Uno dei nomi più iconici e riconoscibili nella storia del punk (con tanto di spilla d'obbligo per chiunque del "giro" ai tempi).
Formati nel 1976 dai fratelli Nick Cash e Guy Days hanno proseguito con dodici album all'attivo fino ai nostri giorni con rarissimi cambi di formazione.
Musicalmente e compositivamente ottimi, con un punk rock solido e ben suonato ma ricco di sfumature e retaggi dalle precedenti esperienze pub rock (Nick Cash suonò con i Kilburn And The High Roads di Ian Dury).
Senza dimenticare un'estetica molto personale e mai banale.
Non hanno mai pensato di essere una punk band ma semplicemente "We’re just modern and write songs that obviously appeal to punks".
999 (1978)
Un gioiellino di punk tinto di umori 60's con brani eccellenti come "Me and my desire", "Titanic (my over) reaction", "Emergency", il gusto pub rock/rock n'n roll di "Crazy" e il garage punk di "Hit me", gli sfrenati "I'm alive" e "No pity".
Separates/High energy plane (1978) (titoli rispettivamente dell'edizione Uk e Usa)
Sei mesi dopo l'esordio la band cambia pelle, rifinendo meglio le sonorità, più ricercate, lasciando da parte molta dell'aggressività precedente a favore di un sound più marcatamente "rock".
Le undici canzoni non brillano sempre per originalità ma ci regalano la furia punk di "High Energy Plan", il ritmo in levare di "Feelin' alright with the crew" e la stupenda "Homicide".
The Biggest Prize in Sport (1980)
Il nuovo lavoro formalizza la trasformazione in rock band abbastanza convenzionale, pur mantenendo qualche occasionale legame con le modalità iniziali.
"Shake" e "Boiler" hanno il groove da glam band proto punk di metà 70 come l'iniziale "Boys in the gang", la vetta dell'album.
Un omaggio all'amore per il reggae/ska nelle discreta "Trouble" e poco altro.
Concrete (1981)
Raramente preso in considerazione è un buon lavoro con la riuscita cover di "Little Red Riding Hood" di Sam the Sham and the Pharaohs e una discreta "Fortune Teller" di Benny Spellman, il piccolo gioiello "Break it up" che riporta alle origini.
Il resto non è particolarmente ispirato ma si mantiene sopra la sufficienza.
Bish! Bash! Bosh! (2020)
Il recente album è dignitoso, tra punk rock, street punk, energia e una produzione che ne esalta il tiro, ancora di grande livello.
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giovedì, gennaio 30, 2025
giovedì, novembre 28, 2024
Ringo Starr
Speciale RINGO STARR
Il batterista dei Fab Four non ha avuto una carriera solista particolarmente felice da un punto di vista qualitativo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di album mediocri che solo occasionalmente arrivano alla sufficienza.
Ma almeno quattro episodi emergono in maniera dignitosa (per i più appassionati e curiosi anche "Rotogravure", "Vertical man" e "Ringo Rama" meritano un ascolto).
RINGO (1973)
Primo vero album solista, dopo i due antipasti ad uso quasi personale. Vero e unico orfano dei Beatles, prova a rimetterli insieme, seppure virtualmente e quasi ci riesce.
Paul, John e George, seppur separatamente, collaborano con voci, strumenti e brani per l'amico.
A dare una mano anche Marc Bolan a Nicky Hopkins, Billy Preston, membri della Band, Jim Keltner, Klaus Voorman, Steve Cropper.
L'album resterà la sua vetta artistica. Occorre sottolineare che gli ex Beatles non si sono sforzati troppo a livello compositivo.
John si cimenta con la scanzonata e ironica “I’m The Greatest,” in cui c'è anche George, oltre a Billy Preston e Klaus Voorman, ovvero la formazione ipotizzata per il proseguimento dei Beatles all’indomani dell’abbandono di Paul (che avrebbe dovuto chiamarsi The Ladders ma non prese mai vita).
Il duo Harrison/Starkey rende meglio con “Photograph”, destinato a diventare un classico di Ringo, ballata mid tempo melodica ed easy con lo stesso George alla chitarra, il piano di Nicky Hopkins e il sax del “Rolling Stone” Bobby Keys.
George regala anche un buon country rock, “Sunshine Life For Me” con The Band ad accompagnare.
Paul McCartney compone, arrangia, canta e suona buona parte degli strumenti in “Six O Clock”, ballata senza lode né infamia, con Linda ai cori e, scelta singolare e ironica, Klaus Voorman al basso.
La conclusiva, incolore, ballata “You And Me (Babe)” vede la curiosa firma congiunta di George Harrison e Mal Evans, stretto collaboratore dei Beatles.
L’album si comporterà più che bene nelle classifiche inglesi e americane e arriverà a oltre due milioni di copie in tutto il mondo (in Italia è il quindicesimo album più venduto del 1974).
Non sarà così benevola la critica.
TIME TAKES TIME (1992)
Sono passati nove lunghi anni dall'ultima deludente prova discografica.
Ringo si è ripreso la scena con una serie di tour di successo e il nuovo tentativo in studio è un piccolo gioiello che contende a “Ringo” la palma di suo miglior album solista.
Belle canzoni, prodotte nel migliore dei modi, che non guardano al passato con nostalgia ma tengono invece il passo con i tempi, sono fresche, pop, non inseguono mode o tendenze.
Ci sono anche brani di band minori come Posies e Jellyfish e Ringo torna finalmente a occuparsi della batteria (abbandonata per lungo tempo), canta bene, voce chiara e pulita.
Ottimi rock n roll e brani mid tempo con Jeff Lynne dell’Electric Light Orchestra che suona un po’ di tutto, i chitarristi dei Knack, Doug Fieger e Berton Averre, Jeff Baxter (ex Steely Dan e Doobie Brothers), Harry Nilsonn, Mark Landau, tra i tanti, gli danno un prezioso aiuto.
Troviamo anche Brian Wilson dei Beach Boys ai cori di “In a heartbeat”. Vende 200.000 copie in tutto il mondo e torna a guardare con ottimismo alla carriera discografica.
Anche la critica è (giustamente) benevola.
KING BISCUIT FLOWER HOUR PRESENTS RINGO AND HIS NEW ALL-STARR BAND (2002)
Registrato a Chicago il 22 agosto 2001 insieme a Greg Lake, Ian Hunter dei Moot the Hopple, Roger Hodgson dei Supertramp, Mark Rivera, Howard Jones e Sheila E. è uno dei tanti live pubblicati in carriera.
Band in grande forma, arrangiamenti raffinati, molta cura per i cori, clima festoso e Ringo con un'ottima voce e tanta verve.
Ottime la “Lucky man” di Greg Lake e “All the young dudes” dei Moot The Hoople ma buona parte del repertorio è ad appannaggio di Ringo che arrangia molti brani in chiave country e rhythm and blues di sapore New Orleans, a partire dalle introduttive “Photograph” e “Act naturally” e da un'eccellente versione di “No No Song” da “Goodnight Vienna”.
Molto riuscita “Yellow submarine”, corale e con gli effetti sonori originali. Il miglior live della lunga serie.
PHOTOGRAPH: THE VERY BEST OF RINGO STARR (2007)
Senza alcun dubbio l'album perfetto per chi vuole il “meglio” di Ringo Starr.
I venti brani coprono tutta la carriera scegliendo con cura tra gli episodi di maggior successo e quelli artisticamente più significativi.
