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Termini da evitare (o usare con cura) perché imprecisi o fuorvianti
Ci sono vari termini ed espressioni che consigliamo, almeno in determinate situazioni, di evitare perché risultano ambigui oppure implicano un'opinione che non condividiamo e che speriamo non condividiate nemmeno voi.
Vedere anche Categorie di Software Libero e Perché lo chiamiamo Swindle.
“Accesso” | “Ad-blocker” | “Alternativa” | “Aperto” | “Beni digitali (Digital Goods)” | “Beni (digitali)” | “Chiuso” | “Cloud Computing” | “Commerciale” | “Compenso” | “Consumare” | “Consumatore” | “Contenuto” | “Creatore” | “Digital Rights Management (Gestione digitale dei diritti)” | “Economia di condivisione (Sharing economy)” | “Ecosistema” | “FLOSS” | “For free” | “FOSS” | “Freeware” | “Furto” | “Googlare” | “Hacker” | “Industria del software” | “Liberamente disponibile” | “Licenze tipo-BSD” | “Lucchetti digitali (Digital Locks)” | “Mercato” | “Modello di sorgente (Source model)” | “Monetizzare” | “MP3 player” | “PC” | “Photoshop” | “Pirateria” | “PowerPoint” | “Prodotto” | “Proprietà intellettuale” | “Protezione” | “RAND” | “Regalare software” | “SaaS” | “Sistema LAMP” | “Sistema Linux” | “Skypare” | “Sotto licenza Creative Commons” | “Trusted Computing (informatica fidata)” | “Vendere software” | “Venditore”
“Accesso”
È piuttosto frequente commettere l'errore di pensare che software libero coincida con l'avere "accesso" pubblico a un programma, ma questo non è il significato di software libero.
I criteri che definiscono il software libero non riguardano chi ha "accesso" a un programma; sono quattro libertà essenziali che riguardano cosa può fare con un programma un utente che ne possiede una copia. Ad esempio la libertà 2 dice che quell'utente può farne una copia e regalarla o venderla. Ma nessun utente ha un obbligo di fare o distribuire copie, e nessuno ha il diritto di pretendere una copia.
In particolare, se qualcuno scrive un programma autonomamente e non ne cede mai copie ad alcuno, quel programma è software libero (anche se in modo banale) perché tutti gli utenti che ne possiedono una copia, e cioè il solo autore, hanno le quattro libertà essenziali.
In pratica, quando molti utenti hanno copie di un programma libero, qualcuno sicuramente lo pubblicherà su Internet, dando accesso a chiunque. Pensiamo che questo sia sempre da farsi se il programma è utile, ma non è un requisito del software libero.
C'è tuttavia uno specifico punto in cui l'accesso ha a che fare con il software libero: la GNU GPL permette di dare accesso al codice sorgente tramite download anziché fornirne fisicamente una copia all'utente. Questo vale nel caso particolare in cui l'utente ha già una copia del programma in forma non sorgente.
Invece di dire che con il software libero il pubblico ha accesso al programma diciamo che con il software libero gli utenti hanno le libertà essenziali e che con il software libero gli utenti hanno controllo su quello che il programma fa per loro.
“Ad-blocker”
Quando lo scopo di un programma è bloccare la pubblicità, “ad-blocker” è una definizione corretta. Ma ad esempio IceCat, il browser di GNU, blocca pubblicità che traccia l'utente, e implementa altre funzioni per prevenire la sorveglianza da parte dei siti web. A questo punto, più che di “ad-blocker,” si deve parlare di protezione contro la sorveglianza.
“Alternativa”
Non descriviamo il software libero come "alternativa" al software proprietario, perché questo termine presuppone che tutte le "alternative" siano legittime e vantaggiose per gli utenti. In questo modo si darebbe per scontato che il software libero debba necessariamente coesistere con software che non rispetta la libertà degli utenti.
Noi riteniamo che la sola modalità etica di distribuzione del software sia il software libero. Gli altri metodi, come il software non libero e i servizi come surrogati del software non danno libertà agli utenti. Pensiamo che non si debbano offrire agli utenti queste "alternative" al software libero.
“Aperto”
Per favore evitate di usare la parola "aperto" come sostituto di "software libero". Un altro gruppo, i cui valori sono meno idealistici dei nostri, usa "sorgente aperto" (open source) come proprio slogan. Il movimento per il software libero si batte per la vostra libertà nelle elaborazioni digitali, come questione di giustizia. L'open source non fa alcun tipo di campagna del genere.
Solo quando ci si riferisce alle opinioni "open source" è corretto usare quel termine; non va invece usato quando si parla di noi, del nostro software, delle nostre opinioni, altrimenti si rischia che il nostro punto di vista sia confuso con il loro.
Invece di open source diciamo software libero.
“Beni digitali (Digital Goods)”
Il termine “beni digitali” usato in riferimento a copie di opere di ingegno li paragona ai beni fisici, che non si possono copiare e che quindi vanno prodotti in quantità e venduti. Questa metafora incoraggia a giudicare questioni riguardanti il software o altre opere digitali secondo i punti di vista che ciascuno ha sui beni fisici. Tra l'altro, inquadra il problema in termini economici, che sono troppo poco approfonditi e limitati per cogliere i valori della libertà e della comunità.
