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martedì 10 novembre 2015

UOMO IN PADELLA



I primi abitatori dell’ Europa erano una banda di cannibali, che prediligevano un'alimentazione a base di carne di bambino.
Tale tesi ha ricevuto un’ennesima conferma dal ritrovamento di Atapuerca, località vicino a Burgos, in Spagna.
Lì in una grotta (la Gran Dolina) tra le montagne, nel 1994 vennero scoperti i primi resti dell’ Homo antecessor, un ominide che visse circa 800.000 anni fa.
Più recentemente, Gran Dolina ha restituito le ossa di 11 soggetti, in maggioranza bambini dai 3 ai 12 anni: su tutti, segni di coltelli, pietre affilate o smembramento, che indicano consumo da parte dell’ uomo.
Tali spoglie sono considerate particolarmente importanti perché “Studiando questi ultimi reperti possiamo dire con certezza che l’Homo antecessor praticò a lungo il cannibalismo” come afferma Eudald Carbonell, direttore degli scavi.
Gli scienziati ritengono che gli antichi spagnoli di Atapuerca mangiassero gli stranieri, non i membri della loro società: “Molto probabilmente si trattava più di un rituale culturale che di una reale necessità alimentare”, afferma il dottor Carbonell.
Vicino ad Atapuerca si trova la “Sima de los Huesos”, sito con 5000 resti fossili tra i quali 30 appartenuti ad individui preneandertaliani: tra le loro ossa, un cranio (in eccezionali condizioni di conservazione) su cui i ricercatori non hanno finito i loro rilevamenti.
I 30 fossili preneandertaliani sono considerati in modo particolare “Poiché questi resti sono tra i più antichi tra i nostri progenitori europei possiamo affermare che siamo discendenti di cannibali” sottolinea Carbonell.
In ogni caso non è la prima volta che gli studiosi trovano tracce di cannibalismo nella preistoria umana: già altri reperti avevano posto l’ interrogativo di quanto fosse presente la consumazione del cibo proibito, la carne umana, nella storia.
Un famoso caso di cannibalismo tra ominidi riguarda Lucy, l’Australopitecus africano scoperto nel 1974 e risalente a più di 3000 anni fa.
Gli studi compiuti su un cranio hanno rivelato tracce di taglio, effettuate con uno strumento artificiale (quasi certamente una pietra appuntita).
Dato che in quell’ epoca i nostri progenitori non usavano pelli di animali come vestiti, l’unica ragione dietro a tale operazione era di tipo alimentare: il soggetto fu scuoiato affinché la sua pelle potesse essere usata come cibo.
In Etiopia fu rinvenuto un altro cranio, questa volta risalente a circa 450.000 anni fa: anche questo presentava tracce di scarnificazione, con le sue parti commestibili cotte sul fuoco (di cui sono state trovate le testimonianze).
Ma indagare sul cannibalismo nella preistoria non è sempre facile: si cercano incisioni di oggetti, fratture nelle ossa (per estrarre il midollo) o segni di bruciature (tentativi dei cuochi per rendere più malleabile la carne delle vittime).
Il segno più importante della presenza di cannibalismo consueto viene dalla presenza di un fuoco o altra “area cottura), simbolo del’ esistenza di una comunità.
A volte però, la difficoltà d’ interpretazione dei reperti, i limiti della scienza o gli errori degli esaminatori possono condurre fuori strada.
E’ il caso del cranio, vecchio di 60.000 anni, ritrovato 60 anni fa circa nella Grotta Guattari, nel Circeo, e ritenuto a lungo testimonianza di cannibalismo. Grazie all’ uso del microscopio elettronico, si è potuto verificare come le incisioni sull’ osso fossero state prodotte da denti di iena e non da primitivi utensili da cucina.



Sta ancora intrigando e facendo inorridire la vicenda dell'uomo accusato di cannibalismo. Armin Meiweis, anni fa, aveva conosciuto la vittima, l'ingegnere berlinese Bernd-Juergen Brandes di 43 anni, con un annuncio su Internet nel quale cercava candidati disposti a farsi macellare. In una soffitta predisposta per il macello della sua villa abbandonata nell'Assia dell'est si compie il delitto. Dopo che l'ospite aveva ingerito 20 tranquillanti e bevuto una bottiglia di alcool, il carnefice gli taglia il pene e assieme a lui se lo mangia. Dieci ore dopo, di notte, dopo che la vittima perde coscienza per la forte perdita di sangue, gli taglia la gola e lo fa a pezzi. Divora una ventina di chilogrammi di carne.