Il batterista dei Fab Four non ha avuto una carriera solista particolarmente felice da un punto di vista qualitativo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di album mediocri che solo occasionalmente arrivano alla sufficienza.
Ma almeno quattro episodi emergono in maniera dignitosa (per i più appassionati e curiosi anche "Rotogravure", "Vertical man" e "Ringo Rama" meritano un ascolto).
RINGO (1973)
Primo vero album solista, dopo i due antipasti ad uso quasi personale. Vero e unico orfano dei Beatles, prova a rimetterli insieme, seppure virtualmente e quasi ci riesce.
Paul, John e George, seppur separatamente, collaborano con voci, strumenti e brani per l'amico.
A dare una mano anche Marc Bolan a Nicky Hopkins, Billy Preston, membri della Band, Jim Keltner, Klaus Voorman, Steve Cropper.
L'album resterà la sua vetta artistica. Occorre sottolineare che gli ex Beatles non si sono sforzati troppo a livello compositivo.
John si cimenta con la scanzonata e ironica “I’m The Greatest,” in cui c'è anche George, oltre a Billy Preston e Klaus Voorman, ovvero la formazione ipotizzata per il proseguimento dei Beatles all’indomani dell’abbandono di Paul (che avrebbe dovuto chiamarsi The Ladders ma non prese mai vita).
Il duo Harrison/Starkey rende meglio con “Photograph”, destinato a diventare un classico di Ringo, ballata mid tempo melodica ed easy con lo stesso George alla chitarra, il piano di Nicky Hopkins e il sax del “Rolling Stone” Bobby Keys.
George regala anche un buon country rock, “Sunshine Life For Me” con The Band ad accompagnare.
Paul McCartney compone, arrangia, canta e suona buona parte degli strumenti in “Six O Clock”, ballata senza lode né infamia, con Linda ai cori e, scelta singolare e ironica, Klaus Voorman al basso.
La conclusiva, incolore, ballata “You And Me (Babe)” vede la curiosa firma congiunta di George Harrison e Mal Evans, stretto collaboratore dei Beatles.
L’album si comporterà più che bene nelle classifiche inglesi e americane e arriverà a oltre due milioni di copie in tutto il mondo (in Italia è il quindicesimo album più venduto del 1974).
Non sarà così benevola la critica.
TIME TAKES TIME (1992)
Sono passati nove lunghi anni dall'ultima deludente prova discografica.
Ringo si è ripreso la scena con una serie di tour di successo e il nuovo tentativo in studio è un piccolo gioiello che contende a “Ringo” la palma di suo miglior album solista.
Belle canzoni, prodotte nel migliore dei modi, che non guardano al passato con nostalgia ma tengono invece il passo con i tempi, sono fresche, pop, non inseguono mode o tendenze.
Ci sono anche brani di band minori come Posies e Jellyfish e Ringo torna finalmente a occuparsi della batteria (abbandonata per lungo tempo), canta bene, voce chiara e pulita.
Ottimi rock n roll e brani mid tempo con Jeff Lynne dell’Electric Light Orchestra che suona un po’ di tutto, i chitarristi dei Knack, Doug Fieger e Berton Averre, Jeff Baxter (ex Steely Dan e Doobie Brothers), Harry Nilsonn, Mark Landau, tra i tanti, gli danno un prezioso aiuto.
Troviamo anche Brian Wilson dei Beach Boys ai cori di “In a heartbeat”. Vende 200.000 copie in tutto il mondo e torna a guardare con ottimismo alla carriera discografica.
Anche la critica è (giustamente) benevola.
KING BISCUIT FLOWER HOUR PRESENTS RINGO AND HIS NEW ALL-STARR BAND (2002)
Registrato a Chicago il 22 agosto 2001 insieme a Greg Lake, Ian Hunter dei Moot the Hopple, Roger Hodgson dei Supertramp, Mark Rivera, Howard Jones e Sheila E. è uno dei tanti live pubblicati in carriera.
Band in grande forma, arrangiamenti raffinati, molta cura per i cori, clima festoso e Ringo con un'ottima voce e tanta verve.
Ottime la “Lucky man” di Greg Lake e “All the young dudes” dei Moot The Hoople ma buona parte del repertorio è ad appannaggio di Ringo che arrangia molti brani in chiave country e rhythm and blues di sapore New Orleans, a partire dalle introduttive “Photograph” e “Act naturally” e da un'eccellente versione di “No No Song” da “Goodnight Vienna”.
Molto riuscita “Yellow submarine”, corale e con gli effetti sonori originali. Il miglior live della lunga serie.
PHOTOGRAPH: THE VERY BEST OF RINGO STARR (2007)
Senza alcun dubbio l'album perfetto per chi vuole il “meglio” di Ringo Starr.
I venti brani coprono tutta la carriera scegliendo con cura tra gli episodi di maggior successo e quelli artisticamente più significativi.
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Get Back
lunedì, ottobre 28, 2024
The Untouchables
La recente scomparsa dell'unico membro originale rimasto nella band, il cantante Jerry Miller, ha riportato i riflettori sugli UNTOUCHABLES, band californiana molto amata dalla scena mod locale.
Erroneamente sempre inserita nella scena ska quando in realtà all'ambito dedicarono solo pochi brani (inizialmente a parte), spaziando invece tra soul, funk, reggae, pop e addirittura rap.
Ottennero un discreto successo con "Free Yourself" e la cover di "I spy for the FBI" di Jamo Thomas nel 1985, contenuti nel primo album "Wild Thing" dello stesso anno.
Tornarono nelle retrovie successivamente, incidendo altri tre album e continuando l'attività live (fino ai nostri giorni), cambiando circa 40 membri della band. Wild Child (1985)
Tanto soul, tra la title track, "Free Yourself" e "I spy for the FBI" ma anche il sorprendente rap funk di "Freak in the streets", il reggae di "What's gone wrong" e "Lasershow", il disco funk di "Piece of your love" e "Soul together", lo ska di "Mandingo", il pop rock di "Lovers again", il garage beat della conclusiva "City Gent".
Un album estremamente composito, dalle mille influenze, lontano da facili etichette.
Molto americano.
Agent 00 Soul (1988)
Tre anni dopo il precedente lavoro, la band si sposta verso atmosfere più fruibili, funk, easy soul, quasi disco in certi momenti.
Nella versione di "Under the boardwalk" dei Drifters vanno invece di un irresistibile groove ska mentre nella successiva "Cold city" il ritmo in levare è tinto di soul.
"Shama Lama" è swing soul.
Parentesi finale puramente reggae in "Sudden attack" e "Education". A decade of dance Live (1990)
del concerto Ottimo live con il meglio della loro discografia.
Suonano da paura, precisi, diretti, eleganti.
Gran finale con "Steppin' stone" dei Monkees. Greatest & Latest: Ghetto Stout (2000)
Album pregevole in cui una delle tante line up della band riprende vecchie canzoni, riarrangiate con classe e raffinatezza.
Aggiunge tre nuove composizioni, privilegiando il mondo ska e reggae.
Non mancano funk e momenti più rock ma il groove prevalente è quello in levare e colorato in "black".
Sarà ristampato con il titolo "Free Yourself - Ska Hits".
Erroneamente sempre inserita nella scena ska quando in realtà all'ambito dedicarono solo pochi brani (inizialmente a parte), spaziando invece tra soul, funk, reggae, pop e addirittura rap.
Ottennero un discreto successo con "Free Yourself" e la cover di "I spy for the FBI" di Jamo Thomas nel 1985, contenuti nel primo album "Wild Thing" dello stesso anno.
