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lunedì 10 dicembre 2012
Priorità
Per un motivo o per un altro negli
ultimi anni il Natale mi ha colta alla sprovvista, facendomi ritrovare a pochi
giorni dall’arrivo della slitta con l’albero ancora nudo e intirizzito in
giardino e con la lista dei regali e dei to
do non solo non ancora scritta ma addirittura nemmeno concepita, trascinandomi
nello stesso stato d’ansia e di agitazione di quando la prof stava per
cominciare ad interrogare ed io, ben cosciente di andare incontro ad una pietosa
scena muta, sapevo anche di aver già esaurito le due miserissime
giustificazioni concesse per l’anno in corso. Praticamente un devastante
effetto countdown. Solo che un impreparato sul registro di Babbo Natale, quello
rilegato in cuoio rosso e custodito nei secoli da schiere di laboriosissimi
elfi, risulterebbe decisamente più umiliante di un tre all’interrogazione di
Diritto. Quest’anno ho quindi deciso di rientrare nei ranghi e se possibile di
provare anche a giocare la carta dell’anticipo, che tanto a far tardi sono
sempre in tempo, visto che pare io disponga di una certa dote in materia, cosa
che peraltro mal si addice ad una pissera precisina come la sottoscritta, ma
del resto la vita è piena di eccezioni. L’albero è già vestito di tutto punto
da giorni, quest’anno in una mise bianca e rossa che strapperebbe un sorriso
anche a Jack lo Squartatore, stracarico di lucine, meline che sembrano uscite
da Biancaneve e tredici tintinnanti campanelle, una per ciascuno dei Natali di
mia figlia, in attesa che a giorni arrivi la numero quattordici. I regali sono
già tutti in dirittura d’arrivo, compresi quelli provenienti da oltre oceano,
che avere gli agganci americani ogni tanto fa davvero comodo, soprattutto col
dollaro a uno e ventinove. Con la complicità della pulcina ci siamo pure
concesse il lusso di una mattinata intera di stamping, creando cartoncini d’auguri,
bigliettini e segnaposto, con il tavolo ingombro di inchiostri, timbri,
polverine, brillantini, nastri e taglierine di ogni tipo, vittime di favolosi
attacchi creativi che ci hanno fatto pensare solo a stelle e cuoricini, mentre,
a forza di soffiare, il glitter si depositava sul divano, sulle tende e persino
sulle orchidee, ma del resto un po’ di atmosfera scintillante fa bene anche al
resto della casa, anche se non credo che il Galletto abbia particolarmente
gradito la luminescenza che proveniva dalla sua felpa. La ghirlanda fa già
bella mostra di se sul portone e i biglietti d’auguri devono solo essere
spediti. E siamo solo al dieci dicembre. Ovviamente, il fatto che sulla
lavatrice ci sia una pila di panni da stirare che per arrivare all’ultimo devo
mettermi in punta di piedi, che entrambi gli stendini siano anch’essi
stracarichi e stazionino nel bel mezzo del soggiorno, che il cestone dei panni
sporchi stia iniziando a muoversi da solo, che con il solo uso dell’indice si
possano scrivere poesie o improperi, a seconda dell’umore, sul piano dei mobili
e che i pavimenti stiano assumendo una sospetta tonalità grigio topo, beh,
credo che sia puramente irrilevante. E’ solo una questione di priorità.
lunedì 3 dicembre 2012
Non è niente, ma
Alla fine sono riuscita a dare un senso a tutte quelle pigne amorevolmente
raccolte la scorsa estate lungo gli interminabili sentieri dei Nockberge.
Quelle che, non appena il galletto e la pulcina deviavano dal sentiero in cerca
di preziosi finferli e porcini, la sottoscritta si prodigava a raccogliere a
piene mani, riempiendo tasche e zaino di pigne di tutti i tipi, di rametti
assortiti ed in qualche occasione portandosi appresso anche qualche abitante
che non voleva traslocare, come quello sfacciatissimo ragnetto che una sera ritrovai
sotto la doccia con me. Quelle che in questi mesi sono state lasciate chiuse
nel buio di una busta sullo scaffale più alto del ripostiglio, sicure di essere
state dimenticate. Ma si sbagliavano, il progetto che le riguardava era nato
nella mia testa nel momento stesso in cui le avevo raccolte, bisognava soltanto
aspettare dicembre, e dieci minuti di tempo. Il mese adatto è arrivato ed
anche, miracolosamente, i dieci minuti, così ho tirato fuori due candele dorate
e luccicanti che avevo comprato tempo fa ad un mercatino e le ho circondate di
pigne, quelle lunghe e strette dell’abete rosso, quelle panciute del pino nero
e quelle piccolissime del larice, ancora attaccate al loro rametto, tutte nelle
loro calde sfumature del legno, semplici e nude, ancora profumate di bosco, bellissime.