Il macabro delitto è stato interamente documentato con un video di quattro ore, realizzato dallo stesso cannibale. Davanti alle telecamere, Meiwes ha raccontato dal carcere minuziosamente e con apparente tranquillità la sua storia: «La carne umana ha lo stesso sapore di quella di maiale, è solo leggermente più amara, più sostanziosa. E' davvero buona». Armin Meiwes, che attualmente sconta l'ergastolo nella prigione di Kassel e lavora nella lavanderia della struttura ha raccontato nei minimi particolari anche il momento del pasto ad un giornalista: «Ho arrostito leggermente la carne e l'ho salata. Il primo assaggio è naturalmente qualcosa di strano, un'emozione indefinibile».
Non ha neppure rimorsi per il crudele gesto: «È una bella sensazione sapere che Brandes è diventato una parte di me». Parla anche della sua infanzia Meiwes: «Mia madre mi leggeva le favole. Vorrei Hänsel e Gretel. Interessante era vedere, quando nella storia il piccolo Hänsel doveva essere divorato. Non immaginate neppure quanti Hänsel si aggirano in Rete». Solo in Germania, secondo i media tedeschi, ci sarebbero oltre 10mila tra cannibali e potenziali vittime che cercano di mettersi in contatto tra loro online e oltre 1 milione nel mondo alla ricerca di persone che vogliono vivere esperienze simili. Armin Meiwes aveva contattato con più di 400 uomini. «Mentre divoravo Brandes - ha detto - non sapevo se pregare Dio o il diavolo, ho chiesto infine perdono a Dio. Recitavo le preghiere mentre sotterravo i resti in giardino».

Il cannibalismo umano avviene generalmente per le seguenti ragioni:

In funzione di un'usanza culturale (cannibalismo rituale).
Per necessità in casi di carestia estrema.
Nel contesto di alcuni disturbi mentali.
Si distinguono due differenti tipologie di comportamento cannibale: l'"endocannibalismo", che consiste nel mangiare membri della propria comunità, e l'"esocannibalismo", che consiste invece nel mangiare membri di un'altra comunità.

In antropologia, generalmente, si parla di cannibalismo come atto rituale all'interno di culture primitive, mentre l'antropofagia designa semplicemente l'atto di mangiare carne umana.

I termini cannibali e cannibalismo derivano dalla parola canniba, riportata per primo da Cristoforo Colombo, con cui gli amerindi delle Piccole Antille designavano certe popolazioni dedite all'antropofagia. Con questo termine Arawak vennero identificate le popolazioni, dedite ad antropofagia culturale, dei Cannibi o Caribi, da cui deriva il termine Caraibi, che divennero gli antropofagi per antonomasia.



Per il cannibalismo rituale esistono reperti archeologici di ossa umane variamente manomesse che sembrano attestarlo, anche se non ci sono documenti che spieghino veramente le ragioni delle manomissioni. Per questo l'antropologo William Arens ha negato l'esistenza del cannibalismo, definendolo mito, del quale mancano prove materiali concrete oppure le presunte prove sarebbero frutto di cattiva e frettolosa interpretazione, sia da parte degli antropologi che non hanno mantenuto standard e rigore scientifico, sia degli antropologi-archeologi, frettolosi nell'assegnare le cause delle alterazioni ossee. Esso resta infatti uno dei grandi tabù del pensiero umano occidentale, più dell'incesto, e può affiorare come atto materiale in situazioni di gravi psicopatologie. È, per lo stesso motivo, un usato mezzo di propaganda per screditare nemici ed avversari. Arens nel suo libro ricorda che furono accusati di cannibalismo i cristiani da parte degli ebrei, gli irlandesi dagli inglesi, i francesi dai tedeschi e viceversa, spesso i popoli etichettati come "incivili" da altri che si considerano "civili".

