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giovedì 5 maggio 2016

IL MANGO



Il mango, è un albero appartenente alla famiglia delle Anacardiacee, originario dell'India e coltivato in tutte le zone tropicali.

La parola "mango" deriva dalla parola Tamil maangai e poi attraverso il Malayalam fino al portoghese manga. La prima attestazione della parola in una lingua europea si trova nel 1510 in un testo di Ludovico de Varthema in italiano come Manga.
È di origine indiana e fin da tempi remoti ha avuto una rilevante importanza: appare in molte leggende indiane e tutt'oggi viene considerato sacro agli Indù, e usato come ornamento per i loro templi.

Fu introdotto nel IV secolo a.C. nell'est asiatico e, a partire dal X secolo d.C., diffuso nell'Africa orientale. Il viaggiatore marocchino del quattordicesimo secolo Ibn Battuta lo riporta come presente a Mogadiscio. Nel Seicento i portoghesi lo esportarono in America del Sud. Oggi viene coltivato in quasi tutti i paesi tropicali e nei paesi subtropicali, nelle zone non soggette a gelo, come ad esempio in Spagna (Andalusia, principalmente nella provincia di Malaga).
Esistono delle coltivazioni di mango anche in Italia, a Caronia, a Fiumefreddo di Sicilia, a Balestrate - Provincia di Palermo, ad Alcamo, nella valle del Niceto ed in Calabria. La diffusione globale delle coltivazioni nell'area intertropicale fa sì che il frutto sia presente tutto l'anno sui mercati. La produzione siciliana, per quanto limitata nel tempo a causa della stagionalità della fruttificazione del mango in Italia, è risultata di qualità eccellente, ottenendo un grande successo anche sui mercati nel Nord Europa.

L'albero del mango è sempreverde, ramoso, alto fino a 35-40 metri e con una chioma di anche 10 metri di diametro. La corteccia è resinosa; il legno duro e ruvido, di color rosso. Le sue foglie sono alternate, semplici, lunghe 15-35 centimetri e larghe da 6 a 16. Quando sono giovani sono di colore variabile, arancio/rosa, che diviene rapidamente vinaccia per cambiare finalmente al verde quando sono mature. I fiori sono prodotti in pannocchie terminali lunghe 10-40 centimetri. Il colore del fiore è bianco rosato, con un odore che ricorda il mughetto. La fioritura è indotta da un prolungato (4-5 mesi) riposo della gemma terminale di ogni ramo. Tale riposo può avvenire indipendentemente per siccità, ridotta vigoria vegetativa o basse temperature. Se tale riposo non avviene all'apertura la gemma presenterà uno sviluppo vegetativo e non floreale. Pochissimi dei fiori sviluppano il frutto, che presenta anche una cascola elevata. Il frutto richiede da tre a sei mesi per maturare, a seconda delle cultivar.

Alcune cultivar di scarsa vigoria vegetativa vengono commercializzate come piante ornamentali da vaso, pur mantenendo la capacità di produrre frutti di buone qualità organolettiche.

I mango rappresentano circa la metà della produzione complessiva mondiale di frutta tropicale. Le 10 nazioni con la maggiore produzione coprono l'80% della produzione mondiale. Le cultivar Alphonso, Benishaan o Benisha (Banganapalli in Telugu e Tamil) e Kesar sono considerate tra le varietà migliori negli stati indiani del sud, mentre Dussehri e Langda sono le più popolari negli Stati del nord.
Generalmente i mango maturi hanno una buccia giallo-arancione e sono succosi al momento del consumo, mentre i frutti esportati sono spesso raccolti quando sono ancora acerbi e l'epidermide è ancora verde. Sebbene producano etilene durante la maturazione i frutti così raccolti non hanno lo stesso profumo e succosità dei frutti freschi.

Il frutto è ovoidale, ha la polpa gialla/arancio, compatta, molto profumata e gustosa. La sua buccia può assumere diverse tonalità: verde, giallo, rosso, oppure un miscuglio di questi colori. Il peso di un mango può arrivare anche ad 1 kilogrammo, ma solitamente in commercio è possibile trovarli da 300-500 grammi. In genere, quelli commerciati sono lunghi circa 10–14 cm. Se ne distinguono due tipi: la filippina-indonesiana, detta anche Camboya, con forma più allungata e colore giallo-verde, più dolce e meno fibrosa; e l'indiana, detta anche Mulgoba, con forma più grossa e compatta di colore variabile dal verde al rosso fino al viola: quest'ultima è la più presente nei mercati europei, in quanto più serbevole. I frutti di piante selvatiche, non appartenenti ad alcuna cultivar, sono di qualità inferiore e possono presentare vari difetti: dal forte odore di trementina, all'elevata fibrosità, alla mancanza di dolcezza. Nei casi in cui si lasci un frutto di mango maturare troppo, si noterà uno sbiadimento della cromatura interiore: diventerà color bianco sporco, oppure caffelatte, e non potrà vantare alcun sapore significativo.
Il nocciolo occupa buona parte del frutto, ha una forma ovaloide ed ha una lunghezza di 7-8 centimetri. Esso può essere ricoperto da fibre che non permettono di separarlo facilmente dal frutto. Frutti maturi e con la buccia hanno un odore resinoso e caratteristico.

Il mango maturo è generalmente dolce, anche se ovviamente il sapore e la consistenza variano a seconda delle cultivar. Alcune hanno una consistenza morbida e polposa, simile a quella di una prugna molto matura; altre invece hanno una consistenza più solida, come quella di un melone o di un avocado.
Per il consumo di frutti acerbi cotti la buccia del mango può essere lasciata sul frutto, anche se c'è la possibilità che causi dermatiti alle labbra, ai denti e alle gengive nei soggetti sensibili. Nei frutti maturi che debbono essere consumati freschi la buccia può essere dura e amara, per cui generalmente non viene consumata, sebbene in alcune varietà ne sia possibile il consumo.

Il frutto, se acquistato acerbo, si conserva a temperatura ambiente fino a quando non diviene morbido e poi lo si consuma al naturale privandolo della buccia e tagliando due grosse fette in corrispondenza del nocciolo. Il taglio a porcospino è un altro modo in cui viene consumato.

I mango sono ampiamente usati in cucina. Il mango acerbo insieme ad altri ingredienti forma il chutney, condimento molto diffuso in India per accompagnare la carne, oppure può essere mangiato crudo con sale o salsa di soia. Una bibita estiva rinfrescante chiamata panna o panha viene fatta con i mango. Sebbene i frutti maturi vengano principalmente mangiati freschi, essi vengono usati anche in alcune ricette. L'Aamras è una bibita popolare fatta con mango e zucchero o latte, ed è bevuta accompagnata col pane. I mango maturi vengono anche spesso tagliati in fette sottili, disidratati, ripiegati e tagliati di nuovo. Le barrette ottenute sono simili alle barrette di guava disponibili in alcuni paesi. Il frutto maturo è anche aggiunto a prodotti come il muesli. I mango possono anche essere usati per fare succhi, nettari, e per dare sapore o essere il principale ingrediente in sorbetti e gelati. I mango acerbi possono essere mangiati col bagoong (specialmente nelle Filippine), salsa di pesce od un pizzico di sale.