Un lavorino da niente, roba davvero di pochi minuti, ma il solo guardarle mi
scalda il cuore, mi fa pensare al Natale dietro l’angolo ed a quei lontani
giorni di vacanza trascorsi nella natura incontaminata e silenziosa delle Alpi
austriache.
sabato 29 settembre 2012
La Gallina in Grigio
Che amo l'autunno non è certo una novità, ma stavolta ne sento davvero un'incredibile mancanza. Questa estate che si sta protraendo a dismisura mi ha stufata di brutto, e anche se c'è chi dice che tra un po' rimpiangeremo le mezze maniche, io so bene che non farò parte del gruppo e mi avvolgerò felice in sciarpe e piumini. Ho proprio voglia di vento, di golfini da abbottonare bene, di cielo che si tinge di viola all'ora di merenda, di freddi mattini nebbiosi e di quelle nuvole basse e sfilacciate che ricoprono le colline dietro casa mia quando ha piovuto da poco. I colori sono praticamente già stati banditi dal mio armadio, o meglio, in realtà sono ancora lì ma praticamente non li considero più, e getto sguardi laguidi solo ai grigi e ai marroncini, passando per il cipria, il tortora e il piombo. C'è poco da fare, la palette dei miei colori segue inesorabilmente le stagioni, e anche se la temperatura esterna suggerirebbe ancora canottiere lime e infradito turchesi, io sono gia' oltre e penso solo a stivali cacao e maglioncini carbone, al massimo un'ametista melange. Forse sono malata, una delle mie ennesime fissazioni, che come dice il Galletto ormai non si contano più. Vabbè, che male c'è, c'era la Signora in Rosso, potrà pur esserci la Gallina in Grigio. Così, me ne infischio dei quasi trenta gradi ed ho dichiarato i sandali già out, accontentandomi delle ballerine in attesa di poter rinnovare gli stivali. Ottobre e' gia' sul pianerottolo e non vedo l'ora di spalancargli la porta, sperando porti con se quelle giornate fresche e croccanti che adoro, quando il vento fa volare via miliardi di foglie in fiamme e le guance dei bimbi si arrossano come piccole mele mature. Lo abbraccerò con affetto e lo farò accomodare con un sorriso, fai come se fossi a casa tua, mentre gli servirò un tè fumante, arancio e cannella, il mio preferito. Sono pronta, prontissima. Quasi troppo, che mi sono già beccata il primo solenne raffreddore della stagione con tanto di starnuti a raffica e voce da Mamie di Via col Vento. Ho paura di essermi portata un po' troppo avanti col lavoro.
venerdì 21 settembre 2012
Di cuore e di spritz
E' vero, ultimamente scrivo poco. Ma
è anche vero che ultimamente mi sto facendo dei gran bei regali. Non
che le due cose siano direttamente collegate, anzi, lo scrivere per
me resta comunque un regalo bellissimo, ma negli ultimi tempi mi è
presa cosi, meno voli pindarici e più concretezza. E questi regali
son proprio belli, regali speciali. Non si tratta di shopping
compulsivo in Via Tornabuoni e, ahimè, neppure spensierati acquisti on-line, che il mio
computer è defunto da una settimana - una prece - e a parte qualche
incursione notturna sul portatile del Galletto, sono totalmente out of the
web, cosa che mi fa sentire tagliata fuori da tutto, come se mi
avessero tolto un pezzo, un braccio, uno dei cinque sensi, anzi tutti
e cinque insieme. No, in questo caso si tratta di regali che non si
incartano e nemmeno si scrive il biglietto, sono regali che si prende
e si va, si salta dall'altra parte dello schermo e si va a vedere chi
c'è. Così, in questo mese che adoro e che è proprio il mio mese, e
quindi quale occasione migliore per farsi dei regali, dopo lo
splendido dono chiamato Ficata
che mi sono fatta pochi giorni fa,
ieri sera appena uscita dall'ufficio ho preso bus e tramvia e sono andata a
riabbracciare la mia carissima amica delle fragole e del cuore, che
non vedevo da tanto, troppo tempo, proprio da quel regalo speciale
che mi ero fatta ormai tanti anni fa, la quale era in compagnia della
mitica Emme, fiorentinaccia come me, con la quale ci eravamo già
riviste proprio alla suddetta Ficata... perché sì, è così, sul
web i sentieri si rincorrono, si incrociano nei modi più strani,
anche tu qui? ma dai, non ci credo!, e si può star certe che in
fondo ad ogni sentiero, anche il più arzigogolato, si troveranno
solo sorrisi e caldissimi abbracci. Il mondo è piccolo, e quello
delle bloggers lo è ancora di più. Così ieri sera io, Laura ed
Emme ci siamo abbracciate e stritolate a dovere per poi infilarsi in
un localino niente male, tutto bianco, chic e francesissimo che sembrava di
essere sul primo arrondissement invece che a due passi dall'Arno, e
ci siamo godute gli spritz, un sacco di deliziosi assaggini che alla
fine avevamo già cenato, e soprattutto la nostra compagnia, condita
da qualche lacrima e molte risate. Bello, bello. Da rifare. Presto,
prestissimo. Guardarsi negli occhi e sapere di pensare esattamente la
stessa cosa. Non c'è niente di più prezioso nella vita.