Essendo oggigiorno l'accusa di cannibalismo un'accusa infamante, il dibattito sulla esistenza di società con pratiche cannibali è viziato in parte dal bisogno di fornire localmente interpretazioni politicamente corrette della propria cultura e più in generale dall'esigenza di alcuni studiosi e istituti di ricerca di non offendere i presunti discendenti di queste popolazioni. Per esempio i reperti archeologici degli indiani Anasazi sono stati risepolti, con un'apposita cerimonia ufficiata da capi religiosi degli indiani Pueblo. Viceversa nella cultura europea l'ipotesi di un cannibalismo da parte dei neandertaliani europei non suscita particolari emozioni.

Tuttavia il cannibalismo è esistito ed esiste e si può distinguere in tre categorie:

Cannibalismo alimentare: quello effettuato per necessità alimentari. Di fatto avviene solo in casi di necessità estrema.
Cannibalismo rituale: è stato diffuso in passato e viene praticato tutt'oggi. Consiste nel mangiare parti simboliche del corpo umano a scopo magico o religioso.
Pseudo-cannibalismo: ovvero pratiche non cannibali, o non necessariamente cannibali, connesse al culto dei morti che possono lasciare tracce affini a quelle di una macellazione. Ad esempio la scarnificazione dei corpi dei defunti.

Il cannibalismo è stato presente in varie culture, anche molto distanti fra loro. Può quindi assumere significati diversi, sebbene tipicamente riguardi la trasmissione di virtù dal morto ai vivi o l'esorcizzazione dello spirito del morto. Si ritiene che sia presente sin dai primordi della storia umana ed è stato praticato fino all'epoca contemporanea.

Sono stati trovati resti che fanno supporre atti di cannibalismo presso siti abitati dall'Homo neanderthalensis. Si tratta di ossa umane con segni di macellazione trovate in numerose località europee, Italia (Uomo di Saccopastore), Croazia e Francia (grotta di Muola-Guercy). Secondo l'antropologo Tim White alcuni di questi ritrovamenti, assieme ad altri tra cui in siti di Homo Sapiens arcaici, indicano che la pratica di cannibalismo fosse comune prima del paleolitico superiore.

L'analisi di reperti scoperti in siti archeologici abitati tra il 1150 e il 1200 dagli indiani Anasazi, in America, confermerebbero l'esistenza di cannibalismo presso questo popolo. Le prime indicazioni di ritrovamenti di testimonianze cannibali venne divulgata nel 1967 ad opera del bioarcheologo Christy G. Turner, ma prove più concrete furono fornite dopo esami biologici al microscopio elettronico, condotti negli anni novanta. Da tali esami risulta che le ossa furono bollite in pentole, ed in un recipiente di cottura vennero ritrovate tracce di mioglobina umana, una emoproteina presente nei muscoli.

Sin dalla scoperta dell'America è stata prodotta una vasta, ed in parte controversa, letteratura sulle pratiche cannibali di numerose popolazioni dell'America Meridionale, principalmente in Brasile. D'altra parte non solo i conquistadores spagnoli e i missionari cristiani, ma anche il famoso pirata francese Francesco L'Olonese morì per mano di indigeni cannibali, nel 1671.

A metà degli anni ottanta l'antropologa Beth Conklin visse due anni nella foresta pluviale brasiliana, in un villaggio degli indigeni Wari, che costituivano una piccola popolazione di circa 1500 persone viventi nella foresta amazzonica occidentale brasiliana. Nella relazione che l'antropologa scrisse, riferì di aver assistito a riti mortuari con pratiche cannibali.

Il cannibalismo tra gli aborigeni australiani è stato documentato in relazione ad alcuni riti funebri, in cui i parenti mangiano parti del corpo del defunto in segno di rispetto e di onore. Gli studi sul cannibalismo degli aborigeni hanno tuttavia generato polemiche tra i moderni discendenti degli aborigeni stessi. Tra gli aborigeni warlpiri l'uccidere uomini allo scopo di divorarli è considerato ripugnante ed attribuiscono questo comportamento solo a mostri, demoni e, occasionalmente, a tribù rivali. In Nuova Zelanda i Maori usavano nutrirsi dei prigionieri nemici.

I popoli melanesiani sono noti per aver praticato cannibalismo, fino all'inizio del XX secolo, ad esempio come segno di offesa verso la tribù nemica o per "assorbire" le qualità del defunto.

