martedì 30 settembre 2008
Io, tu e Raffaello
Le cose che nascono all’improvviso, un po’ per caso, seguendo l’ispirazione del momento spesso si rivelano più autentiche, più ricche di significato e di sapore di quelle che invece si sono programmate da mesi che quando si arriva al dunque sappiamo già tutto e sembra di vivere un déjà vu. E’ quello che è successo a noi due sabato pomeriggio, che decidiamo di seguire il Galletto in uno dei suoi innumerevoli appuntamenti vinicoli, visto che si svolge nelle stradine del nostro bellissimo centro storico, che per motivi di praticità e logistica finiamo però per non percorrere quasi mai, godendo di un pomeriggio di sole e vento che di Settembre ha solo il nome. La piazza è gremita, turisti, appassionati, gente che passa per caso, curiosi e coppie di innamorati, tutti accomunati da un bel calice in mano e un liquido rubino che fiammeggia al sole, seduti sul selciato lievemente in salita che fronteggia l’austera facciata di Palazzo Pitti. Osserviamo il Galletto che degusta, le dozzine di bottiglie, le innumerevoli etichette diverse, i sommeliers in alta uniforme e i giapponesi che scattano fotografie a raffica. Mi guardo intorno e vedo la lunga fila di turisti in coda per entrare al palazzo, rifletto sul fatto che la maggior parte di loro viene sicuramente dall’altro capo del mondo solo per poter fare quella coda e così, improvvisamente, mi chiedo perché non raggiungerli. Facendo un rapido calcolo è una ventina d’anni che non entro nelle sale e quale occasione migliore per rivivere le emozioni che quelle tele meravigliose sanno trasmettere condividendone la gioia con te che le vedi per la prima volta. Che ne dici di un museo? Accogli la proposta con gioia e lasciando il Galletto al suo destino di Ribolla e Syrah ci mettiamo in coda insieme a tedeschi e australiani e ci infiliamo nella Galleria Palatina. Penombra, voci sommesse e faretti a illuminare sapientemente volti di nobildonne, trittici e annunciazioni. I passi attutiti dalla moquette ci guidano da Filippo Lippi a Botticelli, a Rubens, a Tiziano, a Van Dyck, mentre il tuo sguardo corre, si ferma e osserva rapito e la tua vocina legge le spiegazioni dipinto per dipinto, contando i secoli e chiedendo infiniti perché. Sono nata in una città che viene chiamata la culla dell’arte, dove si incontrano capolavori in ogni chiesa e ad ogni angolo, ed è difficile che possa venir colta dalla sindrome di Stendhal eppure mi accorgo che questa volta è diverso, che ammiro le pennellate con una consapevolezza nuova e capisco che questa grande emozione nasce dal fatto di vedere tutto attraverso i tuoi occhi. Improvvisamente il mio sguardo cade su quel dipinto, che amo in particolar modo, da quando in quelle stesse sale i miei occhi di ragazzina incontrarono la dolcezza infinita di quella Madonna con Bambino e decisi che mi trovavo di fronte al più bel quadro del mondo. E’ ancora così, oggi come allora la magia della Madonna della Seggiola di Raffaello mi travolge e, mentre ti racconto del mio amore speciale per quel dipinto e di quando è nato, i miei occhi si appannano un po’ e non capisco se le scintille che si accendono nei tuoi sono per la storia che ti racconto, per la bellezza del quadro o per entrambe le cose. Chissà, in fondo non è importante. Quello che importa è che abbiamo vissuto dei momenti magici insieme a dei pezzi di storia che da più di cinquecento anni continuano a far innamorare chi li guarda e che quando abbiamo ritrovato il Galletto atto a disquisire di annate e verticali gli hai raccontato la nostra avventura con più entusiasmo che se fossimo state a Disneyland. Mentre mi concedo due dita di un dolce Pomino bianco da vendemmia tardiva lo sguardo si sposta dalla tua testa bionda che racconta alla facciata di palazzo Pitti che si tinge lentamente d’oro e ripensando alla magia di Raffaello chiusa dietro a quelle mura, sorrido.