“Beni (digitali)”
Chiamare le opere pubblicare col nome di "beni" o "beni digitali" è ancora peggio che chiamarli “contenuti” perché presuppone che non abbiano alcun valore per la società tranne quello commerciale.
“Chiuso”
Se descriviamo software non libero come "chiuso" facciamo un chiaro riferimento al termine "open source". Nel Movimento per il Software Libero, vogliamo evitare di essere confusi con il più recente Movimento per l'Open Source, e quindi evitiamo l'uso di termini che possano incoraggiare le persone ad identificarci con tale movimento. Perciò, evitiamo di descrivere il software non libero come "chiuso". Lo chiamiamo "non-libero" o "proprietario".
“Cloud Computing”
Il termine "cloud computing" (o semplicemente “cloud”, nel contesto dell'informatica) non ha un significato coerente, anche se il marketing lo usa molto. È utilizzato per attività diverse, accomunate solo dal fatto che usano Internet per scopi che vanno al di là del semplice trasferimento di file. Quindi è un termine che diffonde confusione e qualsiasi ragionamento basato su di esso sarà necessariamente fumoso (o "nebuloso"!).
Quando si esamina o si risponde a una dichiarazione altrui che contiene questo termine, è importante innanzitutto chiarire l'argomento. Di quale scenario si sta parlando in concreto, e qual è il termine migliore per definire quello scenario? Chiarito questo, diventa possibile riflettere in maniera coerente.
Uno dei tanti significati di "cloud computing" è la memorizzazione dei vostri dati in servizi online, cosa in molti casi sconsigliabile perché espone alla sorveglianza.
Un altro significato (correlato ma non uguale) è il Servizio come surrogato del software (Service as a Software Substitute, SaaSS), che vi impedisce di controllare le vostre elaborazioni. Il SaaSS va sempre evitato.
Un altro significato è affittare un server, fisico o virtuale, remoto; questo, sotto certe circostanze, è accettabile.
Un altro significato del termine è accedere al proprio server dal proprio dispositivo mobile, e questo non causa particolari problemi etici.
La definizione di "cloud computing" del NIST cita tre scenari che pongono problemi etici distinti: software come servizio, piattaforma come servizio e infrastruttura come servizio. Ma quella definizione non comprende l'uso più comune del termine “cloud computing”, dato che non considera il caso di archiviazione di dati in servizi online. Il "software come servizio" nella definizione del NIST ha un'ampia sovrapposizione con il concetto di "servizio come surrogato del software" (un modo di non rispettare l'utente) ma i concetti non sono completamente equivalenti.
Questi tre diversi tipi di utilizzo sono totalmente scollegati fra loro. Il miglior modo di evitare la confusione generata dal termine “cloud computing” è di evitare completamente di parlare di “cloud”: bisogna parlare dello scenario che si ha in mente e utilizzare il termine specifico appropriato.
Curiosamente, anche Larry Ellison, uno sviluppatore di software proprietario, aveva notato come il termine “cloud computing.” non avesse un significato concreto. Tuttavia decise di usarlo ugualmente poiché, essendo uno sviluppatore di software proprietario, non condivide gli ideali che animano la nostra azione.
“Commerciale”
È bene non usare "commerciale" come sinonimo di "non-libero". Ciò confonde due questioni del tutto diverse tra loro.
Un programma è commerciale se viene sviluppato come attività imprenditoriale. Un programma commerciale può essere libero o non-libero, a seconda della relativa licenza. Analogamente, un programma sviluppato da una scuola o da un individuo può essere libero o non-libero sulla base della relativa licenza. Le due questioni, quale tipo di entità ha sviluppato il programma e quale libertà è concessa agli utenti, sono indipendenti tra loro.
Nel primo decennio di attività del Movimento del Software Libero, i pacchetti di software libero erano quasi sempre non-commerciali; le componenti del sistema operativo GNU/Linux furono sviluppate da individui, da organizzazioni senza scopo di lucro come la Free Software Foundation o da università. Ma negli anni '90 ha preso a circolare il software libero commerciale.
Il software libero commerciale è un contributo per la nostra comunità, perciò dovremmo incoraggiarlo. Ma quanti credono che "commerciale" significhi "non-libero", tenderanno a considerare contraddittoria la combinazione "libero commerciale", scartando questa possibilità. Bisogna stare attenti a non utilizzare il termine "commerciale" in tal senso.
“Compenso”
Parlare di “compenso all'autore” facendo riferimento al diritto d'autore dà per scontato che: (1) il diritto d'autore esista a beneficio degli autori e (2) quando leggiamo qualcosa, siamo in debito verso l'autore e dovremmo ripagarlo. La prima assunzione è semplicemente falsa, la seconda scandalosa.
“Compensare i possessori dei diritti” aggiunge un ulteriore raggiro: si cerca di fare pensare che questo significhi pagare gli autori, e in certe occasioni è vero, ma il più delle volte è un pagamento verso le stesse case editrici che fanno pressione per imporci leggi ingiuste.