Il mango è ricco di nutrienti. La polpa del frutto è ricca in fibre, vitamina C, polifenoli e carotenoidi. Le vitamine antiossidanti A, C ed E sono presenti in una porzione da 165 grammi per il 25%, 76% e 9% della dose giornaliera consigliata. La vitamina B6, la vitamina K, le altre vitamine del gruppo B ed altri nutrienti come il potassio, il rame, e 17 amminoacidi sono a un buon livello. La polpa e la buccia del mango contengono altri nutrienti, come i pigmenti antiossidanti - carotenoidi e polifenoli - e omega-3 e acidi grassi 6-polinsaturi.
La buccia del mango contiene pigmenti che possono avere proprietà antiossidanti, inclusi carotenoidi, come la provitamina A, il beta-carotene, la luteina e l'alfa-carotene, polifenoli, come la quercetina, il kaempferolo, l'acido gallico, l'acido caffeico, catechine, tannini e lo xantone che si trova solo nel mango, la mangiferina, ognuno dei quali può contrastare l'azione dei radicali liberi in vari processi patologici, come è dimostrato dalla ricerca. Il contenuto in nutrienti e sostanze chimiche sembra variare a seconda delle cultivar. Fino a 25 diversi carotenoidi sono stati isolati dalla polpa del mango, il più presente dei quali è il beta-carotene, il quale è il responsabile della pigmentazione giallo-arancio dei frutti di molte specie di mango. La buccia e le foglie hanno anch'esse un significativo contenuto in polifenoli, inclusi gli xantoni, la mangiferina e l'acido gallico. Il triterpene del mango, il lupeolo in laboratorio è un efficace inibitore del cancro alla prostata e alla pelle. Un estratto di corteccia proveniente dai rami del mango, chiamato Vimang, isolato da scienziati cubani, contiene numerosi polifenoli con proprietà antiossidanti in vitro.
Il pigmento euxantina, noto anche come giallo indiano, è generalmente ritenuto prodotto partendo dall'urina di bovini nutriti a foglie di mango; la pratica viene descritta come proibita nel 1908 a causa della malnutrizione del bestiame e forse anche avvelenamenti da urushiol. Questa supposta origine dell'euxantina appare appoggiarsi su un'unica fonte, probabilmente di tipo aneddotico, e i registri legali indiani non riportano il divieto di tale pratica.
Ricchissimo di acqua e tanti minerali, in particolar modo il calcio, il potassio, il fosforo, il sodio e il magnesio. A rendere il mango “il re del frutti” però, è tanto la presenza del lupeol (potente antiossidante) che delle vitamine A, B (presenti quasi tutte le vitamine del gruppo B, in particolare la B6), C, D, E, J (o colina) e vitamina K. L’alta presenza di fibre invece, rende il frutto mango perfetto per combattere la stitichezza e migliorare il transito intestinale. Sempre grazie a queste sostanze contrasta egregiamente anche la ritenzione idrica. Il betacarotene in esso contenuto lo rende ideale durante l’estate per stimolare la melanina, e apportare allo stesso tempo tutti i benefici nutritivi. Il mango resta tuttavia un frutto piuttosto calorico. Consideriamo infatti che per ogni 100 grammi di polpa, dobbiamo calcolare circa 55 Kcal. Se vi aggiungiamo l’elevato contenuto di zuccheri, possiamo dedurre che consumare mango in una dieta ipocalorica dimagrante può essere controproducente. Al contrario, il mango si rivela un’importante fonte di energia, specialmente per studiosi e sportivi. Il consumo regolare di mango viene consigliato dagli specialisti a coloro che soffrono di depressione e nervosismo, o comunque stanno passando un periodo particolarmente stressante. I suoi benefici quindi, si estendono alla sfera mentale, aiutando la persona a imboccare una strada di maggior serenità. Alcune ricerche hanno evidenziato che il mango è un frutto capace di preservare la salute del corpo, aiutandolo a prevenire alcune forme tumorali. Grazie al Lupeol, potente antiossidante, il mango sembra che riesca a contrastare le cellule cancerogene che colpiscono i polmoni, il seno, la prostata e il colon. Questi studi hanno sottilineato anche che il mango da solo non ha il potere di far guarire, ma aiuta a prevenire e supporta nel caso le terapie in corso soprattutto a livello mentale, aiutando la persona a trovare la giusta forza per lottare. Il Lupeol preserva anche la salute del muscolo cardiaco, migliorando l’intera circolazione sanguigna. Questa sostanza contenuta del mango gioca un ruolo importante anche nel rallentare il processo dell’invecchiamento, lotta sostenuta anche dalla vitamina C, la quale stimola la produzione di collagene. Grazie al mango quindi, è possibile avere un miglior ricambio cellulare. Non a caso questo frutto viene utilizzato anche in estetica per curare alcuni problemi. L’elevata presenza di vitamina A porta benefici ai denti, gli occhi e le mucose interne. Grazie alla vitamina C rafforza il sistema immunitario e aiuta il corpo ad assorbire ferro. Infine, consumare la polpa di mango di sera, prima di andare a letto, aiuta a contrastare l’insonnia e trovare il giusto riposo. Il mango viene utilizzato nel campo estetico per trattare efficacemente l’acne, la pelle secca e quella sensibile. Grazie alla preziosa vitamina B, gli impacchi di mango sui capelli aiutano a combattere secchezza e doppie punte. Un rimedio naturale a base di mango prevede l’utilizzo del suo nocciolo, provvisto ancora di una parte di polpa, da passare sulla pelle del viso effettuandovi anche un leggero massaggio. Le sostanze devono agire per almeno 5 minuti, così da purificare la pelle in profondità. Successivamente risciaquare con molta accuratezza. Chi soffre di pelle sensibile, secchezza o disidratazione, può optare per il burro di mango, il quale conserva in se tutte le vitamine e i minerali necessari. Questo buonissimo frutto ha diverse controindicazioni. L’elevata presenza di zuccheri ad esempio, non lo rende particolarmente indicato per i diabetici. Queste persone lo possono consumare ma solo in quantità ridotte e ovviamente, sotto parere del medico. Essendo ricco di fibre, il mango non deve essere consumato in quantità eccessive altrimenti le azioni benefiche lassative possono arrivare a provocare coliti e diarrea. In alcuni soggetti il mango maturo può avere alcuni effetti collaterali e irritanti, specialmente sulla lingua e le labbra.
Il mango è il frutto nazionale dell'India del Pakistan e delle Filippine.
Nell'induismo un frutto di mango perfettamente maturo è tenuto in mano da Ganesha come simbolo di perfezione. Le infiorescenze di mango sono anche usate nei riti della dea Saraswati.
Le foglie di mango sono anche usate per decorare le architravi e le porte durante i matrimonio e le celebrazione come il Ganesh Chaturthi. Motivi a forma di mango sono ampiamente diffusi in diversi stili indiani di tessitura.



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venerdì 8 aprile 2016

NOCI




La noce è un frutto di cui si hanno testimonianze antiche, pare che provenga dall’Asia e sia stata introdotta in Italia dai greci.

Il noce è sempre stato, nell'immaginario popolare, un albero legato alle streghe e agli spiriti maligni.

Durante il Medioevo si credeva infatti che i sabba (gli incontri notturni tra le streghe e il Demonio) avvenissero proprio sotto un albero di noce, per questo motivo questa pianta è rimasta indissolubilmente legata nel tempo a scaramanzie e storie fantastiche: in molte fiabe, all'interno di noci, si celano meravigliosi tesori e un tempo, in Sicilia, si credeva che una noce in tasca preservasse da sortilegi e febbre.

La pianta delle noci è imponente e maestosa, e oltre che per i suoi pregiati frutti, è una pianta molto apprezzata per la qualità e le proprietà del suo legno.

Le sue foglie sono molto voluminose ed in primavera spuntano i fiori di color verde a cui faranno seguito i frutti, di forma ovale e ricoperte da una sorta di guscio verde compatto, chiamato mallo.

Quando le noci giungono a maturazione il mallo si secca e si apre lasciando cadere la noce al suolo. Prima di poter essere consumate le noci hanno bisogno di un periodo in cui devono essere lasciate asciugare, a causa della forte umidità accumulata all’interno del mallo.

Le noci reperibili sul mercato possono essere di diverse qualità, tra le più diffuse le Sorrento e le California.

Quella che noi consideriamo “noce” è la parte commestibile del frutto dell’albero del noce (Juglans regia). In realtà consumiamo il seme contenuto in una drupa, insieme al suo endocarpo legnoso.

Alimento saporito e dagli effetti benefici, fa parte di quei semi indeiscenti, come tutta la frutta che non si apre spontaneamente a maturità raggiunta.

Il periodo di raccolta delle noci è in autunno, precisamente da metà settembre a fine ottobre. Prima di poter essere messe in commercio devono essere sottoposte alla privazione del mallo, così da evitare che il guscio si annerisca e al lavaggio per eliminare i residui del mallo.

Le noci contengono il 64 % di grassi, carboidrati, il 15,5 % di proteine, il 6,7 % di fibre, l’1,1 % di zuccheri, il 4,5 % di acqua, 0,2 % di amido ed il 2,3 % di ceneri.

I minerali contenuti nelle noci sono: fosforo, magnesio, calcio, ferro, sodio, magnesio, zinco, rame, manganese, selenio e potassio.

Sono il frutto più ricco di zinco e rame, elementi che solitamente attingiamo dalla carne. Per questo motivo sono particolarmente indicate in una dieta vegetariana.

Queste le vitamine: la vitamina A, le vitamine B1, B2, B3, B5, B6, B12, vitamina C, Vitamina E, K e J. Le noci contengono inoltre beta-carotene, luteina e zeaxantina.

Questi gli aminoacidi: acido aspartico, acido glutammico, alanina, arginina, cistina, glicina, fenilalanina, istidina, isoleucina, leucina, lisina, prolina, metionina, serina, tirosina, triptofano, valina e treonina.

Secondo una ricerca americana le noci, oltre ad essere ipercaloriche, hanno proprietà antitumorali, in particolare il loro consumo regolare previene l’insorgere del tumore al seno, questo grazie alla abbondante presenza di acidi grassi omega 3, oltre ad un alto contenuto di antiossidanti. Uno studio condotto sui topi ha rivelato che un consumo regolare di noci sarebbe in grado di ridurre i tumori alla prostata o rallentarne la crescita. Le noci sono un alimento molto interessante dal punto di vista del contenuto di grassi vegetali. Contengono acido oleico, un grasso monoinsaturo presente anche nell’olio di oliva, che si è rivelato molto efficace nelle riduzione dei livelli di colesterolo cattivo LDL nel sangue. Anche l’abbondanza di acidi grassi polinsaturi, acido linoleico ed alfa-linoleico, è molto importante per ridurre la percentuale di colesterolo nel sangue con conseguenti benefici per la salute del muscolo cardiaco e dell’apparato cardiocircolatorio. Mangiare regolarmente noci infatti è una buona abitudine che aiuta a prevenire malattie cardiovascolari come infarto ed ictus.
Una ricerca condotta all’Università di Scranton in Pennsylvania, ha confermato l’altissimo potenziale antiossidante di questo frutto con guscio. Le noci contengono alti livelli di antiossidanti polifenolici, più di qualsiasi altro tipo di frutta con guscio, il loro consumo regolare contrasta l’attività dei radicali liberi con grandi benefici per la prevenzione di tumori, invecchiamento precoce, infiammazioni e malattie degenerative. Sono inoltre ricche di vitamina E, un potente antiossidante liposolubile, essenziale per mantenere l’integrità della membrana cellulare delle mucose che protegge la pelle dai danni dei radicali liberi.
Recenti studi hanno dimostrato che le proprietà benefiche dei grassi monoinsaturi non solo sono valide per abbassare il colesterolo LDL ma anche per aumentare l’elasticità delle arterie, impedire la formazione di coaguli (sangue più fluido) e ridurre la pressione arteriosa. Questa capacità di rendere il sangue più fluido è attribuita alla trasformazione dell’acido alfa-linoleico in prostaglandine.
Si è calcolato che mangiare noci cinque volte a settimana, in sostituzione ai grassi animali, è un buon metodo per prendersi cura della salute del proprio cuore.
Diversi studi hanno inoltre dimostrato che il regolare consumo di questo frutto contribuirebbe ad abbassare notevolmente il rischio  di sviluppare una coronaropatia, offrendo molteplici benefici vascolari a chi soffre di malattie cardiache.



