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martedì 21 luglio 2015

Panorama della letteratura brasiliana dagli anni ’60 a oggi di Luiz Ruffato

Dalton Trevisan

Panorama della letteratura brasiliana dagli anni ’60 a oggi di Luiz Ruffato


La fiera del libro di Francoforte – 9-13 ottobre – quest’anno vede il Brasile come paese invitato. Per celebrare l’evento pubblicheremo, in tre puntate, una breve rassegna della letteratura brasiliana dalla dittatura ad oggi scritto da Luiz Ruffato. Buona lettura.
DITTATURA MILITARE
Non erano passati neanche vent’anni dalla fine della dittatura di Getulio Vargas, che un altro golpe militare soffocò la democrazia sul nascere. La crescita economica impulsata del governo di Juscelino Kubitschek mise in moto uno dei maggiori movimenti migratori interni del paese (principalmente manodopera del Nordest e di Minas Gerais diretta verso la nascente industria di São Paulo). Lo spostamento della capitale a Brasilia provocò un improvviso decadimento dell’importanza economica di Rio de Janeiro e un violento squilibrio nel bilancio dello Stato.

lunedì 6 luglio 2015

Biografia / Rubem Fonseca



RACCONTI

Rubem Fonseca

(1925)

José Rubem Fonseca nacque l' 11 maggio del 1925 a Juiz de Fora, in Minas Gerais. Laureatosi in diritto, iniziò ad esercitare varie attività prima di scoprire la sua vena artistica.
Il 31 dicembre del 1952, iniziò a lavorare come commissario presso il 16° Distrito Policial di Sao Cristovao a Rio de Janeiro. Iniziò un'intensa collaborazione le cui vicende ispirarono molte delle sue opere. Chi conosceva Rubem mai avrebbe immaginato un tale successo nel mondo della letteratura: Fonseca era uno degli allievi più brillanti della Escola de Policia. Trascorse poco tempo in pattuglia, si occupò prevalentemente di relazioni pubbliche all'interno della polizia, fino ad essere esonerato il 6 febbraio del 1958.
Il mese di luglio del 1954 ricevette una licenza per studiare e, in seguito, insegnare alla Fundaçao Getulio Vargas, a Rio.
I coetanei di Rubem Fonseca ricordavano che, in quell'epoca, i poliziotti erano dei giudici di pace, dei pacieri più che delle autorità; lo scrittore svolgeva bene il suo lavoro in questo contesto occupandosi di psicologia.
Zé Rubem, così come era chiamato, si divideva con abile destrezza tra le definizioni legali e le tragedie umane. Valutate le sue particolari doti, tra il settembre del 1953 ed il marzo del 1954, fu selezionato con altri 9 poliziotti per un corso di perfezionamento a New York, ne approfittò anche per studiare Amministrazione d' Impresa presso la New York University.
Dopo esser uscito dalla polizia, Rubem Fonseca fu assunto dalla Light dove lavorò fino a quando non iniziò a dedicarsi integralmente alla letteratura.
Attualmente lo scrittore è vedovo ed ha tre figli. Rubem, inoltre, ama molto la riservatezza e l'anonimato,  dagli amici è descritto come una persona semplice, affabile e di ottimo umore.
Fonseca aveva tra le sua passioni anche quella per il cinema: scrisse diverse trame per film diventati, poi, grandi successi.


Opere


Romanzi:
  • O caso Morel (1973)
  • A grande arte (1983)
  • Bufo & Spallanzani (1986)
  • Vastas emoções e pensamentos imperfeitos (1988)
  • Agosto (1990)
  • O selvagem da ópera (1994)
  • O doente Molière (2000)
  • Diário de um fescenino (2003)
  • Mandrake, a bíblia e a bengala (2005)
  • O Seminarista (2009)
  • José (2011)

Racconti:
  • Os prisioneiros (1963)
  • A coleira do cão (1965)
  • Lúcia McCartney (1967)
  • Feliz Ano Novo (1975)
  • O cobrador (1979)
  • Romance negro e outras histórias (1992)
  • O buraco na parede (1995)
  • Histórias de amor (1997)
  • A confraria dos espadas (1998)
  • Secreções, excreções e desatinos (2001)
  • Pequenas criaturas (2002)
  • 64 Contos de Rubem Fonseca (2004)
  • Ela e outras mulheres (2006)
  • Axilas e Outras Histórias Indecorosas (2011)

Altro:
  • O homem de fevereiro ou março (antologia, 1973)
  • E do meio do mundo prostituto só amores guardei ao meu charuto (novella, 1997)
  • O romance morreu (cronache, 2007)
  • 64 Contos de Rubem Fonseca (Antologia di racconti, 2004)


Premi:

  • Coruja de Ouro per la trama di Relatório de m homem casado, film diretto da Flávio Tambellini
  • Kikito do Festival de Gramado, per la trama di Stelinha, diretto da Miguel Faria Jr.
  • Premio della Associação Paulista de Críticos de Arte per la trama di A grande arte, film diretto da Walter Salles Jr.
  • Prêmio Jabuti
  • Correntes de Escrita (2012) - Póvoa de Varzim - Portugal



domenica 5 luglio 2015

Uno stile brutale, quello di Rubem Fonseca

Rubem Fonseca

UNO STILE BRUTALE, QUELLO DI RUBEM FONSECA


Se non avete mai sentito parlare di Rubem Fonseca, questa è una buona occasione per farsi un’idea su questo autore contemporaneo brasiliano e approfittare della lettura di uno dei suoi racconti che potrebbe risultare puramente sconvolgente.


Rubem Fonseca nasce a Juiz de Fora (nello stato di Minas Gerais, Brasile), l’11 maggio del 1925; la sua biografia è irregolare poiché esercita varie attività professionali prima di dedicarsi nella vita completamente alla letteratura. Gli studi in legge, le nozioni di medicina legale, ma soprattutto la professione di commissario di polizia esercitata nella favela Ciudade de Deus, hanno inciso profondamente nella sua vita e nella sua formazione letteraria  poiché gli anni in cui ha lavorato nelle favelas gli hanno permesso di essere lo scrittore brasiliano che più ha avuto contatto con quella realtà.

Le favelas, ovvero le baraccopoli brasiliane costruite in genere nelle periferie delle gradi città (prevalentemente con materiali di scarto), sono spesso considerate una disgrazia ed una vergogna dai brasiliani ma possono essere viste come una conseguenza della distribuzione ineguale della ricchezza del paese. Il degrado sociale e la povertà favoriscono il sorgere di attività criminali, per questo sono da sempre luogo di attività malavitose legate alla droga e alla guerra tra gang (vi consiglio la visione del film  Cidade de Deus diretta da Fernando Meirelles, esemplare unico di stile Neorealista che documenta la violenza delle favelas ).
L’attività narrativa di Fonseca, nasce appunto dall’urgenza di manifestare attraverso i suoi racconti il malessere della società brasiliana che si estende a tutta l’umanità immersa nella metropoli dove tantissimi individui vivono in maniera eterodiretta e finiscono con il sentirsi frustrati. E la frustrazione del “não ter”, di non avere, della povertà estesa a tutti i campi (intellettuale, economica, sessuale…) genera una violenza insaziabile che Rubem Fonseca rielabora nelle sue cronicas facendola diventare leitmotiv letterario.

Il libro più discusso di Rubem Fonseca, Feliz Ano Novo, è una raccolta di quindici racconti, edito nel 1975 viene censurato un anno dopo la sua pubblicazione con l’accusa di attentato alla morale e al buon costume; siamo negli anni della dittatura, di censura politica e culturale in un contesto sociale agitato dove non c’è spazio per una Literatura comprometida, non c’è spazio per una voce scomoda come quella di Fonseca, che si cimenta a scrivere della città e dei suoi problemi. È un nuovo tempo per la storia del Brasile e la produzione di Fonseca arriva al limite del chocante, in cui il contesto sociale si traduce in violenza come forma di trasgressione davanti alle nuove sfide della società. L’autore si definisce un navegator, colui che metaforicamente naviga nel mare della quotidianità carioca fatta di tormentos. Nasce da questa precisa volontà la verosimiglianza che troviamo nei suoi racconti, dove Fonseca traspone in letteratura il quotidiano della metropoli in cui vive, Rio de Janeiro, metafora del Brasile contemporaneo. La sua scrittura è violenta, brutale, asciutta e molto spesso volgare nelle descrizioni , che risultano oscene e ripugnanti; l’uso di molti registri linguistici contribuisce, nella sua scelta stilistica a dare un effetto  catalizzatore: per questo non si parla solo di un linguaggio brutale e chirurgico, ma anche di un vero e proprio linguaggio cinematografico che è capace di raffigurare l’orrore e di ‘far vedere’ la violenza dilagante.

Per farvi un’idea di quello che ho introdotto vi lascio con la lettura con una crônicas di Rubem Fonseca:




sabato 4 luglio 2015

Rubem Fonseca / E nel mezzo del mondo prostituto, solo amore pel mio sigario ho tenuto

Rubem Fonseca
FONSECA RUBEM

E NEL MEZZO DEL MONDO PROSTITUTO,
 SOLO AMORE 
PEL MIO SIGARO HO TENUTO


Prima di avere tra le mani il libro di Rubem Fonseca “E nel mezzo del mondo prostituto, solo amore pel mio sigaro ho tenuto” ignoravo esistesse un genere letterario autonomo detto “brutalismo”, inaugurato proprio dallo scrittore brasiliano. Conoscevo semmai lo stile architettonico “brutalista”, ovvero qualcosa di volutamente grezzo, robusto, vigoroso. In attesa di capire meglio la genesi letteraria di questo termine, al momento il “brutalista” Rubem Fonseca, quanto meno leggendo il suo noir edito dalle Edizioni dell’urogallo, non mi è sembrato affatto voler riprodurre sulla carta stampata quel grezzo e quel “brutale” attributo a certe opere architettoniche. Altro discorso semmai è la rappresentazione realistica di un mondo misero, fatto di assassini e prostitute, dove la violenza e la sopraffazione è ordinaria amministrazione; forse retaggio dell’antico mestiere di Rubem Fonseca: commissario a Rio de Janeiro. Non è quindi un caso se lo scrittore brasiliano viene considerato uno specialista del noir. Anche il romanzo breve “E nel mezzo del mondo prostituto, solo amore pel mio sigaro ho tenuto” si può in parte incasellare in quel genere, salvo tutti i distinguo del caso. L’avvocato Mandrake, un criminalista carioca, uno dei personaggi più presenti nei romanzi di Fonseca, si trova alle prese con un caso particolarmente complesso.


Ce lo dice lui stesso, all’inizio del romanzo, senza perdersi in inutili preliminari: “Il mio nome è Mandrake, sono avvocato criminalista. I casi di omicidio sono sempre una specie di sciarada. I clienti ti mentono sempre, i poliziotti ti mentono, i testimoni mentono a tutti. Ho iniziato a mettere insieme questo rompicapo senza disporre di tutte le sue parti, con pazienza, dopo aver sentito attori e coadiuvanti di questa trama. Ho registrato la maggior parte delle conversazioni che ho avuto con tutti loro”. Ma quale sarebbe la sciarada che adesso vedrà impegnato Mandrake?

Gustavo Flávio, noto scrittore e grande tombeur de femmes, si vede recapitare per posta delle foto di sue ex amanti, e dopo pochi giorni, la donna ritratta nella foto viene trovata uccisa a colpi d’arma da fuoco.

Mandrake, nonostante la profonda antipatia per Gustavo Flávio si occuperà della faccenda, tentando di dipanare una matassa inestricabile e complicata dalle tante donne che, sedotte dal disinvolto scrittore, potevano avere buoni motivi per vendicarsi delle sue gesta libertine.

Oltretutto Fonseca, con l’escamotage di un’inchiesta basata su registrazioni di interviste e interrogatori effettuati da Mandrake, e nemmeno ordinate cronologicamente, pare aver voluto incentivare un effetto che fa molto “rashomon”, con uno svolgimento non soltanto inquietante ma proprio sfuggente, privo di un epilogo del tutto risolutivo.

Peraltro la figura di Gustavo Flávio, un vizioso tra viziosi, fa pensare ad un “marpionismo” spinto piuttosto che ad un “brutalismo”; che ricorda, molto in peggio, lo sfortunato protagonista dell’altro libro di Fonseca, “Diario di un libertino”, sempre edito dalle Edizioni dell’Urogallo. Il fatto che nel sito della casa editrice, per errore, siano state invertite la presentazione di questo libro con quella del “Diario di un libertino” alla fin fine potrebbe anche non balzare troppo agli occhi: c’è sempre la presenza di protagonisti dediti ai piaceri della carne e alle prese con donne tremende.

Inoltre, quasi a voler incrementare quella sensazione di “marpionismo”, almeno se inteso come indicatore di vizio, il consumo ossessivo di sigari, sia da parte dei protagonisti maschili, sia da parte di Amanda, moglie separata dello scrittore, rappresenta uno degli elementi che pervadono il romanzo dall’inizio alla fine. Qualcosa che sa di feticismo. Allo stesso modo la presenza di “Celeste”, misterioso nick femminile al quale Gustavo Flávio, in una chat, confida le sue complicate vicende sessual-sentimentali e poi i risvolti criminali che hanno causato, è un altro elemento contribuisce con una certa efficacia a creare un’atmosfera sfuggente ed enigmatica; senza bisogno di inventarsi chissà quale complicata trama o tenebroso mistero.

L’impegno di Fonseca, nel volerci regalare un noir di qualità e quindi non tutto trama, mi pare si sia rivolto soprattutto alla rappresentazione dell’ambiguità dei protagonisti, senza voler minimamente appesantire un racconto, di per sé breve, con descrizioni forse poco pertinenti, e dove il monologo (ricordiamo l’escamotage delle registrazioni da parte dell’avvocato Mandrake) e il dialogo la fanno da padrone, quasi come in una sceneggiatura di un film. Il motivo dovrebbe essere piuttosto evidente: Fonseca ha svolto per anni, e con successo, proprio l’attività di sceneggiatore.

Dopo aver avuto tra le mani questo particolarissimo noir credo che molti lettori diventeranno quanto mai curiosi di saperne di più su Mandrake e sul “brutalismo” del suo inventore.



EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Rubem Fonseca (Juiz de Fora, MG, Brasile – 1925), laureato in Giurisprudenza, è stato commissario del sedicesimo distretto di Rio de Janeiro. Esonerato nel 1958, dopo l’incontro con lo scrittore Dalton Trevisan, ha svolto l’attività di sceneggiatore e ha lavorato per l'emittente televisiva statunitense Home Box Office. Nel 2003 ha vinto il prestigioso Premio Camões. Tra le sue opere: Os prisioneiros (1963),A coleira do cão (1965), Vastas emoções e pensamentos imperfeitos(1988).

Rubem Fonseca, E nel mezzo del mondo prostituto, solo amore pel mio sigaro ho tenuto, Traduzione di Marco Bucaioni, Edizioni dell’Urogallo, Perugia 2012, pag. 128
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2012






venerdì 3 luglio 2015

Rubem Fonseca / Diana

Muchacha
Rio de Janeiro, 2013
Fotografía di Triunfo Arciniegas
Rubem Fonseca
Diana
Traduzione di Alessandra De Luca e Daniela Scarpari

Erano le tre di notte ed andai a prendere un caffè nell’unico locale aperto a quell’ora. Mi sedetti su uno sgabello del bancone e chiesi un caffè latte con pão na chapa1. Quel pane era una porcheria, pieno di lievito,e anche il caffè non era granchè, ma il pane ben tostato con il burro si lasciava mangiare.



La donna entrò mentre stavo prendendo il caffè, diede un’occhiata al bancone e si sedette al mio fianco. C’erano altri posti liberi. Era vestita di nero, aveva un trucco pesante, ma anche così si notava che era una donna giovane e carina. Doveva venire da una festa.

Mi chiamo Diana, disse, e tu?

Manoel.

Manoel? Lei sembrò sorpresa.

Mio padre si chiamava Manoel, mio nonno si chiamava Manoel. Il mio bisnonno si chiamava Manoel.

E tuo figlio?

Non ho figli. Ho un cane. Anche lui si chiama Manoel, ma io lo chiamo Mané, lui lo preferisce.

E tu cosa fai?

Niente, sono disoccupato.

E prima?

Sempre disoccupato. Ma so disegnare.

Allora fa un disegno per me, disse, prendendo il tovagliolo.

Mi serve una penna o una matita.

Diana chiese in prestito la penna al barista.

Mi mise davanti la penna ed il tovagliolo.

Disegnai un cane.

Questo è Mané, dissi.

Randagio?

Vero.

Posso tenere il disegno?

Si.

Ma lo voglio autografato.

Firmai Manoel sul tovagliolo.

Sono scema, disse.

Anche io, risposi.

Sto dicendo sul serio. Sono ninfomane. Sai che significa?

Si. Una donna che cerca compulsivamente l’orgasmo, senza riuscire ad averlo.

Questa è una definizione molto semplicistica.

Non è semplicistica, è solo semplice, e le definizioni semplici sono sempre le più corrette.

Noi ninfomani siamo persone impulsive. Vediamo un determinato uomo e vogliamo portarlo a letto. Non dirmi che non succede anche a voi? Solo che per gli uomini è più difficile soddisfare questo impulso, le donne resistono di più agli assalti. Ora, se io ti invito ad andare a letto non resisti, accetti, vero?

La guardai. Hai bevuto?

Ho bevuto champagne alla festa. Ma li c’erano solo uomini insipidi, e prima di fare la scelta sbagliata sono uscita.

Chiesi al barista un caffè doppio.

Bevi questo, dissi.

Lei prese il caffè. Pagai il conto.

Andiamo a fare un giro, dissi, non mi piace scopare donne ubriache.

Questo linguaggio mi arrapa, le parolacce mi arrapano.

Le strade erano vuote. Camminammo in silenzio.

Molte volte vogliamo solo soddisfare una fantasia sessuale, disse Diana. Oggi la mia fantasia è andare a letto con un uomo sadico, che mi prenda, mi minacci, mi dia qualche schiaffo, ma senza farmi troppo male. Tu sei questo tipo di uomo?

Forse.

Forse? O lo sei o non lo sei.

Lo sono. Più o meno.

Più o meno?

Vedrai. Vivi sola?

Si.

Il tuo edificio ha il portiere?

No.

Possiamo andare li?

Certo.

Arrivammo al suo appartamento.

Entrammo. Il posto era pulito, aveva un buon odore.

Lei prese una bottiglia di champagne dal frigorifero.

Posso bere un po’?

Un calice appena. Hai bisogno di rimanere lucida, così godi di più.

Lei prese due calici, pieni.

Andammo in camera. Il letto era di ferro, con una testata solida.

Non ho niente per farmi legare al letto. Devo strappare un lenzuolo. Ho alcune lenzuola vecchie da buttare.

Non è necessario, dissi, prendendo le manette dalla borsa. Ti ammanetto.

Manette? Che meraviglia. Sei un poliziotto?

No.

Dove le hai trovate?

Le ho comprate. Togliti i vestiti e sdraiati.

Mentre ammanettavo i suoi polsi alle sbarre della testata potei notare la perfezione del suo corpo. I seni erano piccoli e all’insù, anche se era sdraiata, non avevo mai visto ventre e cosce così perfette in tutta la mia vita.

Quanti anni hai?

Ventitré.

Mi tolsi i vestiti.

Tu sei grande, disse. Voglio dire, questa cosa.

Cerchi un orgasmo, no?

Si, disse lei, si.

Dopo aver leccato i suoi seni e la sua vagina, la penetrai lentamente e le diedi degli schiaffi in faccia, senza molta forza, ma anche così la sua faccia divenne rossa.

Che bello, che bello, disse Diana.

Questo non è niente. Ti stringo il collo e avrai una sensazione di morte in quel momento avrai l’orgasmo che non hai mai avuto in vita tua.

Voglio, voglio, disse lei, entusiasmata.

Strinsi lentamente il collo di Diana e sentii la sua vagina che si contraeva e poi un liquido abbondante inondò il mio pene.

Sto godendo, lei riuscì a dire, ansimante, mio Dio, sto godendo.

Strinsi di più il suo collo, e di più, con tutta la mia forza.

Quando ho sentito le ossa spezzarsi, sono venuto anche io, un godimento lungo e purificatore.

(Da Ela e outras mulheres Rubem Fonseca.)

1 Piccola baguette con burro riscaldata sulla piastra.




Ho già avuto modo di parlare di Rubem Fonseca. Da poco la piccola casa editrice Urogallo di Perugia ha pubblicato il suo romanzo Il seminarista (2010). Visto che siamo in clima di festa della donna vi offro la traduzione di uno dei racconti inediti della raccolta sfortunatamente non tradotta in Italia che si intitola Ela e outras mulheres (2006).






giovedì 2 luglio 2015

Rubem Fonseca / Orgoglio

Rubem Fonseca 

ORGOGLIO

Traduzione di Cristiana Sassetti



In diverse occasioni aveva sentito dire che dalla mente di un individuo che sta per morire affogato sfilano in vertiginosa rapidità i principali avvenimenti della sua vita e tutto ciò gli era sempre sembrato una gran baggianata, fino al giorno in cui accadde che stava morendo, e mentre moriva, si ricordò di circostanze dimenticate, della notizia di giornale secondo la quale durante la sua infanzia povera se ne andava in giro con le scarpe bucate, senza calzini e dipingeva l’alluce per camuffare il buco, in realtà aveva sempre usato calzini e scarpe senza buchi, calzini che sua madre rammendava con cura, e si ricordò dell’uovo di legno molto liscio e levigato che lei infilava nei calzini per rammendarli, rammendando tutti gli anni della sua infanzia, e si ricordò che sin da piccolo non gli piaceva bere l’acqua ché se ne beveva un bicchiere tutt’intero rimaneva senza fiato, e così passava intere giornate senza bere una goccia visto che non aveva i soldi per comprare succhi o altre bibite, e che a volte di nascosto alla madre preparava un dissetante a base di dentifricio Kolynos, ma non sempre avevano dentifricio a casa, e nell’istante in cui stava morendo si ricordò anche di tutte le donne che aveva amato, o quasi tutte, e persino del pavimento di legno colorato di rosso di una casa dove aveva vissuto, e sebbene angustiato non riuscì a rammentare di quale casa si trattava, e anche del primo scadente orologio a cipolla che ruppe il primo giorno che aveva usato, e poi della giacca blu di flanella, e il dolore che lo aveva fatto strascicare per terra, e del medico dicendo che doveva fare un’urografia, e quanto più la morte lo assediava tanto più i ricordi antichi si mescolavano a quelli recenti, lui che arrivava in ritardo all’ambulatorio del medico mentre quest’ultimo si era già vestito per uscire, aveva già dispensato l’infermiera, e il medico frettoloso, ansioso come chi deve raggiungere una ragazza molto desiderata, che lo invitava a togliersi la giacca, ad arrotolare la manica della camicia e a sdraiarsi sul letto di metallo mentre spiegava che infondo l’urografia era questione di un minuto, bastava iniettare il liquido del contrasto e fare le lastre, e il medico si curvò sopra il letto per applicare il contrasto nella vena del braccio e lui avvertì l’odore delicato del suo profumo e poté notare la sua cravatta a pois, e non ci volle poi molto perchè avvertisse la propria laringe occludersi impedendogli di respirare e cercò di allertare il medico, tuttavia non riuscì a emettere alcun suono e i ricordi tutti gli tornarono alla mente, la notizia di giornale, la giacca blu, il pavimento di legno, le donne, l’uovo liscio di legno della madre, mentre il medico in un angolo dello studio parlava al telefono a bassa voce, e poiché sapeva che stava morendo batté con forza sul metallo del letto, il medico spaventato e in preda al nervosismo rigirava i cassetti degli armadietti, imprecando, dando colpe all’infermiera e pregandolo di rimanere calmo, che gli avrebbe fatto un’iniezione antiallerrgica ma non trovava il maledetto farmaco, e pensò sto morendo soffocato, vita e morte corrono fianco a fianco, e cosciente della sua morte imminente e inevitabile, si ricordò delle parole di una poesia, devo morire ma questo è tutto ciò che farò per la Morte, visto che non aveva mai sentito la minima afflizione per lei, e nell’istante in cui moriva non le avrebbe permesso di impossessarsi della sua anima, poiché il massimo che la morte avrebbe avuto da lui era il morto stesso, e così pensò alla vita e alle donne che aveva conosciuto, alla madre che rammendava i calzini, all’uovo liscio di legno, alla notizia di giornale, e batté con forza sul comodino di metallo, sbeng! sbeng! sbeng! sto pensando alle donne che ho amato, sbeng! sbeng! sbeng! pensando a mia madre, e in quel momento il medico, senza sapere cosa fare, tormentato e spaventato dai colpi fragorosi che infieriva al letto di metallo, lo guardò con grande tristezza e commiserazione, e lui gridò nuovamente sbeng! sbeng! che perdonava il medico, sbeng! sbeng!, che perdonava tutti, mentre la sua mente percorreva velocemente le reminiscenze di una vita, il medico, stavolta in preda all’impotenza, disperato e confuso, gli tolse le scarpe, e lui sollevato il capo notò ai piedi un paio di calzini neri, e vide nel calzino del piede destro un buco che lasciava intravedere l’alluce, e si ricordò come sua madre era orgogliosa, come lui stesso lo fosse, e che questo era sempre stato la sua rovina e la sua salvezza, e pensò non me ne starò qui a morire con un buco nel calzino, non sarà questa l’ultima immagine che lascerò di me al mondo, e contrasse tutti i muscoli del corpo, si contorse nel letto come uno scorpione che arde sul fuoco e con uno sforzo brutale riuscì a far penetrare aria attraverso la laringe con un urlo spaventoso, e l’aria espulsa dai polmoni fece un gran rumore ancor più bestiale e terrificante, e sfuggì alla Morte e non pensò più a niente. Il medico, seduto su una sedia, si asciugò il sudore del viso. Lui si alzò dal letto di metallo e si infilò le scarpe.

Rubem Fonseca
Guadalajara, 2007
Poster di Triunfo Arciniegas


Rubem Fonseca (Juiz de Fora, Minas Gerais 1923 -) autore di romanzi, racconti e sceneggiature cinematografiche, è uno degli scrittori più popolari e tradotti del Brasile contemporaneo. Esordisce in sordina verso i quarant’anni dopo aver svolto diversi lavori tra cui il detective della polizia di Rio de Janeiro e l’amministratore dell’azienda brasiliana che eroga l’energia elettrica. A metà degli anni settanta, la sua raccolta di racconti Feliz Ano Novo, viene censurata dalla dittatura militare che, accusa il libro di immoralità e istigazione alla violenza. Solo dopo una lunghissima battaglia giudiziaria e di opinione pubblica, che vede impegnati tantissimi intellettuali brasiliani, nei primi anni ottanta il libro viene finalmente ripubblicato ottenendo un vasto successo di pubblico e critica. Maestro del racconto, nel 1994 la sua casa editrice storica, la “Companhia das Letras” lo omaggia con la raccolta Contos Reunidos. Autore che privilegia lo spazio urbano, denuncia le mostruosità e patologie generate dalla metropoli carioca. I suoi romanzi e racconti, offrono un universo narrativo ricco di personaggi che vivono al margine della società: prostitute, banditi, barboni, vecchi e malati; un insieme di poveri cristi animati da un grande desiderio di vendetta, di rivincita sociale e per questo capaci di gesti di una violenza inaudita. Anche i ricchi, quelli che l’autore definisce “classe A”, sono caratterizzati da comportamenti altrettanto violenti, nel tentativo di manatenere i privilegi acquisiti. In un universo narrativo così caratterizzato, lo spazio concesso ai sentimenti e alla vita affettiva è necessariamente poco. Quando questo spazio viene concesso, le relazioni sono spesso conflittuose e problematiche, dominate dalla routine e dove le donne sono di frequente oggetto più che soggetto di piacere, cibo da consumare velocemente. Questo mondo strano, sordido in cui il sesso è una moneta sporca con cui tutto si compra, il lettore rimane affascinato e turbato dalla velocità, lucidità e tensione del linguaggio narrativo, capace di creare suspence e inquietudine, dove il lettore complice, accompagna l’autore in questo viaggio alla fine del mondo, dalla prima all’ultima parola. E’ un mondo che ci turba e affascina perché molto lontano e, tuttavia, a noi così familiare.
Il racconto che vi proponiamo, Orgoglio è stato estratto dalla raccolta O buraco na parede del 1997, ancora una volta protagonista è un anti-eroe che in un ultimo, estremo gesto di orgoglio riprende la sua rivincita sulla vita.
 Dello scrittore in Italia sono usciti i libri “Romanzo Nero” e “Vaste emozioni e pensieri imperfetti”, “L’arte di andare a piedi per le strade di Rio de Janeiro” per la Biblioteca del Vascello, “Agosto” per il Saggiatore e “Felice anno nuovo” per la Voland.



mercoledì 1 luglio 2015

Rubem Fonseca / Ciudade de Deus



Rubem Fonseca
Ciudade de Deus


Il suo nome è João Romeiro, ma nella Cidade de Deus tutti lo conoscono come Zinho, una favela di Jacarepaguà, dove chi fa da padrone là è la droga. Lei è Soraia Gonçalves, una donna dolce e tranquilla. Soraia aveva scoperto che Zinho era trafficante di droga due mesi dopo che avevano cominciato a vivere insieme in un condominio di classe medio-alta a Barra di Tijuca.
- Ma ti dispiace? - le aveva chiesto Zinho, e lei aveva risposto che nella sua vita c'era stato un uomo che sembrava un uomo per bene ma che in realtà era un mascalzone.
Nel condominio, si crede che Zinho sia rappresentante di una ditta di importazione. Quando arriva una grossa partita di droga nella favela, Zinho scompare per qualche giorno e per giustificare la sua assenza, Soraia dice alle vicine che incontra nel cortile o in piscina che il marito è in viaggio per affari. La polizia lo cerca da sempre, ma conosce solo il suo soprannome e sa che è bianco. Non l'hanno mai beccato.
Stasera Zinho è arrivato a casa dopo aver spacciato per tre giorni la cocaina speditagli dal suo fornitore di Porto Suarez e la marijuana che viene da Pernambuco.
I due si sono coricati. Zinho era rapido e rude e dopo aver fottuto la moglie, si girava dall'altra parte e si addormentava.
Soraia non diceva mai nulla, stava sempre zitta, non prendeva mai l'iniziativa: ma a Zinho piaceva così; a lui piaceva che la moglie gli obbedisse a letto così come gli altri gli obbedivano nella Cidade de Deus.

- Prima che ti addormenti, ti posso chiedere una cosa?
- Dimmela subito. Sono stanco e voglio dormire, amore.
- Saresti capace di uccidere una persona per me?
- Tesoro, io uccido qualcuno perché lui mi ha rubato cinque grammi, credi che non ucciderei qualcuno perché tu me l'hai chiesto?! Dimmi chi è. È qualcuno del condominio?
- No.
- Di dove è?
- Vive a Taquara.
- E che ti ha fatto?
- Nulla. È un bambino di sette anni. Tu hai già ammazzato un bambino di sette anni?
- Ho già fatto sparare a due merdine che se la volevano squagliare con delle bustine, per dargli un esempio, ma penso che avessero dieci anni. Perché vuoi uccidere un moccioso di sette anni?
- Per far soffrire sua madre. Lei mi ha umiliato. Mi ha portato via il ragazzo, mi ha preso in giro e ha detto a tutti che io ero una vacca. Poi se l'è sposato. Sai, lei è bionda, ha gli occhi azzurri e si crede d'essere il top.
- Vuoi vendicarti perché ti ha portato via il ragazzo? Ma non è che ti piace ancora quel pezzo di merda?
- No, a me piaci solo tu. Tu sei tutto per me. Quella merda di Rodrigo non vale nulla, lo disprezzo e basta. Voglio fare in modo che quella donna soffra perché mi ha umiliato, mi ha chiamato "vacca" di fronte a tutti.
- Potrei ucciderlo.
- Ma nemmeno a lei, lui piace tanto e io voglio che quella donna soffra molto. È solo la morte del figlio che potrebbe farla disperare.
- Va bene. Sai dove è che sta il bambino?
- Sì, lo so.
- Farò andare a prendere il moccioso e lo farò portare alla Cidade de Deus.
- Ma non farlo soffrire troppo.
- Ma non è meglio se quella puttana viene a sapere che il figlio ha sofferto molto? Dammi l'indirizzo. Domani faccio fare il lavoretto. Taquara è vicino alla mia zona.

La mattina seguente, Zinho uscì con la macchina molto presto e andò alla Cidade de Deus. Rimase fuori per due giorni. Quando tornò, portò Soraia in camera da letto e lei, docile, obbedì a tutti i suoi ordini. Prima che lui si addormentasse, lei gli chiese:

- Hai fatto quello che ti ho chiesto?
- Faccio sempre quel che prometto, tesoro. Ho mandato i miei ragazzi a prendere il bimbetto a scuola e l'ho fatto portare alla Cidade de Deus. All'alba gli hanno spezzato le braccia e le gambe, a quel moccioso, lo hanno strangolato e lo hanno tagliato a pezzi e dopo lo hanno lasciato davanti alla porta di casa della madre. Scordati quella cazzo di storia, non né voglio più sentir parlare - disse Zinho.
- Me la sono già scordata.

Zinho le diede le spalle e si addormentò. Aveva un sonno pesante. Soraia rimase sveglia ad ascoltare Zinho che russava. Poi si alzò e prese il ritratto di Rodrigo che teneva nascosto in un posto dove Zinho non l'avrebbe mai trovato. Ogni volta che Soraia guardava il ritratto dell'ex-ragazzo, i suoi occhi si riempivano di lacrime. Era sempre stato così in tutti quegli anni. Ma quel giorno le lacrime furono molte di più.

- Amore della mia vita… - disse, premendo il ritratto di Rodrigo sul suo cuore in tumulto.



martedì 30 giugno 2015

Rubem Fonseca / Racconto d'amore

René Magritte
Rubem Fonseca

RACCONTO D’AMORE 



Quando ero nell’Esercito, avevo il grado di artificiere. So confezionare qualsiasi tipo di bomba a mano, come quelle usate dai terroristi.

L’ordigno che stavo preparando doveva avere un effetto fulminante, affinché la vittima non soffrisse. E prima dell’esplosione, era necessario che emanasse un raggio di luce abbagliante che facesse percepire alla vittima l’imminenza dell’esplosione.

La persona che volevo uccidere era mio figlio João.

Mia moglie Jane era incinta quando fui inviato all’estero con un contingente dell’Esercito al servizio delle Nazioni Unite. Rimasi via quasi due anni. Scrivevo costantemente a Jane e lei mi rispondeva. Quando mio figlio nacque e gli misero nome João, le lettere di Jane divennero strane. Mi riferiva che aveva bisogno di parlarmi di una cosa molto seria, ma non sapeva come farlo. Io le rispondevo impaziente di dirmelo comunque, ma lei si ostinava ad essere poco chiara, il che non faceva che peggiorare la situazione.

Ad un certo punto Jane smise di rispondere alle mie lettere.

Quando tornai dalla missione ONU, mi precipitai verso casa non appena sceso all’aeroporto. Jane mi aprì la porta. Il suo aspetto mi sorprese. Era invecchiata, pallida, sembrava malata.

“Dov’è João?”, le chiesi.

Jane scoppiò in un pianto convulso, indicando la porta della stanza dove lui si trovava.

Entrai nella stanza, seguito da Jane.

João era sdraiato nel lettino. Un bel bambino che nel vedermi sorrise. Lo presi in braccio.

In quel momento fui colto da una sorpresa che mi lasciò attonito. João aveva una sola gamba e un solo braccio, gli unici arti che possedeva.

Jane mi diede un foglio tutto spiegazzato, una ricetta medica con su scritto: questo bambino è affetto da focomelia, una anomalia congenita che impedisce lo sviluppo di braccia e gambe.

Jane si prendeva cura di João con infinita dedizione. Ma era sempre più stremata e morì quando João aveva sei anni.

Lasciai l’esercito per poter accudire mio figlio. Quando gli chiedevo se volesse qualcosa, mi rispondeva “Voglio andare in guerra”.

Il suo deficit fisico si era aggravato con l’età. Aveva quindici anni, ma non poteva camminare, ed era impossibilitato a svolgere qualsiasi attività fisica. “Voglio andare in guerra papà”, mi chiese ancora una volta.

Allora decisi che sarebbe andato in guerra. Così ho preparato la bomba.

Con la bomba in mano dissi:

“Figlio mio, sei stato convocato per andare in guerra”.

“Grazie, papà adorato, ti amo tantissimo”.

Io lo amavo ancora di più.

Gli misi la bomba in mano.

“Questa bomba esploderà. È la guerra”, gli dissi.

“È la guerra”, ripeté felice.

Uscii dalla stanza dove mi trovavo. Poco dopo vidi il bagliore.

Anche João vide quel bagliore, felice, prima dell’esplosione che lo uccise.

Amavo mio figlio.

Rubem Fonseca
Amálgama
Editora Nova Fronteira, Rio de Janeiro, 2013

Rubem Fonseca (Juiz de Fora, 1925) è considerato il più grande scrittore di narrativa vivente in Brasile.