sabato 8 settembre 2012
In attesa di domani
Chiuso lo sportello del forno e messo a cuocere il dolce per domani, eccomi qui ad aspettare questo sabato settembrino che mi porterà ancora una volta al Poggio, in mezzo alle vigne, agli olivi, ed ai fichi naturalmente, visto che proprio quest’ultimi sono il simbolo assoluto della giornata che si svolgerà a casa della mia sorellina, per l’edizione duemiladodici della mitica Ficata. Stavolta lo dico prima che la Ficata sarà una gran ficata, perché da vecchia ficara qual sono, come chiamasi le avvezze a tale manifestazione di fine estate sulle colline fiorentine, so per esperienza che sarà una bellissima giornata, fatta di abbracci e di risate, di un lungo tavolo sull’aia imbandito di ogni ben di Dio, di chiacchiere fino a notte fonda e di bambini di ogni età a giocare e rincorrersi nei campi, oltre ovviamente alla raccolta dei famosi fichi della Dani, a cui nessuna saprà resistere, nemmeno se munita di tacco dodici, che come si vocifera qualche impavida indosserà sprezzante del caldo e delle zolle del Chianti. Pare che una leggenda del luogo racconti addirittura di una raccolta migliore proprio se effettuata dall’alto di un bel plateau scamosciato e peep toe. Per quanto mi riguarda, sfiderò la malasorte ed mi accontenterò di un magro raccolto in Birkenstock, onde scongiurare il terribile effetto cotechino in cui si trasformano i miei piedi dopo solo un paio d’ore di tacchi. In ogni caso, sconsiderate ficare in decolleté a parte, non vedo l’ora che le lancette girino ed arrivi il mezzogiorno di domani, ora in cui si apriranno le danze. Conosciute, sconosciute, figli e mariti al seguito o super single partite solissime e alla chetichella, maledette toscane, nordiste, sudiste o autoctone, quello che ci legherà e ci accomunerà tutte quante sarà la voglia di stare insieme, di conoscerci, di parlare così tanto da slogarci le mascelle, di ritrovarci emozionate a combattere le lacrime e veder brillare la stessa luce in tutti i nostri occhi. Nell’aria si sta diffondendo l’inconfondibile dolcissimo profumo del mio cheese cake, tra poco sarà il momento di toglierlo dal forno. Nel frattempo penso a domani, e sorrido. Ancora una volta grazie, sorellina.
venerdì 6 aprile 2012
L'albero di Pasqua
Per essere bellino, lo è. Parecchio bellino. Sicuramente il più bellino degli ultimi anni. Secondo me è l’abbinamento dei romantici rami di pesco ai bianchissimi rami zen che crea un mix un po’ strano, in bilico tra il pissero (do you know pissero?) e l’essenziale, che trovo parecchio affascinante. Le uova poi, che ogni anno aumentano di numero e che adesso iniziano ad essere decisamente troppe, hanno dovuto superare una durissima selezione all’ingresso come avviene per i locali più trendy, me medesima trasformata in inflessibile buttafuori, rigido esame del look e giudizio insindacabile, tu ovetto fru-fru in abito rosa polka dots sul ramo più alto, tu con mantellina avorio e rose vintage in pole position, tu con quel giubbottino verde fluo, no way, grazie, sarà per l’anno prossimo. Così il mio albero è arrivato anche quest’anno a portare una ventata di allegria nel mio soggiorno, e più lo guardo e più mi piace. Quasi mi dispiace che tra pochi giorni sarà già il momento di disfarlo e di rimettere tutto in cantina. Bisognerebbe crearne uno per ogni stagione, oltre al ben più famoso collega natalizio si potrebbe inventare un albero di San Lorenzo, nero come la notte d’agosto e illuminato da tantissime piccole stelle cadenti, e poi un albero di Ognissanti, arancio come una zucca e pieno di streghe a cavalcioni e pipistrelli a penzoloni. Sarebbe divertente. Vabbè, forse meglio aspettare a lanciare nuove tradizioni. Già mi guardano strana quando dico che faccio l’albero di Pasqua.
giovedì 26 maggio 2011
Che zeppa sia
Zeppa fa rima con estate, c’è poco da fare. E se io d’inverno non indosserei stivali zeppati neanche se mi pagassero, con l’arrivo del caldo mi riscopro innamorata delle zeppe che sì, è vero, hanno pure un che da tangenziale, ma sono troppo simpatiche e frivole per non amarle. E poi io al massimo ci abbino un paio di capri, mica gli shorts di latex. Insomma, credo che coadiuvate dagli accessori giusti, anche le zeppe possono essere chic. Ne sono convinta. Il fatto che non portando praticamente mai i tacchi io non ci sappia assolutamente camminare e che in cima a questi undici centimetri e mezzo di zeppa e plateau io mi senta in bilico come se fossi sul cornicione più alto dell’Empire State, è un altro discorso. Le guardo e le adoro. Laccetti color khaki ed un grande fiore sbocciato sul collo del piede, son già lì a valutare il colore giusto per lo smalto, indecisa tra un tortora e un grigio chiaro, magari illuminato da una passata di glitter. Lo so, rischio di andar giù sdraiata sul marciapiede e di giocarmi una caviglia. Ma visto che ultimamente cadono anche le indossatrici durante le sfilate forse non sarà quel gran dramma, e se mi rialzerò zoppa e dolorante, avrò il sorriso sulle labbra. Giuro.