“Consumare”
“Consumare” è quello che facciamo con il cibo: dopo che è stato ingerito, non esiste più in quella forma. Per analogia, usiamo lo stesso termine per altri prodotti che quando utilizzati si esauriscono, ma non ha senso usarlo per merci che durano nel tempo, come vestiti o elettrodomestici. Ed è certamente fuorviante usarlo per opere pubblicate (programmi, registrazioni di dati, libri, e-books) che durano a lungo a che possono essere eseguite o lette un numero arbitrario di volte: ascoltare una registrazione o eseguire un programma non è "consumo".
Chi usa "consumare" in questo contesto dirà che non lo fa in senso letterale, e allora in che senso lo fa? Significa sempre considerare il software e altre opere da un ristretto punto di vista di utilità economica. Si "consumano" i beni materiali che vengono usati, come un'auto consuma carburante o corrente elettrica; ma questi beni sono generici: una goccia di carburante usata oggi è sostanzialmente identica a una goccia di carburante usata la settimana scorsa.
Vogliamo che si finisca per vedere le opere creative (software, articoli e così via) come beni materiali soggetti all'assunzione che non ci sia qualcosa di speciale in una determinata storia, articolo, programma o canzone? Che siano tutti equivalenti? Questo è il punto di vista errato di un economista o di qualcuno che cura la contabilità di un editore. Non a caso chi propugna il software proprietario vorrebbe imporre questo modello. Il loro punto di vista distorto è evidente in questo articolo (in inglese), che definisce le pubblicazioni come “contenuto”.
La restrizione mentale associata ai "consumatori" porta a leggi come il DMCA che proibiscono agli utenti di violare la gestione digitale delle restrizioni (DRM) nei dispositivo digitali. Se gli utenti pensano che ciò che fanno con questi dispositivi è "consumare", allora vedranno come naturali queste restrizioni.
Questo termine incoraggia anche l'accettazione dei servizi di “streaming”, che usano tecnologie come DRM per limitare in modo errato l'ascolto di musica in modo da farla rientrare nel concetto di “consumare”.
Perché questo termine errato si diffonde sempre più? Alcuni potrebbero ritenerlo sofisticato, ma allora è meglio, e anche più sofisticato, rifiutarlo fornendo chiare motivazioni. Altri potrebbero essere indotti ad usarlo a causa degli interessi commerciali loro o dei loro datori di lavoro. Il fatto che sia utilizzato in ambienti prestigiosi dà l'impressione che sia il temine “corretto” da usare.
Parlare di “consumare” musica o qualsiasi opera d'ingegno ha l'effetto di ridurre l'arte a prodotto. Per evitare questa errata abitudine, bisogna evitare di dire “consumare” in questi casi. Meglio verbi specifici: "ascoltare", guardare, "leggere", per evitare la generalizzazione.
Quando si deve davvero generalizzare qualcosa per parlare di tutti i tipi di opere e tutti i media, consigliamo di usare "dare attenzione a" un'opera d'arte o di opinione, e "fruire" per un'opera utile in pratica.
Vedere anche la voce seguente.
“Consumatore”
Il termine “consumatore”, quando usato per riferirsi agli utenti di computer, ha molti sottintesi errati. Alcuni vengono dall'idea che usare un programma lo “consumi” (vedere la voce corrispondente), il che porta alcuni ad imporre sui beni digitali duplicabili le stesse conclusioni che sono state tratte per beni materiali non duplicabili.
Tra l'altro, descrivere gli utenti di software come "consumatori" li fa passare per individui che possono solamente scegliere i "prodotti" disponibili sul "mercato", ed elimina il concetto che gli utenti possano esercitare diretto controllo sul software che utilizzano.
Per descrivere chi non si limita ad un consumo passivo con il proprio computer, suggeriamo termini come "individui" e "cittadini", non "consumatori".
Questo problema dell'utilizzo della parola “consumatore” è stato già trattato da altri.
“Contenuto”
Se vuoi esprimere un sentimento di benessere e soddisfazione, giustamente dici di essere "contento" (content), ma è meglio evitare l'utilizzo del sostantivo per descrivere pubblicazioni e opere di altro tipo create da un autore. Tale uso rivela un atteggiamento specifico nei confronti di tali opere: le considera come beni di consumo intercambiabili il cui scopo è quello di riempire una scatola e far soldi. In realtà ciò significa considerare in maniera irrispettosa le opere stesse. Chi vuole evitare questo errore può parlare di "opere" o di "pubblicazioni".
Coloro che usano il termine "contenuto" sono spesso editori tesi ad ottenere un maggior potere nel copyright a nome degli autori (o "creatori", come vanno definendoli) delle opere. Il termine "contenuto" ne rivela i sentimenti concreti. Questo è anche stato ammesso da Tom Chatfield nel Guardian:
Il contenuto in sé non è importante, come suggerisce l'uso stesso di parole come "contenuto". Quando si comincia a identificare come "contenuto" qualsiasi testo scritto al mondo, si ammette che il "contenuto" è intercambiabile e che è semplicemente qualcosa che è bene avere.
