martedì 28 dicembre 2010

Vanity & me

Ne sono una fan e non ne faccio mistero. Mi piace, mi piace proprio parecchio. Del resto, fu un vero e proprio colpo di fulmine. Io che avevo sempre un po’ snobbato i tipi così, mi accorsi all’improvviso di lui, della sua unicità, di quella sua miscela esplosiva fatta di intelligenza, ironia, buon gusto e sensibilità, e mi ritrovai cotta a puntino in un attimo. Amore. E ricambiato per giunta. Che non esiste gratificazione più bella per un innamorato del trovare sempre sulla bocca dell’altro le parole che vogliamo sentirci dire insieme alle parole che ci sorprendono. Sempre positivamente. Allora si fanno gli occhi a cuoricino, ci si prende per mano e si procede insieme lungo la strada della vita. Così è nata e così continua la mia storia d’amore con Vanity e a volte la passione arde così forte che non riesco a non dirglielo a chiare lettere, nero su bianco. E scrivo. E Vanity, da innamorato fedele, risponde.

lunedì 27 dicembre 2010

I giorni a cavallo

Quelli tra Natale e Capodanno li ho sempre considerati quei giorni un po’ strani, non di festa ma quasi, con i bambini in vacanza e le strade senza traffico, che rendono comunque più rilassati anche quelli che continuano ad andare al lavoro. Sono i giorni dei regali da cambiare, dei veglioni da progettare, dei compiti per le vacanze da fare senza voglia alcuna e di manciate di ore strane e vuote da riempire un po’ a piacimento, anche di nulla, che per lo stress e le corse da gran premio bastano le rimanenti cinquantuno settimane dell’anno. Anche andare al lavoro stamani è stato quasi un piacere, nessuno in giro e il cielo azzurro sopra, sapere che il telefono non avrebbe squillato praticamente mai e che sarebbe stato uno di quei giorni fatti anche di chiacchiere e risate tra colleghi, tu che hai fatto, cos’hai ricevuto, qual’era il menu, anche se nella fattispecie il mio racconto è stato senza dubbio il meno avvincente, visto che narrava di una vigilia farcita di influenza che ci ha buttati giù uno dopo l’altro in un triste effetto domino accompagnato da starnuti a raffica e raucedine da primato. Ma anche se un po’ ammalazzati, ci siamo goduti ugualmente il nostro piccolo, semplice Natale. Fatto di pacchetti da incartare con la massima cura alle due del mattino ben sapendo che dopo poche ore la nostra opera d’arte sarebbe stata appallottolata e gettata al riciclo, di una torta alla ricotta fatta interamente dalla pulcina, limitandomi a dar qualche direttiva da lontano, e chiedendomi poi se un risultato così perfetto fosse da attribuire alle mani d’oro dell’autrice della ricetta, a quelle della figlia pasticcera o di entrambe le cose, delle piccole scintille di gioia che brillano nello sguardo di chi apre il regalo che sognava e che non si aspettava. Così in questi giorni non di festa ma quasi, un po’ a cavallo, per così dire, ci si crogiola tra una festa appena passata ed un’altra che sta per venire, e tutto sembra fermo, cristallizzato, in attesa. A un certo punto però dovrò smettere di stare con le mani in mano e fare. Né tirare la sfoglia per i tortellini del cenone. Né indossare l’abito di lamé per il veglione. Né fare in coro il conto alla rovescia della mezzanotte, cosa che tra l’altro non mi piace proprio. Ne farò un’altra di cose che non amo, ma mi rassegnerò volentieri.

giovedì 23 dicembre 2010

Buon Natale

Vorrei che fosse un Natale per tutti
per i belli, i buoni, anche per i brutti
che splendesse bianco di semplicità
e regalasse solo tanta onestà.
Che per i bimbi la fame fosse solo un ricordo
e l’orecchio dei re non fosse più sordo
che il colore del mondo tornasse l’azzurro
e il fragore sparisse e restasse un sussurro.
Vorrei chiudere gli occhi e respirare il Natale
trattener solo il bello e sputar tutto il male
scavar con le mani un buco profondo
e buttarci dentro tutto il brutto del mondo.
Vorrei che fosse un Natale più buono
davvero per tutti e senza alcun tuono
allungo una mano e ti invio una carezza
e un piccolo augurio di infinita dolcezza.

