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Mi andava di scrivere una cosa

È domenica, ci sono 80 gradi fuori, 82 nel soppalco di casa mia. Quando cerchi casa nessuno te lo dice che d’estate rimpiangerai cose semplici come una bella finestra di dimensioni normali in camera, nessuno ti dice che 55 mq su 2 piani sono una stronzata. O forse te lo dicono ma tu sei giovane e stupido e vuoi che la tua prima casa sia come quelle dei film, con il letto in mezzo alla cucina che dopo due giorni le lenzuola sanno di carbonara, con il soppalco che se lasci qualcosa nell’altra stanza non la recupererai mai perché nell’altra stanza vuol dire fare le scale, con il muro di mattoni ruvidi che fa molto industrial ma così polverosi che se vuoi respirare devi vivere con il mini aspirapolvere in mano. 
Ho appena finito di guardare una commediola romantica su Netflix, niente di bello, è evidente che da quando Kate Hudson ha passato i 40 e si è data a partorire figli e fare yoga su instagram il mondo delle commedie romantiche non ha più senso di esistere. Nel film due ragazzi con le loro carriere appena avviate e super promettenti, ma per il momento fatte di umiliazioni, straordinari, stipendio basso, molto alcool per superare il tutto. Lui super ambizioso, sempre vestito elegante, un po’ stronzetto ma simpatico, lei carina ma imbranata, simpatica, per una festa elegante si mette il vestito di & Other Stories che tutte abbiamo provato a comprare l’anno scorso con le scarpe da ginnastica: /immedesimazione maximum level reached.

Un dettaglio simpatico? Simpatico in quel modo che inizi a ridere istericamente e la risata poi si trasforma in un pianto a dirotto e ti viene voglia di riempire la vasca e fare il bagno con il tostapane come Bill Murray, solo che non hai la vasca. 

Lei a 25 anni dice:
“Tutto quello che mi interessa è non essere ancora un’assistente quando avrò 28 anni, quello sarebbe davvero triste”
In Italia a 28 anni sei fortunato se hai un contratto di apprendistato e non uno stage. Di più, a 25 anni per un lavoro come quello non ti assumerebbero mai: assistente personale di un’importante giornalista sportiva senza un’esperienza nello stesso ruolo di almeno 5 anni? Giammai. Senza contare che la massima ambizione possibile sarebbe quella di avere un telefono aziendale con cui tenere più ordinati gli appuntamenti del boss, non certo farle leggere sottobanco un articolo scritto da te.

L’happy ending mi ha messo quella speranza nel futuro che mi hanno sempre regalato le commedie romantiche: la consapevolezza che succede a tutti, succede quella cosa che non si sa cos’è ma tutto si sistema, quella voglia di fare che per qualche minuto non vedevo l’ora fosse lunedì per arrivare in ufficio con il thermos di te freddo e rispondere al telefono, mandare mail, parlare alla macchinetta con il collega dell’altro ufficio, risolvere problemi, essere quella ragazza che esce dal lavoro e infila le cuffiette, si cambia le scarpe in macchina e va a fare la spesa, paga le bollette, vede un amico per uno spritz e poi va a casa e mangia sul divano guardando la tv fino a tardi, rendendosi conto che tanto male non è.

È durata circa 10 minuti, poi mi sono ricordata com’è davvero, e cioè che arrivi in ufficio e iniziano a dirti cose ancora prima che tu abbia acceso il computer, il caffè della macchinetta fa schifo, il collega ti risponde male perché deve sfogarsi, il capo ti dà la colpa di una cosa che doveva ricordarsi lui, mangi davanti al PC rispondendo alle mail e chiedendoti “chissà com’è avere un lavoro che ti piace”, il pomeriggio sei così concentrata che ti viene mal di testa e non ti accorgi nemmeno che è arrivata l’ora di staccare, esci e mandi una nota vocale esausta alla mamma che risponde “ma guarda che tutti i lavori sono così”, hai dimenticato le bollette a casa e al supermercato ci sono tutti gli over 70 della città, il tuo amico ti tira pacco, Netflix non carica l’episodio che vuoi e finisci per fissare il soffitto pensando “perché gli altri sì, e io no?”
E non hai neanche la vasca da bagno.

PS: il film è Come far perdere la testa al capo

...

È che una volta finita l'università vai a lavorare e gli step ti sembrano finiti, pensi che una volta presi tutti i pezzi di carta che servono per essere una brava persona il resto venga da sé e invece no, c'è ancora da vivere e questa volta devi fare tutto da sola, non c'è l'anno scandito da trimestri con gli esami alla fine che se li passi sai che sei bravo e puoi essere contento e se non li passi invece c'è qualcosa che non va e ti devi preoccupare.
Nessuno più ti dice cosa devi fare, e capirlo è cazzo-difficile.