In Africa sono documentati casi di cannibalismo rituale. All'inizio dell'epoca coloniale divennero tristemente famosi come cannibali i cosiddetti Niam Niam (parola di origine dinka che significherebbe "grandi mangiatori"), che all'epoca divennero gli antropofagi per antonomasia. Il nome "Niam Niam", in uso nei testi arabi sin dal Medioevo, identificò nel tempo diversi popoli che si succedettero nel bacino del fiume Sue in Sudan (inizialmente bantu provenienti dal Congo, in seguito anche popoli sudanici come i Madi e i Barambu, e infine gli Zande), tutti noti per l'estensione e ostentazione dei loro riti cannibaleschi, nonché per le azioni bellicose atte a perpetrare tali riti. Fra i casi più noti di cannibalismo c'è quello della setta segreta degli uomini leopardo che tra il XIX e la prima metà del XX secolo assassinò numerose persone in Africa occidentale, e che imponeva ai propri membri il cannibalismo per rafforzarne la fedeltà ed il senso di appartenenza. Atti di cannibalismo rituale su prigionieri di guerra sono stati documentati sia in epoca precoloniale, che durante alcuni conflitti di natura etnica dell'Africa postcoloniale, tra cui le guerre civili del Congo, e della Liberia, e i conflitti in Uganda e Ruanda.

Un fenomeno correlato è l'uso di organi umani nei rituali di alcuni guaritori, documentata in molte regioni dell'Africa subsahariana. In Tanzania, per esempio, si attribuiscono poteri magici agli organi degli albini, e la diffusione di queste credenze è tale che le autorità sigillano le tombe degli albini con il cemento per impedirne la profanazione.

La medicina tradizionale del Sudest Asiatico e della Cina attribuisce particolari proprietà curative a certe parti del corpo umano, in particolare fegato e cervello, nonché ai feti. Nella Cina medievale sono stati riportati atti di cannibalismo come atto punitivo. Il giornalista australiano Neil Davis racconta di aver assistito durante la guerra civile cambogiana a soldati cambogiani che estraevano e consumavano il fegato dei loro nemici uccisi. Davis ricorda inoltre che oltre a questo cannibalismo rituale, ci furono episodi di cannibalismo alimentare dovuti alla carestia, sebbene tali pratiche venissero punite con la morte sotto il regime dei Khmer Rossi. Un'impiegata della sezione culturale dell'ambasciata francese ai tempi del regime khmer, Denise Affonco, riferisce di aver visto sventrare vivo un prigioniero, il cui fegato fu cotto su una stufa e mangiato, mentre secondo il professore cambogiano Khem Maly Cham le cistifellee venivano vendute in Cina come medicinali.

Bovannrith Tho Nguon spiega che i Khmer Rossi riportarono in auge una forma di cannibalismo rituale che attribuiva alla cistifellea, estratta a persone ancora vive e assunta seccata e grattugiata, il potere di curare qualsiasi malattia. Egli ha visto numerosi prigionieri sventrati vivi, le cui cistifellee venivano poi seccate al sole. Rithy Panh sostiene di aver visto i Khmer Rossi sventrare due bambini per raccoglierne e berne la bile, prima di ucciderli. La pratica trova conferma anche nella testimonianza di Ung Bunhaeng, che oltre a descriverla l'ha rappresentata graficamente. Altri riferimenti al cannibalismo, talvolta vaghi, sono presenti in letteratura, ma va considerato che non tutti sono attendibili perché, secondo studi accademici, tali pratiche di magia nera furono usate dalla propaganda del regime di Lon Nol per rappresentare i Khmer Rossi come gli "yeak", gli orchi delle favole cambogiane.

È a tutt'oggi praticato dalla setta indù degli Agori, che consumano le carni dei cadaveri abbandonati sulle acque del fiume Gange nella credenza di allontanare la vecchiaia.

Durante le gravi carestie, una parte delle vittime può arrivare a nutrirsi di cadaveri nel tentativo di sopravvivere. Il fenomeno si verifica soprattutto nelle carestie improvvise e impreviste, in cui il cibo viene a mancare completamente; gli affamati sono ridotti a cibarsi di topi, rospi, erba, corteccia e foglie degli alberi. Si verificherebbero anche casi di alterazione psicologica dovuta alla fame, che possono portare ad atti criminali (si uccide per mangiare la vittima).