venerdì 17 dicembre 2010

La nevicata del diciassette

Ancora non mi era mai successo, ma pare che per tutto ci sia una prima volta. E così mi ritrovo alla sera del diciassette dicembre con tutto, dicasi proprio tutto l’ambaradan del Natale ancora da fare. Albero, presepe, ghirlanda, biglietti, regali, pacchetti, pensierini e cavolate assortite. Tutto rigorosamente da fare. Sì, lo so che c’è anche chi si riduce sempre al ventiquattro e qualcosa poi riesce ad imbastirlo lo stesso, ma quella non sono io. Io che devo pensare, programmare, gestire, organizzare e pianificare qualsiasi cosa, per il secondo anno di fila ho mandato a ramengo il Natale. Anzi, quest’anno quasi peggio dell’anno scorso. Perlomeno un anno fa l’albero l’avevo già fatto. Oddio, in realtà l’albero è in casa già da più di una settimana, un verdissimo abete profumato dritto e lucido come una sentinella nel suo vaso di cotto alla base delle scale che ogni mattina mi saluta con lo sguardo speranzoso di colui che spera sia finalmente arrivato il giorno in cui verrà vestito in qualche modo anziché essere lasciato lì nudo come un bruco sotto gli occhi di tutti. Insomma, tutti hanno fatto l’albero di Natale. Io no, solo l’albero. Il fatto è che il tempo non c’è, non riesco a trovarlo, e ogni giorno diventa stasera, più tardi, domani, domenica, vedremo. Stamani avevo fatto un mezzo pensierino di mettergli intanto perlomeno le lucine, e avevo già programmato i tempi col cronometro, cercando di ritagliare un dieci minuti netti tra l’uscita dall’ufficio, un avanzo di pranzo da ingurgitare in un oplà, la pulcina ballerina da andare a riprendere alle prove del suo spettacolo di Natale, panettone e pandoro da recapitare alla struttura che ospita i miei genitori e la cena natalizia aziendale. Ma poi è arrivata la neve. Tanta neve. Che ha imbiancato tutto, seppellendo macchine e biciclette, spalmando ciuffi di panna montata in ogni dove e rendendo magica questa città frenetica e spesso troppo grigia. Ogni tipo di progetto è saltato, lucine comprese, tutto da rivedere, la città si è fermata, nastri di strade bianche da percorrere con i Moon Boot nuovi che mai avrei pensato di indossare in città, fare a pallate di neve con la pulcina che ride e si tuffa nel bianco. Domani niente scuola, la neve ha portato con se anche un giorno di vacanza, e magari ce la farò anche a coprire le nudità del mio povero abete. Ma il più bello oggi è il mio giovane amico, arrivato giusto un anno fa, splendido albero di Natale improvvisato dalle lunghe dita ricamate di bianco protese verso il cielo, al centro del giardino ricoperto di zucchero filato che riluce di un bianco cangiante nella notte chiara. Bellissimo. Anche nudo e senza le lucine.