giovedì 25 settembre 2008
Polpetta time
Credo che nella vita di ciascuno prima o poi capiti di imbattersi nelle polpette. A me è capitato ieri. Già, sembrerà strano, pur avendo al mio attivo valanghe di roast beef e ariste al forno, dozzine di arrosti di tacchino e vitello ai funghi, svariati filetti in crosta, conigli in umido, spezzatini e gulasch, alle polpette non c'ero ancora mai arrivata. Al massimo ero ricorsa al bustone di polpette svedesi surgelate dell'Ikea accompagnate da quella deliziosa cremina e una bella cucchiaiata di composta di ribes rossi. O avevo riassaggiato nei ricordi il sapore delle buonissime polpette al sugo che faceva mia madre, piccole e leggere, che una tirava l'altra peggio delle ciliegie. Insomma, vuoi perché mi son sempre sembrate un piatto un po' da riciclo avanzi, vuoi perché non avevo mai trovato una ricetta che mi ispirasse abbastanza, non avevo mai provato a farle. Mai dire mai, ed ecco che l'occasione si presenta, improvvisa e fuori programma, creata da mezzo chilo di macinata di magro che volevo trasformare in ragù e un impegno inaspettato che mi ha impedito di comprare il resto degli ingredienti. Così, ieri sera verso le ventidue, la macinata mi guardava triste dal frigo e io ricambiavo lo sguardo ben sapendo che o la trasformavo velocemente in qualcos'altro o sarebbe finita nel secchio e, così sui due piedi, decido: ne farò polpette. Troppo tardi per telefonare a mia suocera e chiederle una dritta, ricettario ancora imballato in uno degli infiniti scatoloni ancora da aprire, internet che suona come una bestemmia in una casa dove il pc giace in un angolo bellamente smontato e scollegato. Quindi, si improvvisa, attingendo un po' ai ricordi di quando osservavo di sguincio mia madre che le preparava mentre io facevo i compiti al tavolo della cucina e aggiungendo un po' di personalissima inventiva, con la consapevolezza che quando si mischiano ingredienti buoni è difficile che venga fuori qualcosa di cattivo e poi, perdinci, devo fare delle polpette mica il cervo in agrodolce. Vuoi che sia stata l'inventiva, il ricordo delle polpette materne o puro caso, il risultato ha passato alla grande l'esame della sottoscritta, che con se stessa è più ferrea della commissione della Guida Michelin, e veleggia intrepido verso la cena di stasera. Ché le polpette, lo si sa bene, son buone anche riscaldate.
Polpettine al latte
Ingredienti:
500 gr. di macinata di manzo magra
un uovo
una fetta di pane casalingo
latte
parmigiano grattugiato
sale
noce moscata in polvere
pan grattato
farina
olio extra vergine di oliva
burro
mezzo dado da brodo
una sottiletta
Preparazione:
Polpettine al latte
Ingredienti:
500 gr. di macinata di manzo magra
un uovo
una fetta di pane casalingo
latte
parmigiano grattugiato
sale
noce moscata in polvere
pan grattato
farina
olio extra vergine di oliva
burro
mezzo dado da brodo
una sottiletta
Preparazione:
Togliere tutta la mollica alla fetta di pane e metterla a mollo in una tazza di latte. Nel frattempo mettere la carne macinata in una ciotola capiente e romperci dentro l’uovo. Aggiungere due cucchiai di parmigiano grattugiato, un cucchiaino di sale, mezzo cucchiaino di noce moscata, un cucchiaio di pan grattato e mescolare bene tutto il composto. Strizzare la mollica dal latte e incorporarla al composto, senza gettare il latte. Con l’aiuto di un cucchiaio prendere un po’ del composto e rotolarlo tra i palmi delle mani a formare tante palline e infarinarle. In una casseruola capiente versare un giro d’olio, aggiungere una noce di burro e mettere sul fuoco. Quando sarà caldo aggiungere le polpettine infarinate e far cuocere a fuoco vivace, coperto, fino a che non saranno rosolate da tutti i lati, voltandole spesso con delicatezza e aggiungendo mezzo dado spezzettato. Versare nella casseruola il latte rimasto nella tazza, aggiustare di sale e far cuocere coperto ancora un po’. Poco prima di spengere il fuoco aggiungere una sottiletta a pezzetti e incorporarla bene alla salsa di latte ottenuta. Servire le polpettine calde cosparse dalla crema di latte.