mercoledì 25 maggio 2011
Di luce e batticuore
Fuori è già buio, abbiamo finito di cenare tardi stasera. Attraverso la zanzariera mi arriva il silenzio della notte appena iniziata. Esco in giardino per scuotere le briciole dalla tovaglia e lasciarle in dono ai passerotti che domattina banchetteranno allegri quando noi ancora staremo dormendo. Non accendo la luce esterna, ormai i due passi da percorrere li conosco a memoria, e poi dalle altre persiane esce comunque il riverbero della televisione accesa. Vengo avvolta dal buio e dal profumo inebriante del gelsomino che con questo caldo è già completamente fiorito e resto lì, ferma, la tovaglia buttata su una spalla come un mantello, ad annusare l’estate che sembra davvero già arrivata. Poi, improvvisamente, mi accorgo di loro. Omioddio, ma sono tantissime. Ma cos’è, un esercito, un raduno, un assembramento, un corteo non autorizzato? Magari a guardare attentamente si distinguono cartelli e megafoni. Ma no, che sciocca, loro sono lì a fare vasche su vasche, come la domenica pomeriggio lungo il corso, per vedere e farsi vedere, col vestito buono, quello dello struscio per le vie del centro. Beh, di sicuro l’abito è proprio quello da gran gala, che nemmeno al red carpet più trendy del pianeta si è mai vista una mise più fashion di questa. Un abito da sera fatto interamente di luce, luce purissima e magica, che per brevi istanti illumina le foglie, i fiori e il muro del mio giardino di una poesia incredibile, istanti scanditi dal battito di tanti piccolissimi cuori. Resto lì ipnotizzata a guardarle, ne seguo i movimenti, le studio, rapita dalla loro magia. La pulcina mi raggiunge e ci godiamo insieme lo spettacolo, abbracciate, mute e affascinate, fino a che una di loro si infila dentro un fiore di rododendro trasformandolo in una lampadina fucsia intermittente, facendoci scoppiare a ridere. Rientriamo e ci prepariamo per andare a dormire, ma la notte sembra improvvisamente più dolce, più amica. La magia delle lucciole è ancora dentro di noi.
mercoledì 16 marzo 2011
Di che profumo
Quanto mi piacciono i giochini, soprattutto se frivoli e soprattutto in una sera come questa che diluvia da stamattina e non se ne può davvero più. Che avevamo programmato un’uscita serale in centro, per festeggiare in piazza il compleanno della nostra Italia in compagnia di un’orchestra, di un corpo di ballo, degli sbandieratori e persino dei fuochi d’artificio e invece non se ne farà di nulla perché di notti in centro a tirar l’umido sotto la pioggia mi è già bastata quella di due anni fa per capodanno, grazie mille, e non ho alcuna voglia di fare il bis. Ma un giochino sì, una specie di chiacchiera con le amiche intorno al tavolino all’ora dell’aperitivo, è proprio quello che mi ci vuole. Lo ha lanciato la mia cara amica delle fragole ed io mi affretto a risponderle. Di che profumo sono? In realtà non ho un profumo che amo da sempre, mi piace cambiare e mi lascio sedurre facilmente dalle novità, anche se alcuni sono ormai diventati i miei profumi preferiti, che uso ciclicamente, lasciando però sempre spazio per qualche new entry. In inverno amo Burberry Brit, leggermente talcato, vanigliato, con qualche nota orientale e una lunga fine muschiata. Poco appariscente, caldo e rassicurante. In estate adoro Eau Parfumée au Thé Rouge di Bulgari, che purtroppo adesso non si trova facilmente. E’ assolutamente fatto di estate, di sole e di lunghe notti stellate. Avvolgente e fresco, con note di thè, di fico e di arancio. Altro estivo che amo molto, ma che uso anche in pieno inverno, è Infusion de Fleur d’Oranger di Prada, una vera esplosione di agrumi, freschissima e sensuale, con piccoli accenti floreali. Persistente e ironico, lo amo follemente. Tra le new entries, l’ultimo arrivato risale a pochissimi giorni fa, in coda da Zara per pagare un paio di jeans, il tempo di annusare il tester ed era già mio. Si chiama Essential ed è un botto di allegria, tanta ciliegia, mille note fresche e una goccia di lime. Bottiglietta porpora e squadrata, impossibile non innamorarsene. Ecco quindi di che profumo sono i miei cinque spruzzi, svelati alle fragole e non solo.
lunedì 14 marzo 2011
Tris di primavera
Nonostante oggi il cielo fosse così nero da pensare che qualcuno lassù avesse inavvertitamente rovesciato la boccetta dell’inchiostro e il vento ancora così freddo e pungente da spettinare, ho sentito distintamente quell’aria dolce, di zucchero, di pasticceria alle cinque del pomeriggio quando arrivano i bomboloni caldi. E’ qui, perbacco, ci siamo, è arrivata davvero stavolta e non ho la minima intenzione di farmela scappare. Se decido che è già primavera forse riuscirò a convincere anche lei e resterà davvero. In fondo, basta crederci. Se ci credono così bene le mie camelie, tutte vestite a festa di fucsia, di bianco e di rosa e pure il mio albicocco che ha deciso di aprire il primo fiore proprio oggi, posso pur crederci anch’io. Mentre camminavo la mia mente stava già ballando un valzer nell’armadio, volteggiando tra abitini, blazer e camicette, correndo fino alle magliette e osando spingersi fino ai piedi nudi. Quando mi prende così sono pericolosa, molto pericolosa, devo festeggiare, sancire, toccare subito con mano. L’avrei scritto a caratteri cubitali con la bomboletta spray, fatto passare in cielo un aeroplanino di quelli che si tirano dietro il messaggio dei gelati Sanson, gridato col megafono, è primavera! Ed infatti ho festeggiato, ho sancito, ho toccato con mano, su questo non vi è dubbio. Soprattutto toccato con mano, sia gli oggetti che il portafoglio. La sindrome in questione si chiama impulse buying e può colpire chiunque all’improvviso, anche chi ci lavora tutti i giorni con questa strategia di mercato, come la sottoscritta, che in tal caso però non può far altro che soccombere alla malattia. Un po’ come l’otorino col mal di gola o il carrozziere con la macchina graffiata, ogni tanto tocca pure a loro. In meno di un quarto d’ora e in circa quindici metri di strada il mio momento di euforia mi ha resa felice proprietaria di tre paia di calzature favolosamente primaverili e deliziosamente a buon mercato, God save the queen and the outlets. Non ho neanche provato a resistere, non ce l’avrei mai fatta. E mi sono fatta travolgere da un bellissimo viola campanula, uno scicchissimo grigio tortora e un blu navy casual e sportivo che sembrava aspettasse proprio me. Poi l’attacco passa, ci si ritrova sul marciapiede con due grandi sacchetti in mano e un centinaio di euro in meno nel portafoglio, e si sorride beate al mondo che ci circonda, nel momento esatto in cui inizia a diluviare di brutto. Realizzo che le scarpe scamosciate dovranno restare nelle scatole ancora un po’ e che forse non è ancora arrivato il momento di tirare fuori la gonnellina a fiori. Ma non avevo detto che era arrivata la primavera?
