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sabato 2 maggio 2015

Intercapedine (tra me e me)

È trascorso un anno da che nonna, 91enne allora, afflitta, come sempre è stata, da immaginari complotti familiari ai suoi danni, ma sempre caparbia nel rompere gli equilibri altrui (e così anche i coglioni), veniva colta da un "leggero infarto", testuali parole da cardiologo ospedaliero. 
Di leggero a 90 anni ci sono solo le ossa, la pelle e il brodino, penso io. E invece.
A vederla, più che un piede mi sembrava avesse nella fossa il mezzo busto compreso. 
Da autonoma deambulante spaccaminchia era ora inerme non più autosufficiente, per quanto ancora spaccaminchia.
Un anno. 365 giorni, memorie brevi perdute, un trasferimento in presidio assistenziale, visite. 
Da allora, nonna è un highlander, senza spada, senza kilt, senza nemmeno lo sguardo vacuo di Cristopher Lambert. Le sono cresciuti capelli più folti di quando è entrata e ha scoperto il ginseng nella macchinetta per le bevande, quindi, presumo, i capelli le torneranno castani.
E credo taglierà la testa, a tutti, prima o poi, se non in un garage illuminato da luci blu al neon, almeno nella sala mensa della casa di riposo; con sommo disappunto dei 4 figli e dell'Inps.

lunedì 11 agosto 2014

tours

Si, viaggiare. Il last minute non tralascia nulla delle opzioni o nelle opzioni. O sulle. 
Questa cosa della lingua italiana che la devi saper scrivere sta diventando una crociata e,  suppongo, la settimana enigmistica ci avrà messo lo zampino. 
Si son svegliati tutti professoroni dall'invenzione dei social e dei tablet, manco avessero seminato crusca nelle accademie fino a 5 secondi prima di leggere le bacheche degli altri; è un bel titolo per un film. Le bacheche degli altri. 
Addirittura: le chat degli altri (ma questo non lo farei girare ad un regista francese, per dire).
La gita giornaliera ha fatto tappa, senza vendita di pentole, in due ospedali, tra infermieri, oss, dottori, assistenti sociali, purè di patate, minestrine e malati più o meno gravi. Ossigeno catetere flebo.
Mi sono affezionata alla signora Cloe che parla così piano e ogni volta chiede aiuto a uno degli altrui parenti/visitatori perchè deve uscire. A che ora passa il traghetto? Parte qui, vero? Lo dica, che io devo andarmene. Nonna invece è ossessionata dalle creature: i ragazzi. Non ce l'ha più la connessione spaziotemporale, perchè lo sa che io sono io ma credo di essere senza età nel suo mondo. Mi chiede se ho parlato con questo o quello e 50percento degli interessati fanno passi da decenni nell'aldilà. 
Lo dice anche l'oroscopo: prendi e parti, fa' un viaggio.

martedì 31 luglio 2012

piccole cose di felicità (mia)

il gatto delle nevi



arcodoppio, giusto un attimo

figuranti


il gatto alla frutta
il gatto divano



nascondino


l'insonnia dell'alba

atterra



la parmigiana di melanzane


cuore di pietra rosa carne

lunedì 19 marzo 2012

Promemoria

A san Giuseppe vanno le zeppole 
che lo fanno alto e imbottito di crema
senza scordare le ciliegie candite
perchè solo il dolce valeva la pena di accettare l'invito a pranzo, 
che è diventata cena.
Le raccomandazioni sono sprecate col cabaret in famiglia, 
di paste e di genere.
Io e sorella: "Babbo, tu non dovresti mangiarle, hai il diabete e sei cardiopatico."
Beh, voi allora non dovreste essere figlie mie, siete psicopatiche.
Occhei.