martedì 23 settembre 2008
Amo l'autunno
E' buffo pensare che tutte le volte che me lo hanno chiesto o che ho dovuto scriverlo in quegli elenchi di preferenze da test o da diario di scuola io abbia sempre indicato la primavera come la mia stagione preferita, perché mi accorgo invece di aver sempre dato una risposta sbagliata. Non che la primavera sia una brutta stagione, quando c'è, visto che ultimamente passa da queste parti solo per pochi giorni, giusto il tempo di far sbocciare qualche fiore e dare il via alle scorribande aeree delle rondini, per andarsene subito dopo e lasciare il posto alla sua collega stakanovista, quella che arriva sempre in anticipo indossando succinti bikini e colorate infradito; anzi, di per se non sarebbe affatto male, se non fosse che i brividi e il batticuore che mi provoca l'autunno difficilmente riesco a provarli in un giorno di Maggio quando all'apparire del sole si comincia già a sudare. C'è poco da fare, amo l'autunno. Amo le sue giornate corte che fanno venir voglia di mettersi ai fornelli a cucinar manicaretti, accendere il forno e star lì ad inebriarsi di quei profumini di torte e focacce che s'indorano lentamente. Amo la brezzolina che gioca a nascondino con le nuvole e mi permette d'indossare un bel tre strati di camicia golfino e giubbotto coordinando colori e nuances come fossero matite nell'astuccio. Amo la trapunta sul letto, che sa di coccole e tepore e star lì a leggere raggomitolata come un gatto mentre fuori la pioggia scrosciante suona una delle più belle colonne sonore che esistano al mondo. Amo il cielo cobalto che mi sovrasta nitido e lucido come un cristallo che solo a guardarlo vengo invasa da un misto di energia, gratitudine e buonumore che mi accompagnano per tutta la giornata. Amo la ripresa delle abitudini e dei programmi televisivi, dal trash allo pseudo intellettuale, ché tutto fa brodo per godersi un po' di pace serale quando l'occhio si annebbia e sopraggiunge la cascaggine. Amo questa via di mezzo tra il freddo che verrà e il caldo che fa capolino al pomeriggio, l'occhiale da sole pronto in borsa e il mocassino ancora senza calze, una tisana fumante e il cono gelato. Amo la sindrome dello scoiattolo che puntuale è arrivata al primo calare delle temperature e che tra un paio di settimane mi farà evitare la bilancia come la peste. Amo il ruggine, il rubino, il marrone, l'oro fuso, di cui lentamente si vestiranno i boschi e il mio guardaroba, la semplicità e la ricchezza di una vendemmia o di una fredda alba trascorsa a cercar funghi.
venerdì 19 settembre 2008
L'arcobaleno
Venerdì uggioso e piovoso, cominciato presto con l'elettricista che ci è piombato in casa all'alba mentre vagavo ancora per la casa in pigiama e che dopo cinque minuti aveva già riempito il pavimento di pezzettini di filo colorato e irrorato le scale wengé di deliziose bricioline di intonaco bianco, che si stagliavano nette e impertinenti a farmi marameo visto che ieri sera mentre passava il telegiornale io ero lì che passavo ancora l'aspirapolvere. So già che quando tornerò si saranno trasformate in impronte bianche sparse un po' dappertutto e così invece di pranzare farò mangiare l'aspirapolvere prima che arrivi l'insegnante d'inglese della picci e la sua amichetta che amano far lezione sedute sul pavimento ma che forse non amerebbero il ritrovarsi le terga imbiancate a festa. Senza troppa cura però, l'aspirapolvere intendo, visto che nel pomeriggio sarò omaggiata di una visita anche da parte dell'idraulico, che ovviamente lascerà dietro di se un'altra bella dose di cibo per la mia devota Hoover. Insomma, tra la pioggia grigia dietro il vetro e questo programma altamente ludico si prospetta proprio un bel pomeriggio, non c'è male assai. Pare che in serata smetterà di piovere e forse tornerà il sereno, ma io credo di aver trovato il modo di far brillare anche un arcobaleno. Ho letto qui di una bimba gravemente malata e della sua felicità quando riceve della posta a lei indirizzata, una cartolina, una lettera, un disegno fatto da bambini come lei. Così oggi pomeriggio la picci e la sua amica, entusiaste all'idea, dedicheranno la loro lezione d'inglese a scriverle un coloratissimo messaggio e, anche se fuori dalla finestra continuerà a scorrere la pioggia, dentro ai nostri cuori sboccerà senz'altro l'arcobaleno. Guarisci presto Ellie.