In altre parole, “contenuto” riduce le pubblicazioni e le opere di scrittura ad una sorta di minestrone da canalizzare nei “tubi” di Internet.
Vedere anche la lettera aperta di Courtney Love a Steve Case, cercando le parole “content provider” nella pagina; purtroppo, la signora Love non sa che anche il termine “intellectual property”, "proprietà intellettuale", è da evitare.
Finché altri continuano ad usare l'espressione "fornitori di contenuto", i dissidenti politici potranno sicuramente autodefinirsi "fornitori di sconten(u)to". (NdT. In inglese "content" significa sia "contento" che "contenuto")
Il premio di termine più insignificante va a “gestione contenuti”, “content management” in inglese. “Contenuto” starebbe per “qualche tipo di informazione” e “gestione” per “farci qualcosa”. Quindi un “sistema di gestione contenuti”, o “content management system”, è un sistema per fare qualcosa a qualche tipo di informazione. Quasi tutti i programmi soddisfano la definizione.
Dato che nella maggior parte dei casi il termine si riferisce semplicemente a un sistema per aggiornare pagine su un sito web, consigliamo di usare “sistema di revisione di siti web”, o “web site revision system” (WRS) in quei casi.
“Creatore”
Applicare il termine "creatore" agli autori significa paragonarli implicitamente a una deità ("il creatore"). Questo termine viene usato dagli editori per elevare la statura morale degli autori al di sopra della gente comune, onde giustificare un maggior potere del copyright che gli editori possono esercitare a nome degli stessi autori. Noi invece consigliamo di dire "autori". Tuttavia, in molti casi "detentore del copyright" è ciò che si intende. Questi due termini non sono equivalenti: è piuttosto comune che il detentore del copyright non sia l'autore.
“Digital Rights Management (Gestione digitale dei diritti)”
Il software per il "Digital Rights Management" (Gestione digitale dei diritti, abbreviato DRM) in realtà è progettato per imporre restrizioni agli utenti di computer. Il ricorso al termine "diritti" in questo contesto è pura propaganda, mirata a farci considerare inconsciamente la questione dal punto di vista dei pochi che impongono tali restrizioni, ignorando al contempo quella dei molti a cui le restrizioni vengono imposte.
Buone alternative sono espressioni quali "Digital Restrictions Management" (Gestione digitale delle restrizioni) e "manette digitali".
Partecipate alla nostra campagna per abolire DRM.
“Economia di condivisione (Sharing economy)”
Il termine “sharing economy” ("economia di condivisione") non è corretto per servizi come Uber e Airbnb che gestiscono affari tra privati. Per noi la condivisione è invece la collaborazione non commerciale, come ad esempio la ridistribuzione non commerciale di copie esatte di un'opera pubblicata. Estenderne il significato rischia di creare confusione.
Un termine più adatto per descrivere il caso di aziende come Uber è quello di "economia di servizi su transazioni singole".
“Ecosistema”
È sconsigliabile definire una qualsiasi comunità umana, come la comunità del software libero, come "ecosistema", perché quella parola implica l'assenza di senso etico.
Il termine “ecosystem” infatti suggerisce implicitamente un atteggiamento di osservazione neutrale: non ci si chiede cosa dovrebbe accadere, ma semplicemente si studia e si comprende quello che accade. In un ecosistema, alcuni organismi consumano altri organismi. In ambito ecologico, non ci chiediamo se sia corretto che un gufo mangi un topo o che un topo mangi un seme, ci limitiamo ad osservare che questo accade. La popolazione delle specie aumenta o diminuisce a seconda delle condizioni; e questo non è giusto né sbagliato, è un fenomeno ecologico, anche se comporta l'estinzione di una specie.
Al contrario, esseri che adottano un punto di vista etico verso il loro ambiente possono decidere di preservare oggetti e valori che, abbandonati, svanirebbero: la società civile, la democrazia, i diritti umani, la pace, la salute pubblica, un clima stabile, l'aria e l'acqua pulite, le specie in pericolo, le arti tradizionali... e la libertà degli utenti di computer.
“FLOSS”
Il termine “FLOSS”, che sta per “Free/Libre and Open Source Software”, è stato creato come opzione per essere neutrali tra software libero e open source. Per chi desidera essere neutrale, “FLOSS” è la scelta migliore; ma chi vuole difendere la libertà non dovrebbe usare termini neutrali.
“For free”
Quando ci si riferisce a un programma di software libero (free software), meglio non dire che è disponibile "for free", gratuitamente. Questo termine (in inglese) significa specificamente "a costo zero". Il software libero è una questione di libertà, non di prezzo.
Spesso le copie di programmi di software libero sono disponibili "for free", a costo zero - ad esempio, tramite download via FTP. Ma copie di programmi di software libero sono disponibili anche a pagamento su CD-ROM; invece, le copie di software proprietario talvolta sono disponibili gratuitamente a fini promozionali e alcuni pacchetti proprietari sono normalmente disponibili a costo zero per determinati utenti.
Onde evitare confusioni, si può dire che il programma è disponibile "come software libero".