Solo un'altra paranoia di cui non avevo ancora parlato

Presente quella situazione tipica da macchinetta del caffè in ufficio no? Stai andando a prendere un caffè, sei sovrappensiero quindi non fai molto caso a quello che hai attorno, arrivi alla macchinetta e vedi che c'è qualcuno ma ormai hai la chiavetta gialla in mano e il passo spedito ed è troppo tardi per fingere di stare andando alla fotocopiatrice o in bagno, tocca aspettare. Con lui: questa persona che in fondo conosci, la saluti la mattina quando la vedi e se la incroci anche quando esci, magari capita che finite nello stesso giro di mail, forse una volta eravate insieme a pranzo e quindi sì la conosci, ma in realtà non la Conosci: non ti ricordi il suo cognome, non sai dove vive, se è sposata o ha figli, se era team Oasis o team Blur e se guarda Game of thrones. Ed ora devi passare questi due minuti mentre finisce il suo caffè e prendi il tuo. Dici che saranno due minuti, aspetti giusto che esca il tuo caffè e te ne torni a berlo alla scrivania. Sì ma 2 minuti, DUE LUNGHISSIMI MINUTI. Quante parole si possono dire in due minuti? Tante, se ne ne possono dire tante, se una delle due persone è Paolo Bonolis non ne parliamo neanche.

Dialogo tipo:
"Allora come va?"
"Eh dai, tanto da fare ma tutto ok"
"Sì, e la settimana è appena iniziata/menomale che manca poco a venerdì"

E sono passati tipo 20 secondi.
E adesso?
Adesso una persona normale parlerebbe tranquillamente di una cosa a caso: del tempo, dei figli, di quello che sta facendo a lavoro, di quanto fa schifo quel caffè, di cos'ha fatto nel fine settimana o cosa farà nel prossimo, di cose completamente che vengono fuori con naturalezza anche se sono inutili.
Io? Io no. Io in una situazione del genere guardo la macchinetta, sorrido nervosa, abbasso la testa, sussurro "muoviti caffè muoviti" e apro la portina prendendo il bicchiere in anticipo e con molta probabilità anche ustionandomi.

Sono nata priva della capacità di fare small talk, ascolto tutto il giorno i colleghi rispondere al telefono e aggiornarsi sulle rispettive famiglie, mentre io esordisco sempre e solo con "Ciao senti, ti devo chiedere una cosa" [poi un'altra volta parliamo anche dei miei problemi nel parlare al telefono eh].
Non ce la faccio, i livelli di confidenza ammessi sono due: "non ti conosco - non ti parlo" e "non ho problemi a dirti niente, neanche se devo andare a fare pipi", il mio cervello non concepisce quella chiacchiera disinteressata giusto per passare il tempo ed essere educati.
Vie di mezzo? No.

E chi ha detto che dietro uno schermo è tutto più facile ancora non mi aveva conosciuto, perché sì certo, non siamo faccia a faccia quindi l'effetto vergogna dovrebbe essere minore (seh, come no). Ecco, se per favore mi dite come continuare il discorso con la mia ex compagna di corso che mi ha scritto... perché io oltre il reciproco "Come va" non so più come continuare.

Mi sembra un po' difficile ultimamente fare le cose

Mi sembra un po' difficile ultimamente fare le cose. Tutte le cose, in generale, proprio quelle normali.
E non so come fare quindi da qualche giorno ho inaugurato questa cosa nuova: faccio finta, copio gli altri, quelli che mi sembrano ok. In pratica recito la parte con la consapevolissima speranza di autoconvincermi.
È un po' quella sensazione che abbiamo provato tutte alle medie guardando per la prima volta Save the last dance, che pensi "Minchia, voglio fare la ballerina" e il giorno dopo vai a danza sentendoti come se anche tu potessi andare alla Julliard e ci credi un casino e per 4 giorni sei tutta convinta, poi te ne dimentichi e ciao, ma quei 4 giorni sono stati bellissimi. Io non ho mai fatto danza, per dire, e comunque provavo quella cosa e mi veniva la voglia di iniziare.
Ma la cosa peggiore è quando vedi gli altri fare le stesse cose che fai tu, e però gli altri ti sembrano più belli, felici, spensierati e magari non è vero ma per te invece lo sono. Belli, felici, spensierati. Allora io li guardo e faccio le stesse cose che faccio tutti i giorni ma invece che sentirmi come mi sento io, provo a sentirmi come si sentono loro. Bella, felice, spensierata.
Allora la mattina mi preparo come se fossi una delle fighe della scena iniziale de Il diavolo veste Prada, entro in riunione sentendomi sicura e competente come Kate Hudson in How to lose a guy in 10 days, vado in palestra credendo di amare la palestra come le fighe dei profili fitness di Instagram, faccio la spesa come Cameron Diaz in The holiday, ceno da sola ma preparandomi il piatto per bene come Mandy Moore nel suo fighissimo loft in Because I said so, faccio aperitivo con le amiche come Emma Stone in Crazy, stupid, love.

Faccio finta.