Aria nuova
Sì, ho fatto le pulizie di primavera. Nel pollaio, beninteso, che per quelle in casa non ce n’è mai troppa voglia, ahimè, né che siano di primavera né d’autunno. Qui invece, è tutt’altra cosa, si spolvera senza starnutire, si dipingono le pareti senza stendere teli sui pavimenti e senza odoracci in giro, si prova un colore e poi, se non ci piace troppo, lo si cambia con un altro in un millisecondo. Era da un po’ che avevo voglia di svecchiare un po’ il pollaio, mandarlo in una beauty farm per una piccola remise en forme e poi in giro per negozi con una personal shopper che lo sapesse consigliare nell’acquisto di un bell’abitino nuovo. Tornato che fu il pollaio dai suoi giri mondani, lì per lì però non lo riconoscevo neppure io ed ho avvertito un brivido, un mezzo pentimento, tanta roba per una che si affeziona anche ai rumori. Ma poi, guardandolo meglio, ho visto che sotto i nuovi colori, le sete e il maquillage c’era sempre lui, il mio amico di sempre, con lo stesso sorriso, lo sguardo sincero e quell’abbraccio infinito che riconoscerei tra mille. Solo un po’ più figo. Il che, decisamente, non guasta mai.
martedì 28 dicembre 2010
Vanity & me
Ne sono una fan e non ne faccio mistero. Mi piace, mi piace proprio parecchio. Del resto, fu un vero e proprio colpo di fulmine. Io che avevo sempre un po’ snobbato i tipi così, mi accorsi all’improvviso di lui, della sua unicità, di quella sua miscela esplosiva fatta di intelligenza, ironia, buon gusto e sensibilità, e mi ritrovai cotta a puntino in un attimo. Amore. E ricambiato per giunta. Che non esiste gratificazione più bella per un innamorato del trovare sempre sulla bocca dell’altro le parole che vogliamo sentirci dire insieme alle parole che ci sorprendono. Sempre positivamente. Allora si fanno gli occhi a cuoricino, ci si prende per mano e si procede insieme lungo la strada della vita. Così è nata e così continua la mia storia d’amore con Vanity e a volte la passione arde così forte che non riesco a non dirglielo a chiare lettere, nero su bianco. E scrivo. E Vanity, da innamorato fedele, risponde.
mercoledì 15 dicembre 2010
La letterona
In genere sono i bambini che scrivono a Babbo Natale, compilando quelle belle e spesso lunghissime liste di beni squisitamente materiali, che spaziano dalle biciclette alle bambole, dai videogiochi alle inossidabili Barbie per arrivare a nutriti eserciti di Gormiti e lettori Mp3 di ultima generazione. Dai bambini ci si aspetta questo, e loro chiedono senza ritegno. I desideri degli adulti sono generalmente un po’ diversi, si chiede del tempo, un po’ di tranquillità, meno smog a soffocare il mondo, più cultura per tutti e soprattutto che un colpo di bacchetta magica faccia sparire per sempre tutti i cattivi da questa terra. Naturalmente, sottoscrivo tutto. Sia il sacrosanto desiderio dei bambini di trovare sotto l’albero tanti pacchetti da scartare che quello dei loro genitori di vivere in un mondo migliore. Stamani mi sono svegliata anch’io con il desiderio di scrivere una letterina, ed è tutto il giorno che una divertente lista si va allungando nella mia mente. Il guaio è che si tratta di una lista da bambini, piena zeppa di cose tangibili, concrete, da toccare o anche solo da sognare, ma vere e reali, banali o preziose e tutte assolutamente, splendidamente materiali. C’è un paio di Interactive marroni, un timer da cucina che vien voglia di mangiarlo, dei guantini viola, un chiama angeli in argento anche se non sono incinta, un bel paio di jeans come dico io, il nuovo profumo di Zara al gelsomino bianco, la dresscode di George Gina & Lucy, l’abbonamento a Vanity Fair, una piastra per capelli che funzioni davvero sulla mia indomabile criniera, Il Cimitero di Praga di Umberto Eco, una Nespresso grigia anche se sprovvista di George, un nudo di Pomellato, La Caduta dei Giganti di Ken Follett e un weekend a Londra. Beh, credo che più che letterina la si debba chiamare letterona, ma il solo pensarla mi ha aiutato a sorridere e a rivedere un po’ di quei colori che tutti questi giorni di buio mi avevano fatto dimenticare. Non credo che niente di tutto ciò giungerà mai sotto il mio albero, ma non è questo che importa. Mi sento più terrena, più umana ed anche più bambina. E questo, invece, importa.