“FOSS”
Il termine “FOSS”, che sta per “Free and Open Source Software”, è stato creato come opzione per essere neutrali tra software libero e open source, ma non rispetta appieno il suo scopo. Per chi desidera essere neutrale, è meglio usare “FLOSS”; ma chi vuole difendere la libertà non dovrebbe usare termini neutrali.
Invece di FOSS diciamo software libero.
“Freeware”
Evitiamo per favore il termine "freeware" come sinonimo di "software libero". Il termine "freeware" veniva spesso usato negli anni '80 per indicare programmi rilasciati per la sola esecuzione, senza renderne disponibili i codici sorgenti. Oggi tale termine non indica alcuna specifica definizione generale.
Inoltre, per lingue diverse dall'inglese, è bene evitare di prendere in prestito termini inglesi come "free software" o "freeware". Cercate di utilizzare le espressioni spesso meno ambigue offerte dalla vostra lingua.
Usando un termine nella vostra lingua, dimostrate che vi riferite effettivamente alla libertà e non state semplicemente cercando di scimmiottare qualche misterioso concetto straniero di marketing. All'inizio, il riferimento alla libertà potrà sembrare strano o fastidioso ai vostri concittadini, ma quando ne considereranno il significato preciso, capiranno veramente di cosa si tratta.
“Furto”
I sostenitori di una forma troppo rigida e oppressiva di copyright spesso usano termini quali "rubato" e "furto" per descrivere le infrazioni al copyright. Questa è un'esagerazione, ma costoro vorrebbero che questa venisse considerata una verità oggettiva.
Il sistema giuridico - almeno negli USA - non considera l'infrazione al diritto d'autore un "furto". Le leggi sui furti non si applicano alle infrazioni al diritto d'autore. I sostenitori di una forma oppressiva di copyright si appellano a un'autorità... e presentano in maniera sbagliata quanto sostiene tale autorità.
Come argomentazione, potete fare riferimento a questo caso reale che mostra quello che potrebbe essere definito “furto di copyright”.
La copia non autorizzata è proibita dalla legge sul copyright in molte circostanze (non tutte!), ma il fatto che sia proibita non la rende automaticamente sbagliata. In generale, le leggi non definiscono cose giuste e sbagliate, ma semplicemente applicano la giustizia. Se le leggi (l'applicazione) non rispettano le nostre idee di giusto e sbagliato (la specifica), allora le leggi dovrebbero essere cambiate.
Un giudice statunitense, nell'ambito di un processo riguardante un caso di violazione del copyright, ha ammesso che “pirateria” e “furto” sono parole diffamatorie.
“Googlare”
Non usate il neologismo “googlare” per indicare l'azione di effettuare una ricerca su Internet: “Google” è solo uno dei tanti motori di ricerca. Usate espressioni come “effettuare una ricerca su Internet”, o quando opportuno semplicemente “cercare” e sforzatevi di usare un motore di ricerca che rispetti la vostra privacy: ad esempio DuckDuckGo garantisce di non tracciare i propri utenti, anche se nessuno dall'esterno può verificarlo in prima persona.
“Hacker”
Un hacker è qualcuno a cui piace divertirsi nell'escogitare soluzioni ingegnose in genere, non necessariamente in ambito informatico. I programmatori nella vecchia comunità di software libero del MIT degli anni Sessanta e Settanta si autodefinivano "hacker". Intorno al 1980, i giornalisti che scoprirono la comunità degli hacker pensarono per errore che il termine significasse “chi viola la sicurezza”.
Non diffondete questo errore: chi viola la sicurezza è un "cracker".
“Industria del software”
Il termine "industria del software" incoraggia le persone a pensare che il software è sempre sviluppato da una sorta di fabbrica e poi dato ai consumatori. Non è così per la comunità del software libero. Le aziende di software esistono, e molte di queste sviluppano software libero e non, ma quelle che sviluppano software libero non sono come fabbriche.
Il termine "industria" è usato come propaganda dai sostenitori dei brevetti software. Essi parlano di "industrie" di sviluppo del software e tentano così di argomentare che queste dovrebbero essere soggette ai monopoli dei brevetti. Il Parlamento Europeo, respingendo i brevetti software nel 2003, ha stabilito con votazione che "industria" è "produzione automatica di beni materiali".
“Liberamente disponibile”
Non usate “software liberamente disponibile” come sinonimo di “software libero”: sono termini diversi. Il software è “liberamente disponibile” se chiunque ne può avere una copia facilmente. Invece “software libero” è definito in funzione della libertà degli utenti che ne hanno una copia. Queste sono risposte a domande diverse.
“Licenze tipo-BSD”
L'espressione "licenza di tipo BSD" crea confusione perché fa un solo fascio di licenze che presentano differenze importanti. Ad esempio, la licenza BSD originale con la sua clausola pubblicitaria è incompatibile con la Licenza Pubblica Generica (GPL), mentre invece la nuova licenza BSD è compatibile con la GPL.
Per evitare confusioni, è meglio indicare la specifica licenza cui ci si riferisce evitando la vaga locuzione "di tipo BSD".