mercoledì 17 settembre 2008
Un giorno speciale
La scuola è ricominciata e anche quest'anno non avrei rinunciato per nulla al mondo a svegliarti, perché il risveglio del primo giorno di scuola è diverso da tutti, c'è quel misto di eccitazione e timore che te lo farà ricordare a lungo. Non avrei rinunciato ad esserci, che se anche ci sono sempre, è vero, esserci nei momenti speciali vale un po' di più e mi fa sentire più vicina e più mamma. Non avrei rinunciato ad accompagnarti a scuola, sbrigati è tardi, e tu che fili via impettita sul marciapiede mentre il grembiule blu ti svolazza intorno alle gambe e ti trascini dietro lo zaino nuovo versione trolley che finalmente risparmierà la tua e la mia schiena dalla fatica di portare tutto quel peso ogni giorno. Il cortile è gremito, sorrisi, saluti, chiacchiere, le foto di rito e poi la campanella che richiama tutti all'ordine ma che invece scatena il caos con i bidelli che cercano di non fare entrare i genitori e poi desistono, del resto è o non è un giorno speciale. Così m'infilo anch'io con te su per le scale, una fiumana di bimbi, genitori, voci e risa, e penso mestamente che magari l'anno prossimo mi chiederai di non farlo, che in quinta non si arriva in classe con la mamma. Così approfitto della mia forse ultima occasione ed entro in classe con te, saluti alle maestre, quelle vecchie e quella nuova, una bella foto con la compagna di banco. In bocca al lupo tesoro e un ultimo abbraccio. Anche stavolta il groppo alla gola non si fa attendere e un paio di lacrime scivolano via furtive, ormai è diventata una regola e non mi faccio cogliere impreparata, kleenex in tasca e occhiali da sole pronti da inforcare, anche se di sole ce n'è poco e le nuvole si rincorrono veloci. Uscendo getto uno sguardo ai cancelli accanto, quello della materna e quello del biennio, il tuo primo giorno d'asilo sembra ieri e quello di prima elementare un'ora fa. Mi accorgo che il tempo sta passando troppo in fretta, ma chi cavolo si è permesso di allargare il buco alla clessidra che la sabbia sta scivolando via senza che nemmeno me ne accorga. O forse sì, me ne accorgo anche troppo bene e non so come fare, così evito di pensarci, ma adesso proprio non mi riesce amore mio. Ti vedo già grande e tra poco lo sarai per davvero e se potessi farmi dare un passaggio da Emmett Brown sulla mitica DeLorean vorrei poter tornare indietro di qualche anno per approfittare un po' di più di tutto quello che c'è stato tra te e me in questi nove anni e passa, dai biberon di latte alla prima volta in bicicletta, da quando volevo ordinarti una dentiera perché a quasi quattordici mesi non si vedeva nemmeno un dentino a quando mi dettavi le letterine per Babbo Natale perché non sapevi ancora scrivere. Mi sa che mi dovrò accontentare di riguardare un po' di fotografie e, come sempre, il tempo continuerà la sua corsa e noi con lui. Tu sarai sempre meno pulcina, io sarò sempre più vecchia gallina. Ma l'essermi fermata un attimo a guardare indietro, oggi, mi ha fatta stare meglio e le lancette, a ben guardare, forse si sono fermate davvero, almeno un pochino. Del resto, è un giorno speciale.
venerdì 12 settembre 2008
Quarantatré
Ma sì, in fondo quarantatré non è affatto male come numero, riempie bene la bocca e poi ha pure l'accento che, sebbene un semplice accento sia ben lontano dalla nobiltà dell’apostrofo rosa decretata da Rostand, lo rende comunque frizzante e un pochino sbruffone. Sì, direi che mi piace, anche se non mi riconosco molto nella descrizione che ne fa la Smorfia napoletana di Onna pèreta fore o'balcone e cioè un'impicciona un po' oca che passa le sue giornate affacciata al balcone per farsi ammirare e soprattutto per farsi gli affari degli altri. No, non sono io, o meglio sì lo sono eccome, visto che questo schermo davanti ai miei occhi è bene o male una finestra aperta sul mondo alla quale mi piace affacciarmi spesso, ma che nessuno si azzardi a dar di oca alla gallina. Non si può far confusione su queste cose, voglio dire, sono aspetti fondamentali della vita. Comunque, oche a parte, guardandomi allo specchio il quarantatré direi che mi dona, che poi se anche non mi donasse, a forza di modifiche, imbastiture, orli e magari un paio di ruches o qualche paillette aggiunta tanto per fare scena, dovrei farmelo donare per forza. Come dire, è una taglia che non si cambia, signora, mi spiace, la quarantadue l'abbiamo esaurita e la quarantaquattro ci verrà consegnata solo l'anno prossimo. Insomma, visto che sarà una convivenza forzata tanto vale andar d'accordo fin da subito, no?