lunedì 6 dicembre 2010
Non cucio
Ancor prima di vederla, addormentata e stanca sul ripiano basso nella penombra del ripostiglio, sapevo che l’avrei presa con me. La scatola da cucito di mia madre, vecchia e sciupacchiata, piena di ogni cosa e soprattutto di ricordi. Ci ho trovato di tutto, spolette di filo dai colori più improbabili, ruggine, verde bandiera, ciclamino e turchese Sardegna. Ditali, un uncinetto giallo limone, miriadi di bottoni, nastrini, elastici e gancetti, quelli doppi che non si usano più e che mi ricordano tanto i costumi di Carnevale e perfino una manciata di campanellini. Il vecchio puntaspilli malconcio e quello fatto con un cuscino della camera da letto della Barbie, che una vita fa avevo regalato con sussiego a mia madre come a sottolineare il fatto che ormai ero grande e con le bambole non ci giocavo più. Il metro da sarta, quello giallo da un lato e celeste dall'altro, da arrotolare e stendere e avvolgere e guardare e caspiterina che vitino di vespa. Ci sono pure un paio di quegli aggeggi che aiutano ad infilare il filo nell’ago, che pensavo non mi sarebbero serviti mai, e invece mi accorgo che purtroppo comincio ad averne bisogno anch’io e fanno proprio comodo. Non che io cucia molto, anzi diciamo proprio che cucio poco, giusto lo stretto, lo strettissimo indispensabile. I distintivi di sestiglia sulla camicia scout della pulcina, qualche paillette sui tutù in vista dei saggi di danza, un orlo scucito che penzola triste dal pantalone, un bottone ogni tanto, un pigiama col buco proprio sul sedere, che vien da chiedersene il motivo. Per il resto mi appoggio alla benevolenza di mia suocera o al negozietto di riparazioni. Sono negata, sempre stata, che ci si può fare. Da ragazzina mia madre mi iscrisse anche ad un corso di taglio e cucito. Nulla, soldi buttati via. Ma mai e poi mai avrei potuto buttar via questa vecchia scatola da cucito, con tutti i suoi fili bislacchi e i bottoni del loden verde che avevo da bambina. L’ho ripulita, ci ho aggiunto tutto ciò che possiedo in termini di attrezzatura da cucito, qualche ago, spilli, le trecce di fili multicolori, una scatolina di bottoni assortiti, l'utilissimo filo di nylon dell’Ikea e l’ho guardata. Bellissima. Non cucio, è vero, ma adesso, chissà.
giovedì 11 novembre 2010
La fashion gallina
Come direbbe la mia amica delle fragole, m’è presa secca. Dalle mie parti si dice m’è presa una fittonata, ma il succo è identico. Mi sono appassionata a un giochino incredibile, tutto un mischiare di abiti e di colori, di scarpe, di zeppe e tacchi a spillo, di cappelli e borse e cose e aggeggi all’infinito e fin che se ne ha voglia. E poi, in questo luogo di perdizione mica si frigge con l’acqua, eh no, è tutta roba seria. Ti piace il tailleurino di madame Coco? Adori gli abiti in technicolor di Desigual? Spasimi per un bel paio di Louboutin? C’è tutto, cara mia, c’è tutto. Tutto lì per te a un passo di click. E hai voglia a frugare e scegliere e provare e scartare e questo sì e questo no e questo forse e questo costa una fortuna ma chemmimportammé. Ci si diverte un mare. Il fatto che poi si debbano fare i conti con il vero contenuto del proprio armadio, che nel mio caso spazia dalle bancarelle del mercato a Zara, dall’outlet a H&M e ritorno, è un’altra storia, ma come insegna la maestra che mi ha fatto scoprire detto luogo, nel frattempo avremo imparato nuovi abbinamenti, osato nuove coppie di colori o capito che quella vecchia spilla trovata per caso nel comò della nonna sta benissimo sul cappottino di maglia. Insomma, si gioca. Praticamente la versione tre punto zero di quel vecchio giochino di quando ero bambina, con le bamboline di cartoncino da ritagliare e i vestitini da provare e cambiare che stavano su ripiegando le linguette di carta, da guardare poi con occhio critico facendo un passo indietro. Mi divertivo allora, mi diverto adesso. Qui.