“Lucchetti digitali (Digital Locks)”
Alcuni usano il termine “lucchetti digitali” per fare riferimento, criticandola, alla gestione digitale delle restrizioni (DRM), ma questo termine non evidenzia correttamente i motivi per cui la tecnologia DRM è malvagia. Chi ha adottato questo termine non ci ha riflettuto abbastanza.
I lucchetti non sono necessariamente sbagliati o opprimenti. Tutti probabilmente possediamo lucchetti, e le corrispondenti chiavi o codici; che li si trovi utili o inutili, certamente non sono opprimenti: li possiamo aprire e chiudere. Allo stesso modo, troviamo utilissima la protezione crittografica dei nostri file. Anche questo è un lucchetto digitale su cui abbiamo controllo.
La tecnologia DRM è invece un lucchetto messo a voi da qualcun altro che non vi dà la chiave: è più simile a delle manette che a un lucchetto. Quindi la metefora migliore quando si parla di DRM è “manette digitali” anziché “lucchetti digitali”.
Varie campagne di opposizione hanno scelto di usare l'infelice termine “lucchetti digitali”; per correggere l'imprecisione, dobbiamo ripetere insistentemente la correzione. Noi come FSF potremo dare supporto a campagne contro i “lucchetti digitali”, se siamo sostanzialmente d'accordo con la causa; ma quando capiterà sostituiremo il termine con “manette digitali”, spiegandone le ragioni.
“Mercato”
È fuorviante descrivere gli utenti del software libero, o gli utenti del software in generale, come un "mercato".
Questo non vuol dire che siamo contro il mercato. Se avete una ditta di assistenza al software libero, allora avete dei clienti, e trattate con loro in un mercato. Finché rispettate la loro libertà, vi auguriamo successo nel vostro mercato.
Ma il movimento del software libero è un movimento sociale, non un'impresa, ed il successo a cui mira non è un successo di mercato. Noi cerchiamo di servire il pubblico dandogli libertà - non facendo concorrenza per sottrarlo ad un concorrente. Mettere sullo stesso piano la campagna per la libertà alla campagna di un'impresa per il suo successo è sminuire la libertà.
“Modello di sorgente (Source model)”
Wikipedia usa il termine “modello di sorgente” in modo confuso e ambiguo. Apparentemente si riferisce a come è distribuito il codice sorgente di un programma, ma la descrizione fa confusione tra questo e la metodologia di sviluppo. Inoltre “open source” e ”shared source” sono considerate situazioni diverse, ma si sovrappongono: Microsoft usa quest'ultima terminologia per indicare varie pratiche, alcune delle quali sono “open source”. Insomma, questo termine non fornisce alcuna informazione chiara, ma dà l'opportunità di usare “open source” in pagine dedicate al software libero.
“Monetizzare”
Il significato corretto di “monetizzare” (NdT: “monetize” in inglese) è “usare qualcosa come moneta”. Ad esempio, varie civiltà hanno monetizzato l'oro, l'argento, il rame, la carta stampata, particolari tipi di conchiglie e persino grandi rocce. Tuttavia, la tendenza attuale è quella di usare il termine “monetizzare” in un senso diverso, quello di “fare soldi sulla base di qualcosa”.
Questo uso vede il profitto come scopo primario, e la cosa utilizzata per fare profitto come secondaria. Nel campo del software questo è discutibile perché indurrebbe gli sviluppatori a rendere proprietario il programma, se questi concludono che renderlo libero non porta abbastanza guadagno.
Un'azienda produttiva ed etica può certamente fare denaro, ma se fa dipendere tutto dal profitto è difficile che rimanga etica.
“MP3 Player”
Nei tardi anni Novanta divenne possibile produrre riproduttori audio digitali portatili, con memorie allo stato solido. Molti supportavano il codec brevettato MP3, ed è così ancora oggi. Alcuni supportavano i codec non brevettati Ogg Vorbis e FLAC, e alcuni non potevano riprodurre file MP3 perché i loro sviluppatori dovevano proteggersi dai brevetti sui file MP3.
Usare il termine “MP3 player” per indicare la riproduzione audio in genere ha l'effetto di promuovere il formato MP3 e di scoraggiare gli altri, anche se tecnicamente superiori. Anche se i brevetti sul formato MP3 sono scaduti questo effetto collaterale è tuttora indesiderabile.
Suggeriamo “digital audio player,” o “audio player” al posto di “MP3 player.”
“PC”
È corretto usare l'abbreviazione “PC” per parlare di un computer dal punto di vista hardware, ma non è corretto dare per scontato che quel computer usi Microsoft Windows. Se lo usate per installarci GNU/Linux, rimane un PC.
Per un computer con Windows è stato suggerito il termine “WC”.
“Photoshop”
Bisogna evitare l'uso di “photoshoppare” come verbo legato alla manipolazione di immagini. Photoshop è solo il nome di un preciso programma di manipolazione immagini, da evitare in quanto proprietario. Ci sono molti programmi liberi per manipolare immagini, come GIMP.
