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domenica 25 marzo 2012

Settimana mondiale dell'acqua 2012

[Deserto di Giudea,Israele]
Qui da noi l'acqua c'é in abbondanza, ed anche se non mancano a volte le tensioni tra l'uso agricolo di questa risorsa ed altri utilizzi possibili (es.invasi che si vorrebbero realizzare più a monte), qui l'acqua c'é tutto l'anno per tutti.
Non é così, come ben si sa, in tante altre zone del mondo.
In Israele, ad esempio, dove la maggior parte del territorio é arido e desertico, e l'acqua é così importante che maim é una parola al plurale (letteralm. "le acque") e anche il cielo si chiama shamaim (letteralmente "da la viene l'acqua").
[Masada,Israele]

In altre zone, il problema non é la scarsità d'acqua in sè, ma l'accesso all'acqua per le popolazioni più svantaggiate.
Ad esempio, nei grandi sobborghi urbani iper-affollati come slums e bidonvilles attorno alle metropoli del sud del mondo.
In Brasile, nella favela di Salvador de Bahia dov'ero nell'estate del 2006, l'acqua é scarsa benché piova molto e la zona sia fertile e umida.In favela non arriva l'acqua corrente (come non arrivano gli altri servizi pubblici) e le 100.000 persone che ci vivono devono convivere anche con la mancanza di fognature, oltre che con la scarsità di lavoro e di cibo.
[Novos Alagados, Bahia, Brasile]

[Novos Alagados, Bahia, Brasile]

[Novos Alagados, Bahia, Brasile]
Uno dei progetti a cui partecipavamo grazie al Kilombo era allora l'installazione e l'istruzione alla manutenzione di cisterne sui tetti della favela, per immagazzinare l'acqua piovana durante i numerosi acquazzoni e utilizzarla poi in casa.

[Novos Alagados, Bahia, Brasile]
A Biriwa, in Ghana, stessa situazione di zona fertile e rigogliosa, ma problematico l'accesso all'acqua per la popolazione.

[Biriwa, Ghana]
Noi compravamo l'acqua potabile in grandi sacchi in città (Cape Coast o Elmina), ogni sacco conteneva sacchettini da mezzo litro che usavamo giornalmente per bere, e ce li portavamo a Biriwa dove non c'erano grandi negozi o mercati.

[Biriwa,Ghana]
In Madagascar, la scorsa estate, la stessa constatazione:ci immaginiamo sempre l'acqua come un problema per le zone desertiche, in realtà é la gestione dell'acqua ad essere un disagio per la maggior parte del sud del mondo, sebbene ci siano fiumi, laghi e piogge abbondanti, questa risorsa non sempre arriva a tutti.

[Lac Tritriva, Antsirabe, Madagascar]

[Canale di Pangalanes,Madagascar]
In Madagascar, nella zona che abbiamo visitato noi (altipiani centrali e costa orientale), l'acqua c'é, ma ad esempio anche in una grande città come Fianar le interruzioni del servizio erano frequenti.

In città, mancavano poi le sia le fognature che lo smaltimento e la raccolta di rifiuti, e l'acqua, anche se abbondante, non era però potabile perché inquinata pesantemene.

[Manakara,Madagascar]

[Antsirabe,Madagascar]

[Antananarivo,Madagascar]

Questa settimana si é celebrata la settimana mondiale dell'acqua (il cui giorno ufficiale é il 22 marzo di ogni anno), noi siamo andati a vedere il film "The Well,voci d'acqua dall'Etiopia", un documentario realizzato nell'Oromia nel sud Etiopia per raccontare la gestione da parte della popolazione dei "pozzi cantanti".

Abbiamo ricevuto un piccolo cactus in cambio, che ora é sul davanzale della finestra e ci ricorda di sprecare meno acqua.

sabato 18 febbraio 2012

Intrecci

Ho finito di leggere qualche giorno fa un libro di bio-antropologia ambientale, e sto ora leggendo un reportages di viaggio attraverso vari continenti.
A questo ho aggiunto da venerdì scorso la frequenza ad un ciclo di conferenze per insegnanti, sull'Africa Nera e Mediterranea.
Un felice intreccio di temi, di diverse visioni sugli stessi argomenti.
Ad esempio, sto leggendo il libro 3 ans de voyage, "un récit en histoires et images" di un viaggio attraverso 25 paesi in tre anni, compiuto dagli autori Claire e Reno Marca.
Di loro ho già il libro "3 mesi di viaggio nell'isola rossa" (ve ne avevo parlato qui), quest'altro é come il primo denso di illustrazioni e schizzi ad acquerello, di fotografie, di impressioni di viaggio di questa giovane coppia francese.


Il loro viaggio si snoda da Parigi all'Africa, poi in Medio Oriente, Asia Centrale, Estremo Oriente, Australia e Nuova Zelanda, Russia, spostandosi solo con mezzi locali ed evitando l'aereo.

Impressioni di viaggio informali, di chi vede un paese per la prima volta e vi si muove con occhi aperti e sgranati attraverso i vari paesaggi, le varie usanze.

Sto leggendo ora le tappe africane del loro vagabondaggio.

Non può non venirmi in mente il Madagascar, e anche il Ghana, dove siamo stati:

le persone che abbiamo incontrato laggiù, le realtà rurali così diverse dalle nostre, i paesaggi di terra rossa, i sapori di cibi nuovi.

[Madagascar, Antsirabe]



Sto seguendo un corso di formazione sull'Africa organizzato dall'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia con cui avevo già seguito il corso di formazione sullo spazio post-sovietico.

La prima conferenza é stata molto interessante, sull'origine e lo sviluppo del colonialismo, con molti riferimenti anche alla tratta degli schiavi dal Ghana, proprio dai fortini sulla costa che abbiamo visitato nell'estate 2008.

Un appunto particolare che mi é rimasto impresso:dopo la tratta degli schiavi, che portò via dal continente circa 15 milioni di persone, l'Africa ha di sè una percezione di vuoto, di spazio disabitato.

Questo é l'opposto dell'impressione che abbiamo noi europei arrivandoci:l'Africa ci sembra iper-affollata da un'enorme massa di persone accalcate, e se questo é vero per tutte le metropoli africane, rimangono ampissimi spazi disabitati, a bassa densità di popolazione.

L'Africa ha di sè proprio un'immagine di vuoto da riempire, per questo ogni misura di riduzione delle nascite é mal accetta, ma vista.

Interessante come punto di vista.




Ho finito da poco il libro Armi, Acciaio e Malattie, che con un ampio excursus storico evidenzia le cause delle differenze di sviluppo tra Nord e Sud del mondo, e cosa abbia permesso una superiorità tecnico-militare a favore degli europei, che li ha portati all'espansione coloniale verso i popoli "neri".

L'autore individua queste cause remote in differenze ambientali e geografiche:in alcune zone del mondo c'erano maggiori piante ed animali domesticabili, il che favorì la sedentarizzazione e la nascita autonoma dell'agricoltura, con un anticipo di millenni su altre zone più svantaggiate a livello ambientale.

Dall'agricoltura discende poi un surplus alimentare, che permise in queste zone già avvantaggiate (es.Mezzaluna Fertile) che alcune caste di individui non dovessere lavorare la terra per mangiare, ma potessero invece dedicarsi alla scrittura, alla religione, alla "politica".

Queste caste, diventando via via più forti, diedero origine a sistemi di potere centralizzati, che a loro volta seppero promuovere innovazioni tecnologiche.

Le stesse caratteristiche ambientali favorevoli in partenza, permisero la trasmissione di queste tecnologie, scambi commerciali di nuove piante ed animali, in un circolo virtuoso.

Quindi i paesi in cui si sviluppò per prima l'agricoltura sono ancora ora i paesi più "avanzati", non per particolari superiorità o meriti della popolazione che vi risiede, ma per via di queste grandi differenze bio-ambientali di base (clima, durata delle stagioni, conformazione del suolo etc..)


[Ghana]


Coinvolgente leggere questo libro ed aver visto in Madagascar, Ghana o Brasile dove sono stata gli effetti di questi macro-sviluppi geopolitici, poterli approfondire per quel che riguarda l'Africa e rivederli con altri occhi ed altri immagini con Claire e Reno Marca.

Ecco che si sviluppano intrecci avvincenti di storie, viaggi, persone, che mi affascinano, anzi mi entusiasmano, ho studiato questi temi e potrei stare parlarne e sentirne raccontare per ore e ore.

Quanto ancora c'é da imparare e conoscere del mondo, quanto da sapere e trasmettere, quanti posti da visitare!


[Brasile, favela Novos Alagados di Salvador de Bahia]

domenica 24 aprile 2011

Una lunga bellissima storia:noi

[La rua della favela sotto casa mia a Salvador de Bahia]

Molte storie partono da lontano e, come scrive Gramellini in questo articolo, spesso tante parti della nostra vita ci paiono oscure mentre le viviamo, spiazzanti, eppure in fondo alla strada avranno anche loro un senso.
Si io credo che tutto quello che viviamo abbia un senso, tutto, che tutto serva a qualcosa, anche se lo sapremo solo alla fine e per buona parte del viaggio i passaggi e le concatenazioni ci sembreranno totalmente inspiegabili.
Spesso poi, ho visto che sono proprio questi momenti incomprensibili, faticosi, dolorosi, a dare il senso maggiore al tutto.
Questo argomento é molto delicato, perché facilmente si può scivolare in una giustificazione del male in quanto entità utile (ma questo é un altro argomento di cui non ho ancora sciolto del tutto la matassa e non so se mai riuscirò a farlo), eppure senza arrivare a tanto, ora guardandomi indietro dalla breve altezza di questi 26 anni, vedo che un senso c'é, anche e sopratutto dai momenti che non vanno bene o non come avevamo pensato.


[Pescatori della laguna di Bahia, Brasile]


Il 2006 fu un annus horribilis per me e per la mia famiglia, in cui tutta la vita che avevamo conosciuto negli anni precedenti saltò in aria (e molto deve ancora ricomporsi.)
Un anno brutto, brutto, quanto dolore, quanta sofferenza patita.
Nell'agosto di quell'anno andai un mese in Brasile nella Favela di Salvador de Bahia con altri ragazzi e ragazze per un progetto di volontariato.
Avevo sognato e immaginato di andare in Brasile da anni, anni in cui non sapevo quale fosse il senso della mia vita, verso cosa tendere:
mi attirava l'idea di una vita solitaria, magari anche come missionaria, mi esaltavo per esperienze all'estero e mi immaginavo a girare il mondo (e a salvarlo, anche, ero MOLTO idealista).
L'esperienza in Brasile fu invece molto difficile, piena di confusione, disillusioni sul progetto al quale partecipavamo, disillusioni sul ruolo del volontariato,un'enorme confusione a livello emotivo/sentimentale dal quale non riuscivo ad uscire, con continui "colpi di fulmine" che non sapevo gestire e ordinare dentro di me.
Intanto ero lontana da casa (ricordo di aver potuto telefonare a casa solo due volte in tutto il mese), in Israele c'era la guerra contro il Libano ed io ero preoccupata ma in favela non avevamo tv o giornali o internet per avere notizie.


[I piatti meravigliosi che preparava il papà della famiglia brasiliana che mi ospitava]


Ci furono anche momenti belli in quest'esperienza, con la famiglia brasiliana della favela che ospitava in casa me e la mia amica con un calore ed un' ospitalità che ancora ora mi commuovono.


In mezzo a tutto questo guazzabuglio di emozioni, trovai però un piccolo filo di Arianna, un pensiero che si fece via via più chiaro:


in quegli anni stavo vivendo esperienze molto forti, molto belle, stavo viaggiando molto, studiavo all'università, imparavo l'ebraico, giravo con tanti gruppi di amici, senza sosta.


Esperienze bellissime e arricchenti che però non avevano alcun senso se non avevo qualcuno a cui raccontarle, qualcuno con cui condividerle.


Quell'esperienza brasiliana che mentre la vivevo era carica di confusione, di enorme peso emotivo, mi spazzò invece pian piano dalla mente il mio grande dubbio:


no, non volevo essere una missionaria solitaria e giramondo, volevo avere qualcuno vicino a me, qualcuno che non avevo mai avuto.


Quell'esperienza andò completamente diversamente da come l'avevo immaginata e sperata, ma proprio per quello, proprio perché andò male, mi fece un gran bene.


[Con una bimba del progetto di volontariato a Bahia]


Tornata dal Brasile la situazione globale non era però migliorata, nè a casa mia nè in me:


proprio nel momento in cui mi rendevo conto che avevo bisogno di un ragazzo accanto a me, le illusioni che avevo coltivato con varie (sic ero davvero mal messa...) persone naufragarono tristemente.


Pochi giorni dopo, la mia amica Laura mi invitò a casa sua ad una cena, non avevo minimamente voglia di andare o di uscire, ma ci andai.


A quella cena c'erano molte persone che non conoscevo tra cui una che avevo conosciuto alcuni mesi prima e che detestavo profondamente:aveva i capelli rossi e si chiamava Simone.


Quella notte Simone mi mandò un messaggio per chiedermi se mi andava di incontrarlo un pomeriggio per parlare del Brasile.


Anche in questo caso non avevo assolutamente voglia di andarci, ma ero talmente sconfitta nei confronti della vita in sè che non avevo nulla da perdere, così ci andai, convinta di tornare a casa in mezz'ora massimo.


Invece tornai a casa dopo tre ore, sorpresa di avere trovato un ragazzo che detestavo e che non mi piaceva ma con il quale avevo parlato di me per tre ora di fila, raccontandogli con totale naturalezza cose che non avevo mai detto prima a nessuno.


A mio agio nel mostrare il bene ed il male in me, di me, senza finzioni, senza maschere alcune, tanto non avevo nulla da perdere.


Due anni dopo ero con quel ragazzo in Ghana per un'altra esperienza di volontariato e confermavo dentro di me che avevo avuto ragione in Brasile:


non ero fatta per vivere da solitaria, ma per costruire con qualcuno una famiglia.


In un pomeriggio in cui avevo la febbre ed eravamo al Biriwa Beach Hotel, io e Simone andammo a fare una passeggiata alla spiaggia sull'oceano sotto l'hotel.


Facemmo qualche foto stupida e parlammo a lungo, ci arrampicammo su alcuni scogli per cercare dei granchi.


Il cielo era come sempre carico di nuvole, l'umidità e la salsedine ci avvolgevano, il tramonto era imponente.


Anche per Simone il 2006 era stato un annus horribilis, per altri motivi, ma ugualmente molto dolorosi.


Ma nel 2008 eravamo in Ghana insieme, e quel pomeriggio ricordo che ci sedemmo a guardare le onde e parlammo, parlammo, parlammo, come quella prima volta in cui ci eravamo visti in Cuneo per parlare del Brasile.


Il cielo che ci circondava era questo, un gioco di luci, nuvoloni, di onde rabbiose dell'oceano.


E quel pomeriggio ci dicemmo che ci saremmo sposati, ricordo come fossero ora i colori del cielo in quel momento, l'aria calda ed umida dell'oceano, la sabbia tiepida, la sensazione di pace che mi avvolse, di calma, di profonda guarigione del cuore dopo tanto dolore.


Quest'autunno io e quel ragazzo con i capelli rossi ci sposeremo davvero, ma volevo ricordare questa storia che parte da tanto lontano, la storia che mi ha fatto incontrare il mio migliore compagno di viaggio, il primo, ultimo e solo ragazzo che ha visto tutto di me, in me, e nonostante questo non é scappato via ma mi ha preso per mano.


E quando guardo queste foto dell'oceano di Biriwa so che tutto ha un senso profondo, tutto, anche gli annus horribilis, perché se quell'anno non avessi perso davvero tutto non sarei mai stata pronta a ricominciare davvero tutto da capo.


Questo é uno dei tanti tasselli di puzzle che spiegano un po' perchè ora siamo felici di essere qui e perchè nuovi viaggi ed avventure ci aspettano insieme, in due :-)

sabato 12 febbraio 2011

Ho voglia di partire

Sarò la primavera che avanza, la stanchezza per il lavoro a scuola e l'idea che l'estate si faccia via via più vicina, ma sto iniziando a desiderare un nuovo viaggio estivo, che come negli ultimi anni mi regali un nuovo pezzo di mondo.
Nel 2004 in Israele, nel 2005 di nuovo Israele e poi alla GMG a Colonia, nel 2006 un mese in Brasile, nel 2007 a Berlino.
Mi riguardo le foto degli ultimi anni...
nel 2008 in Ghana a trovare Simone che lavorava lì nel piccolo ambulatorio per scrivere la tesi sulla malaria, a Biriwa, piccolo paesino sulla costa, affacciato sull'oceano con le sue onde gigantesche.

[In canoa fino al villaggio su palafitte di Nzulenzu]

Nell'estate 2009 in Israele [l'alba sulla città vecchia di Gerusalemme, il sole che spunta dietro il Monte degli ulivi, visto dal tetto dell'ostello dove dormivamo all'aperto]
[Il Mar Rosso e la barriera corallina di Eilat dove abbiamo nuotato e ci siamo immersi con i delfini]
[Hummus,pita e shakshuga]

Nel 2010 lo scorso anno, in Armenia sulla via degli antichi monasteri.


E quest'anno?
Io di idee ne ho un bel po', ho voglia di partire, ma io partirei sempre in qualsiasi momento, sono nata con una valigia in mano.
Immagino, spero e sogno di concretizzare.
Per il mio compleanno intanto mi sono regalata questo libro
e ieri sera sono stata alla presentazione di video e fotografie di una coppia di carissimi amici che sono stati in Ladak lo scorso anno.
Lunedì sera io e Simone siamo andati a casa dei nostri amici egittologi per una serata sull'Egitto e sulla turbolenta situazione politica attuale.
La voglia di viaggi, con tutte queste suggestioni, si fa pressante!
Vi lascio qualche spunto per dei viaggi interessanti
come questo di un giovane cuneese che sta viaggiando in bicicletta da solo da Sapporo a Noumea
e quest'altro di un gruppo di cuneesi che sta andando a piedi ad Aushwitz.
Mi ispira moltissimo anche questo sito e soprattutto questo itinerario in Grecia.

Voi sapete già dove andrete?
O dove sognate di andare?Quale viaggio fareste se potreste scegliere?
Sono curiosa!
Buon weekend!
Ps:grazie a tutti per gli auguri di buon compleanno!!! :-)

mercoledì 6 ottobre 2010

14 kilometri

I chilometri sono quelli che separano il Marocco dalla Spagna:
l'ultima tappa del viaggio odissea narrato nel film che abbiamo visto ieri sera.
Il film racconta infatti di tre giovani africani:
una ragazza di nome Violette, maliana, e due fratelli nigeriani, che decidono di tentare la sorte e di andarsene dall'Africa verso l'Europa.
Violette fugge da un matrimonio combinato con un uomo vecchio che ha abusato di lei da bambina, Buba invece é un buon giocatore di calcio e vorrebbe trovare posto in una squadra, convinto a partire dal fratello.
Il viaggio diventa però una storia di soprusi, la ragazza viene derubata e si ferma dapprima in un bordello, poi affronta un itinerario estenuante su un camion stracarico attraverso il Sahara, dove incontra i due fratelli.
Tutti e tre scendono dal camion per avviarsi a piedi ma sbagliano strada e si ritrovano a vagare nel deserto senz'acqua.
Il fratello di Buba muore e gli altri due vengono soccorsi da una tribù di beduini.
Lui e Violette comprano poi dei falsi passaporti in Mali, ma la ragazza viene arrestata dalle guardie di frontiera maliane all'ingresso in Algeria, finendo di nuovo a dover lavorare come prostituta.
Buba viene inseguito dalle guardie di frontiera algerine e marocchine, ogni volta rispedito indietro e costretto in una terra di nessuno.
Una continua catena di ingiustizie, truffe, violenze, di cui tutti sappiamo, dei rimpatri forzati, delle guardie di frontiera, dei viaggi dei "disperati" via mare, della marina che ostacola il loro approdo,ma vedere tutto questo narrato visivamente in un film colpisce molto di più di un semplice racconto di cronaca che anzi ci ha stufato e ci rende purtroppo indifferenti.
E non ho potuto fare a meno di pensare agli immigati africani che conosco, e che in un certo senso posso considerare amici:
le ragazze a cui mia mamma ha insegnato l'italiano, i bambini che ho seguito e seguo al doposcuola, o altre facce sconosciute che incontro ogni giorno nel mio paesino.
Tutto questo perché la loro storia del prima non la conosco:
non ce ne hanno mai parlato e noi non abbiamo mai chiesto, o se ci hanno raccontato é stato in un italiano frammentato misto ad un cattivo francese, di cui si capivano poco i nessi logici e le scansioni temporali.
Dietro ad ognuno di loro c'é una storia.
Posso immaginare come fosse il loro prima:l'ho visto in Ghana,anche se per un breve tempo, so da cosa possono scappare, dalla realtà di queste foto fatte nell'estate 2008.
E so cosa può essere l'adesso:lavori umili, disagio, mancanza di casa, un'integrazione che per quanto buona non é mai completa.
Quello che mi manca é il mentre, il mezzo, il viaggio con cui sono arrivati qui.
Questo film restituisce una forma alla parte centrale della storia:
al come siano arrivati qui.
Per questo lo consiglio, a chiunque sia in contatto con il prima e con il dopo:
a chi é appassionato di Africa e c'é stato, a chi qui si trova a dover lavorare a scuola, al centro migranti, in ospedale o in fabbrica con cittadini africani.
Io sono in entrambe le categorie, e credo proprio per questo che non possiamo ignorare la parte in mezzo, quella in cui purtroppo anche i nostri governi svolgono una (cattiva) parte:
14 kilometri possono essere pochi, ma possono essere anche lo spartiacque tra un prima e un dopo.