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mercoledì 23 dicembre 2015

Esogestazione di montagna

La scorsa settimana ho vissuto un'esperienza davvero bella ed intensa in montagna. Siamo partiti per la nostra camminata in un bosco addormentato, silenziosissimo, nessun altro escursionista in vista. Si respirava come sempre in questo periodo una sensazione di attesa: nel bosco tutto è pronto per l'arrivo della neve che ancora non c'è, gli alberi hanno lasciato cadere le loro foglie e protendono rami nudi verso il cielo chiedendo la loro coperta bianca, gli animali sono tutti in letargo, gli uccelli sono migrati, gli uomini hanno ultimato i lavori tagliando legna e mettendo a posto i sentieri. Siamo entrati nel bosco in punta di piedi, per terra foglie ricoperte di brina scintillante, il sole che piano piano saliva.
Usciti dal bosco, la vista si apriva sulla valle sottostante, io ho deciso di proseguire ancora, con Maddalena nel marsupio, così abbiamo avanzato. Il paesaggio era già spettacolare, ma ad ogni passo diventava più bello, dall'alto si vedeva bene come le montagne emergessero ai lati della valle e come il fiume l'avesse scavata nei secoli. Era facile immaginare come le montagne si fossero sollevate dal fondo e come poi il vento e il ghiaccio le avessero levigate, scalfite. I miei occhi si perdevano in quei corrugamenti, salite e discese, precipizi, pareti scoscese. Magnifico.
Abbiamo poi iniziato la salita alla cima, Monte Piastra, proseguendo lungo un pendio erboso tutto color oro per l'erba secca, tra sparuti abeti e larici. Quella che sembrava una facile camminata diventava una vera escursione, perchè il sentiero si faceva strettissimo, tutto in salita, un inerpicarsi lungo il lato della montagna. Faceva molto caldo pur essendo dicembre, il bosco iniziale era all'ombra quindi eravamo partiti vestiti di lana, ma nelle ore centrali del giorno camminare in salita sotto il sole era davvero caldo, come ad inzio autunno. La neve lontanissima, solo una spruzzata sulle cime più alte che via via sembravamo affiancare. Ho pensato di fermarmi e tornare indietro, ma mi sarebbe dispiaciuto molto aver fatto tutta quella salita senza arrivare in cima, così io e Maddalena siamo andate avanti, lei dormiva, io contavo i passi da un ometto di pietra all'altro, inseguendo le tacche bianche e rosse, sbuffando in salita. Ho trovato un gran mucchio di piume di pernice, belle, soffici, erano al lato del sentiero e le ho prese come un buon segno, mi emoziona sempre incontrare le tracce di un animale selvatico, ancora di più in quel momento perchè la sosta per raccoglierle mi ha ridato fiato e slancio.
Come spesso succede, a dare forma alle nostre giornate e in sostanza alle nostre vite, non sono tanto gli eventi che viviamo, ma il significato che diamo ad essi, la spiegazione ultima che li illumina, che dà loro un posto e un nome (yad va shem in ebraico). Quella camminata in montagna, per me e Maddalena, non è stata semplicemente una giornata di trekking, ma per belle, importanti coincidenze, è stato un evento che ci ha parlato anche di altro. Abbiamo camminato il 16 dicembre, esattamente 9 mesi dopo a quella che era la data presunta del parto, il 16 marzo (Maddalena è poi nata invece il 25 marzo): è ormai risaputo che alla gravidanza uterina ne corrisponde un'altra, altrettanto importante, quella extra-uterina o esogestazione, i primi 9 mesi del bambino dopo il parto, un tempo importantissimo e delicato