“Pirateria”
Spesso gli editori descrivono l'attività della copia, se proibita, come "pirateria" (piracy). In questo modo, sottintendono che effettuare una copia illegale equivale eticamente all'assalto di navi in alto mare, al rapimento e all'assassinio di quanti si trovano a bordo. Basandosi su questa propaganda, hanno ottenuto leggi che proibiscono la copia in molte circostanze (a volte in tutte) in vari paesi del mondo, e stanno ancora facendo pressione per rendere più complete queste restrizioni.
Se non ritenete che effettuare copie illegali sia analogo al rapimento e all'assassinio, forse preferirete evitare il ricorso al termine "pirateria" per descrivere tale pratica. In sostituzione, si possono usare espressioni neutre quali "copia proibita" o "copia non autorizzata". Alcuni potrebbero addirittura preferire un'espressione positiva come "condividere informazioni con il vicino".
Un giudice statunitense, nell'ambito di un processo riguardante un caso di violazione del copyright, ha ammesso che “pirateria” e “furto” sono parole diffamatorie.
“PowerPoint”
Non si deve usare il termine “PowerPoint” per tutti i tipi di
presentazioni con slides. “PowerPoint” è solo il nome di un
preciso programma proprietario per preparare presentazioni. Per difendere la
libertà si deve usare solo software libero per preparare presentazioni,
non PowerPoint. Ci sono molte possibilità libere, ad esempio
beamer
per LaTeX e Impress, incluso anche in LibreOffice.
“Prodotto”
Se si parla di un prodotto, mantenere questo nome. Se però si parla di un servizio, bisogna evitare di chiamarlo “prodotto”, e la stessa cosa se un un fornitore di servizi chiama "prodotto" il suo servizio. Se un fornitore di servizi vi fa un'offerta e la chiama “prodotto”, insistete affinché la chiami "offerta".
“Proprietà intellettuale”
Editori e avvocati amano descrivere il diritto d'autore come "proprietà intellettuale" - un termine che include anche i brevetti, marchi registrati e altre più oscure aree della legge. Tali leggi hanno così poco in comune, e differiscono così tanto, che è sconsigliato fare generalizzazioni. È meglio parlare specificatamente di "copyright", "brevetti" o "marchi registrati".
Il termine "proprietà intellettuale" contiene un presupposto nascosto - che il modo più naturale di considerare tali questioni disparate sia basato su un'analogia con gli oggetti fisici, e sull'idea di considerarli una proprietà.
Quando si parla di copia, quest'analogia ignora la differenza cruciale esistente tra gli oggetti materiali e l'informazione: l'informazione può essere copiata e condivisa quasi senza sforzo, mentre ciò non è vero degli oggetti materiali.
Per evitare pregiudizi e confusione sul termine, è bene prendere una decisione ferma di non parlare e nemmeno pensare in termini di "proprietà intellettuale".
L'ipocrisia di chiamare questi poteri "diritti" sta provocando imbarazzo nel WIPO.
“Protezione”
Gli avvocati degli editori adorano ricorrere al termine "protezione" o "tutela" in riferimento al copyright. Questi termini implicano l'idea di voler bloccare qualche distruzione o sofferenza; di conseguenza, incoraggiano la gente a identificarsi con il proprietario e con l'editore che traggono dei benefici dal copyright, anziché con gli utenti che ne subiscono le restrizioni.
È facile evitare "protezione" o "tutela" per sostituirli invece con altri termini. Ad esempio, anziché: "La tutela del copyright dura molto a lungo", si può dire: "Il copyright dura molto a lungo".
Allo stesso modo, invece di dire “protetto da diritto d'autore”, si può dire “coperto da diritto d'autore”.
Per criticare il diritto d'autore piuttosto che essere neutrali, basta ricorrere all'espressione "le restrizioni del copyright". Così potrete dire, "Le restrizioni del diritto d'autore durano molto a lungo".
Il termine “protezione” è usato anche per descrivere caratteristiche malevole. Ad esempio, “protezione della copia” interferisce con la copia e, dal punto di vista dell'utente, è ostruzione, quindi sarebbe più appropriato parlare di “ostruzione alla copia”. Più spesso la si chiama Digital Restrictions Management (DRM): si veda la campagna Defective by Design.
“RAND (Reasonable and Non-Discriminatory)”
Gli organismi incaricati di stabilire gli standard limitati dai brevetti che vietano il software libero in genere seguono la prassi di ottenere licenze su tali brevetti dietro il pagamento di una somma fissa per ogni copia di programma conforme. Spesso queste licenze vengono indicate con il termine "RAND", acronimo che sta per "ragionevoli e non discriminatorie".
Il termine conferisce una rispettabilità apparente a una serie di licenze sui brevetti che normalmente non sono né ragionevoli né non-discriminatorie. È vero che tali licenze non discriminano contro nessun particolare individuo, e tuttavia discriminano a sfavore della comunità del software libero, e ciò le rende irragionevoli. Perciò, una metà del significato di "RAND" è fuorviante mentre l'altra metà esprime un pregiudizio.
Gli organismi responsabili degli standard dovrebbero riconoscere che queste licenze sono discriminatorie e abbandonare l'uso dell'espressione "ragionevoli e non discriminatorie" o "RAND" per descriverle. Finché non lo faranno, altri scrittori che non vogliono essere associati a quella rispettabilità fasulla, bene farebbero a rigettare tale espressione. Accettarla e usarla soltanto perché le aziende che detengono i brevetti l'hanno ampiamente diffusa significa consentire a tali aziende di imporre agli altri quelle opinioni.
