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E' una campagna apparentemente serena quella che scorre veloce dietro i finestrini dell'auto, mentre vai senza soffermarti troppo se non coda dell'occhio, sulle fughe di colori ed i quadri regolari dei campi. In realtà è soltanto apparenza, se ti fermassi a guardare meglio scorgeresti una sofferenza nascosta, poco appariscente, che tuttavia permea il territorio in maniera abbastanza uniforme. Dietro alla campagna rigogliosa della tarda estate, avverti, se vuoi interessarti davvero di come stanno le cose, un senso di mancanza e di deprivazione che si va facendo sempre più forte e pericolosa, una insoddisfazione sorda che incide sullo stato delle cose in profondità. C'è una siccità insistita che prosegue da mesi e l'acqua, che non arriva se non a scrosci inutili e violenti, comincia a mancare. Le stoppie dei frumenti e dei cereali a paglia corta, sono ormai sterili spuntoni che a malapena coprono campi seccagni nei quali la superficie si spacca dopo essersi ritorta e asciugata; quelli arati sono oramai privi completamente di umidità e non hanno avuto più la forza di far crescere che qualche raro stelo di erbe dure e filose.
Gli appezzamenti di mais che dovrebbero essere al loro massimo vigore, visti da lontano paiono distese di oro puro, ricchezza gioiosa, ma da vicino si mostrano gialli e secchi con qualche misera striatura di verde che sta ormai scomparendo. Le foglie avvizzite si sono accartocciate le une sulle altre e se le le penetri si spezzano scrocchiando come bende rinsecchite di mummie antiche che emanano sbuffi polverosi. Anche la piralide ha fatto poco danno nel cercare un poco di umidità nelle spighe quando ancora erano tenere e dolci. Lo sviluppo si è arrestato e sono rimaste piccole e stortagnole, di certo i chicchi radi e striminziti. Il vento che sfiora la coltura ne fa gemere i fusti che scricchiolano come chiedendo aiuto. In mezzo a qualche campo emerge qualche orgoglioso fusto di elianto, residuo evidentemente di una coltura precedente, che è rimasto inutile parassita a marcare la differenza di bisogno d'acqua, ma con una capocchietta piccola e insignificante, segno della perdita della vigoria dell'ibrido dei suoi genitori.
C'è invece qua e là, qualche campo di girasoli che tuttavia hanno perso la solare corona di petali gialli, cedendo la bellezza vana in favore di un abnorme disco centrale ormai carico e gremito di semi neri, ricchi di olio e sostanza, che stanno ancora gonfiando a dismisura. Loro hanno bisogno di poca acqua e si adattano anche a questo clima più difficile. Quest'anno poi, ci sono anche diversi campi di sorgo, molti di più che in passato, questi invece rigogliosi e forti mostrano con orgoglio una pannocchia apicale grassa e turgida, al massimo della sua possibilità. E' il cereale dell'Africa, abituato a vivere di poco o nulla, poco nutrimento, poca umidità, poca cura. Laggiù sopporta ogni genere di stenti, ma resiste e ce la fa quasi sempre ad arrivare a maturazione. Qui, non gli sembra vero di trovare quello che agli altri sembra misera micrania. Il pretenzioso e nobile frumento, il mais arrogante, faticano assai, devono avere tutto al meglio, se no è tutta una lamentela, non ce la fanno proprio, una fatica di vivere che li rende sempre più deboli e lamentosi, che pena. Loro no, sono abituati a farsi bastare il poco che c'è e a riuscire a sopravvivere quando gli altri faticano. Il girasole del lontano est che si fa bastare la poca umidità che trova e il nero sorgo africano a cui è sufficiente anche meno, abituato com'è a ben altra sofferenza.
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2 commenti:
un saluto per segnalart il mio passaggio ciao da pia
grazie mille del passaggio, ti aspetto ancora!
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