Di problemi con cui se avessi soldi parlerei con un professionista

“Dai compralo il mascara”
“Ma ne ho già uno”
“Eh vabbè, per provare”

No. Cosa vuol dire questa cosa. Non sono d’accordo. Perché devo averne due che poi la mattina sono incerta su quale usare e stanno aperti tutti e due e si rovinano e mi tocca buttarli prima. Perché devo comprare un mascara se ne ho già uno. E lo stesso vale per tutto il genere, infatti io ho uno di tutto: un fondotinta una cipria una terra un fard un correttore un eyeliner un mascara un ombretto per le sopracciglia un mascara per le sopracciglia. Ho tre rossetti, e la cosa mi manda a male perché uno è il mio preferito e metterei sempre quello e però mi dispiace per gli altri allora qualche giorno metto gli altri e qualche giorno non lo metto perché non ho voglia. Ma nel mio cervello io vorrei mettere sempre il mio preferito. Se vado da sephora infatti, continuo a guardare i vari brand cercando quel particolare colore e poi penso “ma sei scema ne hai uno cosa te ne servono due dello stesso colore?” e metto giù. E poi, se compro qualcosa per provarlo e quella seconda cosa mi piace di più di quella che avevo già? La prima la butto? Infatti tornando al mascara, adesso ho un campioncino che mi manda a male perché non riesco a reggere questa cosa di avere due mascara aperti anche se uno è solo un campioncino, quindi ora sto usando solo il campioncino per finirlo il prima possibile. Oltretutto LO AMO e lo vorrei comprare ma ho appena iniziato l’altro e quindi ora rimarrò depressa perché dovrò usare un mascara che non mi piace tanto in attesa di finirlo e comprare l’altro. Per non parlare degli ombretti, dato che sto usando un ombretto vecchissimo per finirlo e poter poi essere libera di usare la Naked che avrà ormai un anno e non ho quasi toccato, e alla velocità con cui si finiscono gli ombretti inizierò ad usarla sui 35 anni. Che poi gli ombretti sarebbero la tipica cosa da avere doppia, perché un giorno di trucchi di blu e un giorno di nero e un giorno di beige e boh, io credo di non avere quel gene nel cervello.

Credo sia in parte un problema di soldi, perché purtroppo sono povera ma sono anche una vittima del marketing e non trovo molta soddisfazione nel comprare tipo Kiko (anche se il mio rossetto preferito è proprio Kiko) ma neanche dai vari brand più o meno professionali come Mac, Make up forever o Benefit con prezzi medi. No, noi qua vogliamo bene ai mascara di Lancome e alle confezioni inutilmente belle e costose perché siamo scemi (che poi comunque credo col mio metodo di spendere meno di quanto spende la donna media).
Come mi fa incazzare aver speso 30 euro per la terra di Benefit che sarà anche tanto bella e buona ma ha la confezione di CARTONE e lo specchio che si imbarca come quello delle trousse del cioè. Ma questo è un altro discorso.

Oltre ai soldi però ci metto dentro però anche un bel po’ di ossessività. Nel senso che lo faccio anche per altre cose che non valgono niente, per esempio a lavoro ho la mia penna (rosa porcellino con una testa di porcellino sul tastino sopra, è davvero bellissima e soprattutto sobria e professionale) e uso sempre quella con l’intento di usare solo quella e finirla. Lo stesso facevo a scuola o all’università, non succedeva mai che avessi due penne blu consumate a metà. Oppure più bottigliette d’acqua aperte, giammai. E le scatole del the? Parliamo delle scatole del the: è normale averne più di una se ti piace il the perché ogni giorno così scegli quale bere, magari un giorno hai voglia di quello alla menta e un giorno dell’earl grey. È normale dici, sì. Però comunque io quando apro il mobiletto e vedo quattro scatole sono destabilizzata, e certe volte mi rendo conto che ne scelgo uno di cui magari mi mancano tre bustine solo per poterlo finire e buttare la scatola mezza vuota il prima possibile.

Che bella cosa deve essere il mio cervello, eh amici, lo so lo so.

Ah, la spontaneità di instagram.

Quante volte succede che stai camminando e improvvisamente ti stoppi come se avessi sbattuto il muso su una porta a vetri, sensazione conosciuta perché inutile negare, tutti abbiamo sbattuto contro una porta a vetri almeno una volta nella vita. Io una volta ho anche sbattuto contro un cestino dell’immondizia, l’ho ribaltato e mi ci sono ritrovata a cavalcioni, ma questa è un’altra storia.

Dicevo, ti stoppi perché hai visto qualcosa: una Celine classic box nera in vetrina, un dilf che gioca con un bimbo piccolo, una pavlova ai frutti di bosco del diametro di mezzo metro, il bosco sull’argine riflesso sul fiume. Chi se ne frega dei boschi. Qualche anno fa a nessuno importava dei boschi, adesso tutti amiamo i boschi.

I tuoi occhi sono già impostati sul formato quadrato, nella testa fai le prove su dove posizionare il pelo dell’acqua: al centro della foto per un effetto simmetrico tra la parte sopra e il riflesso, più in basso per mostrare il cielo, più in alto per mostrare il riflesso. E se capovolgessi il tutto? Il filtro l’hai già applicato a prima vista per accentuare il verde-blu dell’acqua, hai già aumentato la luminosità per rendere più evidente il riflesso e ridotto l’esposizione perché l’effetto accecante è un no.

Il tempo di mettere in atto quello che hai già immaginato e puoi caricare la foto, ma prima c’è da valutare il posizionamento nella gallery: qual è l’ultima foto che hai pubblicato? Quali foto ci staranno vicine? I soggetti sono simili? Si abbina cromaticamente? Il soggetto è coerente con quello che pubblichi di solito?

Alla fine, prima o poi, pubblichi la foto. Subito, nel giro di pochi secondi, oppure dopo giorni, settimane, mesi che se n’è stata lì salvata nell’app senza degnarla di attenzione. Pubblichi e devi trovare un titolo decente e non ti viene in mente niente: c’è quel tuo amico che mette sempre il titolo di una canzone ma se lo fai tu è una copia, la poesiola è roba da zoccole decerebrate, puoi fare un commento simpatico purché non sia troppo simpatico da risultare forzato, non mettere un titolo è fuori discussione perché la foto va completata, ecco, se sei fortunato trovi un emoji di quello che c’è nella foto e la cavi con poco.

È finita dici, ti puoi rilassare. Seh, COME NO, adesso arriva la fase peggiore, quella del giudizio. Se sei convinto di aver fatto una bella foto, stai sicuro che la gente ti ignorerà e ti ritroverai a trovare mille scuse tipo l’orario di pubblicazione sbagliato o la didascalia o cose a caso. Se la foto ti sembra bruttina e anzi, continui a riguardarla pensando che è brutta e che non sta bene tra le altre ed è meglio cancellarla, quella è la foto che ti farà fare il record di like, quella è la foto che otterrà più like del tuo selfie migliore e ti porterà alla depressione.

Quindi se qualcuno mi vuole bene e non vuole che mi deprima  il mio profilo Instagram

Home alone

Mi è sembrato sensato dopo mesi di abbandono del blog tornare e scrivere di scarpe.
Mi è sembrato sensato scrivere di scarpe e non per esempio del fatto che mentalmente sto facendo le valigie perché fra pochi giorni andrò a vivere da sola.
Dopo sei post sul blog, diecimila tweet pieni d'ansia, ventordici cambiamenti di idea, innumerevoli pianti e paranoie mentali succede. Per davvero.
Sono stata convintissima e contentissima nella prima fase, mentre appena prima della firma non riuscivo a ricordare un motivo che fosse uno per cui volevo andare a vivere da sola.

E allora continuo a immaginarmi nella testa scene di me che faccio le cose che fanno quelli che vivono da soli, cerco di recuperare quella sensazione di "magari un giorno...". Guardo la mia board Dream house su Pinterest, cerco tovagliette e cuscini su internet e riempio di post-it e orecchie il catalogo di Maison du Monde, cerco progetti diy per ricavare tavolini da vecchie cassette di legno [tra parentesi, introvabili, quelle cassette di legno]. Guardo film su giovani che ce la fanno.
Poi penso alle che potrò fare una volta che sarò andata a vivere da sola:
- non mettere la pasta dentro al minestrone e frullarlo con il minipimer
- non subire l'interrogatorio ogni volta che esco "cos'hai fatto/dove sei sei andata/chi c'era/chi hai visto/hai bevuto"
- fare colazione un giorno con latte e cereali e il giorno dopo con the e fette biscottate senza dare spiegazioni
- andare a correre senza dover essere per forza a casa per l'ora tassativa di cena
- invitare innumerevoli uomini a casa [ehm ok, vabbè, credeghe]
- girare per casa in mutande
- non dover parlare e rispondere a domande appena sveglia e per le successive due ore
- non litigare ogni giorno per cavolate
- fare insanity senza la vergogna che qualcuno mi veda saltare come una scema
- non comprare carboidrati
- non dover più andare a lavoro in treno
- non dover sentire tutto il giorno quello che mio fratello è in vena di ascoltare a volume da discoteca truzza
- pulire solo quello che sporco io

Dell'andare a vivere da soli, di nuovo

Sempre a controllare il conto in banca e attendere il superamento della fatidica soglia, sempre su immobiliare.it a cercare e innamorarmi di bilocali soltanto da una foto, sempre sul sito di Maison du monde a riempire il carrello.
Passo da momenti di sì ce la posso fare, i soldi mi bastano sicuramente, non morirò di fame e male che vada con il buono pasto del lavoro mi prendo da mangiare anche per la cena così risparmio su quello a momenti di totale sconforto in cui faccio i conti che mi corrodono fino all'ultimo centesimo e incubi in cui mi si rompe la macchina e devo pagare il dentista e mi siedo sopra agli occhiali e rompo le lenti e mi tocca andare da papà a chiedere soldi o peggio ancora tornare a casa.

La cosa che più mi da fastidio è questo bisogno che ho di avere sempre l'approvazione dei miei. Che lo vedo mio padre che quando tiro fuori l'argomento non fa una parola, mentre mia madre butta là dei tranquilli "se vai a vivere da sola poi non ce la fai e mi tocca venire a pulirti casa", che mi fanno innervosire e piangere e fare lo sciopero della parola per due settimane.
Allora mi dico che mi devo arrangiare, che basta che ci creda io e lo posso fare e mi tiro un po' su il morale, e poi però le faccio vedere un appartamento carino che mi piace ed è anche vicino a lavoro e lei ripete che prendo troppo poco e che i soldi mi basterebbero appena e dovrei rinunciare a tutto e torno nella depressione del vivrò da sola solo quando erediterò la casa dei miei genitori.

Mi arrabbio, mi costringo a non ascoltarla eppure eccomi là, appena lei dice "se proprio vuoi provare prova, ti fai un contratto di sei mesi o un anno e vedi se ce la fai" mi tranquillizzo e ci credo di nuovo.

Stupida.

E non ricordarsi mai se è circolo "vizioso" o "virtuoso"

Faccio le cose sempre nello stesso ordine, in modo da essere sicura di non dimenticare tutto.
In questo modo, ogni cosa da fare diventa un'abitudine e in quanto tale la faccio in modo automatico, senza pensarci.
Vivo nella costante ansia di aver dimenticato qualcosa.

Dell'andare a vivere da soli senza morire di fame e di ansia

Quando ero all'università ripetevo come un mantra "dopo la laurea tempo un paio di mesi trovo lavoro e me ne vado di casa". Povera illusa.
Si sono messi di mezzo i lavori del week-end, gli stage a 300 euro, le cicatrici, imprenditori che promettono e non mantengono e sono ancora qua, dopo tre anni. Minchia sì, sono passati tre anni e io ancora qui con la sindrome di Peter Pan.
Quest'estate, il giorno dopo aver firmato il contratto ero già sul sito di Maison du Monde a riempire la wish-list di divani con l'isola, librerie giganti, accessori per la cucina e poltrone marroni tipo quelle vecchie che si vedono su Mad men.
Passo da Maison du Monde a Ikea ad Amazon trovando le cavolate più bellissime e più inutili del mondo, tipo sticker da muro a forma di lampione a cui aggiungere chiodi per fare un appendiabiti. Sfoglio Pinterest sognando monolocali giganti con cucina e salone insieme e solo un separé a dividere dalla camera. Sogno l'appartamento in cui vivevo 15 anni fa, con i suoi soffitti altri 15 metri e la mia camera talmente grande che ora ci farei stare tutta la casa. Cerco appartamenti su immobiliare.it insultando quelli che inseriscono un prezzo d'affitto basso e spese di condominio pari a un terzo dell'affitto, seleziono le case con criteri come la vicinanza al lavoro, la spesa e altri validissimi come la vicinanza al mare e lo spazio per un soppalco. Faccio conti su conti per capire quanti soldi servono veramente per vivere da soli, chiedo a chi già lo fa e nessuno mi risponde, MALEDETTI.
Ho le mie cifre in testa, e sono più o meno arrivata alla conclusione che il mio stipendio mi basterebbe per vivere una vita decente [con pochi svaghi, pochi vestiti e pochi Woolrich e sempre in dieta] ma che probabilmente andrei in difficoltà in caso di spese extra tipo l'assicurazione della macchina. La soluzione è avere una certa base in banca per sicurezza, quindi se ne parla seriamente verso l'estate.

C'è poi il piccolo dettaglio della fottutissima paura di ritrovarsi da soli, di non farcela, di dormire la notte da soli, io che a volte mi sveglio dopo un brutto sogno e prendo l'orso Orso dal comodino.
A quella non avevo pensato, quand'ero all'università.

FOMO - Fear of missing out sempre e comunque

Ho appena letto su Vanity fair un articolo sull'iperconnettività, "la malattia del terzo millennio", e mi ha fatto sorridere perché da boh, sarà una settimana, mi sono cancellata da twitter.
Mi sono cancellata perché? Perché è un periodo un po' così, non bellissimo, e non volevo fare la lamentosa. Twitter è pieno pienissimo di gente che si lamenta di tutto: del fidanzato/a, dei genitori, del lavoro, della vita. È noioso, e io non voglio essere noiosa. Non volevo neanche finire per sfogarmi lì, dire cose che è meglio che tenga per me, fare la donzella triste in cerca di attenzioni.

Sono una donzella triste in cerca di attenzioni, ma gli altri non lo devono sapere.

Twitter è la sede della mia iperconnettività: c'è il blog ma oltre a scrivere quei pochi post che mi vengono in mente e leggere le mail dei commenti porta via poco tempo, seguo molti blog ma tranne poche eccezioni o guardo solo le immagini o leggo una riga sì e tre no, facebook giace inutilizzato da anni, instagram niente di che.
Twitter è il mio problema: la mattina mentre aspetto il treno, in pausa pranzo, al ritorno quando ho le lenti a contatto annebbiate e il cervello confuso per leggere qualsiasi libro, prima di cena e dopo cena, mentre guardo un telefilm sul pc, a letto prima di addormentarmi, quando la notte mi sveglio agitata e non riesco più a dormire.
E poi ci sono quelle persone a cui ti pare di volere bene che in realtà sono persone finte, persone che non conosci davvero e non lo so, io su internet ci ho anche conosciuto un fidanzato ma alle relazioni "solo" virtuali ancora non mi ci sono abituata, e se c'è qualcosa che non va, devo abituarmi a cercare le persone vere e non quelle con una profile pic. Quelle che ti possono guardare storto se dici una cosa senza senso, dare uno spintone o una pacca sulla spalla, al limite pagare uno spritz.

Arriva un punto che devi dire basta e io ho detto basta.
Non è difficile, certo ogni tanto succede una cosa che vorrei raccontare o mi viene in mente una frase che potrebbe far ridere, a volte penso ai miei preferiti che si stanno divertendo tra loro senza di me.

E infatti. Vanity parla della FOMO, Fear of missing out, cioè la paura di lasciarsi sfuggire qualcosa mentre non si è connessi e ops, io ho appena passato un bel quarto d'ora a stalkerare i profili dei miei preferiti [ok anche di alcune delle solite zoccole] per vedere se è successo qualcosa di interessante.

La disintossicazione è ancora moooolto lontana.

Altro che uomini, voglio uova e zucchero da sbattere

Non lo so se si può, non lo so se una persona può studiare felice, andare convinta a un'università che le piace, laurearsi nei tempi e con un bel voto e pensare sempre con nostalgia ai tempi delle lezioni e degli esami, e poi BUM, trovarsi a invidiare la cugina 19enne che ha fatto l'alberghiero.
Forse si può.
Svegliarsi felice il venerdì non perché la sera si beve o si va a ballare ma perché prima di andare a letto puoi mettere a lievitare il panetto e la mattina fare il pane, la mattina impastare gli gnocchi per pranzo e il pomeriggio mettere su il dolcetto per la domenica.
Amici e parenti vari che pensando di essere originali ripetono "dovresti aprire una pasticceria" e tu ridi e rispondi "sì ok, dammi i soldi" e poi pensi alla pasticceria vecchia del tuo paese che si potrebbe rifare e ai muffin nelle alzatine e gli ingredienti direttamente in vetrina con l'angolo preparazione dolci a vista e i tavolini piccoli con le sedie uno diverso dall'altro e un separé fatto di scatole di the di latta e poi no, queste cose succedono alle signore che poi leggi sui giornali, e quelle persone non esistono.
Poi pensi che forse no, forse non ce l'avresti fatta a fare solo quello sempre, forse se quello che hai studiato ti piaceva c'è un motivo e forse devi solo trovare il modo di combinare le due cose e forse ancora quello che vuoi non l'hai capito. E forse, forse quello che stai facendo adesso ci si avvicina a quella cosa che ancora non sai cos'è. Forse ci si avvicina un bel po'.


Allora forse in fondo, almeno c'è una cosa che non va così male.

Piccoli sistemi di aiuto-aiuto

Per le persone paurose, quelle che si fanno mille problemi per tutto, quelle che devo pensare e programmare fino al più piccolo dettaglio e di tutto questo non dicono niente a nessuno perché oltre ad essere imparanoiate sono anche superstiziose quindi tacciono per paura che vada tutto a rotoli.
Per le persone come me.

Ho trovato un piccolo aiuto. Quando sto per partire per uno dei miei trip mentali penso alla ceretta, quella ceretta.
Il paragone regge bene: prima tanta paura, ore, giorni e a volte settimane a pensarci e stare male, durante se va bene non senti niente oppure sei un po' destabilizzato, se ti va male senti un po' di dolore che però dopo tre secondi passa. E poi, poi stai bene, e vorresti averlo fatto prima senza pensarci tanto.

Io faccio così.
Per cinque minuti va meglio.


Se questo è un cambiamento

Penso e rimugino e vorrei cambiare colore di capelli, sto pensando di farmi rossa, ma rossa scura scura quasi viola. Una cosa che capisco solo io, cioè una cosa che aiuto-paura, anche considerato che non mai mai mai fatto niente al colore dei miei capelli.

Mia madre, quando le ho chiesto come faccio a farmi rossa, ha risposto nell'ordine:
- Ma cosa vuoi farti rossa.
- Non sai che i colori scuri invecchiano.
- Cosa ti fai rossa che sei quasi bionda.
- Piuttosto fatti i colpi di sole.
Porina, stamattina deve aver sniffato il Pronto anti-polvere.

Alla fine non farò niente, perché con i miei capelli ho un rapporto tutto particolare fatto sostanzialmente di TERRORE PURO E DURO, e non troverò mai il coraggio nemmeno di provare un riflessante.

Nel frattempo cerco di cambiare il template del blog che è più facile e meno radicale, e soprattutto ho salvato il template di prima quindi se capisco di aver fatto una cavolata sto un attimo a rimetterlo.
Che io sia totalmente incapace è un dettaglio, e infatti ci vado dietro da due ore e boh, in pratica è uguale a prima.

I'm fine, thanks

Cercare conferme sempre. Cercare conferme ovunque. 
A volte però bisogna imparare a darsele da soli, fosse anche solo una frasetta da leggere quando prendi in mano il telefono.
Magari funziona.

Piante e animali

Sai perché gli animali si chiamano animali? Perché sono animati, perché si muovono. E sai perché le piante si chiamano piante? Perché sono piantate, ferme, immobili.
Ecco, a volte, tu mi fai sentire una pianta.
Andando a memoria era più o meno così. È un dialogo di Underemployed, un telefilm con 4-5 post-graduated alle prese con vari casini dopo la laurea. Loro hanno 20-21-2x anni e io un po' di più, ma mi ci vedo lo stesso e li guardo e sarà stupido, ma mi danno un po' di forza e un po' di voglia di fare.

Io sono una pianta.
Lo sono sempre stata e lo sarò sempre, anche se vorrei essere un animale e guardo con ammirazione e invidia gli animali, ma non sono cambiata fino ad ora e non credo che riuscirò mai a cambiare.
A dire il vero, nell'ultimo periodo un po' mi sono mossa ed è stato bello, quindi ora sono in un periodo di de-compressione.
Non so come fanno, non so come fate, a fare qualcosa ogni giorno ogni ora ogni minuto. Io faccio le cose e poi ho bisogno del nulla per un po' di tempo: mezza giornata, non dieci minuti.
Ora sono in un periodo di decompressione, per un paio di giorni. Ricarico le batterie per la full-immersion di cose da fare che mi aspetta nelle prossime settimane.

Sono fatta così, purtroppo.
Me lo diceva sempre un mio ex, e lo odiavo. L'ho mollato perché era "fatto così".

Vergognarsi un po'

Il progetto "Michela inizia a vestirsi come una persona grande" ha subito una brusca accelerata dall'inizio dell'anno, soprattutto perché ho perso un po' di kg e due taglie pantaloni, e con la scusa di questo "lavoro" iniziato a gennaio, ho comprato molto più di quanto io solita fare e ho cercato di comprare bene. Io di solito parlo molto, guardo molto, vado anche molto a negozi ma compro poco, sia perché sono tirchia di mio, sia perché non essendo indipendente mi sento in colpa a comprare cose che non mi servono veramente, e diciamo la verità, quando compriamo, niente ci serve veramente. Se dimagrite però, le cose vi servono. Ecco.
L'obiettivo era abbandonare la combinazione maglietta scema-jeans-converse-cardigan lungo di Zara di cui abbiamo una diapositiva e i vari look da 15enne.

Questi cardigan con i bottoncini sulle maniche sono la rovina della nostra generazione: chi è che non ce l'ha nero-grigio-blu-beige nell'armadio? E la versione con le toppe? Secondo me da Zara ci risollevano il bilancio. Per non parlare della versione hipster-boscaiola, roba che manca solo la reflex a tracolla.

Un po' alla volta però le cose sono migliorate, il primo passo è che ho iniziato a non comprare più jeans: ora ne ho solo un paio. Cioè, gli altri pantaloni che ho sono comunque skinny eh, mica ho fatto così tanti progressi, ma almeno ho variato i colori. E ho scoperto anche che quando metto i jeans sembro più grassa, ecco. Ho iniziato però a sostituire le amate Converse con le amate stringate-derby-brogues come minchia volete chiamarle, insomma queste qui che fanno tanto wannabe Sienna Miller.

Ho smesso con le magliette sceme e iniziato con le camicie, il che vuol dire che ho iniziato a vestirmi come un maschietto, ma a me piace da morire vestirmi come un maschietto.

La via che porta all'indipendenza dai cardigan però è dura, e io ho [fortunatamente] perso kg solo sotto, quindi non ho ancora dovuto abbandonare la mia collezione di colori, per fortuna o purtroppo. Questa, è la mia camicia preferita: 100% poliestere, il goccio di femminilità dato dalle due righine di pizzo è compensata dal colletto alla coreana allacciato fino al collo, che fa molto suorina, e infatti questa foto è stata rinominata suora.jpg.

Magri tentativi di sostituirli sono stati fatti con il giubbino in jeans che avevo alle medie, accuratamente modificato-strappato-borchiato da me medesima, e che ora è il mio fedele compagno di viaggio in queste fresche mattine estive. Ciao Zara, col cacchio che spendo 40 euro per il tuo giubbino, il mio è più bello.
Oh e guarda, ho anche iniziato a mettere le collane da femmine: sia quelle gigantobese e colorate, sia quelle piccine e sottili.

Coi tacchi ci ho provato, giuro, va che belle ste cosine che sono addirittura stampata e vedi sopra quanto a me piacciano le stampe. Purtroppo, non sono andata più in là del camerino, ma per tipo 2 minuti le ho tenute addosso. Magari prima o poi riuscirò anche a eliminare le ballerine.

La strada è lunga e tortuosa, le ricadute ci sono e a volte infatti mi ritrovo vestita come la peggio barbona con una maglietta che dice b-happy mentre io ho una faccia da funerale o con talmente tanti strati che ti viene da dirti ma perché.

La maggior parte dei fantastici esperimenti però mi escono quando sono obbligata. I 30 e passa gradi della settimana scorsa e un ufficio con aria condizionata rotta mi hanno costretto a pensare a soluzioni alternative rispetto ai miei adorati skinny che probabilmente mi si sarebbero completamente fusi alla pelle. Udite udite, ho comprato una gonna e l'ho anche messa. Mentre mi vestivo, i miei familiari venivano in pellegrinaggio in camera mia per vedere dal vivo il grande evento, io mi sono vergognata un casino e mi sono incazzata perché è come uno che ha il naso gigante e tu vai gli a fissargli il naso insomma non è proprio carino. Mi sono sentita osservatissima per tutta la giornata ma ce l'ho fatta, sono uscita vincitrice, e adesso pubblico anche la foto perché la veda il mondo intero [seh]. Probabilmente la pazzia, poi, mi ha spinto ad uscire di casa con questi pantaloni della tuta di Tezenis, pagati tipo 9 euro in saldo tipo 5 anni fa, antisesso perché hanno il cavallo il basso e sformati con il segno delle ginocchia. Non li avevo mai messi fuori di casa ma con questi 30 euro tra pantaloni e canotta mi sono sentita figa come non mai.

Quest'ultima foto si chiama fico.jpg.
Adesso la stampo e l'appendo all'armadio.

Buonanotte e sogni ansiotici

Quand'ero piccola sognavo un sacco. Mi svegliavo spaventatissima, stringevo l'orsetto e correvo al buio a dormire nel lettone in mezzo ai miei.
Tra tanti, ricordo solo un incubo ricorrente:
Io, nel giardino della casa dove vivevo prima, vento freddissimo, il portone d'entrata chiuso e nessuno che viene ad aprirmi. All'improvviso vedo accanto a casa una cabina telefonica, entro per ripararmi e poco dopo arriva un cavallo e mi dice di andare via che quella è la sua cabina. 
Sarebbe interessante capire cosa vuol dire, perché l'ho fatto veramente tante volte ma il libro dei sogni non mi ha mai dato un'interpretazione interessante: cavallo nero vuol dire misera e vento forte e freddo successo negli affari e solitudine, ma cosa vuol dire tutto questo quando hai sei anni?

Crescendo ho iniziato ad avere incubi che sono più dei sogni-ansia tipo quelli delle notti prima degli esami: io in pigiama/senza scarpe/senza occhiali nella classe delle elementari. Con i compagni dell'università e una compagna d'asilo come insegnante e viceversa, che arrivo in ritardo o con una penna che non scrive o cose simili. 
Continuo a farli anche adesso che non studio, alla vigilia di qualcosa che mi agita.
Le poche volte che mi capita ancora di svegliarmi spaventata è a causa di qualcosa che ho visto: ho sognato la bambina di The ring che esce dalla televisione per due mesi, e questo ha segnato la mia rinuncia a vedere anche il più innocente tra i film horror. 
Per un mesetto buono ho sognato di spaccarmi la faccia a metà come il tizio del video di youtube che si tuffa dalla scogliera e invece di beccare l'acqua prende di faccia lo spigolo di cemento e si spacca letteralmente la faccia a metà. Non ho ancora capito se quel video è un falso, ma ho ben presente in testa la faccia spaccata a metà con mezzo teschio che si vede e i denti sparsi in mezzo al sangue NON VI E' VENUTA VOGLIA DI VEDERLO? 

Nell'ultimo periodo sogno veramente poco oppure a causa dell'alzheimer non ricordo niente. Nell'unico sogno recente che ricordo ci sono io che esco con amici (gente mai vista) e che ci provo - IO CHE CI PROVO, SEH - con un tizio che poi sarebbe l'attore di Greek, quello che alla fine resta senza ragazza, e che ho rivisto in non mi ricordo quale telefilm. 
Una cosa verosimile direi.


Per fortuna che ho preso le gocce di camomilla

Sono in una situazione traumatica: una decina di scarpe seminate sul pavimento, cappotti appesi alla finestra e alle ante dell'armadio aperto, sul letto seminati costumi e pigiami in pile.
Cambio dell'armadio, si chiama.
Sì beh, sono le 10:12 e per molte persone oggi deve ancora iniziare, ma io oggi ho già preparato la colazione per tutti, sperimentato i biscotti senza latte e uova (buoni), fatto sopracciglia, una maschera al viso esfoliante e una purificante, cerottini naso-mento e ora il cambio dell'armadio che non è un semplice cambio dell'armadio ma un: cambio dell'armadio + decluttering + selezione vestiti che mi vanno ancora bene.

Ho troppi giubbini da mezza stagione. Troppi jeans di due-tre taglie più grandi. Troppe scarpe che non metto da secoli ma che non butto perché "non si sa mai". Troppi cardigan lunghi svolazzanti comprati in un periodo che non so definire.

Guardo l'immagine del post sotto e mi dico via, pulisci, elimina, decluttera.

Ce la posso fare, che quei sabot neri con mezzo tacchetto comprati quando ero in prima superiore dubito che avrò ancora voglia in futuro di indossarli e nemmeno i calzini a righe fucsia e rosa si addicono molto alal nuova me.

Fine. Inizio.

Mi sembra di non essere capace di riprendere in mano questo questo blog senza chiudere il 2012 e fare un augurio per il 2013. Non so se è una cosa mia o no, ma conoscendomi sono solo stata influenzata dai riassunti dell'anno passato e elenchi di buoni propositi che ho letto in altri blog.
Però è una cosa che proprio non voglio fare.

Perché il 2012 è stato un anno di merda.
Perché non è successo niente e allo stesso tempo è successo troppo.
Mi trovo immobilizzata nella stessa situazione di un anno fa, io sono la stessa e non sono riuscita a diventare quello che voglio diventare. Non sono nemmeno riuscita a capire cosa e come voglio diventare.

È come se il 2012 non fosse esistito, se non fosse per un certo disegnino sulla pancia.
Adesso è il 2013, e io ho una paura fottuta che continuerà così.
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