In sostituzione, suggeriamo l'espressione "uniform fee only", soltanto dietro pagamento di una tariffa uniforme, o l'acronimo "UFO". È una descrizione accurata perché la sola condizione per queste licenze è il pagamento di una tariffa uniforme per le royalty.
“Regalare software”
È fuorviante usare il termine "regalare" (give away) quando si vuole intendere "distribuire un programma come software libero". È lo stesso problema già visto in "for free" (in inglese): implica che il punto in questione sia il prezzo, non la libertà. Un modo per evitare questa confusione consiste nel dire: "rilasciare come software libero".
“SaaS” o “Software as a Service”
Abbiamo detto che il SaaS (abbreviazione di “Software as a Service”, software come servizio) è un'ingiustizia, ma poi abbiamo scoperto che la percezione di quali attività sono SaaS è largamente variabile. Allora abbiamo coniato un nuovo termine, “Service as a Software Substitute” (servizio come surrogato del software) o “SaaSS”, che ha il duplice vantaggio di essere nuovo (e quindi definito solo da noi) e di rendere esplicito il problema dell'ingiustizia.
Vedere Chi serve davvero quel server? per altre discussioni sul tema.
In spagnolo continuiamo a utilizzare “software como servicio” perché il gioco di parole con “software como ser vicio” (software come se fosse un vizio) è troppo azzeccato per abbandonarlo.
“Sistema LAMP”
“LAMP” sta per “Linux, Apache, MySQL e PHP”: una combinazione di software comunemente utilizzata nei web server. Tuttavia, in questo contesto “Linux” sta per il sistema GNU/Linux. Quindi invece di “LAMP” dovrebbe essere “GLAMP”: “GNU, Linux, Apache, MySQL e PHP”.
“Sistema Linux”
Linux è il nome del kernel che Linus Torvalds ha sviluppato a partire dal 1991. Il sistema operativo in cui si usa Linux è in pratica GNU con l'aggiunta di Linux, quindi usare solo “Linux” per denotare l'intero sistema è ingiusto e fuorviante. Il sistema completo deve essere chiamato GNU/Linux, sia per riconoscere i meriti di GNU sia per distinguere l'intero sistema dal semplice kernel.
“Skypare”
Non usate il neologismo “skypare” per indicare una (video)chiamata via Internet. Skype è solo uno dei tanti programmi per questo scopo, e per di più è software proprietario e spia i propri utenti. Per effettuare (video)chiamate via Internet in un modo che rispetti la vostra libertà e la vostra privacy, usate uno dei tanti programmi equivalenti a Skype.
“Sotto licenza Creative Commons”
La caratteristica più importante della licenza di un'opera è se è o non è libera. Creative Commons pubblica sette licenze, di cui tre (CC BY, CC BY-SA e CC0) libere e le altre no. Quindi dire che un'opera è sotto "licenza Creative Commons" non dice se è libera, e sminuisce l'importanza della questione: la frase può essere corretta, ma l'omissione è dannosa.
Per incoraggiare il pubblico a prestare attenzione alla distinzione più importante, occorre specificare sempre quale licenza Creative Commons è in uso, ad esempio "rilasciato con licenza CC BY-SA". Se non si sa quale licenza precisa è usata da una certa opera, occorre determinarla.
“Trusted Computing (informatica fidata)”
“Trusted computing (informatica fidata)” è il nome usato dai sostenitori per indicare uno schema per riprogettare i computer in modo che chi sviluppa applicazioni possa fidarsi che il computer obbedirà a lui anziché all'utente. Dal loro punto di vista, è “fidato”; dal punto di vista dell'utente è “infido”.
“Vendere software”
L'espressione "vendere software" è ambigua. In senso stretto, scambiare la copia di un programma libero con una somma di denaro significa vendere il programma, il che è perfettamente accettabile, ma in genere si associa il termine "vendere software" alle restrizioni proprietarie nel successivo utilizzo del software. Per essere più chiari, ed evitare confusione, si può dire: "distribuire copie di un programma dietro pagamento" oppure "imporre restrizioni proprietarie sull'uso di un programma".
Vedere Vendere Software Libero per altre discussioni sull'argomento.
“Venditore”
Per favore non usate il termine "venditore" per far riferimento generico allo sviluppatore di un pacchetto software. Molti programmi sono sviluppati al fine di vendere copie, e i loro sviluppatori sono effettivamente venditori; questo include anche alcuni pacchetti di software libero. Tuttavia, molti programmi sono sviluppati da individui volontari, o da organizzazioni, che non hanno intenzione di vendere copie. I loro sviluppatori non sono venditori. Allo stesso modo, solo alcuni degli sviluppatori di distribuzioni GNU/Linux sono venditori. Meglio utilizzare il termine generico "fornitore".
Questo testo è stato pubblicato in Free Software, Free Society: The Selected Essays of Richard M. Stallman.