mercoledì 15 dicembre 2010

La letterona

In genere sono i bambini che scrivono a Babbo Natale, compilando quelle belle e spesso lunghissime liste di beni squisitamente materiali, che spaziano dalle biciclette alle bambole, dai videogiochi alle inossidabili Barbie per arrivare a nutriti eserciti di Gormiti e lettori Mp3 di ultima generazione. Dai bambini ci si aspetta questo, e loro chiedono senza ritegno. I desideri degli adulti sono generalmente un po’ diversi, si chiede del tempo, un po’ di tranquillità, meno smog a soffocare il mondo, più cultura per tutti e soprattutto che un colpo di bacchetta magica faccia sparire per sempre tutti i cattivi da questa terra. Naturalmente, sottoscrivo tutto. Sia il sacrosanto desiderio dei bambini di trovare sotto l’albero tanti pacchetti da scartare che quello dei loro genitori di vivere in un mondo migliore. Stamani mi sono svegliata anch’io con il desiderio di scrivere una letterina, ed è tutto il giorno che una divertente lista si va allungando nella mia mente. Il guaio è che si tratta di una lista da bambini, piena zeppa di cose tangibili, concrete, da toccare o anche solo da sognare, ma vere e reali, banali o preziose e tutte assolutamente, splendidamente materiali. C’è un paio di Interactive marroni, un timer da cucina che vien voglia di mangiarlo, dei guantini viola, un chiama angeli in argento anche se non sono incinta, un bel paio di jeans come dico io, il nuovo profumo di Zara al gelsomino bianco, la dresscode di George Gina & Lucy, l’abbonamento a Vanity Fair, una piastra per capelli che funzioni davvero sulla mia indomabile criniera, Il Cimitero di Praga di Umberto Eco, una Nespresso grigia anche se sprovvista di George, un nudo di Pomellato, La Caduta dei Giganti di Ken Follett e un weekend a Londra. Beh, credo che più che letterina la si debba chiamare letterona, ma il solo pensarla mi ha aiutato a sorridere e a rivedere un po’ di quei colori che tutti questi giorni di buio mi avevano fatto dimenticare. Non credo che niente di tutto ciò giungerà mai sotto il mio albero, ma non è questo che importa. Mi sento più terrena, più umana ed anche più bambina. E questo, invece, importa.

venerdì 10 dicembre 2010

Il suono del vuoto

Una giornata intera per svuotarla completamente, l’andirivieni incessante su e giù per le scale delle persone che se ne sono occupate, il rumore assordante del legno che si spezza, la polvere che vola dappertutto come borotalco, le finestre aperte e il traffico incessante per la strada. Li seguo con gli occhi ed è come se non li vedessi, la mia mente è altrove. Non so dove di preciso, ma non lì. In bagno si stacca una mattonella e cadendo fa uno strano crac, come se avesse amplificato l’incrinatura che si va allargando nel mio cuore. Dalle finestre entrano i raggi lunghi e pallidi del sole che sta tramontando, gli uomini finiscono di caricare i loro furgoni e se ne vanno. I miei passi rimbombano sui pavimenti in un modo del tutto nuovo, che non conoscevo. Eppure credevo di conoscere ogni suono e ogni rumore di quella casa, ma questo non lo avevo mai sentito. Ecco come risuona il vuoto in quella che è stata la mia casa per trent’anni e dei miei genitori per più di cinquanta. Cammino per le stanze deserte e mi guardo intorno stupita, ascoltando questa nuova melodia triste e soffocata. Qui c’era la mia scrivania, qui c’era la cuccia del mio cane, qui mettevo la bambole a dormire. Una lacrima scivola giù in silenzio facendo da apripista. Mi accorgo di piangere a dirotto e anche i miei singhiozzi hanno un suono diverso. Dalle finestre spalancate non entra quasi più luce. Ho freddo. Mi asciugo gli occhi, saluto un pezzo della mia vita ed esco. E’ buio.