venerdì 5 novembre 2010
Benedetta tonsillite
Svegliarsi, deglutire e rendersi conto di avere in gola due palle da tennis non è stato proprio piacevole in effetti, soprattutto dopo essermi guardata allo specchio ed aver visto le condizioni in cui erano le suddette palle da tennis, nemmeno fossero state reduci da tutte le partite del Grande Slam; ma in un modo piuttosto perverso, visto che la febbre che sta salendo mi fa dolere tutte le ossa, tremare e battere i denti, ho come apprezzato questo dovermi improvvisamente arrendere all’evidenza, staccare la spina, salutare la curva e restarmene a casa. Malata. Sissignori, proprio malata. Vero è che non c’è nessuno che mi porta il termometro, la spremuta d’arancia o che mi rimbocca le coperte come quando ero bambina, ma questa tonsillite piovuta giù dal cielo come una meteora mi ha quasi fatto piacere. Probabilmente sono pazza, o forse sto delirando a causa della febbre, che io già a trentasette e uno mi sento male, figuriamoci adesso, ma questo senso di resa, di bandiera bianca, di mo’ so’ cavoli vostri, oggi mi conforta non poco. So già che non siederò in panchina a lungo e che tra non molto sarò ributtata in campo a giocare la partita, ma ora come ora non m’importa, avverto uno strano sorrisino di soddisfazione che mi increspa le labbra e mi accoccolo al caldo nel mio letto, in compagnia degli antibiotici, di una tazza di tè, dei libri da finire e di quelli da cominciare e del piccolo schermo piatto della tivù appeso alla parete come un quadro, da accendere alla bisogna. Magari mi addormenterò in un orario assurdo russando in modo scandaloso oppure aprirò le ante dell’armadio e da sotto le coperte inizierò a fare abbinamenti con i miei abiti, il viola col grigio, l’arancio col beige, come insegna la mia fashion guru del momento, dei cui consigli non riesco più a fare a meno ed alla quale prima o poi bisognerà che chieda di fare una lezione sugli stivali, che poi non avrò il coraggio di guardare per paura di leggere che quelli che amo tanto in questi giorni, che mi fanno un po’ corsara e un po’ Robin Hood, siano invece decisamente out. Oppure mi imbambolerò a guardare i programmi televisivi strappalacrime del primo pomeriggio. Qualsiasi cosa andrà bene. Sissignori, oggi sono malata.
venerdì 15 ottobre 2010
T.G.I.F.
Finalmente questa settimana è finita, non ne potevo davvero più. La durata di una settimana dovrebbe essere sempre la stessa, ma poi non è mica sempre vero. Questi sette giorni sono stati lunghi, tosti, pieni di grane lavorative che metà sarebbero bastate e conditi anche con qualche bega familiare, pesanti come piombo. E le lancette dell’orologio sembravano incollate. Niente a che vedere con la rapidità con cui trascorrono gli stessi sette giorni quando sono in vacanza, che il giorno di tornare a casa mi sembra ancora di essere appena arrivata. Forse dovrei fare un po’ di training autogeno per vedere di convincermi di essere in vacanza quando sono sepolta dalle scartoffie in ufficio e di lavorare spalmandomi di crema abbronzante distesa su una spiaggia, ma non credo che funzionerebbe. Credo siano queste giornate che si accorciano che mi incupiscono un po’, il cambio degli armadi che incombe, il primo raffreddore della stagione e la prima assemblea di classe della scuola media di ieri sera dove mi sono sentita inevitabilmente più vecchia. Resta il fatto che finalmente si è chiusa questa settimana e guardo speranzosa al weekend che sta già facendo capolino, anche se ovviamente passerà in un lampo. Non importa, adesso è ancora venerdì pomeriggio e guai a chi me lo tocca. E come mi insegnano i miei colleghi d’oltremanica, Thanks God Is Friday.
giovedì 23 settembre 2010
Tra i due litiganti
La moglie di un mio collega ha letto un libro. E fin qui verrebbe da dire niente di strano. Il fatto è che la lettura di questo libro, di cui non voglio neppure sapere il titolo o l’autore, e se qualcuno di azzarda a dirmelo mi metterò le mani sulle orecchie canticchiando al tempo stesso, a suo dire le ha cambiato la vita. E di conseguenza a tutti quelli che le stanno intorno. Dal giorno in cui ha letto l’ultimo rigo di questo illuminante volume, è infatti diventata vegana. Rigorosamente e assolutamente. Niente più carni, uova, pesce, latte, formaggi e qualsiasi altro alimento di origine animale. Premesso che ognuno è libero di nutrirsi come vuole, di sfondarsi di Nutella e di BigMac o di non nutrirsi affatto, sopravvivendo con pallide zuppe di miso e vagonate di germogli di soia, la cosa mi ha parecchio intristita, ricordando i superbi manicaretti che la persona in questione riusciva a produrre quando ancora non si era imbattuta nella fondamentale lettura. Mai come il dolore che ha provato il povero marito però, gran buona forchetta tra l’altro, che dopo aver sposato una cuoca provetta si è improvvisamente ritrovato a doversi cucinare la bistecca di nascosto sul balcone. L’amore non finisce certo per non avere più qualcuno con cui condividere gioiosamente un tacchino farcito o un tiramisù, ma sicuramente è stato messo a dura prova. Nel mio piccolo, ogni tanto cerco di alleviare la sofferenza del pover’uomo spacciandogli porzioni di coniglio alle olive o spezzatino, che lui si mangia segretamente in ufficio in pausa pranzo, felice come un bambino. Naturalmente, buona parte dei ricettari che sua moglie usava nella vita precedente sono stati messi al bando, relegati in soffitta o dati via, sia mai che possano essere fonte di tentazione. Così, un paio di questi libri peccaminosi sono piovuti addosso alla sottoscritta, che appena li ha visti è andata in brodo di giuggiole e li ha rimirati estatica per un pomeriggio intero, felicissima di continuare a peccare a suon di bavaresi, crème caramel e pasticcini. Due meravigliosi ricettari di dolci e dolcezze squisitamente golose, da provare una dopo l’altra senza alcun ritegno. Vorrà dire che per espiare ai miei peccati continuerò a spacciare in gran segreto porzioni di cheese cake.
mercoledì 12 maggio 2010
Florence, UK
Ma sì, ditemelo che mentre dormivo mi avete imbavagliata con un fazzoletto al cloroformio e trasportata nottetempo in Inghilterra. Blateravo da tempo che avevo tanta voglia di tornarci, di rivedere Londra con calma, di visitare la Cornovaglia e di perdermi nelle brughiere scozzesi ed avete deciso di accontentarmi. Oh, bene. Ringrazio sentitamente del regalo, davvero, apprezzo di cuore. Non dovevate, ma che cosa vi siete messi a fare, che bella sorpresa, eccetera eccetera. Però ora riportatemi a casa mia. A casa mia a maggio c’è il sole, sapete? Talmente tanto sole che a volte arrivano anche i trenta gradi tutti d’un botto, cosa che io in effetti non amo particolarmente perché mi ritrovo stesa a terra tipo tappeto turco, ma sapeste come ne gioiscono le rose, le api, i tramonti. Vero è che in genere di lì a poco i prati poi prendono quel colorino smorto e tendente al giallognolo che precede le secche sterpaglie estive, mentre in Irlanda ci sono dei prati che sembrano disseminati di smeraldi anche a ferragosto, ma quel che è troppo è troppo. Se continua a piovere così mi crescono le pinne. Cos’è, qualcuno ha girato il mappamondo un po’ troppo velocemente e qualcosa si è magicamente mescolato? Mia suocera ha appena trascorso una vacanza dal parentado inglese godendo di un fantastico sole, mentre qui l’ombrello è praticamente diventato un prolungamento del mio braccio, un’escrescenza dalla quale non mi separo più neppure per andare a buttare via l’umido. Saran mica state le ceneri del vulcano? Tutto grigio, nessuno vedeva nulla, niente aerei a sorvegliare dai cieli e, zac, un qualche David Copperfield ha fatto un illusionismo. Peccato però che le secchiate d’acqua che mi sono presa oggi non fossero propriamente un'illusione. Dai, su, riportatemi a casa. Rivoglio il mio sole di maggio.
lunedì 19 aprile 2010
Il buco nero
Anche quest’anno la fiera di primavera l’ha fatta da padrona, invadendo le strade del quartiere con centinaia di coloratissime bancarelle, che sotto i raggi del sole di domenica sembravano ancora più sgargianti. Benché alla fine io purtroppo non sia una gran frequentatrice di mercati, a causa della concomitanza degli stessi con il mio orario di lavoro, ahimè, il mercatone di mezza stagione non me lo perderei per niente al mondo, anche se ieri in effetti ci sono andata molto vicina. Già, la domenica in questione era prenotata da tempo per una Prima Comunione, che tra Messa, pranzo e sollazzi assortiti rischiava di portarsi via tutta la giornata e di lasciarmi una misera mezz’ora a fine pomeriggio da dedicare ai banchi, quando ormai gli ambulanti cominciano a mettere via la roba e puoi giurarci che la tua taglia se n’è andata da un pezzo. Poi ho saputo che tra la fine della Messa e l’orario del pranzo c’era una specie di buco nero di un’ora abbondante senza programma alcuno, che gli invitati potevano impiegare a loro piacimento, per un aperitivo, una passeggiata o financo un pediluvio. La pulcina mi ha subito abbandonata per andare a giocare con la cugina, il galletto ha deciso di rientrare a casa per sistemare alcune carte e la gallina non ha potuto certamente esimersi da un tuffo tra le bancarelle del mercato. Il tempo stringeva e non ce n’era a sufficienza per batterlo tutto a tappeto come d’abitudine, ma se saputa usare bene anche un’ora poteva rivelarsi preziosa. Così è stato e, nonostante la mia mise da cerimonia molto poco adatta al pigia-pigia dei banchi, sono riuscita a tornare a casa con svariati sacchetti che chissà come erano riusciti ad incollarsi alle mie mani. Due paia di ballerine di raso usa-e-getta, nel senso che se arriveranno a termine della stagione sarà già un successo, ma così carine che sembrava aspettassero solo me. Quattro camicie femminili e sportive al tempo stesso, che di camicie non ne ho mai abbastanza e per tre eurini cadauna è andata bene che non ne abbia acquistate una dozzina. Una sciarpa estiva color tortora un po’ grinzosa e un po’ frou-frou, per le sere ventose ed i mattini croccanti. Una tuta danzereccia per la ballerina di famiglia ed un bikini a quadretti vichy per le sue giornate marine, se e quando ottimisticamente ce ne saranno visto che la parola ferie quest’anno non ci azzardiamo neppure a pronunciarla in lingua farfallina, ma tanto alle brutte c’è sempre la piscina. Ed infine una camicia button down per il galletto, di uno stupendo viola glicine, che stranamente ha amato subito anche lui. Non male per una misera ora di shopping. Non male assai per un ammanco di cassa che non arrivava a settantacinque euro. Brava io? Oh, no. E’ solo la magia del mercato.
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