per il suo sviluppo. Il bambino nasce veramente al mondo dopo 9+9 mesi, i suoi primi 9 mesi sulla terra sono un periodo intenso di sviluppo dell'attaccamento e del contatto con la mamma, questi primi 9 mesi sono caratterizzati da una forte simbiosi mamma-bambino, che è la naturale prosecuzione di quella uterina e come tali andrebbero vissuti. Per nascere ad un livello di autonomia simile agli altri cuccioli di mammifero, il neonato dovrebbe nascere dopo 18 mesi di gravidanza ma le dimensioni della sua testa sarebbero troppo grandi per il bacino di una mamma in stazione eretta, la nascita del piccolo umano avviene allora quando egli è ancora molto immaturo e parti del suo sviluppo fondamentale avvengono quando egli è già fuori dall'utero materno (qui letture interessanti sull'esogestazione). Maddalena festeggerà la fine della sua esogestazione il giorno di Natale (altra bella coincidenza!), ma è stato bello mentre camminavo ricordarmi di quel 16 marzo in cui avrebbe dovuto nascere ed essere lì a vivere un'altra avventura molto molto simile al parto, solo io e lei insieme.
La salita infatti è stata molto dura, mi sembrava non finire mai, avevo sulle spalle lo zaino da montagna e davanti il marsupio con Maddalena, come durante il parto credevo di non farcela ad arrivare e ogni passo (come allora ogni spinta) mi sembrava richiedere tutte le mie forze. Per  molte ore durante il nostro parto le ostetriche mi hanno incoraggiata, si vedeva già la testa di Maddalena e sembrava che dovesse nascere con la spinta successiva, invece non riusciva a passare, ogni spinta era un raccogliere tutte le forze per un risultato che sembrava non arrivare mai. Così durante la salita: vedevo gli ometti di pietra e ogni volta credevo che si trattasse dell'ometto finale, mi sforzavo di arrivare fin lì e allora vedevo altri ometti più avanti, segno che non eravamo ancora in cima. Come nel parto, l'arrivo in vetta è stato una liberazione, la fatica è scomparsa in un attimo per lasciare il posto solo alla commozione e ad una grande immensa fierezza per avercela fatta. Ricordo benissimo le prime parole che ho detto stringendo Maddalena al petto, accovacciata sul pavimento del nostro salotto dove è nata "ce l'abbiamo fatta, ce l'abbiamo fatta!!", le stesse parole le ho dette di nuovo a Maddalena una volta in cima, tolta dal marsupio, e lei con le sue piccole manine mi ha applaudita e ha sorriso. 9 mesi dopo, abbiamo fatto insieme un'altra grande impresa, io e lei, contando solo sulle nostre forze, ed è stato il modo perfetto di festeggiare i suoi primi 9 mesi sulla terra.
Dalla cima del monte Piastra, lo sguardo spazia dal Monviso alla valle Stura, alla Bisalta e a tutta la valle Gesso: siamo solo a quota 1832 slm ma non c'è limite allo sguardo e questo sicuramente ripaga di tutta la fatica fatta per salire, non ci si sazierebbe mai di osservare quelle montagne, cattedrali magnifiche, il posto in cui la mia anima si sente a casa.
Con questa esursione in montagna credo di avere mostrato a Maddalena che insieme possiamo grandi cose e soprattutto che una donna può fare tutto ciò che vuole, anche salire in cima ad una montagna, persino una bimba di 9 mesi come lei può farlo, esattamente come un alpinista uomo. E che nella vita, la soddisfazione più grande arriva dal scegliere di avere meno cose e più tempo. A me piace passarlo tra i monti, e spero che piacerà anche a lei sempre di più.
"L'uomo deve sognare per salvarsi" W.Bonatti