Tra gli ebrei, nel libro del Levitico, Yaweh stabilisce benedizioni per il popolo se seguirà la sua legge e maledizioni se la rifiuterà. Tra le conseguenze nefaste della disubbedienza è elencato anche il cannibalismo:

« E se nonostante tutto questo non mi darete ascolto ... Mangerete la carne dei vostri figli e mangerete la carne delle vostre figlie. »   (Levitico 26:27-29)
Nella storia successiva degli israeliti, vengono poi descritti episodi in cui succede proprio questo. Durante l’assedio di Samaria, una donna chiede giustizia al re Jehoram (brano tratto dal secondo dei Libri dei Re):

« Ci fu una carestia eccezionale in Samaria, mentre l'assedio si faceva più duro ... Il re aggiunse: Che hai?. Quella rispose: Questa donna mi ha detto: Dammi tuo figlio; mangiamocelo oggi. Mio figlio ce lo mangeremo domani. Abbiamo cotto mio figlio e ce lo siamo mangiato. Il giorno dopo io le ho detto: Dammi tuo figlio; mangiamocelo, ma essa ha nascosto suo figlio. Quando udì le parole della donna, il re si stracciò le vesti. »   (2 Re 6:28-30)

Secondo alcune ricostruzioni supportate da racconti orali e ritrovamenti archeologici, le crisi ecologiche che si produssero sull'Isola di Pasqua e a Mangareva in conseguenza dell'azione diretta ed indiretta dell'uomo (deforestazione e conseguente erosione ed impoverimento del suolo, sfruttamento portato fino all'estinzione della fauna locale) ebbero come conseguenza la diffusione di conflitti e del cannibalismo a scopo alimentare.

Il cannibalismo è descritto nella carestia russa del 1921-1923, nell'Holodomor (carestia) in Ucraina del 1932-1933 il cannibalismo fu testimoniato dai sopravvissuti e poi confermato dagli archivi sovietici. All'epoca ne fu informato anche il governo italiano. Nelle suddette carestie, in cui si contarono milioni di morti, i casi di cannibalismo furono dell'ordine delle migliaia e si verificarono anche atti criminali in cui bambini vennero rapiti e uccisi allo scopo di venderne la carne, spacciandola per carne di origine animale, ai prezzi altissimi determinati dalle carenze di cibo.

Durante l'Assedio di Leningrado del 1941, da 600 000 a oltre un milione di persone morirono di freddo, stenti e fame. Il comportamento degli abitanti fu studiato da un'equipe di medici, che rilevarono come il cannibalismo fosse diventato una pratica di sopravvivenza comune senza distinzioni di classe sociale, sesso o età; gli arresti con l'accusa di cannibalismo erano circa mille al mese. Anche nel campo di concentramento di Tambov dove furono internati numerosi prigionieri italiani durante la II guerra mondiale, i sopravvissuti hanno narrato di ripetuti episodi di cannibalismo all'interno del Campo.

L'isola dei cannibali (Ostrov ljudoedov) è il nome che abitanti locali diedero all'isola di Nazino, nel cuore della Siberia, ed è il titolo del libro di Nicolas Werth che ne narra la storia, ricavata dagli archivi sovietici. Nel 1933, furono condotti esperimenti sociali di sopravvivenza, che videro migliaia di "elementi socialmente nocivi" deportati in aree completamente disabitate e prive di mezzi di sussistenza, allo scopo di identificare un metodo di colonizzazione del "Far East" sovietico. Sull'isola di Nazino, furono trasferite 13.000 persone: quasi tutte morirono d'inedia, freddo e fame, si uccisero a vicenda o furono giustiziate. Gli episodi di cannibalismo erano all'ordine del giorno.

Nel 1098, durante la pausa seguita alla conquista di Antiochia da parte di Boemondo, distaccamenti di crociati si sparsero a razziare in direzione di Tripoli del Libano. Tra le vittime delle loro incursioni vi furono gli abitanti della cittadina di Marra. Dopo la sua caduta, i crociati si diedero a violenze, razzie e, pare, ad atti di cannibalismo. Questi, furono riportati per sentito dire dal solo cronista Rodolfo di Caen nel suo «Gesta Tancredi in expeditione Hierosolymitana», dove si narra degli adulti bolliti mentre i bambini erano messi allo spiedo. L'episodio è ricordato in seguito da Amin Maalouf nel suo Le crociate viste dagli arabi (1983).





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