venerdì 20 gennaio 2012

sono rimasti in 1

Non è sempre stato così ma questo è il mio periodo revival o vintage, fate voi; sto riequilibrando le pieghe della psiche oltre che la flora batterica quindi devo pensare a Mimmo. 
Lo riempirei di randellate, più spesso che volentieri e non per punirlo ma perchè il suo lamento abbia una serie giustificazione. Non è sempre stato così, lui; c'erano anni che girava su un'auto blu scuro tipo questa per le strade del nord est ovest e centro Sardegna, schivando cinghiali e non capendo un emerito nulla della lingua sarda, ma con l'intento preciso di rimanere lì finchè non avesse compreso almeno un'intera frase. E alla fine ne parlò un dialetto molto bastardo.
Quell'auto lì, ad ogni modo, aveva un problema: i fari. Accesi. Sempre. In anticipo sui tempi, dico io.
Chiunque incrociasse nelle ore diurne, si prodigava nel mimargli il gesto che voleva dire solo una cosa: LE LUCI. 
Mimmo era uno serio, ma di spirito. Sollevava il braccio sinistro per fare intendere che aveva inteso e annuiva, aggiungendo Grazie, fatti i cazzi tuoi

sabato 24 dicembre 2011

la mezza cippa di Natale

C'era un piccolo presepe meccanico, da nonna,  fatto a casetta, con una chiave a molla e le statuine dentro: il bue, l'asino, Maria, Giuseppe e in mezzo, nascosto nella paglia, un neonato. 
Cioè a me non pareva proprio neonato, le proporzioni non sono mai state quelle giuste. 
Se caricavi la molla, bue e asinello muovevano la testa a destra e a sinistra, Maria vestita di azzurro si chinava in avanti verso il bimbo, che stava con le braccia aperte (già redentore, doveva saperlo che la vita è un giro), poi tornava su e toccava a Giuseppe. Che regolarmente, a metà canzone, si bloccava, tentennava un po', come avesse mal di schiena, e poi si ritrovava con la faccia a sfiorare la paglia; il bambino era stato furbo e non si era girato ancora ad accoglierlo, altrimenti avrebbe preso una capocciata. 
"Peppe, su! Peppe.." mio cugino ci stava delle ore a parlargli.
Sono passati quasi 40 anni, mia nonna continua ad addobbare l'albero allo stesso modo, tira fuori il presepe, glielo piazza davanti ma non ci pensa più a girare la chiavetta, anzi, a chiunque si avvicini, caccia un urlo e dice NO.
"Giuseppe è stanco. S'è fatt viecchio".

lunedì 11 luglio 2011

Tra-piantata

Dura un secondo la mancanza di questo buco nero di famiglia che ho
e che funziona al contrario;
mi ha sputata fuori come un seme di cocomero
estraneo al palato,
è stato un invito a mettere radici Altrove.

Nell'ultima stanza stava, quell'uomo gigantesco e scuro, seduto a gambe incrociate
con le spalle dritte
i capelli lucidi e bianchi di lampade al neon
come in certi uffici tristi da seminterrato
il viso nero e piatto senza tridimensione.
Aspetto da sempre che apra gli occhi.

Mio padre mi ha regalato un'intera batteria di pentole,
tutte senza coperchio.
"Quelli non ce li ho" ha detto.
Figurati io, papà. 
Per un secondo mi manchi ed è un secondo lunghissimo.

sabato 1 gennaio 2011

The cat is on the table

Che se uno dovesse decidere come trascorrere un sabato qualunque, andrebbe anche bene.
Invece è il primodigennaio duemilaundici e sto cercando di guardare un film da tipo 10 ore (e non è il Decalogo di Kieślowski) e vengo continuamente interrotta da quei tali cazzi che avvengono sempre il CapodiAnno.
C'è chi continua a spararsi petardi nel cortile condominiale con forte-fortissimo rimbombo e grosso-grosso disturbo per me. Neanche posso uscire sul balcone a urlargli di fare un pensierino sul luogo in cui dovrebbe infilarsene uno, perchè ahimè so chi è e quanto grosso è.
Ho spento apposta il telefono per non dover rispondere a nessun augurio indesiderato. 
Certi Buoni Anni da parte di ma chi? ma come? ma chi cazzo? sono fatti apposta per rimbalzarti la fortuna.
Poi se ne arriva mia sorella (santa donna, da cui non sono mai riuscita a trarre insegnamenti, se non per giocare e vincere a pinnacola) con la storia degli avanzi da finire, maddai è festa, non stare qui da sola..
Ma a me piace, soprattutto oggi.
Non sono sola. Stiamo facendo il ripasso dell'inglese.
Dai gatto, falle vedere..
Lui sa sempre dove posizionarsi.
Ora, finisco di vedere il film.