lunedì 6 dicembre 2010

Non cucio

Ancor prima di vederla, addormentata e stanca sul ripiano basso nella penombra del ripostiglio, sapevo che l’avrei presa con me. La scatola da cucito di mia madre, vecchia e sciupacchiata, piena di ogni cosa e soprattutto di ricordi. Ci ho trovato di tutto, spolette di filo dai colori più improbabili, ruggine, verde bandiera, ciclamino e turchese Sardegna. Ditali, un uncinetto giallo limone, miriadi di bottoni, nastrini, elastici e gancetti, quelli doppi che non si usano più e che mi ricordano tanto i costumi di Carnevale e perfino una manciata di campanellini. Il vecchio puntaspilli malconcio e quello fatto con un cuscino della camera da letto della Barbie, che una vita fa avevo regalato con sussiego a mia madre come a sottolineare il fatto che ormai ero grande e con le bambole non ci giocavo più. Il metro da sarta, quello giallo da un lato e celeste dall'altro, da arrotolare e stendere e avvolgere e guardare e caspiterina che vitino di vespa. Ci sono pure un paio di quegli aggeggi che aiutano ad infilare il filo nell’ago, che pensavo non mi sarebbero serviti mai, e invece mi accorgo che purtroppo comincio ad averne bisogno anch’io e fanno proprio comodo. Non che io cucia molto, anzi diciamo proprio che cucio poco, giusto lo stretto, lo strettissimo indispensabile. I distintivi di sestiglia sulla camicia scout della pulcina, qualche paillette sui tutù in vista dei saggi di danza, un orlo scucito che penzola triste dal pantalone, un bottone ogni tanto, un pigiama col buco proprio sul sedere, che vien da chiedersene il motivo. Per il resto mi appoggio alla benevolenza di mia suocera o al negozietto di riparazioni. Sono negata, sempre stata, che ci si può fare. Da ragazzina mia madre mi iscrisse anche ad un corso di taglio e cucito. Nulla, soldi buttati via. Ma mai e poi mai avrei potuto buttar via questa vecchia scatola da cucito, con tutti i suoi fili bislacchi e i bottoni del loden verde che avevo da bambina. L’ho ripulita, ci ho aggiunto tutto ciò che possiedo in termini di attrezzatura da cucito, qualche ago, spilli, le trecce di fili multicolori, una scatolina di bottoni assortiti, l'utilissimo filo di nylon dell’Ikea e l’ho guardata. Bellissima. Non cucio, è vero, ma adesso, chissà.

mercoledì 1 dicembre 2010

Sold out

Ogni anno mi sembra che il Natale arrivi prima. Praticamente è un lampo. L’inizio della scuola, la pioggia, le foglie gialle, dolcetto o scherzetto e poi non fai in tempo a voltarti che le vetrine sono già addobbate a festa e in televisione passano gli spot dei panettoni. Ed io come al solito non sono pronta. Quest’anno meno di sempre. Sono talmente in corsa e piena di pensieri rivolti a questa necessità che incombe e di cui ancora non vedo la fine, che non ho neppure il tempo per soffermarmi sui magoni che l’arrivo del periodo natalizio normalmente mi provoca. E questo è senz’altro un bene. Però questo semplice sfiorare l’ambaradan prenatalizio che mi circonda, senza potermici soffermare a dovere, senza assaporarlo ma intuendone solo lontanamente il profumo, mi fa sentire strana, come se osservassi tutto attraverso un vetro un po’ appannato. Guardare ma non toccare. Vorrei poter pensare e pianificare tutti i piccoli grandi progetti del Natale, le sciocchezze, le frivolezze e le cose più sensate. Dal tipo di abito da far indossare all’albero quest’anno, ai regali da comprare, alla creazione di una nuova ghirlanda per la porta, ai biglietti di auguri da spedire, quelli fatti di carta e busta, che secondo me gli auguri che arrivano per posta con tanto di francobollo e scritti in bella hanno ancora tutta un’altra poesia rispetto ai freddi sms da mandare con l’invia a tutti approfittando della tariffa superscontata del gestore telefonico di turno. Eppure non ci riesco. Il calendario che urla dalla parete che siamo ufficialmente arrivati al count down dicembrino mi mette ansia, ma ciononostante non riesco a trovare un buco di spazio libero nella testa per pensare anche a questo. La platea è piena, e pure la galleria. C'è un bel cartello appiccicato con il nastro adesivo, sold out, tutto esaurito, riprovare più tardi. Speriamo perlomeno che si liberi qualche posto prima del venticinque.

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin