D'altra parte, ripeto, contro il Barcellona è impossibile non subire almeno un po'.
Questa partita dimostra, ancora una volta, la bravura di Simeone: se un giocatore ormai finito come Villa e uno che sembrava perduto per la causa come Adrian sfornano una prestazione di quel tipo, se il Barcellona pareva un'accozzaglia di stelle svagate e bolse e l'Atletico una banda di corsari assetati di sangue e pallone, il merito non può che essere del Cholo, della sua abilità motivazionale e della sua capacità strategica.
A guardare bene, anche se manca la controprova, la partita è rimasta aperta solo grazie agli errori di mira non solo degli attaccanti biancorossi, ma anche di Gabi e Rodriguez, e questa non è certo una colpa di Simeone. D'altra parte, il dispendio di energie richiesto dal gioco dei colchoneros ha, inevitabilmente, delle ricadute.
Ora rimangono sei partite di Liga e un massimo di tre di Champions'. Cosa dire? Che ha ragione il Cholo, ancora una volta: partido a partido, dando il massimo sempre e comunque. E vedremo come andrà a finire.
Quanto all'avversario, se dovessi scegliere preferirei il Chelsea, anche se la brutta storia della clausola di Courtois rischia di essere un problema serio.

Per buona parte della partita la domanda che tutti ci siamo fatti, alla fin fine, è la stessa che ronza in testa a tutti da quarant'anni, da quel maledetto 15 maggio 1974: “Siamo ancora il Pupas FC?”. O, per dirla forse in maniera più sottile: “ Siamo mai stati il Pupas FC? O abbiamo disperatamente voluto esserlo, al punto tale da far avverare tutti i nostri peggiori incubi?”. Abbiamo vissuto per quaranta anni preda di presidenti incapaci e delinquenti, allenatori ignobili, giocatori miserabili e ci siamo convinti che questo era il nostro Destino.
Poi è arrivato un uomo e ci ha detto che non era vero, che potevamo cambiare il corso della nostra storia, che stava tutto nella nostra testa. Che le finali non si giocano, si vincono. Che non si deve avere paura della battaglia, perchè è l'essenza stessa dell'uomo. E abbiamo scoperto, con incredulità, che è vero.
Ieri, come molte altre volte, non eravamo i migliori, ma siamo stati i più convinti, i più tenaci, i più coraggiosi.

Guardatevi la partita di Bruxelles, se potete. C'è un'immagine che mi ha sempre colpito: Luis calcia la punizione e, praticamente un secondo dopo, alza le braccia al cielo per esultare. Luis SAPEVA. Finora, però, non avevo mai messo a fuoco l'aspetto fondamentale della faccenda: se in campo ci fossero stati undici Luis, la nostra storia sarebbe stata diversa. Non saremmo mai diventati il Pupas FC.
Se in campo ci fossero stati undici Simeone, a Bruxelles avremmo vinto.

Ora Simeone è in panchina. Ora siamo il Cholo FC e in campo ci vanno undici leoni: non sono i migliori, ma sono i nostri leoni. I nostri e di nessun altro.
Allora godiamoceli e non mettiamo limiti alla Provvidenza.


Note positive
Tiago: dico la verità, non sapevo proprio chi scegliere. Alla fine opto per il portoghese, monumentale nella sua interpretazione del mediano, capace di scalare fino alla linea dei difensori e di avanzare fino alla trequarti, comandare il centrocampo e dettare il ritmo a tutta la squadra. Francamente, magistrale. Se, gentilmente, Mario Suarez prendesse nota...


Note negative
Villa: fa un lavoro straordinario, certo, ma il suo compito sarebbe segnare. I suoi difetti di mira prolungano una partita che avrebbe potuto essere chiusa dopo un quarto d'ora.




Atlético: Courtois 8; Juanfran 7,5, Miranda 8, Godín 8, Filipe Luis 7,5; Raúl García 8, Gabi 8, Tiago 9, Koke 9; Adrián 7,5 (Diego, m. 61 7) y Villa 7 (C. Rodríguez, m. 79 6).
No utilizados: Aranzubía; Insúa, Alderweireld, Mario Suárez y Sosa.


Barcelona: Pinto; Dani Alves, Bartra, Mascherano, Jordi Alba; Xavi, Busquets, Iniesta (Pedro, m. 72); Messi, Fàbregas (Alexis, m. 60) y Neymar. No utilizados: Oier; Montoya, Adriano, Sergi Roberto y Song.
Goles: 1-0. M. 6. Koke.
Árbitro: Howard Webb (ING). Amonestó a Busquets, Koke, Mascherano y Alves.
54.800 espectadores en el Vicente Calderón.