Tornarono nelle retrovie successivamente, incidendo altri tre album e continuando l'attività live (fino ai nostri giorni), cambiando circa 40 membri della band. Wild Child (1985)
Tanto soul, tra la title track, "Free Yourself" e "I spy for the FBI" ma anche il sorprendente rap funk di "Freak in the streets", il reggae di "What's gone wrong" e "Lasershow", il disco funk di "Piece of your love" e "Soul together", lo ska di "Mandingo", il pop rock di "Lovers again", il garage beat della conclusiva "City Gent".
Un album estremamente composito, dalle mille influenze, lontano da facili etichette.
Molto americano.
Agent 00 Soul (1988)
Tre anni dopo il precedente lavoro, la band si sposta verso atmosfere più fruibili, funk, easy soul, quasi disco in certi momenti.
Nella versione di "Under the boardwalk" dei Drifters vanno invece di un irresistibile groove ska mentre nella successiva "Cold city" il ritmo in levare è tinto di soul.
"Shama Lama" è swing soul.
Parentesi finale puramente reggae in "Sudden attack" e "Education". A decade of dance Live (1990)
del concerto Ottimo live con il meglio della loro discografia.
Suonano da paura, precisi, diretti, eleganti.
Gran finale con "Steppin' stone" dei Monkees. Greatest & Latest: Ghetto Stout (2000)
Album pregevole in cui una delle tante line up della band riprende vecchie canzoni, riarrangiate con classe e raffinatezza.
Aggiunge tre nuove composizioni, privilegiando il mondo ska e reggae.
Non mancano funk e momenti più rock ma il groove prevalente è quello in levare e colorato in "black".
Sarà ristampato con il titolo "Free Yourself - Ska Hits".
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venerdì, settembre 27, 2024
Zoot Money
La recente scomparsa di ZOOT MONEY valente tastierista a fianco di decine di grandi nomi del rock (Animals, Eric Burdon, Peter Green nel grande "The End of the Game", Steve Marriott, Kevin Coyne, Kevin Ayers, Humble Pie, Steve Ellis, Alexis Korner, Mick Taylor, Spencer Davis, Geno Washington, Alvin Lee) ma anche autore di pregevoli album con la sua Zoot Money Big Roll Band, con cui infiammò i locali mod londinesi dal 1961 al 1966.
Trasformatosi negli psichedelici Dantalion's Chariot (con il futuro Police andy Summers alla chitarra) lasciò due ottimi album e una serie di singoli tra cui il favolso "Big Time Operator"
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - It Should've Been Me (1965)
La trasposizione in studio di buona parte del repertorio che la band proponeva dal vivo con belle versioni di "The cat" di Jimmy Smith, "I'll go crazy" di James Brown, "Bright Lights Big City" di Jimmy Reed, il cool jazz di "Along Came John" di John Patton. Raffinato e pieno di groove.
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - Zoot! (Live at Kook Kleeks) (1966)
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - Were you there ? (2000/registrato nel 1966)
"Zoot!" è il secondo album ufficiale della band del 966, registrato dal vivo e ricco di brani di James Brown (un medley di quattro brani più "Mashed potatoes USA") ma con anche rifacimenti riusciti di Otis redding, Impressions e il classico "Barefootin'" di Robert Parker.
Il secondo è riemerso nel 2000 è uno stupendo live con 19 brani registrati nel 1966, che coglie, come "Zott!" al meglio quello che era un concerto della band all'epoca.
Tante cover (da Marvin Gay a Ray Charles), qualche originale ma soprattutto una verve e un' energia comune a pochi.
Zoot Money furoreggia all'organo, alla voce troviamo spesso Herbie Goins, alla chitarra il giovane Andy Summers.
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - The best (2012)
Gli eccellenti singoli "A big time operator", "Uncle Willie" e qualche estratto dagli album. Compilation consigliata a chi non vuole addentrarsi più di tanto nella sua discografia.
DANTALIAN'S CHARIOT - Charlot Rising (1996, registrazioni del 1967)
Cambiata pelle e trasformatisi, con il nuovo nome, in perfetti esponenti del nuovo filone psichedelico Zoot Money e Andy Summers incisero l'ottimo singolo "Madman Running Through the Fields"/"Sun Came Bursting Through My Cloud" nel 1967, registrando anche un'altra serie di canzoni, rimaste inedite fino al 1996, quando vennero raccolte in un album, dopo che la EMI ne rifiutò la pubblicazione.
Il materiale è piuttosto prevedibile e riprende tutti i cliché del "genere" (sitar incluso...) ma chi apprezza l'ambito troverà motivo di soddisfazione.
ZOOT MONEY - Transition (1968)
ZOOT MONEY - Welcome to my head (1969)
Impegnato come session man in studio e dal vivo con Eric Burdon and the New Animals e Peter Green e altre collaborazioni, trova il tempo per incidere alcuni album solisti.
"Transition" documenta, come da titolo, il passaggio dal classico rhythm and blues a sonorità più complesse, inclusi brani che finiranno nei Dantalian's Chariot (molte registrazioni sono precedenti).
Discontinuo ma godibile.
"Welcome to my head" guarda più al proto prog, qualche scampolo psichedelico, pop in vari stili. Il problema, oltre a composizioni trascurabili, è la voce, al limite dello stonato, che rende l'ascolto decisamente poco gradevole.
ZOOT MONEY - Mr Money (1980)
Firma per la MPL di Paul McCartney.
L'album indulge in un pop funk impersonale e senza nerbo, purtroppo.
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - Full circle (2007)
Riesuma il vecchio marchio per un album live a base di jazz soul raffinatissimo (in pieno stile Georgie Fame), pieno di groove, suonato alla perfezione e molto piacevole.
Trasformatosi negli psichedelici Dantalion's Chariot (con il futuro Police andy Summers alla chitarra) lasciò due ottimi album e una serie di singoli tra cui il favolso "Big Time Operator"
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - It Should've Been Me (1965)
La trasposizione in studio di buona parte del repertorio che la band proponeva dal vivo con belle versioni di "The cat" di Jimmy Smith, "I'll go crazy" di James Brown, "Bright Lights Big City" di Jimmy Reed, il cool jazz di "Along Came John" di John Patton. Raffinato e pieno di groove.
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - Zoot! (Live at Kook Kleeks) (1966)
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - Were you there ? (2000/registrato nel 1966)
"Zoot!" è il secondo album ufficiale della band del 966, registrato dal vivo e ricco di brani di James Brown (un medley di quattro brani più "Mashed potatoes USA") ma con anche rifacimenti riusciti di Otis redding, Impressions e il classico "Barefootin'" di Robert Parker.
Il secondo è riemerso nel 2000 è uno stupendo live con 19 brani registrati nel 1966, che coglie, come "Zott!" al meglio quello che era un concerto della band all'epoca.
Tante cover (da Marvin Gay a Ray Charles), qualche originale ma soprattutto una verve e un' energia comune a pochi.
Zoot Money furoreggia all'organo, alla voce troviamo spesso Herbie Goins, alla chitarra il giovane Andy Summers.
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - The best (2012)
Gli eccellenti singoli "A big time operator", "Uncle Willie" e qualche estratto dagli album. Compilation consigliata a chi non vuole addentrarsi più di tanto nella sua discografia.
DANTALIAN'S CHARIOT - Charlot Rising (1996, registrazioni del 1967)
Cambiata pelle e trasformatisi, con il nuovo nome, in perfetti esponenti del nuovo filone psichedelico Zoot Money e Andy Summers incisero l'ottimo singolo "Madman Running Through the Fields"/"Sun Came Bursting Through My Cloud" nel 1967, registrando anche un'altra serie di canzoni, rimaste inedite fino al 1996, quando vennero raccolte in un album, dopo che la EMI ne rifiutò la pubblicazione.
Il materiale è piuttosto prevedibile e riprende tutti i cliché del "genere" (sitar incluso...) ma chi apprezza l'ambito troverà motivo di soddisfazione.
ZOOT MONEY - Transition (1968)
ZOOT MONEY - Welcome to my head (1969)
Impegnato come session man in studio e dal vivo con Eric Burdon and the New Animals e Peter Green e altre collaborazioni, trova il tempo per incidere alcuni album solisti.
"Transition" documenta, come da titolo, il passaggio dal classico rhythm and blues a sonorità più complesse, inclusi brani che finiranno nei Dantalian's Chariot (molte registrazioni sono precedenti).
Discontinuo ma godibile.
"Welcome to my head" guarda più al proto prog, qualche scampolo psichedelico, pop in vari stili. Il problema, oltre a composizioni trascurabili, è la voce, al limite dello stonato, che rende l'ascolto decisamente poco gradevole.
ZOOT MONEY - Mr Money (1980)
Firma per la MPL di Paul McCartney.
L'album indulge in un pop funk impersonale e senza nerbo, purtroppo.
ZOOT MONEY'S BIG ROLL BAND - Full circle (2007)
Riesuma il vecchio marchio per un album live a base di jazz soul raffinatissimo (in pieno stile Georgie Fame), pieno di groove, suonato alla perfezione e molto piacevole.
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martedì, luglio 30, 2024
John Mayall
Doveroso omaggio a uno dei padri del British Blues, recentemente scomparso.
JOHN MAYALL ha avuto all'attivo 35 album in studio e 34 dal vivo, più varie compilation e 45 giri.
I lavori più significativi risalgono al periodo 60/70.
Successivamente è rimasto in un dignitoso ma ripetitivo limbo artistico.
La scelta è ovviamente opinabile ma vuole costituire una prima guida alla sua immensa discografia.
Blues Breakers with Eric Clapton (1966)
Il primo album, pietra miliare del British Blues, con Eric Clapton all'apice della forma (e il futuro Fleetwood Mac, John McVie, alla batteria), tra cover di classici ("Ramblin on my mind", "Parchman farm", "What I'd say") e brani autografi.
Album ancora fresco, impeccabile, energico.
A Hard Road (1967)
Lasciato da Eric Clapton che se ne va a formare i Cream, John Mayall trova un più che degno sosituto nel favoloso Peter Green.
Di nuovo classici e molti brani nuovi (anche di Green).
La band rimane ovviamente sulle consuete coordinate, pur inasprendo il sound e guardando più al rock.
Crusade (1967)
Ancora un'eccellenza alla chitarra, questa volta il futuro - ancora 18enne - Stones, Mick Taylor (John McVie ancora al basso e il grande Keef Hartley alla batteria). Il sound si tinge di rock blues ma anche di funk jazz (lo strumentale firmato Mayall/Taylor "Snowy wood"), veloci boogie, intensi blues.
L'album fila dritto, la band viaggia alla perfezione.
Bare Wires (1968)
Un album quasi sperimentale, con una sorta di suite iniziale di oltre venti minuti, intermezzi jazz, un grande rock blues con il wah wah di Mick Taylor a fare magie in "I am a stranger" e i futuri Colosseum Jon Hiseman (stupendo alla batteria) e Dick Heckstall Smith al sax. Un disco particolare e molto intrigante.
Blues from Laurel Canyon (1968)
Rock blues crudo e ruvido, Mick Taylor alla chitarra (Peter Green ancora in un brano), lo sciamanico "Medicine Man" e tante altre grandi particolarità che rendono il lavoro davvero molto interessante.
Back to the roots (1971)
Con a fianco Eric Clapton, Mick Taylor, Larry Taylor dei Canned Heat, tra gli altri, sfodera un convincente doppio album di solido rock blues e numerose influenze soul e funk.
Jazz BLues Fusion (1972)
Registrato a fine del 1971 live in America tra Boston e New York, è perfettamente consono al titolo, con il blues come solida base ma un groove jazz a colorare il tutto con due assi come Larry Taylor al basso e Freddy Robinson alla chitarra. Disco bellissimo
Wake up call (1993)
Nel marasma di uscite successive al periodo d'oro spicca questo album in cui John si affida a un rock compatto e lineare, venato di blues,in cui ospita eccellenza come Mavis Staples, Buddy Guy, Albert Collins e il vecchio discepolo Mick Taylor. Niente di particolarmente eclatante ma l'ascolto è molto piacevole.
JOHN MAYALL ha avuto all'attivo 35 album in studio e 34 dal vivo, più varie compilation e 45 giri.
I lavori più significativi risalgono al periodo 60/70.
Successivamente è rimasto in un dignitoso ma ripetitivo limbo artistico.
La scelta è ovviamente opinabile ma vuole costituire una prima guida alla sua immensa discografia.
Blues Breakers with Eric Clapton (1966)
Il primo album, pietra miliare del British Blues, con Eric Clapton all'apice della forma (e il futuro Fleetwood Mac, John McVie, alla batteria), tra cover di classici ("Ramblin on my mind", "Parchman farm", "What I'd say") e brani autografi.
Album ancora fresco, impeccabile, energico.
A Hard Road (1967)
Lasciato da Eric Clapton che se ne va a formare i Cream, John Mayall trova un più che degno sosituto nel favoloso Peter Green.
Di nuovo classici e molti brani nuovi (anche di Green).
La band rimane ovviamente sulle consuete coordinate, pur inasprendo il sound e guardando più al rock.
Crusade (1967)
Ancora un'eccellenza alla chitarra, questa volta il futuro - ancora 18enne - Stones, Mick Taylor (John McVie ancora al basso e il grande Keef Hartley alla batteria). Il sound si tinge di rock blues ma anche di funk jazz (lo strumentale firmato Mayall/Taylor "Snowy wood"), veloci boogie, intensi blues.
L'album fila dritto, la band viaggia alla perfezione.
Bare Wires (1968)
Un album quasi sperimentale, con una sorta di suite iniziale di oltre venti minuti, intermezzi jazz, un grande rock blues con il wah wah di Mick Taylor a fare magie in "I am a stranger" e i futuri Colosseum Jon Hiseman (stupendo alla batteria) e Dick Heckstall Smith al sax. Un disco particolare e molto intrigante.
Blues from Laurel Canyon (1968)
Rock blues crudo e ruvido, Mick Taylor alla chitarra (Peter Green ancora in un brano), lo sciamanico "Medicine Man" e tante altre grandi particolarità che rendono il lavoro davvero molto interessante.
Back to the roots (1971)
Con a fianco Eric Clapton, Mick Taylor, Larry Taylor dei Canned Heat, tra gli altri, sfodera un convincente doppio album di solido rock blues e numerose influenze soul e funk.
Jazz BLues Fusion (1972)
Registrato a fine del 1971 live in America tra Boston e New York, è perfettamente consono al titolo, con il blues come solida base ma un groove jazz a colorare il tutto con due assi come Larry Taylor al basso e Freddy Robinson alla chitarra. Disco bellissimo
Wake up call (1993)
Nel marasma di uscite successive al periodo d'oro spicca questo album in cui John si affida a un rock compatto e lineare, venato di blues,in cui ospita eccellenza come Mavis Staples, Buddy Guy, Albert Collins e il vecchio discepolo Mick Taylor. Niente di particolarmente eclatante ma l'ascolto è molto piacevole.
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giovedì, giugno 27, 2024
Jerry Lee Lewis
Speciale JERRY LEE LEWIS.
Il Killer del rock 'n' roll è famoso per il suo grande stile pianistico, la vita spericolata, i vari scandali e una serie di hit seminali nella storia del rock, da "Great balls of fire" a "Whole lotta shakin goin' on" e "Breathless".
Di seguito una serie di album consigliati per approfondire meglio la sua discografia (a scelta una compilation con le prime hit è comunque obbligatoria). Live at the Star Club, Hamburg (1964)
Frequentemente annoverato tra i migliori live di sempre, accompagnato dai Nashville Teens, spara una serie di classici con una potenza, un groove infuocato, un'attitudine proto punk incredibile.
"Money" è da brividi, "Great balls of fire" e "Long Tall Sally" sbancano tutto.
Suoni crudi, registrati con particolare cura, restituiscono l'atmosfera di un live dei tempi nel mitico club in cui si fecero le ossa i Beatles.
Memphis Beat (1966)
Mentre ovunque la musica sta passando dal beat alla psichedelia e alla sperimentazione, dopo un periodo dedicato al country, Jerry torna alle sue radici e confenziona un signor album, pieno di groove e ritmo.
Ci sono rock 'n' roll, blues, country e rhythm and blues ("Halleluja I love her so" e "Big boss man" ad esempio).
The Session...Recorded in London with Great Artists (1973)
Un album londinese, registrato, come disse con un certo spaesamento Jerry, con "ragazzi con i capelli lunghi intorno a me".
Ovvero Rory Gallagher, Peter Frampton, Albert Lee, Alvin Lee, Kenney Jones, Gary Wright, Matthew Fisher dei Procol Harum, Klaus Voormann.
Un lavoro gradevole, più che altro curioso, visto l'ibrido tra un eroe del rock n roll e i nuovi adepti, senza dover annotare particolari momenti di eccellenza.
Last Man Standing (2006)
Mean Old Man (2010)
Rock & Roll Time (2014)
Gli ultimi album della carriera sono un tributo alla sua storia, affiancato dai grandi del rock, tra classici, duetti e rivisitazioni.
Rock 'n' roll, blues e country, tanta energia e interpretazioini sempre gustose.
Spiccano "Rock n Roll" dei Led Zeppelin (con Jimmy Page) in chiave boogie n roll, "Pink Cadillac" con Bruce Springsteen, "Dead flowers" con Mick Jagger.
Tra gli ospiti Mick Jagger, Keith Richrads, Ringo Starr, Ron Wood, Little Richard, Jimmy Page, Eric Clapton, BB King, Neil Young, Robbie Robertson, John Fogerty, Rod Stewart e altri.
Tre album prevedibili (ma non troppo) ma di grande classe.
Il Killer del rock 'n' roll è famoso per il suo grande stile pianistico, la vita spericolata, i vari scandali e una serie di hit seminali nella storia del rock, da "Great balls of fire" a "Whole lotta shakin goin' on" e "Breathless".
Di seguito una serie di album consigliati per approfondire meglio la sua discografia (a scelta una compilation con le prime hit è comunque obbligatoria). Live at the Star Club, Hamburg (1964)
Frequentemente annoverato tra i migliori live di sempre, accompagnato dai Nashville Teens, spara una serie di classici con una potenza, un groove infuocato, un'attitudine proto punk incredibile.
"Money" è da brividi, "Great balls of fire" e "Long Tall Sally" sbancano tutto.
Suoni crudi, registrati con particolare cura, restituiscono l'atmosfera di un live dei tempi nel mitico club in cui si fecero le ossa i Beatles.
Memphis Beat (1966)
Mentre ovunque la musica sta passando dal beat alla psichedelia e alla sperimentazione, dopo un periodo dedicato al country, Jerry torna alle sue radici e confenziona un signor album, pieno di groove e ritmo.
Ci sono rock 'n' roll, blues, country e rhythm and blues ("Halleluja I love her so" e "Big boss man" ad esempio).
The Session...Recorded in London with Great Artists (1973)
Un album londinese, registrato, come disse con un certo spaesamento Jerry, con "ragazzi con i capelli lunghi intorno a me".
Ovvero Rory Gallagher, Peter Frampton, Albert Lee, Alvin Lee, Kenney Jones, Gary Wright, Matthew Fisher dei Procol Harum, Klaus Voormann.
Un lavoro gradevole, più che altro curioso, visto l'ibrido tra un eroe del rock n roll e i nuovi adepti, senza dover annotare particolari momenti di eccellenza.
Last Man Standing (2006)
Mean Old Man (2010)
Rock & Roll Time (2014)
Gli ultimi album della carriera sono un tributo alla sua storia, affiancato dai grandi del rock, tra classici, duetti e rivisitazioni.
Rock 'n' roll, blues e country, tanta energia e interpretazioini sempre gustose.
Spiccano "Rock n Roll" dei Led Zeppelin (con Jimmy Page) in chiave boogie n roll, "Pink Cadillac" con Bruce Springsteen, "Dead flowers" con Mick Jagger.
Tra gli ospiti Mick Jagger, Keith Richrads, Ringo Starr, Ron Wood, Little Richard, Jimmy Page, Eric Clapton, BB King, Neil Young, Robbie Robertson, John Fogerty, Rod Stewart e altri.
Tre album prevedibili (ma non troppo) ma di grande classe.
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Get Back
lunedì, aprile 29, 2024
The Skids
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale The SKIDS.
Scared to dance (1979)
La grande band scozzese esordì nel 1979 con questo album in cui condensava un'anima ancora legata al punk con istanze new wave, brani dall'impostazione epica e declamatoria e una personalità enorme.
Un vero gioiello in cui spiccano brani come "Into the valley" (diventato poi inno dei tifosi del Dunfermline Athletic - città natale della band - e del Charlton Athletic), "Saints are coming" (ripresa dai Green Day e dagli U2), "Hope and glory".
Days in Europa (1980)
The absolute game (1980)
Non particolarmente riuscito "Days in Europa", in bilico tra la conferma delle influenze precedenti e il tentatvo di spingersi oltre, rimane un lavoro incerto e incompiuto.
Meglio "The absolute game" più a fuoco con un ritorno al sound del primo album con influenze melodiche e compositive talvolta non lontane dai Clash.
Entrambi gli album ebbero fastidiose controversie a causa di (malcapitati e superficiali) riferimenti al nazismo.
Nel primo la copertina originale aveva un disegno di una premiazione riferita alle Olimpiadi svoltesi nella Germania nazista del 1936.
Fu subito cambiata dopo una serie di proteste.
Che interessarono anche la title track che parlava, in modo oscuro, di "salmi ariani" e aveva altre frasi piuttosto ambigue. Il secondo venne accompagnato da un ep dal titoli "Strenght trough joy" (slogan nazista) e anche in questo caso subito mandato fuori commercio.
Il tutto unito dal logo della band con le due S del nome che riproducono il logo delle SS.
I musicisti hanno sempre ovviamente smentito ogni connessione.
Joy (1981)
Stuart Adamson lascia il gruppo e va a formare i Big Country con cui troverà un grande successo e notorietà. Si suiciderà nel 2001.
La band, prima di sciogliersi, pubblica un lavoro più orientato verso il folk scozzese, pur se filtrato con suoni post wave, in un risultato piuttosto sconclusionato e decisamente poco riuscito.
La band si riunirà nel 2017 con il solo Richard Jobson e l'aiuto di Bruce Watson ex sodale di Stuart Adamson nei Big Country.
Incideranno il discreto pur se anonimo "Burning cities" (prodotto da Youth), molto duro e aggressivo, "Songs from a Haunted Ballroom", disco di cover di Clash, Sex Pistols, Stooges, Ultravox! e altri, piuttosto inutile e il recente "Destination Düsseldorf" (con un ottimo brano, la title track, scritto dall'ex Stranglers Hugh Cornwell), energico e ben fatto.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale The SKIDS.
Scared to dance (1979)
La grande band scozzese esordì nel 1979 con questo album in cui condensava un'anima ancora legata al punk con istanze new wave, brani dall'impostazione epica e declamatoria e una personalità enorme.
Un vero gioiello in cui spiccano brani come "Into the valley" (diventato poi inno dei tifosi del Dunfermline Athletic - città natale della band - e del Charlton Athletic), "Saints are coming" (ripresa dai Green Day e dagli U2), "Hope and glory".
Days in Europa (1980)
The absolute game (1980)
Non particolarmente riuscito "Days in Europa", in bilico tra la conferma delle influenze precedenti e il tentatvo di spingersi oltre, rimane un lavoro incerto e incompiuto.
Meglio "The absolute game" più a fuoco con un ritorno al sound del primo album con influenze melodiche e compositive talvolta non lontane dai Clash.
Entrambi gli album ebbero fastidiose controversie a causa di (malcapitati e superficiali) riferimenti al nazismo.
Nel primo la copertina originale aveva un disegno di una premiazione riferita alle Olimpiadi svoltesi nella Germania nazista del 1936.
Fu subito cambiata dopo una serie di proteste.
Che interessarono anche la title track che parlava, in modo oscuro, di "salmi ariani" e aveva altre frasi piuttosto ambigue. Il secondo venne accompagnato da un ep dal titoli "Strenght trough joy" (slogan nazista) e anche in questo caso subito mandato fuori commercio.
Il tutto unito dal logo della band con le due S del nome che riproducono il logo delle SS.
I musicisti hanno sempre ovviamente smentito ogni connessione.
Joy (1981)
Stuart Adamson lascia il gruppo e va a formare i Big Country con cui troverà un grande successo e notorietà. Si suiciderà nel 2001.
La band, prima di sciogliersi, pubblica un lavoro più orientato verso il folk scozzese, pur se filtrato con suoni post wave, in un risultato piuttosto sconclusionato e decisamente poco riuscito.
La band si riunirà nel 2017 con il solo Richard Jobson e l'aiuto di Bruce Watson ex sodale di Stuart Adamson nei Big Country.
Incideranno il discreto pur se anonimo "Burning cities" (prodotto da Youth), molto duro e aggressivo, "Songs from a Haunted Ballroom", disco di cover di Clash, Sex Pistols, Stooges, Ultravox! e altri, piuttosto inutile e il recente "Destination Düsseldorf" (con un ottimo brano, la title track, scritto dall'ex Stranglers Hugh Cornwell), energico e ben fatto.
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giovedì, marzo 28, 2024
Eugenio Finardi
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale EUGENIO FINARDI
Non gettate alcun oggetto dai finestrini (1975)
L'esordio non ancora perfettamente a fuoco: canzone d'autore, rock duro, sperimentazione, jazz rock, musicisti eccelsi come Hugh Bullen al basso, Walter Calloni alla batteria, Lucio "Violino" Fabbri al violino e il sottovalutato Alberto Camerini alla chitarra.
Testi duri e diretti contro capitalismo, servizio militare, padroni (il classico popolare "Saluteremo il signor padrone"). Compone la ballata "La storia della mente" con Claudio Rocchi e a collaborare c'è anche Franc Jonia (Franco Battiato sotto falso nome). Sugo (1976)
Diesel (1977)
Due gioielli di rara bellezza e spessore, tra le migliori espressioni ("Sugo" in particolare) del rock italiano anni Settanta (ma non solo).
Nel primo brani immortali come "Musica ribelle", "La radio", "La CIA", il jazz rock di "Quasar", il rock rabbioso di "Soldi", l'intimismo di "Oggi ho imparato a volare".
La band è anora una volta eccelsa con Lucio Fabbri, Alberto Camerini, Hugh Bullen e Walter Calloni, oltre a Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani degli Area e Claudio Pascoli (Battisti, PFM, Fossati, poi De André etc).
"Diesel" compie un passo in avanti. Prodotto da Paolo Tofani, ripropone la line up del precedente lavoro.
Il sound è più vario, dal rock diretto di "Tutto subito" a elementi jazz rock (la lunga "Non diventare grande mai" con la chitarra di Tofani a fare faville).
Testi di grande livello che vanno da analisi del convulso periodo "rivoluzionario" all'uso dell'eroina, ormai piaga sociale, la famosa "Scimmia", la guerra in Vietnam ("Giai phong"), il sistema scolastico ("Scuola"). Su tutto la stupenda ballata "Non è nel cuore".
Blitz (1978)
Roccando e rollando (1979)
Piuttosto criticati ai tempi, con l'imputazione di un disimpegno e allegerimento. In realtà Finardi mantiene saldo il legame con la realtà circostante, pur concedendosi a sonorità più easy (soprattutto in "Roccando e rollando") e ottenendo successo (e Festivalbar) con "Extraterrestre" nel primo e "15 bambini" nel secondo (album più debole e meno incisivo).
La carriera di Finardi prosegue con album sempre di buon livello, ricchi di spunti e volontà di sperimentare e cambiare, collaborando spesso con altri artisti e addentrandosi in vari generi musicali.
Anima Blues (2005)
Da sempre innamorato di blues e rock n roll, sforna un album (e un progetto che lo porterà in giro in Italia per oltre 100 concerti) a base di puro (rock) blues.
11 brani suoi, una cover di W.Dixon “Spoonful”, il mago dell’Hammond Pippo Guarnera al fianco, un tiro invidiabile, groove e anima da vendere.
Fibrillante (2014)
Dieci nuovi brani composti da Eugenio (con Giovanni “Giuvazza” Maggiore), coprodotti con Max Casacci dei Subsonica e che si avvale delle collaborazioni di Manuel Agnelli, Patrizio Fariselli degli Area, l’ex PFM Vittorio Cosma, alcuni dei Perturbazione.
Un ritorno duro, in cui Finardi impugna i problemi quotidiani con il piglio battagliero di sempre, sferza, picchia forte e diretto.
Lo ha definito un ”album di lotta” e quello è.
In ogni brano c’è un’attualità spiazzante, storie quotidiane, disoccupazione, liberismo che uccide, separazioni (la minimale “Storia di Franco”, algido e aspro ritratto di una condizione di tanti).
Il tutto coronato da un sound moderno e fresco, rock cantautorale di primissima qualità (bellissimo il 60’s folk quasi jingle jangle della title track), espliciti riferimenti sonori agli esordi ma espresso con una maturità, un piglio autorevole di chi ha fatto la storia e si ripresenta a muso duro, senza paura e con una classe comune a pochi.
Disco commovente, che prende alla gola e mette in un colpo solo in riga migliaia di arroganti “nuove leve”.
Brani spesso severi e rigorosi ma anche pieni di anima, energia, tranquilla determinazione.
Rimane infine da annotare quella che è forse la particolarità principale del disco: la voce.
Inconfondibile, riconoscibilissima, di Eugenio, che canta, parla, declama, ferma, minacciosa, autorevole, BELLA.
La classe, la maturità, l’esperienza di un GRANDE della musica, perfettamente mixata con la freschezza della generazione “rock” successiva, ammantata da un sound attuale.
Un capolavoro destinato a rimanere.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale EUGENIO FINARDI
Non gettate alcun oggetto dai finestrini (1975)
L'esordio non ancora perfettamente a fuoco: canzone d'autore, rock duro, sperimentazione, jazz rock, musicisti eccelsi come Hugh Bullen al basso, Walter Calloni alla batteria, Lucio "Violino" Fabbri al violino e il sottovalutato Alberto Camerini alla chitarra.
Testi duri e diretti contro capitalismo, servizio militare, padroni (il classico popolare "Saluteremo il signor padrone"). Compone la ballata "La storia della mente" con Claudio Rocchi e a collaborare c'è anche Franc Jonia (Franco Battiato sotto falso nome). Sugo (1976)
Diesel (1977)
Due gioielli di rara bellezza e spessore, tra le migliori espressioni ("Sugo" in particolare) del rock italiano anni Settanta (ma non solo).
Nel primo brani immortali come "Musica ribelle", "La radio", "La CIA", il jazz rock di "Quasar", il rock rabbioso di "Soldi", l'intimismo di "Oggi ho imparato a volare".
La band è anora una volta eccelsa con Lucio Fabbri, Alberto Camerini, Hugh Bullen e Walter Calloni, oltre a Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani degli Area e Claudio Pascoli (Battisti, PFM, Fossati, poi De André etc).
"Diesel" compie un passo in avanti. Prodotto da Paolo Tofani, ripropone la line up del precedente lavoro.
Il sound è più vario, dal rock diretto di "Tutto subito" a elementi jazz rock (la lunga "Non diventare grande mai" con la chitarra di Tofani a fare faville).
Testi di grande livello che vanno da analisi del convulso periodo "rivoluzionario" all'uso dell'eroina, ormai piaga sociale, la famosa "Scimmia", la guerra in Vietnam ("Giai phong"), il sistema scolastico ("Scuola"). Su tutto la stupenda ballata "Non è nel cuore".
Blitz (1978)
Roccando e rollando (1979)
Piuttosto criticati ai tempi, con l'imputazione di un disimpegno e allegerimento. In realtà Finardi mantiene saldo il legame con la realtà circostante, pur concedendosi a sonorità più easy (soprattutto in "Roccando e rollando") e ottenendo successo (e Festivalbar) con "Extraterrestre" nel primo e "15 bambini" nel secondo (album più debole e meno incisivo).
La carriera di Finardi prosegue con album sempre di buon livello, ricchi di spunti e volontà di sperimentare e cambiare, collaborando spesso con altri artisti e addentrandosi in vari generi musicali.
Anima Blues (2005)
Da sempre innamorato di blues e rock n roll, sforna un album (e un progetto che lo porterà in giro in Italia per oltre 100 concerti) a base di puro (rock) blues.
11 brani suoi, una cover di W.Dixon “Spoonful”, il mago dell’Hammond Pippo Guarnera al fianco, un tiro invidiabile, groove e anima da vendere.
Fibrillante (2014)
Dieci nuovi brani composti da Eugenio (con Giovanni “Giuvazza” Maggiore), coprodotti con Max Casacci dei Subsonica e che si avvale delle collaborazioni di Manuel Agnelli, Patrizio Fariselli degli Area, l’ex PFM Vittorio Cosma, alcuni dei Perturbazione.
Un ritorno duro, in cui Finardi impugna i problemi quotidiani con il piglio battagliero di sempre, sferza, picchia forte e diretto.
Lo ha definito un ”album di lotta” e quello è.
In ogni brano c’è un’attualità spiazzante, storie quotidiane, disoccupazione, liberismo che uccide, separazioni (la minimale “Storia di Franco”, algido e aspro ritratto di una condizione di tanti).
Il tutto coronato da un sound moderno e fresco, rock cantautorale di primissima qualità (bellissimo il 60’s folk quasi jingle jangle della title track), espliciti riferimenti sonori agli esordi ma espresso con una maturità, un piglio autorevole di chi ha fatto la storia e si ripresenta a muso duro, senza paura e con una classe comune a pochi.
Disco commovente, che prende alla gola e mette in un colpo solo in riga migliaia di arroganti “nuove leve”.
Brani spesso severi e rigorosi ma anche pieni di anima, energia, tranquilla determinazione.
Rimane infine da annotare quella che è forse la particolarità principale del disco: la voce.
Inconfondibile, riconoscibilissima, di Eugenio, che canta, parla, declama, ferma, minacciosa, autorevole, BELLA.
La classe, la maturità, l’esperienza di un GRANDE della musica, perfettamente mixata con la freschezza della generazione “rock” successiva, ammantata da un sound attuale.
Un capolavoro destinato a rimanere.
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mercoledì, febbraio 28, 2024
The Staple Singers
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
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Speciale STAPLE SINGERS
Difficile scegliere i migliori album della lunga discografia di Roebuck "Pops" Staples e figli/e Cleotha, Pervis, Mavis, Yvonne.
Alcuni titoli sono però particolarmente significativi.
Uncloudy Day (1959)
Will the Circle Be Unbroken (1960)
Gli esordi gospel blues, voci e chitarra o poco più.
Basici, crudi, intensissimi.
Bob Dylan parlò della favolosa Uncloudy Day nella loro versione:
"Era la cosa più misteriosa che avessi mai sentito... ci pensavo anche sul banco di scuola... Mavis sembrava avere più o meno la mia età nella foto di copertina. Il suo canto mi ha semplicemente messo fuori combattimento. E Mavis era una grande cantante, profonda e misteriosa. E anche in giovane età, sentivo che la vita stessa era un mistero."
This land (1963)
La band mantiene la matrice gospel ma introduce nuovi elementi sonori, folk e country, coverizza "Blowin in the wind" di Dylan e "This land" di Woody Guthrie. Il sound è più ricco e raffinato e guadagna in fruibilità.
Criticati per avere abbandonato le radici Roebuck "Pops" Staples commentò:
"Penso che sia tutto buon materiale. Penso che sia ora che l'intera nazione inizi ad ascoltare qualcosa che significhi qualcosa e pensi che questa terra appartiene a tutti. Se tutti la pensassero così avremmo Stati Uniti migliori. "
For What It's Worth (1967)
Uno degli album con maggiore forza espressiva della band in cui le influenze rock si mischiano al classico stile gospel. Il brano dei Buffalo Springfield che dà il titolo al disco è un picolo capolavoro, ma ci sono anche "Wade in the water", "If I had a Hammer" e tanto altro.
Be Altitude: Respect Yourself (1972)
Passati alla Stax, dopo un paio di album prodotti da Steve Cropper, passano nelle mani di Al Bell. Il sound è meno primitivo e basico, più soul e fruibile. Alle loro spalle la Muscle Shoals Rhythm Section e i Memphis Horn fanno faville in un infermale groove che permea ogni brano. "Respect yourself" è irresistibile, "I'll take you there" li porta al primo posto delle charts (pur rubando il riff iniziale a "The liquidator" di Harry J Allstars), il resto è esaltante e spesso non dissimile dalle coordinate care a Aretha Franklin.