martedì 17 novembre 2015

Mi piacciono i larici

Mi piacciono i larici, perché ora che tutto è via via più brullo e desolante, loro rimangono a colorare il bosco, quasi sempre raggruppati, stretti insieme in una compatta macchia gialla tra gli alberi già senza foglie e i grigi pendii delle montagne. Mi piacciono i larici perché non temono la fine dell'autunno, perché si ostinano a portare armonia. Mi piacciono i larici per la loro resilienza e la loro creatività. Mi piacciono perchè sanno sfidare con la vita e l'allegria e resistere ai rami secchi. Grazie larici, insegnate anche a noi come essere segno visibile di buono, di trasformazione che non si arresta anche di fronte alle paure pù grandi.

lunedì 2 novembre 2015

D'amore, di morte e di altre sciocchezze

Le passeggiate nei boschi e al fiume sono tante, sono il modo migliore per rilassarmi, ritornare in armonia, connettermi a ciò che mi circonda e alla mia interiorità. Il tempo per scrivere invece è poco, tra tirocinio, laboratori all'università e esami da preparare. E Maddalena, che è sempre splendidamente in movimento e porta attorno a sè un'allegria contagiosa. La passeggiata di ieri però è stata particolare: sono giorni di nascite, con tanti bambini appena arrivati, anche se in questi giorni le ricorrenze ci ricordano invece la presenza della morte. Ieri abbiamo fatto una passeggiata in un sentiero chiamato "Via dei morti", perchè decenni fa era l'unica strada percorribile in inverno per portare i defunti dalla borgata di Pradeboni al cimitero più a valle. Questo bosco è pieno di suggestioni, oltre al suo nome particolare: poco dopo l'imbocco della strada sterrata ci sono i ruderi di una vecchia casa nel bosco, dove si dice vivesse una "strega" la cui casa fu bruciata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Proseguendo più avanti, si trova uno strano pilone votivo tra gli alberi, in un punto che sembra non particolarmente significativo, ma dove si trovano molte querce (in un bosco di castagni). Prima di arrivare al pilone, si trovano alcuni muretti a secco e alcuni ruderi che sembra appartenessero ad un antico accampamento gallico. Come se non bastasse, proprio su uno di questi muretti mia nonna paterna ha sempre raccontato di aver visto un grande serpente piumato...un bosco ricco di storie, misteri. Un bosco ora colorato di giallo, silenzioso e luminoso, un tappeto di foglie e ricci di castagno in terra, il lieve mormorare di un ruscello. Mi piacciono i boschi per la loro presenza antica, questo bosco in particolare sembra essere davvero un microcosmo di segni e racconti.
Ieri poi abbiamo incontrato un abitante speciale, inaspettato e raro: una salamandra gialla e nera tra le foglie, qualche metro più a monte del pilone votivo. Questo innocuo animaletto è stato per anni accusato di essere diabolico, cacciato e ucciso perchè considerato responsabile di fuochi nei boschi, come una creatura proveniente dall'inferno. Molte leggende raccontano che la salamadra sarebbe proprio un animale infernale perchè capace di vivere in mezzo al fuoco. In realtà, tutte queste storie sono false credenze e la piccola salamadra spesso si trovava in tronchi di legno messi a bruciare, dai quali saltava fuori per scappare, ma non era ovviamente lei ad originare il fuoco: se sembrava resistere alle fiamme per qualche momento, è solo grazie alla sostanza umida che ne ricopre la pelle.
A casa ho cercato a quali significati sia associata la salamandra, perchè incontri come questo lasciano sempre una sensazione particolare, di meraviglia e ascolto per ciò che la natura può e vuole insegnarci. La salamandra è associata alla trasformazione e alla resilienza. Si sposta sulla terra in modo sinuoso come se stesse nuotando, mostrandoci coma cambiare radicalmente modo di vivere, sia fisicamente che spiritualmente, muovendoci in modo fluido tra le difficoltà della vita quotidiana, anche a costo di sembrare strani e particolari rispetto agli altri animali. La salamandra è un animale che spesso vive nascosto e viene associato, come visto, al mondo del mistero. Ci invita ad accogliere la nostra parte più scura e ad evolvere, puntando sul nostro fuoco interiore. La salamandra ci invita a guardarci dentro e a trovare il nostro posto nel mondo, dialogando con gli elementi. Ci invita soprattutto ad accettare e ricercare il mutamento.
La natura ci chiama sempre al mutamento, particolarmente in questo momento dell'anno in cui tutto sembra trasformarsi, cambiare colore e forma. Non è un caso che la ricorrenza dei defunti o la festa celtica di Samhain (da cui quella di Halloween) siano proprio in questi giorni, simbolo dell'eterna trasformazione tra mondi diversi, tra i quali non c'è divisione netta. Il tema del passaggio mi ha sempre affascinata, ma non l'avevo capito a fondo finchè anche io non sono stata sul limitare di quella soglia, tra mondi diversi, con il parto di Maddalena, immersa nella trasformazione più radicale, cambiando pelle e identità per permettere il suo arrivo. Un momento straordinario e intenso, indescrivibile. Con il parto di Maddalena ho avuto ancora maggiore consapevolezza che siamo in un eterno fluire, che non esistono cesure ma semplicemente cambiamo forma, senza perdere la nostra Essenza. Una delle immagini più belle e forti che ricordo del viaggio in India è a Varanasi, accanto al ghat delle cremazioni brulicava la vita, a pochi metri di distanza dai roghi si impastavano e cuocevano chapati, si beveva chai, i bambini giocavano con una palla, si vendevano scodelle di argilla, i sarti lavoravano a vestiti scintillanti. Una profonda armonia, in cui la trasformazione della morte non era occultata, nascosta, temuta, ma le veniva dato un posto ed un ruolo preciso. Una morte con dignità, con lentezza, come quella del bosco che perde le foglie senza timore. Credo che la piccola salamandra sia venuta a trovarci per ricordarci questo, il potere della mutazione, la ruota infinita delle stagioni che possiamo soltanto assecondare e ascoltare con cuore aperto. Ed è stato ancora più bello, di sera leggere sull'agenda queste parole:
  Ascolta. 
 L'intelligenza del tuo cuore.
 Il suono del vento.
 Le voci di chi è ferito, di chi sta guarendo, degli amanti, di quelli che stanno partendo. 
Ascolta le parole che sono più difficili da ascoltare.
E ciò che rimane delle nostre paure più profonde. 
Ascolta l'ombra degli alberi rigogliosi. 
E il loro saluto, là. Nel fruscio delle foglie." 
Elena Brower