Lo zinco, in abbinamento ai polifenoli ed alla vitamina E, apporta notevoli benefici alla pelle mentre, in abbinamento agli acidi grassi Omega 3 ed Omega 6, mantiene in salute i capelli.
Rilevante anche la presenza di un aminoacido essenziale, chiamato arginina, molto importante per la salute delle nostre arterie. L’arginina fornisce alle pareti delle arterie il nitrossido, una sostanza in grado di combattere e prevenire l’arteriosclerosi.
Interessante sottolineare come l’arginina abbia anche ha la capacità di dilatare i vasi sanguigni che portano il sangue ricco di sostanze energetiche ai muscoli, oltre naturalmente all’ossigeno, migliorando di conseguenza le prestazioni fisiche.
Grazie alla presenza di acido alfa-linoleico, le noci hanno anche proprietà digestive e diuretiche.
Da un recente studio è emerso che il grasso contenuto nelle noci migliora i parametri metabolici delle persone affette da diabete di tipo 2.
Il loro elevato potere energetico, se da un lato rappresenta un fattore negativo per chi ha problemi di sovrappeso, dall’altro può rappresentare un elemento molto interessante per chi svolge attività sportiva. Le noci hanno ulteriori proprietà: anti anemiche, drenanti, energetiche, lassative, nutrienti, rimineralizzanti, vermifughe.
Il consumo di noci migliora l’assorbimento del calcio ed allo stesso tempo ne riduce la quantità espulsa attraverso le urine a tutto beneficio della salute delle ossa.
L’olio di noci, utilizzato in modiche quantità, ha proprietà astringenti, si può utilizzare per condire l’insalata ma anche sulla carne e sul pesce.

Le noci sono un frutto oleoso e di conseguenza ricco di sostanze nutrienti, il loro potere calorico è molto alto, 100 grammi di noci forniscono 628 calorie.

Secondo la teoria delle segnature di Paracelso, le noci fanno bene al cervello. Questa proprietà sarebbe sottolineata dall'aspetto del gheriglio della noce che evoca la struttura della corteccia cerebrale: questa corrispondenza definirebbe, secondo la teoria delle segnature, un legame naturale tra questi due elementi.

Con le noci si prepara anche un ottimo liquore: il nocino appunto.

Dietro questa preparazione si nascondono tradizione e folklore, ma anche un pizzico di magia...
La leggenda racconta che le noci per il nocino vanno raccolte di notte ancora intrise di rugiada, durante il solstizio d'estate e più precisamente il 24 giugno, giorno di San Giovanni.
Questa data era considerata un passaggio speciale della Terra che donava ai frutti proprietà esoteriche e si attendeva proprio questa notte per cogliere erbe e piante destinate a operazioni magiche. Il nocino, in quanto bevanda ricca di preziosi nutrienti, veniva preparato come riserva di energia da conservare per i momenti di bisogno: quasi una pozione magica potremmo dire.

Sono da prediligere quelle prive di lesioni sul guscio e con il picciolo e le foglie ancora attaccati.
Indizio di qualità sono le macchie nere che alcune noci riportano sul guscio. Si tratta di macchie di succo di mallo e indicano che le noci non sono state sbiancate chimicamente.
Le noci sono molto utilizzate in cucina: per dolci, salse e prodotti da forno se ne fa largo uso e tra gli abbinamenti più conosciuti c'è sicuramente quello con il gorgonzola.

Le noci non possono essere conservate a lungo in quanto sono soggette ad irrancidimento e perché con il passare del tempo tendono ad aumentare la loro oleosità.

Per questi motivi le noci devono essere consumate fresche al fine di non diminuire la loro digeribilità.

Possibilmente, visto il loro alto potere energetico e calorico, è sconsigliato consumarne troppe, soprattutto al termine di un pranzo abbondante. Per godere di tutte le loro proprietà e benefici ne bastano sette al giorno.

Se siete soggetti all’herpes, evitate o limitate il consumo di noci, in quanto i loro alti livelli di arginina possono innescare la comparsa dell’ herpes.

Vi sono persone che hanno sviluppato un’ipersensibilità nei confronti della frutta a guscio e che possono quindi essere allergici anche alle noci. In questo caso i sintomi si manifestano con vomito, dolore addominale, difficoltà di respirazione e labbra gonfie.

Spesso, in ambito cosmetico, viene utilizzato l’olio estratto dal mallo delle noci per la preparazione di creme solari protettive o addirittura per la preparazione di lozioni fortificanti per i capelli.

L’olio di noce è utilizzato come olio vettore in aromaterapia e per i massaggi ed anche nell’industria cosmetica e farmaceutica.

L’estratto di noce ha la proprietà di riuscire a penetrare in profondità la fibra capillare donandole un aspetto estetico più morbido e ostacolandone la caduta.

Vanno conservate in un contenitore ermetico, in frigorifero o nel congelatore.

Lo strato esterno delle noci sgusciate è amaro e spesso viene rimosso. È un grave errore perché si ritiene che fino al 90% dei potenti antiossidanti delle noci, risiedano proprio in quello strato che spesso viene buttato via.

Se non amate il sapore delle noci, potete godere delle loro proprietà e benefici semplicemente sbriciolandone qualcuno in un frullato di frutta e/o verdura.







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martedì 22 marzo 2016

LA PAPAYA



La pianta della papaya si presenta come un piccolo albero poco ramificato, potrebbe ramificare in caso di ferite, con un fusto alto sino a 5–10 m. Il tronco, anche negli esemplari maturi, ha una consistenza tenera, poco legnosa, e presenta cicatrici prodotte dalla crescita e caduta delle foglie superiori. La linfa è di consistenza lattea e tossica allo stato naturale per l'essere umano, potendo produrre irritazioni allegiche al contatto con la pelle.

Le foglie, disposte a rosetta all'apice del tronco, sono larghe, palmato-lobate, 50–70 cm di diametro.

I fiori sono prodotti all'ascella delle foglie.

I frutti hanno una consistenza delicata e una forma oblunga e possono essere di color verde, giallo, arancio o rosa. Possono pesare fino a 9 kg. Per esigenze di commercializzazione nella maggior parte dei casi non devono pesare più di 500 o 600 g, specialmente nelle varietà di piante nane, molto produttive e destinate generalmente alla esportazione, per essere più trasportabili e durare di più dopo la raccolta fino al momento del loro consumo. La dimensione dei frutti diminuisce in funzione della età della pianta. I frutti e i fiori si trovano in grappoli subito sotto la inserzione dei piccioli delle foglie palmate. La pianta non è esigente in quanto ai suoli, potendo svilupparsi in qualunque terreno abbandonato o perfino in grandi vasi. È una delle piante più produttive in relazione alla sua dimensione perché fiorisce continuamente e ha sempre allo stesso tempo fiori e frutti. Lo sviluppo dei frutti causa la caduta delle foglie inferiori, quindi i frutti sono sempre allo scoperto rispetto alle foglie, esposti alla luce solare.
La specie si presenta naturalmente dioica, però la selezione artificiale ha prodotto specie ermafrodite.

È una pianta originaria del Centroamerica, conosciuta e utilizzata in tutta l'America da molti secoli, per quanto oggi si coltivi in molti Paesi di altri continenti, principalmente in Asia e Africa. Prima dell'arrivo degli Europei, in Messico era chiamata Chichihualtzapotl, che in nahuatl significa "frutto dolce (da) balia", ed era un frutto particolarmente connesso con la fertilità.
Vive in ambienti tropicali (America Centrale e Meridionale e Asia Pacifica) a temperature che non devono mai scendere sotto 0 °C per evitare marciumi.

Nelle Filippine il frutto della papaya è oggetto di coltivazioni industriali di grande rilievo per l'economia del Paese: di particolare pregio le coltivazioni sull'isola di Guimaras, nota per la grande varietà e qualità delle piante da frutta.

La papaia prende nomi diversi a seconda del luogo in cui viene coltivata: capote (Messico), mamao (Brasile), fruta bomba (Cuba), lech (Portorico), passiflora delle Molucche ecc.. Le varietà più conosciute sul mercato italiano sono: Solo, Hortus Gold, Cera, Kagdum, Semangka.
La papaia è un frutto tropicale, apprezzato in tutto il mondo per il suo sapore, succoso e rinfrescante, a metà strada tra l'albicocca ed il melone. E' meno dolce ed un po' più insipida se si tratta di papaia italiana. Se acerba va conservata a temperatura ambiente poiché l'elevata concentrazione di papaina impedisce al frutto, colto acerbo, di raggiungere in fretta un'adeguata maturazione.
La papaia può essere consumata cruda, cotta, come ingrediente base per preparare conserve e marmellate oppure dare, per fermentazione, una specie di acquavite.



Dal punto di vista nutrizionale il frutto è un'ottima fonte di antiossidanti, grazie al buon contenuto di licopene e Vitamina A, C ed E. Discreta anche la presenza di folati, fibre e potassio.

Il frutto, di grandi dimensioni, ha un uso simile al melone. In Thailandia il frutto acerbo, tagliato a julienne, serve come base per il Som Tam nota come "papaya salad". Nelle Filippine, dove gli alberi di papaya sono spesso coltivati nei pressi delle abitazioni, il frutto viene regolarmente consumato fresco e utilizzato come ingrediente per la preparazione di numerosi piatti locali come l'atchara, i lumpia e in diverse ricette di pollo e maiale. Il frutto della papaya è inoltre utilizzato come frutta secca.

Dalla papaia si estrae in medicina la papaina, principio attivo con funzione proteolitica. Contrariamente alla credenza popolare esso non favorisce il dimagrimento, ma la semplice digestione delle proteine. Di questo enzima se ne producono più di 1000 tonnellate annuali nel mondo e viene usato nella fabbricazione di birra, cosmetici e nell'industria alimentare. La papaina è impiegata anche per ammorbidire le carni: nei barbecue si usa il succo che fluisce tagliando la corteccia della papaia verde per versarlo sopra la carne, rendendola molto tenera e succosa.

Le proprietà della papaya lo rendono un frutto appetibile sotto molti punti di vista.  Nonostante venga da lontano si trova piuttosto facilmente nei nostri supermercati; per essere certi di acquistare una papaya di buone qualità e maturata naturalmente è, però, più indicato prenderla nei negozi specializzati in frutta esotica. La papaya matura soprattutto nei mesi più caldi; in realtà, però, l’albero produce i frutti anche nelle altre stagioni, ecco perché possiamo trovarla quasi sempre. Dolce e soffice come il burro, la papaya è composta principalmente da acqua; ha, inoltre, una buona quota di carboidrati. Contiene tanta vitamina C e poi ancora vitamina A, vitamina E, vitamina K, acido folico, magnesio, potassio, rame, acido pantotenico, flavonoidi. Anche i semi sono edibili; alcune delle proprietà della papaya dipendono proprio dalla composizione dei semi. La papaya, specie quando completamente matura, contiene una buona quota di sostanze con proprietà antiossidanti, note per la capacità di proteggere l’organismo dall’invecchiamento cellulare. L’assunzione regolare di alimenti antiossidanti aiuta a proteggersi meglio da tutte quelle malattie che hanno tra le cause proprio l’invecchiamento cellulare, soprattutto tumori e disturbi cardiovascolari. La papaya, dunque, è una valida alleata della salute del cuore. Le sostanze antiossidanti della papaya aiutano a prevenire l’ossidazione del colesterolo. Il colesterolo, ossidandosi, si inspessisce e può formare quelle placche aterosclerotiche che sono spesso causa di infarti e ictus. Inoltre, la papaya è un’ottima fonte di fibre; è stato dimostrato che una dieta ricca di fibre aiuta a ridurre i livelli di colesterolo LDL (quello “cattivo”) nel sangue. Nella dieta che protegge il cuore non può quindi mancare questo frutto. Salute dell’apparato gastrointestinale La papaya, specie quando non è completamente matura, contiene papaina, un enzima che agisce allo stesso modo dei succhi gastrici aiutando, quindi, la digestione; questa caratteristica lo rende un frutto indicato, per esempio, alla fine di un pasto abbondante. Le fibre contenute nella papaya aiutano la regolarità dell’intestino. Inoltre, secondo studi scientifici, queste fibre si legano alle tossine cancerogene del colon tenendole lontane dai tessuti sani; grazie a questa qualità e alle già citate proprietà antiossidanti, possiamo considerare la papaya un valido aiuto nella prevenzione del tumore al colon. I semi di papaya, assunti quotidianamente dall’uomo, sono considerati un ottimo contraccettivo naturale utilizzato da secoli in molte culture, specie in diversi Paesi asiatici. Secondo alcuni studi scientifici condotti sugli animali, l’uso prolungato di semi di papaya potrebbe però portare a infertilità maschile; da ricerche condotte sui conigli sembra, comunque, che si tratti di un’infertilità reversibile; i conigli, infatti, una volta smessa l’assunzione, tornavano fertili dopo 45 giorni. Le donne in gravidanza devono stare attente al consumo di papaya; il frutto completamente maturo non è considerato rischioso, ma la papaya acerba contiene molta papeina, una sostanza che, oltre alle proprietà digestive, può indurre le contrazioni uterine. La papaya contiene lattice, può quindi provocare reazioni, anche gravi, nelle persone allergiche a questa sostanza. Curiosità Cristoforo Colombo definì la papaya il frutto degli angeli per la sua dolcezza. La papaya può essere degustata in vari modi; uno dei più semplici e forse anche più piacevoli è mangiarla come si farebbe con un melone, cioè semplicemente tagliandola e fette e privandola della buccia.
La papaia è conosciuta come frutta da consumo, tanto come frutto intero che come frullato e dolce (elaborati con frutta verde bollita con zucchero), e ha alcune proprietà notevoli per facilitare la digestione degli alimenti di difficile assimilazione.

In fitoterapia la droga è costituita dal lattice essiccato o papaina bruta, ricavato per incisione dai frutti immaturi (un frutto di dimensioni medie fornisce circa 100 grammi di lattice). Da questo si ottiene, per dissoluzione nell'acqua e precipitazione in alcol, la papaina purificata, chiamata anche papaiotina. Questa sostanza ha una forte attività proteolitica e viene per questo utilizzata nelle insufficienze gastriche e duodenali. Ha infatti le medesime proprietà della pepsina, un enzima gastrico fondamentale per la digestione delle proteine.  A differenza di questo, che per espletare la propria funzione richiede la presenza di acido cloridrico, la papaina è attiva anche in ambiente neutro o basico.
La Papaina, che si può ricavare anche da altre parti della pianta come le foglie o i semi, ha proprietà antielmintiche e come tale viene tradizionalmente utilizzata contro i parassiti intestinali. Oltre che nella cura di problemi digestivi, questa sostanza viene impiegata come detergente nella rimozione dei depositi proteici dalla superficie delle lenti a contatto.


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venerdì 5 febbraio 2016

L'ANGURIA



David Livingstone, un famoso esploratore dell'Africa, riportò che la pianta del cocomero cresceva abbondante nel deserto del Kalahari, dove sembra che esso abbia avuto origine. Lì il frutto cresce selvatico ed è conosciuto come Tsamma (Citrullus lanatus var citroides). La pianta è riconoscibile per le sue foglie particolari e per l'elevato numero di frutti che produce, fino a cento per ogni esemplare. Per questa ragione è una sorgente di acqua abituale per gli abitanti della zona, oltre a fungere da cibo sia per gli uomini sia per gli animali.

Non è dato sapere quando il cocomero sia stata coltivato per la prima volta ma il primo raccolto mai registrato è documentato in alcuni geroglifici nell'Antico Egitto e avvenne quasi 5000 anni fa. Il frutto veniva spesso deposto nelle tombe dei faraoni, come mezzo di sostentamento per l'aldilà. Nella mitologia egizia, il cocomero aveva origine dal seme del dio Seth.

Nel X secolo d.C., il cocomero era coltivato in Cina, attuale primo produttore mondiale. Nel XIII secolo il frutto venne introdotto in Europa dall'invasione dei Mori.

Presso i beciuani la pianta è conosciuta con il nome di lerotse ed è considerata sacra, con foglie purificanti. Come scrive James George Frazer ne Il ramo d'oro fra i beciuani è d'obbligo purificarsi prima di consumare i nuovi raccolti. La purificazione avviene all'inizio del nuovo anno, in gennaio, in un giorno stabilito dal capo tribù: tutti i maschi adulti tengono le foglie del lerotse in mano e le schiacciano, ottenendone un succo che applicano agli alluci e all'ombelico; poi ciascuno di essi si reca alla propria abitazione e spalma tutti i membri della propria famiglia con questo succo. Solo dopo che questa purificazione è stata completata, la gente è libera di mangiare i nuovi raccolti.

Il termine cocomero, seppur più simile al nome scientifico del frutto, è tipico delle regioni centrali e meridionali d'Italia, mentre nel Nord si preferisce chiamare il frutto “anguria”.
Il fatto strano, e nel contempo divertente, è che entrambi i termini - “cocomero” ed “anguria” - affondano le radici nell'antichità, ed ambedue si collegano al cetriolo: “cocomero” infatti, deriva dal latino cucumis, mentre “anguria” trae origine dal greco antico angurion, i cui significati riconducono, per l'appunto, a “cetriolo”.

Il cocomero è una pianta annuale, con fusto erbaceo rampicante, foglie grandi e pelose con tre lobi, fiori maschili e fiori femminili, frutto voluminoso rotondo oppure ovale, che raggiunge il peso di 20 kg.

Il frutto è una falsa bacca (peponide), assai massiccio; la buccia è liscia, dura e relativamente sottile, di colore verde con varie striature e chiazze più chiare, bianche o giallastre; l'interno è di colore rosso (o, meno frequentemente, giallo, arancio o bianco a seconda della varietà) e ricco di semi, che possono essere neri, bianchi o gialli. La polpa è costituita per oltre il 90% di acqua, ma contiene anche un discreto quantitativo di zuccheri, soprattutto fruttosio, e vitamine A, C (8,1 mg per 100 g di frutto), B e B6. I frutti sono disponibili esclusivamente nel periodo estivo, da maggio a settembre.

In Italia e Giappone sono stati prodotti cocomeri dalla forma cubica o piramidale; la forma inusuale viene ottenuta facendo crescere i frutti all'interno di recipienti di vetro in modo da fargli assumere la forma del contenitore.

Propagandata come il frutto della passione e paragonata persino al viagra, l'anguria dovrebbe essere apprezzata per ben altre proprietà, assai più accreditate e veritiere.

Come per il melone, l'anguria è protagonista dell'estate, frutto dissetante, rinfrescante ed ipocalorico, in grado di assicurare un prezioso, quanto più abbondante, apporto idrico.

L'anguria rientra nella categoria degli alimenti più dissetanti e rinfrescanti in assoluto: tant'è vero che è costituita da oltre il 93% di acqua, e fornisce pochissime calorie (solo 16 per 100 grammi di prodotto, ancor meno rispetto al melone). Nell'anguria si contano all'incirca 3,7 grammi di zuccheri per etto di frutto, 0,4 di proteine e 0,2 di fibre.
Per i motivi sopra elencati, l'anguria è un ottimo alleato nelle diete ipocaloriche; ad ogni modo, il consumo eccessivo è sconsigliato ai pazienti diabetici.
L'anguria è fonte di vitamine antiossidanti (A e C), vitamine del gruppo B (B6) e sali minerali, in particolare potassio, fosforo e magnesio (rispettivamente, 112, 11 e 10 mg/100g di prodotto).



Se dissetante è una proprietà, allora l'anguria è la capostipite tra i frutti, considerata la smisurata quantità d'acqua in essa presente.
Anche la proprietà depurativa si confà perfettamente all'anguria: tant'è che per alcuni popoli Africani, i beciuani, il frutto viene esaltato persino come sacro e purificatore.
L'attività depurativa dell'anguria è direttamente correlata a quella diuretica: stimolando la diuresi, nell'organismo viene infatti favorita l'eliminazione delle scorie in eccesso.
La modica quantità di sali minerali e vitamine presente nell'anguria rappresenta un utile rimedio naturale - seppur blando - contro stati di stanchezza, affaticamento fisico e stress, tipici dei mesi estivi. Essendo ricca di potassio, l'anguria è consigliata anche alle persone che lamentano disturbi estivi legati ad alterazione della pressione osmotica, ritenzione idrica, eccitabilità neuromuscolare e lievi alterazioni della ritmicità del cuore.
Per la presenza di vitamine, sostanze antiossidanti e carotenoidi, l'anguria rientra tra i frutti studiati dalla ricerca in questi ultimi anni come possibile - ma non ancora dimostrato - rimedio nella prevenzione di tumori.
L'anguria, da consumarsi preferibilmente lontano dai pasti perché tende a rallentarne la digestione, fornisce una certa sensazione di sazietà: a tal proposito, rappresenta un ottimo ausilio per tenere sottocontrollo la fame in quelle persone che, non riuscendo a controllarla, tendono a sovralimentarsi.
I semi di anguria vantano blande proprietà lassative.

Molti elogiano l'anguria come la panacea dei disturbi sessuali maschili, paragonandola al viagra o, addirittura celebrando questo frutto estivo come più potente del Cialis.
È stata dimostrata una parte di verità: l'anguria contiene la citrullina, un aminoacido “afrodisiaco” perché in grado di dilatare i vasi sanguigni, favorendo di conseguenza l'erezione.
Giunta nell'organismo, la citrullina si trasforma in arginina, in grado di stimolare sia il sistema immunitario che quello cardio-circolatorio: in quest'ultimo caso, tramite una vasodilatazione, si favorisce una maggior elasticità nella parete dei vasi sanguigni.
Il “problema” è che la citrullina non si trova nella polpa succosa e zuccherina dell'anguria, piuttosto nella parte bianca, comunemente messa da parte: crolla il mito dell'anguria come rimedio per la disfunzione erettile.
Ad ogni modo, la citrullina contenuta nell'anguria, potenziale sostituto naturale del Viagra del futuro, non genera gli stessi effetti collaterali scatenati dal farmaco.
Attualmente, i ricercatori si sono posti l'obiettivo di modificare geneticamente il frutto, fintantoché la citrullina possa raggiungere una concentrazione considerevole anche nella polpa dell'anguria.

Alcune delle preziose proprietà dell'anguria sono state confermate di recente da parte della scienza, che ha constatato la sua capacità di rappresentare un aiuto naturale contro le malattie cardiache e di ridurre i livelli del colesterolo cattivo. Il consumo di anguria può permettere inoltre di mantenere il peso sotto controllo.

Il consumo di anguria può inoltre contribuire a migliorare la qualità del sonno. Mangiare un paio di fettina di anguria dopo cena può stimolare nell'organismo la produzione di serotonina, per via del suo contenuto di carboidrati. Quando, nelle ore serali, i livelli di serotonina salgono, il cervello è meno sensibile ai segnali di disturbo, come i rumori, favorendo sonni tranquilli.

L'anguria è un frutto energetico. Una semplice porzione di anguria può aumentare i livelli di energia del 23%. Ciò accade per via del suo contenuto di vitamina B6, che il corpo utilizza per sintetizzare la dopamina, promotrice del benessere. L'anguria contiene inoltre magnesio, che viene utilizzato dal nostro corpo per rifornire di energia le cellule. La citrulina presente nell'anguria è un amminoacido che viene utilizzato dall'organismo per la produzione di arginina. L'arginina è ritenuta un vero e proprio viagra naturale, in grado di dilatare i vasi sanguigni e di migliorare l'afflusso di sangue verso gli organi genitali.

L'anguria è uno dei frutti più leggeri e meno calorici che abbiamo a disposizione durante l'estate. Ciò avviene grazie alla sua ricchezza d'acqua e alla completa assenza di grassi. Le calorie derivano dal contenuto di zuccheri naturali dell'anguria, ma sono comunque davvero poche. Anche chi è attento alla linea può mangiare l'anguria senza problemi e trarre dei benefici perché questo frutto ricco d'acqua stimola la diuresi e l'eliminazione delle tossine. 100 grammi di anguria contengono soltanto 30 calorie.

Come riconoscere un'anguria matura e saporita? Il picciolo dell'anguria non deve essere secco. Se dal punto in cui il picciolo si trova, o si trovava, fuoriesce del succo, significa che siamo in presenza di un frutto maturo e zuccherino. Un' ulteriore trucco consiste nel classico "suono di vuoto" che si ottiene bussando leggermente con un pugno sulla superficie del frutto. Anche la presenza di chiazze gialle o di striature sul frutto indica che l'anguria è ben matura.
Il frutto, se le sue dimensioni lo permettono, può essere conservato senza problemi per alcuni giorni in frigorifero, quando non è ancora stato aperto. Se l'anguria è invece già stata affettata, è bene evitare la pellicola trasparente. E' consigliabile piuttosto conservare l'anguria già tagliata a cubetti e privata della buccia in un contenitore per alimenti o in uno scolapasta appoggiato su di una ciotola (in cui si raccoglierà l'acqua che può colare dal frutto) da riporre in frigorifero. L'anguria tagliata deve comunque essere preparata al più presto.

L'anguria può essere consumata fresca, semplicemente tagliandola a fette, ma può essere anche suddivisa in cubetti ed impiegata per la preparazione delle macedonie di frutta. Esiste uno strumento apposito che permette di ottenere delle palline dalla polpa dell'anguria, che risultano molto decorative per le coppe di frutta o per i gelati. Con l'anguria si possono inoltre preparare frullati, sorbetti ed una specialità siciliana: il gelo di mellone.



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martedì 26 gennaio 2016

I KAKI





Il Diospyros Kaki è una delle più antiche piante da frutta coltivate dall'uomo, conosciuta per il suo uso in Cina da più di 2000 anni. In cinese il frutto viene chiamato shìzi mentre l'albero è noto come  shizishu. La sua prima descrizione botanica pubblicata risale al 1780. Il nome scientifico proviene dall'unione delle parole greche Diòs (caso genitivo di Zeus) e pyròs (grano), letteralmente "grano di Zeus".

È originario della zona centro-meridionale della Cina, ma comunque mai al di sotto dei 20° di latitudine Nord, e nelle zone più meridionali spesso in zone collinari o montane più fredde; sopporta male i climi caldo-umidi, soprattutto se con suolo mal drenato.

Detto mela d'Oriente, fu definito dai cinesi l'albero delle sette virtù: vive a lungo, dà grande ombra, dà agli uccelli la possibilità di nidificare fra i suoi rami, non è attaccato da parassiti, le sue foglie giallo-rosse in autunno sono decorative fino ai geli, il legno dà un bel fuoco, la caduta dell'abbondante fogliame fornisce ricche sostanze concimanti. Dalla Cina si è esteso nei paesi limitrofi, come la Corea e il Giappone.

Intorno alla metà dell'Ottocento fu diffuso in America e Europa. I primi impianti specializzati in Italia sorsero nel Salernitano, in particolare nell'Agro Nocerino, a partire dal 1916, estendendosi poi in Emilia. In Italia la produzione si è stabilizzata intorno alle 65.000 tonnellate: la coltura è sporadicamente diffusa su tutto il territorio, ma è importante solo in Campania e Emilia con produzioni rispettive di 35.000 tonnellate e 22.000 tonnellate. In Sicilia è più diffuso il kaki di Misilmeri.

Il cachi è oggi considerato "l'albero della pace", perché alcuni alberi sopravvissero al bombardamento atomico di Nagasaki nell'agosto 1945.

L’alto contenuto zuccherino di questo frutto lo rende sconsigliato a chi soffre di diabete o obesità, mentre è un eccellente re-mineralizzante e vitaminizzante dato l’alto apporto di potassio, fosforo, magnesio, vitamina C, beta carotene. Ha proprietà lassative ed è un buon diuretico, ed è consigliato a chi ha problemi epatici, e gode di proprietà protettive per pancreas, stomaco, intestino. Si consuma solitamente da fresco, ma con il kaki si possono anche preparare ottime marmellate e confetture. E’ consigliabile acquistare questi frutti leggermente acerbi perché durino un po’ di più – i frutto maturo deperisce molto velocemente – e per minimizzare il rischio di romperli durante il trasporto a casa vista l’estrema delicatezza della loro polpa.



Il frutto andrebbe mangiato o usato nelle varie ricette solo una volta che sia perfettamente maturato: se acerbo dà il classico gusto "allappato", dovuto alla grande quantità di tannino. Se invece si sceglie di essiccarlo, si deve utilizzare un frutto non ancora maturo, che può essere essiccato al sole o negli essiccatoi dopo che è sato sbucciato, denocciolato e tagliato a spicchi. Comunque anche per uso domestico può essere comprato ancora non perfettamente maturo, poiché raggiunge la maturazione velocemente: un piccolo trucco per accelerare questo processo è quello di sistemare il frutto vicino a delle mele.
Data la dolcezza del frutto maturo, in cucina è destinato ad essere un ottimo dessert, già in purezza. Se si desidera presentarlo in una preparazione più complessa, la confettura di kaki è estremamente semplice da realizzare, e il tocco magistrale consiste nell’aggiungere un po' di Grand Marnier. Occorre fare attenzione alla varietà di kaki che si sceglie di utilizzare, poiché se il tipico sapore è lo stesso, la consistenza tra kaki e kaki vaniglia è diversissima: il kaki ha una polpa cremosa che può essere estratta direttamente con un cucchiaino, mentre il kaki vaniglia ha una polpa soda e va tagliato a fette.
Data la consistenza gelatinosa del kaki, è perfetto anche per preparazioni come i budini, in cui può essere accompagnato da altri frutti, magari con connotazione più acida come fragole o frutti di bosco, per riequilibrare l'eccessiva dolcezza.
In Giappone il kaki viene utilizzato per la realizzazione di bevande alcoliche, comprese derminate varietà di sakè.

Dato l'alto contenuto di zuccheri è sconsigliato a chi è obeso o soffre di diabete; ma si tratta praticamente dell'unica controindicazione, perché per il resto il kaki è un frutto ricco di vitamina C, betacarotene e di minerali come il potassio, e ha proprietà benefiche che spaziano dagli effetti lassativi (se il frutto è maturo; se è acerbo, al contrario, può risultare astringente) e diuretici, alla capacità di proteggere e depurare il fegato.
Gli effetti regolatori sull'intestino sono i più conosciuti, ma i kaki in realtà sono i frutti perfetti anche per i bambini, gli sportivi, gli astenici, poiché hanno straordinarie capacità energizzanti, dovute principalmente agli zuccheri che contengono. Anche in questo caso è bene distinguere fra kaki maturi e acerbi: così come i kaki maturi aiutano in caso di stipsi, mentre quelli acerbi sono astringenti, per quanto riguarda la presenza di zuccheri, nei kaki acerbi è molto più limitata, e il sapore "allappante" è dovuto al tannino, che durante la maturazione si riduce. Se l'astenia è dovuta a problemi connessi con la funzionalità epatica, il kaki è un’ottima soluzione; contro la stipsi il frutto maturo è consigliato a colazione, privato di semi e buccia. Gli effetti diuretici sono dovuti all'alta percentuale contenuta di potassio, quelli lassativi sono anche conseguenza della discreta quantità di fibre.

Un etto di kaki corrisponde a circa 65 calorie. Il frutto è composto quasi all'80 per cento d'acqua, fino al 18 per cento di zuccheri, e ha percentuali bassissime di proteine e grassi, rispettivamente 0,80 e 0,40 per cento, mentre presenta circa un 2,5 per cento di fibre. Contiene vitamina C e betacarotene; tra i minerali il più presente è il potassio, in notevole quantità, seguito da fosforo, magnesio, calcio e sodio.





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martedì 19 gennaio 2016

IL FICO D'INDIA



Il fico d'India è una pianta succulenta della famiglia delle Cactaceae, originaria del Messico ma naturalizzata in tutto il bacino del Mediterraneo e nelle zone temperate di America, Africa, Asia e Oceania.
L'O. ficus-indica è nativa del Messico. Da qui, nell'antichità, si diffuse tra le popolazioni del Centro America che la coltivavano e commerciavano già ai tempi degli Aztechi, presso i quali era considerata pianta sacra con forti valori simbolici. Una testimonianza dell'importanza di questa pianta negli scambi commerciali è fornita dal Codice Mendoza. Questo codice include una rappresentazione di tralci di Opuntia insieme ad altri tributi quali pelli di ocelot e di giaguaro. Il carminio, pregiato colorante naturale per la cui produzione è richiesta la coltivazione dell'Opuntia, è anch'esso elencato tra i beni commerciati dagli Aztechi.

La pianta arrivò nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della spedizione di Cristoforo Colombo. La prima descrizione dettagliata risale comunque al 1535, ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés nella sua Historia general y natural de las Indias. Linneo, nel suo Species Plantarum (1753), descrisse due differenti specie: Cactus opuntia e C. ficus-indica. Fu Miller, nel 1768, a definire la specie Opuntia ficus-indica, denominazione tuttora ufficialmente accettata.

È una pianta succulenta arborescente che può raggiungere i 3–5 m di altezza.

Il fusto è composto da cladodi, comunemente denominati pale: si tratta di fusti modificati, di forma appiattita e ovaliforme, lunghi da 30 a 40 cm, larghi da 15 a 25 cm e spessi 1,5-3,0 cm, che, unendosi gli uni agli altri formano delle ramificazioni. I cladodi assicurano la fotosintesi clorofilliana, vicariando la funzione delle foglie. Sono ricoperti da una cuticola cerosa che limita la traspirazione e rappresenta una barriera contro i predatori. I cladodi basali, intorno al quarto anno di crescita, vanno incontro a lignificazione dando vita ad un vero e proprio tronco.

Le vere foglie hanno una forma conica e sono lunghe appena qualche millimetro. Appaiono sui cladodi giovani e sono effimere. Alla base delle foglie si trovano le areole (circa 150 per cladode) che sono delle ascelle modificate, tipiche delle Cactaceae.

Il tessuto meristematico dell'areola si può differenziare, secondo i casi, in spine e glochidi, ovvero può dare vita a radici avventizie, a dei nuovi cladodi o a dei fiori. Da notare che anche il ricettacolo fiorale, e dunque il frutto, è coperto da areole da cui si possono differenziare sia nuovi fiori che radici.

Le spine propriamente dette sono biancastre, sclerificate, solidamente impiantate, lunghe da 1 a 2 cm. Esistono anche varietà di Opuntia inermi, senza spine.

I glochidi sono invece sottili spine lunghe alcuni millimetri, di colore brunastro, che si staccano facilmente dalla pianta al contatto, ma essendo muniti di minuscole scaglie a forma di uncino, si impiantano solidamente nella cute e sono molto difficili da estrarre, in quanto si rompono facilmente quando si cerca di toglierle. Sono sempre presenti, anche nelle varietà inermi.

L'apparato radicale è superficiale, non supera in genere i 30 cm di profondità nel suolo, ma di contro è molto esteso.

I fiori sono a ovario infero e uniloculare. Il pistillo è sormontato da uno stimma multiplo. Gli stami sono molto numerosi. I sepali sono poco vistosi mentre i petali sono ben visibili e di colore giallo-arancio.

I fiori si differenziano generalmente sui cladodi di oltre un anno di vita, più spesso sulle areole situate sulla sommità del cladode o sulla superficie più esposta al sole. All'inizio, per ogni areola, si sviluppa un unico fiore. I fiori giovani portano delle foglie effimere caratteristiche della specie. Un cladode fertile può portare sino a una trentina di fiori, ma questo numero varia considerevolmente in base alla posizione che il cladode occupa sulla pianta, alla sua esposizione e anche in base alle condizioni di nutrizione della pianta.

Il frutto è una bacca carnosa, uniloculare, con numerosi semi (polispermica), il cui peso può variare da 150 a 400 g. Deriva dall'ovario infero aderente al ricettacolo fiorale. Certi autori lo considerano un falso arillo. Il colore è differente a seconda delle varietà: giallo-arancione nella varietà sulfarina, rosso porpora nella varietà sanguigna e bianco nella muscaredda. La forma è anch'essa molto variabile, non solo secondo le varietà ma anche in rapporto all'epoca di formazione: i primi frutti sono tondeggianti, quelli più tardivi hanno una forma allungata e peduncolata. Ogni frutto contiene un gran numero di semi, nell'ordine di 300 per un frutto di 160 g. Molto dolci, i frutti sono commestibili e hanno un ottimo sapore. Una volta sbucciati e privati delle punte si possono tenere in frigorifero e mangiare freddi.

La pianta è al giorno d'oggi coltivata in numerosi paesi, tra cui: Messico, Stati uniti, Cile, Brasile, Nord Africa, Sudafrica, Medio Oriente, Turchia, Tunisia su ampie regioni del paese e Italia (prevalentemente in Basilicata, Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna).

Il carattere infestante della specie, che tende a sostituire la flora autoctona modificando il paesaggio naturale, ha messo in allerta anche alcune regioni italiane, tra le quali la Toscana, dove una legge regionale ne vieta espressamente l'uso per interventi d'ingegneria naturalistica, come il rinverdimento, la riforestazione ed il consolidamento dei terreni.

La resistenza alla siccità è determinata dal fatto che i cladodi sono ricoperti da una spessa cuticola cerosa e che il parenchima è costituito da strati di cellule che fungono da riserva d’acqua. Anche la presenza di radici superficiali e disposte su ampia superficie è un adattamento che consente la sopravvivenza anche in zone con precipitazioni piovose di modesta entità. La pianta inoltre, analogamente alle altre Cactacee, è dotata di un particolare metabolismo fotosintetico, denominato fotosintesi CAM (Crassulacean Acid Metabolism), che consente l’assimilazione dell’anidride carbonica e la traspirazione durante la notte, quando la temperatura è più bassa e l’umidità più alta. Le perdite di acqua per traspirazione sono conseguentemente molto ridotte, mentre la quantità di anidride carbonica assorbita è, in rapporto all’acqua disponibile, elevata. Ciò determina una maggiore efficienza d’uso dell’acqua, cioè un costo in termini di acqua necessaria per fissare una molecola di carbonio, da tre a cinque volte più basso di quello che si registra nelle altre specie agricole.

È una tipica pianta aridoresistente che richiede temperature superiori a 0 °C, al di sopra di 6 °C per uno sviluppo ottimale. Temperature invernali prolungate al di sotto di 0 °C, pur non costituendo un fattore limitante per le piante selvatiche, deprimono l’attività vegetativa e la produttività delle piante in coltura e possono portarle al deperimento.

È una pianta molto adattabile alle diverse condizioni pedologiche. I suoli idonei alla coltura hanno una profondità di circa 20-40 cm, sono terreni leggeri o grossolani, senza ristagni idrici, e con valori di pH che oscillano tra 5.0 e 7.5 (reazione acida, neutra o leggermente subalcalina). Dal punto di vista altimetrico, le superfici destinate alla coltivazione possono andare dai 150 ai 750 metri sul livello del mare.

La propagazione si attua per talea, si preparano tagliando longitudinalmente in due parti cladodi di uno due anni, che vengono lasciati essiccare per alcuni giorni e poi immessi nel terreno, dove radicano facilmente. La potatura, da eseguirsi in primavera o a fine estate, serve ad impedire il contatto tra i cladodi, nonché ad eliminare quelli malformati o danneggiati. Per migliorare la resa è opportuna una concimazione fosfo-potassica, preferibilmente organica.

La tecnica della scozzolatura, il taglio cioè dei fiori della prima fioritura, da eseguirsi in maggio-giugno, consente di ottenerne una seconda fioritura, più abbondante, con una maturazione più ritardata, in autunno. In base a tale consuetudine si distinguono i frutti che maturano già in agosto, cosiddetti agostani, di dimensioni ridotte, e i tardivi o bastardoni, più grossi e succulenti, che arrivano sul mercato in autunno.

La produzione degli agostani non necessita di irrigazione, che invece è richiesta per la produzione dei bastardoni.

In coltura irrigua si può ottenere una resa di 250-300 quintali di frutto ad ettaro.

Il panorama varietale della coltura è limitato sostanzialmente a tre cultivar che differiscono per la colorazione del frutto: gialla (Sulfarina), bianca (Muscaredda) e rossa (Sanguigna). La cultivar Sulfarina è la più diffusa per la maggiore capacità produttiva e la buona adattabilità a metodi di coltivazione intensiva. In genere vi è comunque la tendenza ad integrare la coltivazione delle tre cultivar, in modo da fornire al mercato un prodotto caratterizzato da varietà cromatica.

In Italia vengono prodotti da 750 mila a 850 mila quintali all'anno, prevalentemente nelle provincie di Catania, Caltanissetta e Agrigento. Infatti, il 90% della superficie coltivata a fico d'India è localizzata in Sicilia, il rimanente 10% in Basilicata, Calabria, Puglia e Sardegna. In Sicilia, oltre il 70% delle colture si concentrano in 3 aree: la zona collinare di San Cono, il versante sud-orientale delle pendici dell'Etna e la Valle del Belice.



L'Opuntia ficus-indica, per la sua capacità di svilupparsi anche in presenza di poca acqua, si rivela una pianta di enormi potenzialità per l'agricoltura e l'alimentazione dei paesi aridi.

La diffusione capillare in Sicilia, lo storico e ampio uso che se ne fa nella cucina siciliana hanno portato il ficodindia generico (Opuntia ficus-indica) ad essere inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf) come prodotto tipico siciliano.

La composizione nutrizionale delle foglie del fico d'India è molto diversa da quella del frutto e dei semi.
I cladodi della pianta contengono una consistente quantità di acqua, ma rappresentano anche una preziosa fonte di oligoelementi (potassio, magnesio, calcio, ferro, silice), sostanze nutritive (soprattutto fibra grezza, carboidrati) e vitamine, in particolare vitamina C e precursori della vitamina A (beta-carotene, luteina ed alfa-criptoxantina). Nel succo delle foglie non mancano tiamina, riboflavina, niacina, vitamina B6 e folati. Inoltre, nelle foglie del fico d'India si trovano molti aminoacidi, tra cui 7 essenziali.

Se i semi sono ricchi di lipidi e proteine, i frutti sovrabbonadano di zuccheri semplici come glucosio e fruttosio. Nel frutto ci sono anche sostanze anti-ossidanti come l'indicaxantina e la betanina, che contrastano i processi ossidativi.

Sono molteplici gli usi del fico d'India: molte usanze affondano le radici nell'antico popolo azteco: già all'epoca, gli Aztechi utilizzavano le foglie del fico d'India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus Costa, che serviva per ottenere il rosso di cocciniglia. Dal corpo dell'insetto essiccato veniva estratta la colorazione rossa, tuttora richiestissima in ambito cosmetico, farmaceutico, tessile ed alimentare.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di pietra; inoltre, associato a miele e rosso d'uovo, sembrava essere utile contro le scottature.  Poteva essere usato anche per alleviare infiammazioni, lussazioni e tonsilliti.
Grazie alle risorse vitaminiche, il fico d'India era usato anche dai conquistatori del Messico per contrastare lo scorbuto, malattia da carenza di vitamina C.
I fiori, nella medicina contemporanea messicana, sono utilizzati per contrastare la cistite e come diuretici; i frutti aiutano a bloccare la diarrea ed esercitano azioni astringenti, mentre le fibre e le mucillagini sono tuttora usate come protettrici della mucosa gastrica e come regolatrici della glicemia.
L'opuntia vanta proprietà ipocolesterolemizzanti grazie alla componente fibrosa delle foglie; le mucillagini, oltre a conferire all'omonima pianta proprietà gastroprotettrici, le donano anche proprietà antinfiammatorie e cicatrizzanti. È dimostrato l'effetto positivo, esercitato dalle fibre solubili, nella diminuzione del colesterolo plasmatico e nel ritardare l'assorbimento del glucosio.
Nella medicina siciliana popolare, per contrastare le coliche renali si consiglia il decotto di fiori essiccati dell'opuntia.
Nel caso di ferite di superficie, si potrebbero sfruttare le mucillagini dei cladodi per le proprietà emollienti, idratanti ed antinfiammatorie.
L'utilizzo del fico d'India è particolarmente interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo, saponi, lozioni con azione astringente, e sembra favorire la crescita dei capelli.

Recentemente, nel Dipartimento di Medicina di New Orleans (Stati Uniti) è stato dimostrato un possibile effetto nella diminuzione dei sintomi che seguono l'intossicazione alcolica.
Anche l'azione antiossidante del fico d'India è stata dimostrata da uno studio svolto nel Dipartimento di Farmaceutica, Tossicologia e Chimica Biologica dell'Università di Palermo, e nel Dipartimento di Farmacia dell'Università di Gerusalemme: la betanina e l'indicaxantina sono le due sostanze antiossidanti responsabili dell'azione anti-radicalica.
Anche le attività diuretiche e citoprotettrici hanno un fondamento di verità: queste azioni attribuite al fico d'India sono state valutate dal Dipartimento Farmaco Biologico della Facoltà di Farmacia dell'Università di Messina: precisamente, l'attività diuretica è potenziata dall'infuso del frutto e non dal fiore.

L'uso alimentare dell'opuntia si riferisce ai frutti, ricchi di zuccheri, calcio, fosforo e vitamina C; possono essere utilizzati freschi oppure destinati alla fabbricazione di liquori, gelatine, marmellate, dolcificanti e succhi. Persino i cladodi sono sfruttati dall'industria alimentare: vengono conservati sotto aceto o canditi.
Il fico d'india può essere usato anche come foraggio.
In Sicilia si ha la tradizione di produrre un particolare sciroppo dalla polpa priva di semi: è utilizzato per preparare dolci rustici tipici.

Il frutto non dev'essere mangiato in quantità eccessiva: potrebbe provocare, infatti, blocco intestinale; è per questo sconsigliato nelle persone che soffrono di diverticoli intestinali.

Le fibre del fico d’India favoriscono il senso di sazietà consentendo così di evitare di sgranocchiare fuori pasto; inoltre, sono utili per assimilare meno grassi e zuccheri, controllando la glicemia nel sangue e il sovrappeso, e per favorire il transito intestinale. Il fico d’India contiene anche niacina (vitamina B3) che rallenta la trasformazione degli zuccheri ingeriti in glicogeno e quindi in grasso che si deposita nei famosi punti critici: pancia, fianchi e glutei.





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martedì 12 gennaio 2016

LA MELA



La mela è il frutto (più precisamente si tratta di un falso frutto a pomo) del melo. Il melo ha origine in Asia centrale e l'evoluzione dei meli botanici risalirebbe al Neolitico. La specie è presente in Italia nominalmente con circa 2000 varietà, ma la definizione più precisa è difficile data la sovrapposizione storica delle denominazioni, e le specie estinte o irreperibili. Il termine "mela" deriva dal latino melum, o malum, e, a sua volta, dal greco antico mêlon; la radice del termine potrebbe ricongiungersi all'indoeuropeo Mal- dal significato di "essere molle", "dolce" e avere così un legame con "malva" e "miele".

La mela è il frutto più destagionalizzato (lo si trova tutto l'anno) e ciò richiede la presenza di impianti che provvedono alla conservazione e ne distribuiscano la disponibilità su di un ampio arco di tempo. La maturazione naturale varia da fine agosto a metà ottobre. La disponibilità alla conservazione naturale dei frutti è drasticamente diversa nelle differenti varietà; dati gli elevati contenuti in acidi organici, di norma la conservazione va da uno a quattro mesi. Nella conservazione industriale sono importanti le condizioni fisiche in cui questa avviene. Dopo il raccolto, i frutti sono conservati a temperature da 1,0 a 3,5 °C con umidità relativa del 59-68%. Per conservazioni prolungate si ricorre a conservazioni in celle con atmosfera controllata (più ricca di CO2).

Le mele sono destinate prevalentemente al consumo casalingo, per quello immediato ma anche in cucina per la preparazione di primi, secondi e diversi dolci. Inoltre si presta anche ad essere utilizzata per preparare in casa maschere di bellezza. La mela è da sempre alleata della bellezza: ha un apporto calorico piuttosto basso e, grazie alla pectina, aiuta ad eliminare dal corpo le sostanze tossiche. Altre destinazioni per le mele in industria sono: produzione di succhi, sidro, olio di semi di mela (molto utilizzato nei paesi del nord Europa ed ottenuto come sottoprodotto dalla produzione del succo e del sidro), creme, fette di mela essiccate, produzione di alcol da distillazione da fermentati.

Gli obiettivi del miglioramento genetico riguardano l'ottenimento di piante resistenti agli insetti, in particolare ai rodilegno, difficilmente contrastabili, al colpo di fuoco batterico, alla ticchiolatura, oidio e afidi. Si punta anche all'ottenimento, per le varietà commerciali più note, di cloni autofertili.

In Italia permangono attualmente presenti, e non solo storicamente, ben oltre mille varietà di mela. Le varietà hanno rilevanza locale o anche regionale o sovraregionale, in una enorme gamma di caratteristiche organolettiche e colturali. La coltivazione di varietà tradizionali è diffusa a livello domestico, e la disponibilità dei frutti è legata a mercati di nicchia. L'adozione di sistemi di coltivazione largamente unificati, e di distribuzione del prodotto che lo sono altrettanto se non di più, ha ridotto in maniera drammatica la gamma disponibile nella grande distribuzione, a non oltre sei - otto varietà che coprono il 90 per cento del prodotto. Non più di tre o quattro varietà di queste sono di origine nazionale, anche se le altre quattro o cinque possono comunque essere coltivate in Italia. Il motivo di questo è solo un fattore di economia, la coltivazione in grande scala non può gestire in modo adeguato (ed economico) tutta questa varietà, ed inoltre la grande distribuzione la saprebbe gestire ancor meno.

Come è ovvio le varietà commerciali della grande distribuzione sono scelte soprattutto per la loro facilità ed uniformità di produzione, trasporto e conservazione, piuttosto che per le loro qualità organolettiche (sapore, consistenza, profumo), quindi le altre varietà, con caratteristiche che non soddisfano le scelte delle varietà commerciali, non sono trattate.

Le mele rappresentano una fonte alimentare essenziale di polifenoli (circa il 22% dei polifenoli necessari vengono assunti attraverso questi frutti). La quantità di polifenoli in una mela va da 110 a 347 mg per 100 g di parte edibile. Sono presenti anche discrete quantità di flavonoidi. Si pensi che nel corso di uno studio sono stati estratti oltre 12 kg di flavonoidi dalla sola buccia di circa un quintale di mele rosse (del tipo Delizia).

Le vitamine della mela: vitiamine B (vit. B1) 0,02 mg; riboflavina (vit. B2) 0,02 mg; niacina (vit. B3) 0,30 mg; acido folico (vit. B9) 1 mcg; vit. A 8,00 mcg; vit. C 5 mg. Tra i sali minerali della mela troviamo il sodio 2 mg; potassio 120 mg; ferro 0,3 mg; calcio 6 mg; fosforo 12 mg; zinco 0,1 mg.

Facendo un'analisi dei composti fitochimici della mela si è potuto verificare che in questo frutto è presente un vero patrimonio di sostanze antiossidanti e protettive nei confronti dei tumori.

La mela fa bene in caso di colite, ritenzione idrica, diete dimagranti; può essere consumata in caso di diabete. La mela ha proprietà antinvecchiamento e anticancro. A differenza di altri frutti, non favorisce le fermentazioni intestinali.



I ricercatori hanno quindi attribuito la gran parte delle proprietà benefiche delle mele alla buccia, piuttosto che alla polpa fresca. Ecco perché occorre acquistare mele biologiche e mangiarle con la buccia.

Influenza:

Per 3 giorni mangiare solo mele crude, per purificare il sangue e rafforzare le difese immunitarie.

Dolori reumatici, gotta, colite:

I tannini e il potassio contenuti nella mela ostacolano la formazione di acido urico, causa di reumatismi e gotta. Bere 4-5 tazze al dì dell'acqua di bollitura delle bucce di mela. Porre 1 tazza d'acqua e la buccia di 2 mele in un pentolino, portare a ebollizione, lasciar cuocere per 10 minuti, filtrare e bere.

La mela si mangia soprattutto cruda, ma si presta a numerose preparazioni culinarie sia dolci sia salate. Può essere cotta al forno, fritta, lessata o cotta al vapore. Ottima per torte, confetture, insalate e salse.

La mela grattugiata viene data al bimbo dal quinto mese di vita.

La mela rossa è perfetta se si desidera perdere peso. La buccia contiene piruvato, una sostanza che ti aiuta a sciogliere ed eliminare l'adipe.

La mela verde è il frutto della giovinezza. Il suo sapore asprigno conferma la presenza di vitamina C e di acidi organici antiossidanti che contrastano l'invecchiamento e rafforzano le difese.

Antirughe e utile per la vista, la mela gialla contiene una quantità elevata di carotenoidi utili per difendere la pelle dalle rughe e favorire la visione notturna.

La fuji è utile in caso di colite. La buccia di questa mela è ricca di pectina, una fibra solubile che non irrita le mucose intestinali, facilitando il transito in caso di stipsi e rallentandolo in presenza di diarrea.

La renetta difende dal tumore. Se biologica e mangiata con la buccia, la è in grado di ridurre il rischio di cancro fino al 60%. La sua polpa lo riduce solo del 40%.

La mela stark protegge cuore e vene. Contiene procianidine, sostanze antiossidanti che contrastano l'invecchiamento e prevengono le malattie cardiovascolari.
La mela annuca è uno dei frutti più usati in cosmesi naturale. In particolare, la mela annurca, un'antica varietà della Campania, è in grado di rivitalizzare l'epidermide, idratandola, tonificandola e svolgendo un'azione antirughe. Basta applicare una mela bio frullata con il succo di mezzo limone e 2 cucchiaini di olio di germe di grano. Lasciare in posa per 15 minuti e lavare con acqua tiepida. Da ripetere 3 volte a settimana.

Oltre ad allontanare la compagnia del personale sanitario, di cui faremmo volentieri a meno in determinati frangenti, pare proprio che il consumo regolare di mele aiuti a sbarazzarsi anche di altre, indesiderate, compagnie.E' il caso, ad esempio, del colesterolo, ma anche degli odiati chili di troppo. Tutto ciò, ovviamente, a patto che le mele siano inserite in un piano dietetico non dico rigoroso, ma comunque attento e rispettoso della salute del buongustaio. La mela è un alimento ideale per iniziare un pasto. Se mentre siamo impegnati nella preparazione di laboriose portate culinarie veniamo colti da un'irresistibile appetito, sgranocchiare una mela è la soluzione migliore. Consumare uno di questi frutti prima dei tre pasti principali aiuta infatti a calmare anche l'appetito più vorace, meglio ancora se lo si associa ad un bel  bicchiere di acqua.

La mela è un cibo pratico, pronto al consumo e non sporca i vestiti quando ci cade addosso, aspetti non certo trascurabili nell'era frenetica dei fastfood. Inoltre, il suo sapore gustoso e croccante, lievemente dolce, mette d'accordo la stragrande maggioranza dei palati, compresi quelli più reticenti al consumo di frutta e verdura.
Un requisito importante ed irrinunciabile delle mele è la loro freschezza. Con il passare del tempo, infatti, il contenuto di acqua e vitamine del frutto decade progressivamente, rendendolo meno croccante e salutare. Un buon criterio per valutare il grado di freschezza di una mela è quello di osservarne la buccia. Quando si presenta lucida e tesa, a protezione di una polpa compatta, significa che il frutto è stato colto da poco e conservato nel modo migliore; al contrario, una buccia raggrinzita, come le rughe sul viso di una persona, indicano che i tempi della giovinezza sono ormai un ricordo lontano.
Una volta acquistate, le mele andrebbero conservate in frigorifero, dove la temperatura, poco superiore ai 0°C, consente di mantenerne a lungo la caratteristica croccantezza e sapidità.

La buccia: che questa sia una fonte di pericolosi pesticidi è vero soltanto in parte. Una certa tutela, innanzitutto, deriva dai controlli a cui le mele sono sottoposte ancor prima della raccolta, tanto che, in teoria, al momento del consumo il frutto dovrebbe aver ormai perso ogni residuo pericoloso. In secondo luogo, i pesticidi utilizzati in agricoltura nei Paesi industrializzati come il nostro, non sono poi quei veleni mortali a cui si è portati a credere, soprattutto quando vengono ingeriti in quantità limitate. Terzo, molti alimenti vegetali, anche se colti nel luogo più incontaminato che esista, contengono al loro interno veleni molto più pericolosi di quelli usati per proteggerli da parassiti e bestioline varie. Gli stessi semi delle mele, ad esempio, contengono cianuro, anche se in quantità del tutto innocue. Il melo e le altre piante, infatti, non hanno gambe o ali, di conseguenza non possono scappare dai "predatori"; in compenso, possono difendersi elaborando sostanze tossiche per gli animali che se ne nutrono. Perciò, dal momento che "tutto è veleno, niente è veleno, la differenza sta nel la dose" molti esperti concordano che le mele si possano tranquillamente consumare conservando la buccia dopo un opportuno lavaggio; a scopo cautelativo, è meglio allontanarla se il frutto viene consumato durante la gravidanza o lo svezzamento.



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