giovedì 11 settembre 2008
Ricordo
Ricordo il sole settembrino che entrava dalla finestra mentre pranzavo tardi come al solito facendo svogliatamente zapping con il volume bassissimo per non svegliare la pulcina duenne che dormiva sul divano dopo una mattinata trascorsa all'asilo nido. Ricordo come improvvisamente un'immagine mi colpì e fermai sorpresa il mio saltabeccare da un canale all'altro per osservare meglio quella scena di un grattacielo in fiamme. Ricordo come in un attimo si affollarono nella mia testa parole quasi impossibili da credere, edizione straordinaria, New York, un aereo caduto su un grattacielo, squadre di soccorso, sono le Twin Towers, persone intrappolate ai piani alti, guardavo e capivo, guardavo e non capivo. Ricordo quando accadde la stessa terribile cosa all'altra torre, non è un caso, è terrorismo, ascoltavo e la paura si faceva largo dentro di me, vedevo mia figlia addormentata e pensavo che stesse per scoppiare la terza guerra mondiale. Ricordo il fumo, piccole disperate figure che si lanciavano nel vuoto, aeroporti chiusi e pensavo alla persona con la quale avevo lavorato fino al giorno prima, incinta di sette mesi, che si trovava in volo verso Boston proprio in quel momento. Ricordo il suono del telefono, stai guardando anche tu, non è possibile, ma che succede, non ci credo. Ricordo i crolli, la polvere infinita, l'orrore di essere spettatore in diretta di una simile catastrofe e continuare a guardare ammutolita e devastata. Ricordo tutto, di quel maledetto undici Settembre di sette anni fa e dei giorni che sono seguiti. Ricordo e spero di ricordare per sempre.
lunedì 8 settembre 2008
Ona, ona, ona, ma che bella rificolona
L’ho detto più di una volta e mi ripeto con piacere, tornare bambini fa bene, rilassa, diverte, distende e ringiovanisce. E se poi guardandosi allo specchio vediamo ancora lì al suo posto quella rughetta che ci solca la fronte come se fosse passato un aratro non dobbiamo pensare che l’effetto ringiovanente con noi non abbia avuto effetto. Assolutamente no, l’effetto l’ha avuto, eccome, ma con quelle rughette un po’ più nascoste, quelle che non vede mai nessuno ma che per me son mille volte più importanti. Quelle del cuore, che si scrolla di dosso la ragnatela che lo avvolge, come un cane che ha appena fatto il bagno, e torna roseo, liscio e cicciotello come quello di un bambino. E così, ieri sera, tornata dalla kermesse lavorativa milanese, stanca ma con la voglia di qualcosa di divertente che non mi facesse pensare più di tanto, ho convinto il Galletto ad abbandonare cacciaviti e Black & Decker per un paio d’ore e abbiamo portato la pulcina a spasso per le vie della città, per una festa tipicamente fiorentina che per fortuna resiste ancora ed è sempre la stessa di quarant’anni fa, semplice, spontanea, un tantinello becera e proprio per questo così bella, la Festa della Rificolona. Bambini che sfilano per le strade con le rificolone accese e squadre di agguerritissimi bambini un po’ più grandi che tentano di forarle, spengerle o addirittura incendiarle a suon di ben assestati colpi di cerbottana, bancarelle lungo i marciapiedi dove sgomitano luccicanti schiacciate con l’uva e orde di coccoli fumanti, pensionati che approfittano della notte mite per fare due passi nel quartiere e mamme che si rincontrano dopo le vacanze ed iniziano subito a parlare dell’imminente riapertura della scuola, grembiuli sì, grembiuli no e lo zaino nuovo ancora da comprare. C’era quell’atmosfera rilassata e caciarona che da tanto tempo non avevo più avuto occasione di annusare e il sorriso si allargava spontaneo mentre portavo con sussiego una delle due rificolone della picci ondeggiandola ad arte cercando di evitare i colpi di cerbottana sparati senza pietà anche sul mio didietro. L’avrei voluta imbottigliare quell’aria lì, in una boccettina di vetro con un bel tappo ermetico, da svitare e riannusare al momento opportuno, quando i giorni cittadini diventeranno frenetici e grigi, perennemente in corsa. Questo non l’ho potuto fare ma rileggere queste righe lo potrò fare senz’altro.