giovedì 23 dicembre 2010

Auguri e baci

Il mio Natale più bello fu nel 1983, quando l'addobbatissimo albero nano sul balcone prese fuoco per un corto circuito e papà pensò che l'incendio si poteva spegnere  con lo spumante.
Non me lo chiedo più perchè sono così, come non mi vedete.
E' di famiglia.
L'augurio più sincero che posso fare a quelli che qui leggono, per questi lunghi giorni di festazza, è di ridere, forte e bene, come me quella notte.
Può essere che ci siamo capiti?

giovedì 25 novembre 2010

sono entrata nel cuore

Il solito peggiore bar è sempre uguale.
Avevo la necessità di stare sola, in un luogo familiare.
Eppure é diverso.
Ho salutato i due proprietari, come sempre, ho ordinato una weiss piccola, come sempre, mi sono accomodata sullo sgabello alto, come sempre.
A sinistra il bancone é occupato dal solito avventore amico che mi ha guardato con l'aria di chi sa tutto, ma non ti dice niente. Mi abbraccia con forza che quasi mi stritola.
Un'ora. L'intervallo giusto per ridere di gusto con i brizzolati signori eleganti dell'angolo del solitario che mi hanno accolta, con strette di mani, le chiacchiere del dopo lavoro e qualche battuta sulla situazione politica. Sono di diritto entrata nel club, come un'amica che  non rivedi da tempo e l'appellativo serioso di Donna Lucia.
Ho scelto l'ora migliore e ancora vuota del casino dei mojto e degli spritz, quando ancora, se il proprietario (quello dei due più antipatico) parlando a voce alta dice "e secondo te, a uno che entra qui e mi dice: sai cosa sei tu?, io che gli devo rispondere?", ci si può permettere di suggerirgli  "uno Stronzo!" senza che ti sbatta fuori dal locale.
Gli avventori di lunga data non puoi mandarli via, sono il cuore del bar.

sabato 16 ottobre 2010

ultra suoni

Gomiti appoggiati al divano, gambe incrociate sul tappeto, testa china sul lato sinistro, capelli in autogestione riccia.
Rimedi ai pensieri sconclusionati:
sigaretta
musica
chiamare gatto
La maglietta sale lasciando scoperto l'addome, un punto attira l'attenzione. L'ombelico.
La mano libera si appoggia e scivola, ne traccia i contorni.
Rimedio: ricordi.
Torna indietro.

Il pane abbrustolito sulla stufa, il profumo dell'olio d'oliva e quello della pannocchia bollita.
Nonno girato di schiena che armeggia ai fornelli. Sta preparando le verdure ripiene.
Torna indietro.
La penombra nel caldo, il corridoio, le porte tutte chiuse tranne una, la luce di candela e i suoi occhi chiusi.
Torna indietro, ancora.. cerca, cerca..
L'acqua alta salata, le mani aggrappate al costume.
Torna indietro.
Ci deve essere da qualche parte un frammento della sua voce,  un pezzetto della sua pelle.
E' troppo forte la voglia di urlare fino a frantumare i vetri, quel rumore sì potrebbe spezzare il pianto.
L'ombelico.
Eccolo il ricordo, il punto d'incontro. Sta tutta lì la parte che univa.
Torna indietro.
La sua mano si accarezza il ventre abitato e sorride e canta.
Io sto dentro a nuotare e, non so perchè, vorrei poter ricordare quella canzone.