martedì 6 ottobre 2015

Lasciarsi accadere

Stamattina abbiamo approfittato di un giorno di congedo parentale per andare a fare una passeggiata tutti insieme sulle colline di Collalunga, verso Sant'Antonio di Boves. Negli scorsi giorni è caduta molta pioggia e il bosco ha riacquistato colori verdi brillanti, lasciando per ora poco spazio agli ocra e agli arancio dell'autunno, dopo un'estate torrida e secca. Ma il cambio di stagione c'è e si avverte da altri piccoli segnali: il canto delle castagne che cadono a terra, tonfi che danno ritmo al camminare e fanno risuonare il sottobosco. La nebbia oggi copriva la cima della Bisalta e delle altre montagne, rendendo tutto più ovattato e la luce più morbida.
Dopo aver camminato tra dei vigneti, sul crinale della collina, abbiamo incontrato nel bosco gli abiti antichi del progetto artistico "Radici nel bosco". Questi abiti vivranno qui per un anno, in mezzo agli alberi: sono arrivati il 20 agosto 2015 e qui resteranno esposti al vento, alla pioggia, alla neve, a tutti i movimenti del bosco. Colonizzati via via da piccoli insetti, da foglie cadute, dalle zampette curiose di chi si posa sui rami in cerca di riposo, gli abiti stanno diventano parte del bosco, vi si fondono, ne rendono visibile la vita nascosta.


Abbiamo osservato gli abiti, camminato piano tra gli alberi per avvicinarli, poi abbiamo proseguito lungo il sentiero. L'arte non è tale se non ci interpella, se non ci comunica qualcosa.  
Cosa, mi sono chiesta, mi dicono questi vestiti bianchi appesi tra i rami? Cosa possono insegnarmi?
Mi è subito venuto in mente che mi insegnavano il lasciar andare, il non attaccamento. L'impermanenza di tutte le cose e l'arte di distaccarci da ciò che è superfluo, l'abbandonare le nostre (mie) manie di controllo e di perfezione.
Ma non era questa la vera lezione di radici nel bosco, per me, oggi. In questi giorni sto riflettendo, meditando, su un concetto simile ma dalle diverse sfumature: non tanto, non solo, il lasciar andare ciò che non mi serve e che mi impedisce di vivere in pienezza e lentezza, ma sopratutto il lasciar accadere. Domenica mattina sono stata ad un seminario di yoga che aveva come titolo  "Seminario per la rinascita" in una manifestazione intitolata quest'anno Radici (coincidenza?). Abbiamo praticato delle asana, degli esercizi per riattivare il prana e declamato mantra di auto rafforzamento secondo l'insegnamento di Yogananda, praticato alcune serie di saluto al sole. Gli esercizi fisici erano intervallati da meditazioni con campane tibetane e olii essenziali come quello di cedro, lidsea, palmarosa, sandalo e incenso. Abbiamo provato a lasciar arrivare l'ispirazione, a fissare gli obiettivi dai quali volevamo ripartire, a delineare con più chiarezza cosa volevamo portare e donare al mondo. Mi sono venute in mente, durante le meditazioni, alcune ispirazioni molto forti, che però ho subito tentato di ricacciare, ritenendole troppo impegnative, stancanti. Allora sto meditando sul lasciare accadere, lasciare che i sogni e le ispirazioni arrivino, che parlino e suggeriscano, invece di schermarmi e allontanarli. Lasciare che le cose arrivino, rimanere aperti: anche se non è ancora il tempo giusto per realizzarle.  Lasciarsi essere, lasciarsi accadere.
Poco dopo aver trovato gli abiti nel bosco, mentre camminando pensavo proprio a queste parole, abbiamo trovato una foglia , appesa ad una ragnatela sottilissima, ondeggiava in mezzo al sentiero a circa un metro e mezzo di altezza. Si lasciava accadere, semplicemente. Era. Senza timore, volava.  
Gli abiti nel bosco si lasciano accadere, senza protezioni o confini, sono: lasciano che arrivi il nido, la rugiada. Non scappano, non lottano, ma stanno. Mettono appunto radici e lì si aprono a ciò che di meglio possono offrire, senza remore.

"Cos è l'esistenza? In fin dei conti dovremmo essere consapevoli che l'esistenza è - nel suo complesso- vivere in una succà*: in una precaria condizione protetta" Rabbino Benedetto Carucci Viterbi

* capanna eretta per la festa autunnale di Sukkot, in ricordo delle capanne costruite dal popolo ebraico durante l'esodo nel deserto. Sono capanne transitorie, con il tetto di canne di bambù, rami di palma o di sempreverdi, gambi di mais, strisce strette di legno grezzo.