giovedì 4 settembre 2008
Diamonds are a girl’s best friend
Così cantava Marilyn nel film Gli uomini preferiscono le bionde ma nonostante siano trascorsi cinquantacinque anni questa frase mi sembra più che mai attuale ché non esiste al mondo giovin gallinella o chioccia matura che sia immune ai riflessi sfavillanti di un diamante, da ricevere ovviamente in dono, questo è naturale. O in premio, perché no, e magari virtualmente, che fa tanto terzo millennio. Quello che non cambia è il risultato, una sferzata pura di allegria e una bella lucidata all’autostima, che a me tra l’altro oggi, con la valigia già pronta per un viaggio di lavoro, voglia zero e tanta stanchezza, mi fa un effetto migliore di un caffè doppio, fosse pure corretto. La cara Julia, che conosco da poco ma che stimo moltissimo, mi ha conferito infatti il Premio Brillante Weblog 2008 che affiggo prontamente nel pollaio e colgo l’occasione per ringraziarla pubblicamente dall’aia. Questo premio viene assegnato a quei blog che risultano brillanti per i contenuti, lo stile o il design, con l'intento di promuoverli e incoraggiarne la diffusione virtuale. La regola vuole che ogni premiato debba a sua volta scrivere un post sull’argomento, citando l’autore della nomina e nominando a sua volta almeno sette blog meritevoli dello stesso premio, avvisando i gestori sulle rispettive pagine. Colgo quindi l’occasione di premiare con questo brillante iridescente e sfavillante, da incastonare all’anulare, inserire in una spilla o personalizzando una coppia di gemelli spaiandoli per sempre, alcuni blog che, molto semplicemente, se lo meritano davvero. Si tratta di Bistrot chez Maurice, Cuoche dell’altro mondo, I Pizzini, 365 albe 364 tramonti, I Filibustieri, Mammamsterdam e Worldwidemom. Naturalmente sarebbero molti di più i blog che vorrei premiare e alla prossima occasione il giro si allargherà senz’altro. Coccodè a tutti.
martedì 2 settembre 2008
Message in a bottle
C'è poco da fare, a Settembre tutto ricomincia, anche se a questo giro col fatto di aver passato un'estate diversa, a cavallo tra l'ufficio ed una casa non mia, impegnata a combattere quotidianamente con i muratori e non soltanto con condizionatori e zanzare, con delle ferie trascorse a traslocare e delle brevi vacanze decise all'ultimo per evitare il ricovero alla neuro, mi sembra un capodanno diverso dal solito e stento ad innescare la marcia giusta per ricominciare. Sarà che a casa c'è ancora un delirio di scatoloni da aprire, mobili da rimontare e decine di preventivi e cataloghi sparsi un po' dappertutto a ricordarci che se vogliamo che prima o poi ci venga consegnato un divano sarebbe forse il caso di ordinarlo. Sarà che le batterie ricaricate in montagna si stanno rapidamente esaurendo e non c’è speranza di ricaricarle perlomeno fino a Natale. Sarà che nonostante le giornate si stiano velocemente accorciando l’aria è ancora appiccicosa e resta difficile credere di essere già sbarcati in Settembre. Qualsiasi cosa sia, benché davanti a me veda ben chiara un’imminente trasferta professionale e tutta la mole di lavoro che essa come al solito si trascinerà dietro, il corredo scolastico della pulcina da finire di comprare, ivi compresi i libri scolastici da ritirare, i nuovi orari delle sue attività pomeridiane da consultare e il solito giochino degli incastri da ripristinare, è come se non mi sentissi ancora pronta, come se galleggiassi in mare in cerca di un approdo, come una vecchia bottiglia che ci può impiegare anche degli anni per spiaggiarsi da qualche parte. E guardandola attentamente ci si accorge che dentro c’è davvero un messaggio, arrotolato per benino e un po’ ingiallito. C’è scritta una banalità. Una banalità molto vera però. Fermate il mondo, voglio scendere.
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