Let's do it again (1975)
Fuggiti dalla bancarotta della Stax approdano alla Custom di Curtis Mayfield che compone, suona la chitarra e produce l'album, colonna sonora dell'omonimo film con Sidney Poitier.
Il connubio produce una miscela funk soul con la voce di Mavis Staple in primo piano e i classici cori gospel come perfetto contorno. La title track raggiunge il primo posto delle classifiche di Billboard e sarà l'ultimo successo della band.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale STAPLE SINGERS
Difficile scegliere i migliori album della lunga discografia di Roebuck "Pops" Staples e figli/e Cleotha, Pervis, Mavis, Yvonne.
Alcuni titoli sono però particolarmente significativi.
Uncloudy Day (1959)
Will the Circle Be Unbroken (1960)
Gli esordi gospel blues, voci e chitarra o poco più.
Basici, crudi, intensissimi.
Bob Dylan parlò della favolosa Uncloudy Day nella loro versione:
"Era la cosa più misteriosa che avessi mai sentito... ci pensavo anche sul banco di scuola... Mavis sembrava avere più o meno la mia età nella foto di copertina. Il suo canto mi ha semplicemente messo fuori combattimento. E Mavis era una grande cantante, profonda e misteriosa. E anche in giovane età, sentivo che la vita stessa era un mistero."
This land (1963)
La band mantiene la matrice gospel ma introduce nuovi elementi sonori, folk e country, coverizza "Blowin in the wind" di Dylan e "This land" di Woody Guthrie. Il sound è più ricco e raffinato e guadagna in fruibilità.
Criticati per avere abbandonato le radici Roebuck "Pops" Staples commentò:
"Penso che sia tutto buon materiale. Penso che sia ora che l'intera nazione inizi ad ascoltare qualcosa che significhi qualcosa e pensi che questa terra appartiene a tutti. Se tutti la pensassero così avremmo Stati Uniti migliori. "
For What It's Worth (1967)
Uno degli album con maggiore forza espressiva della band in cui le influenze rock si mischiano al classico stile gospel. Il brano dei Buffalo Springfield che dà il titolo al disco è un picolo capolavoro, ma ci sono anche "Wade in the water", "If I had a Hammer" e tanto altro.
Be Altitude: Respect Yourself (1972)
Passati alla Stax, dopo un paio di album prodotti da Steve Cropper, passano nelle mani di Al Bell. Il sound è meno primitivo e basico, più soul e fruibile. Alle loro spalle la Muscle Shoals Rhythm Section e i Memphis Horn fanno faville in un infermale groove che permea ogni brano. "Respect yourself" è irresistibile, "I'll take you there" li porta al primo posto delle charts (pur rubando il riff iniziale a "The liquidator" di Harry J Allstars), il resto è esaltante e spesso non dissimile dalle coordinate care a Aretha Franklin.
Let's do it again (1975)
Fuggiti dalla bancarotta della Stax approdano alla Custom di Curtis Mayfield che compone, suona la chitarra e produce l'album, colonna sonora dell'omonimo film con Sidney Poitier.
Il connubio produce una miscela funk soul con la voce di Mavis Staple in primo piano e i classici cori gospel come perfetto contorno. La title track raggiunge il primo posto delle classifiche di Billboard e sarà l'ultimo successo della band.
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martedì, gennaio 30, 2024
Mitch Ryder
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
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Speciale MITCH RYDER
Mitch Ryder and the Detroit Wheels
Take a ride - 1966
Breakout! - 1966
Sock It To Me - 1967
I tre album con i Detroit Wheels sono un concentrato di selvaggio rhythm and blues, "sound dei giovani poveri di Detroit", Rock 'n' roll, Rolling Stones, Pretty Things, Stax, con la voce di Mitch ruvidissima e cruda. In prevalenza troviamo cover di classici e di brani oscuri ma c'è energia da vendere e le reinterpretazioni sono semplicemente travolgenti. "All Mitch Ryder Hits!" raccoglie il meglio e il favoloso singolo "The devil with a blues dress on".
High-energy Motor City rock & roll.
Mitch Ryder – The Detroit / Memphis Experiment - 1969
Produce Steve Cropper, suonano i Booker T & the Mg's, canta una delle migliori voci soul. Il risultato è un torrido album rhythm and soul, buona parte del repertorio è composto dai We Three (Bettye Crutcher, Homer Banks, Raymond Jackson già compositori della hit diu Johnnie Taylor "Who’s Making Love”), le canzoni sono ritmate e dirette, con qualche vaga influenza psichedelica.
Detroit - Detroit - 1971
Ciò che rimane dei Detroit Wheels ovvero il solo batterista Johnny Badanjek torna, con la voce di Mitch Ryder con un album potentissimo tra rhythm and blues, blues, boogie, hard rock. Alla chitarra Steve Hunter (poi con Alice Cooper, Peter Gabriel e nel live di Lou Reed "Rock n roll animal"), W. Ron Cooke al basso (poi con i Sonic's Rendezvous di Fred Sonic Smith e Scott Asheton). C'è anche una cover molto particolare di "Rock n roll" dei Velvet Underground e tantissima energia.
Mitch Ryder - How I spent my vacation - 1978
Potentissimo, travolgente, diretto con brani pub rock, funk, rock blues, il quasi punk dell'introduttiva "Tough kid" ma anche momenti più delicati e introspettivi. Lavoro misconosciuto ma di alta qualità.
Take a ride - 1966
Breakout! - 1966
Sock It To Me - 1967
I tre album con i Detroit Wheels sono un concentrato di selvaggio rhythm and blues, "sound dei giovani poveri di Detroit", Rock 'n' roll, Rolling Stones, Pretty Things, Stax, con la voce di Mitch ruvidissima e cruda. In prevalenza troviamo cover di classici e di brani oscuri ma c'è energia da vendere e le reinterpretazioni sono semplicemente travolgenti. "All Mitch Ryder Hits!" raccoglie il meglio e il favoloso singolo "The devil with a blues dress on".
High-energy Motor City rock & roll.
Mitch Ryder – The Detroit / Memphis Experiment - 1969
Produce Steve Cropper, suonano i Booker T & the Mg's, canta una delle migliori voci soul. Il risultato è un torrido album rhythm and soul, buona parte del repertorio è composto dai We Three (Bettye Crutcher, Homer Banks, Raymond Jackson già compositori della hit diu Johnnie Taylor "Who’s Making Love”), le canzoni sono ritmate e dirette, con qualche vaga influenza psichedelica.
Detroit - Detroit - 1971
Ciò che rimane dei Detroit Wheels ovvero il solo batterista Johnny Badanjek torna, con la voce di Mitch Ryder con un album potentissimo tra rhythm and blues, blues, boogie, hard rock. Alla chitarra Steve Hunter (poi con Alice Cooper, Peter Gabriel e nel live di Lou Reed "Rock n roll animal"), W. Ron Cooke al basso (poi con i Sonic's Rendezvous di Fred Sonic Smith e Scott Asheton). C'è anche una cover molto particolare di "Rock n roll" dei Velvet Underground e tantissima energia.
Mitch Ryder - How I spent my vacation - 1978
Potentissimo, travolgente, diretto con brani pub rock, funk, rock blues, il quasi punk dell'introduttiva "Tough kid" ma anche momenti più delicati e introspettivi. Lavoro misconosciuto ma di alta qualità.
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